I due comandamenti della Bhagavad Gita

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I due comandamenti della Bhagavad Gita

di Yoganandaji

Tratto da:
“L’eterna ricerca dell’uomo”
di Paramahansa Yogananda

– Il segreto della felicità è la consapevolezza della presenza di Dio –

Apprezzare la vita va benissimo; il segreto della felicità sta nel non
attaccarsi ad alcuna cosa. Godete del profumo del fiore, ma vedete Dio in esso.
Io ho conservato la coscienza dei sensi solo perchè, usandoli, potessi sempre
percepire Dio e pensare a Lui: “I miei occhi sono fatti per vedere la Tua
bellezza ovunque. Le mie orecchie sono fatte per udire la Tua onnipresente
voce”. Questo è Yoga, unione con Dio. Non è nessario andare nella foresta per
trovarLo. Le abitudini terrene ci terranno incatenati dovunque siamo, finchè non
ci saremo liberati di esse. Lo yoghi impara a trovare Dio nel recesso del
proprio cuore. Dovunque vada, porterà con sè la beata coscienza della presenza
di Dio.

L’uomo non è soltanto disceso nella coscienza mortale dei sensi, ma si è legato
ad anormalità di questa coscienza sensoria, quali l’ingordigia, l’ira, la
gelosia. L’uomo deve bandire tutte queste anormalità per poter trovare Dio.
Tanto gli orientali quanto gli occidentali dovrebbero liberarsi
dall’asservimento ai sensi. Un uomo comune può arrabbiarsi perchè non gli è
stato portato il suo caffè della prima colazione, ed è sicuro che questa
privazione gli procurerà un mal di testa. Egli è schiavo delle proprie
abitudini. Lo yoghi evoluto è libero.

Ognuno può essere uno yoghi proprio là dove si trova adesso. Ma noi siamo
inclini, invece, a considerare strana e difficile qualsiasi cosa trascenda
l’orizzonte delle nostre abitudini di vita. E non pensiamo a come le nostre
abitudini possano apparire agli altri!

La pratica dello Yoga porta alla liberazione. Alcuni yoghi portano all’estremo
questo concetto del distacco. Essi insegnano che si dovrebbe essere in grado di
giacere su un letto di chiodi senza disagio, e di applicare altre forme di
tapasya, o di disciplina fisica. E’ vero che chi sia in grado di sedere su un
letto di chiodi pensando a Dio dimostra una grande forza mentale, ma tali
imprese non sono necessarie. Si può sedere su una comoda sedia e meditare su Dio
altrettanto bene.

Patanjali (nota 10: principale esponente dello Yoga. L’epoca in cui visse è
sconosciuta, ma molti studiosi la pongono nel II secolo a. C.) insegna che
qualunque posizione, purchè mantenga la spina dorsale eretta, è buona per la
meditazione: la concentrazione yoghica su Dio. Non è necessario sottoporsi a
contorsioni fisiche e praticare esercizi che richiedano straordinaria
sopportazione ed elasticità fisiche, come quelli raccomandati dallo Hata Yoga.
La meta è Dio, e la coscienza della Sua presenza è ciò che dobbiamo sforzarci di
raggiungere. La Bhagavad Gita dice: “Colui che si assorbe in Me, con l’anima
immersa in Me, Io lo considero fra tutte le categorie di yoghi come il più
equilibrato” (nota 11: VI,47).

E’ noto che alcuni yoghi indù hanno dimostrato indifferenza verso il caldo e il
freddo estremi, verso le zanzare e altri fastidiosi insetti. Tale dimostrazione
non è un requisito fondamentale per essere uno yoghi, ma essa costituisce un
naturale raggiungimento dell’adepto. Cercate di eliminare gli elementi
disturbatori, o di sopportarli, se necessario, senza venirne toccati
interiormente. Se è possibile rimanere puliti , è inutile essere sporchi. Ci si
può attaccare alla vita in una capanna come a quella vissuta in un palazzo.

Il fattore più importante nel raggiungere il successo spirituale è la buona
volontà. Gesù disse: “La messe è davvero abbondante, ma gli operai sono pochi”
(nota 12: Matteo, 9,37). La gente del mondo cerca i doni di Dio, ma chi è saggio
cerca il Donatore stesso.

Essere uno yoghi significa meditare. Lo yoghi, quando si sveglia al mattino, non
pensa, come prima cosa, al cibo per il suo corpo; egli nutre la sua anima con
l’ambrosia della comunione con Dio. Colmo dell’ispirazione raccolta dalla mente
che si è tuffata profondamente nella meditazione, egli è in grado di svolgere
con gioia tutti i compiti della sua giornata.

Con intenzione, Dio fece la terra qual’è; nel Suo piano è compito dell’uomo
rendere il mondo migliore. Gli Occidenali tendono ad andare agli estremi
nell’essere continuamente intenti a creare per se stessi sempre nuove e
perfezionate comodità materiali. L’Oriente tende agli estremi nell’accontentarsi
di ciò che ha. C’è qualcosa di attraente in entrambi, nello spirito di
avanguardia dell’Occidente e in quello semplice e calmo dell’Oriente. Noi
dobbiamo prendere l’equilibrata via di mezzo.

Lo yoga trasforma la teologia in esperienza pratica.

Lo yoga pone l’uomo in grado di percepire la verità in tutte le religioni. I
Dieci Comandamenti vengono predicati, con parole differenti, in ogni religione.
Ma i due comandamenti massimi sono quelli sottolineati da Gesù: “Ama il Signore
Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua anima”, e
“Ama il prossimo tuo come te stesso” (nota 6: Matteo, 22, 37, 39).

Anche gli insegnamenti di Krishna nella Bhagavad Gita pongono l’accento su
questi due comandamenti: “Su Me fissa la tua mente, sii tu il Mio devoto, con
adorazione incessante inchinati con riverenza dinanzi a Me. Essendoti così unito
a Me come il tuo più alto Traguardo, tu sarai Mio” IX, 34; e “il tipo migliore
di yoghi è colui che sente per gli altri, sia nel dolore che nel piacere, come
sente per sè stesso” VI, 32).

Amare Dio “con tutta la mente” significa ritirare l’attenzione dai sensi e darla
a Dio, dare a Lui tutta la propria concentrazione nella meditazione. Ogni
ricercatore di Dio deve imparare a concentrarsi. Una preghiera pronunciata
mentre, sullo sfondo della mente, si pensa ad altre cose, non è vera preghiera e
non attira l’attenzione di Dio. Lo yoga insegna che, per trovare il Padre, è
necessario cercarLo prima con tutta la nostra mente, con concentrazione
esclusiva.

Alcuni dicono che gli indù sono più adatti alla pratica dello Yoga, che lo Yoga
non è fatto per gli occidentali. Questo non è vero. Molti occidentali,
attualmente, sono avvantaggiati rispetto agli indù nella pratica dello Yoga,
perchè i progressi scientifici hanno concesso agli occidentali molto tempo
libero. L’India dovrebbe utilizzare in misura sempre maggiore i metodi avanzati
sulla via del progresso materiale d’Occidente per rendere la propria vita più
facile e più libera; e l’Occidente dovrebbe prendere dall’India i pratici metodi
metafisici dello Yoga, per mezzo dei quali ogni uomo può trovare la propria
strada verso Dio. Lo Yoga non è una setta, ma una scinza universalmente
applicabile, per il cui mezzo possiamo trovare il nostro Padre.

Lo Yoga è per tutti, per la gente dell’Occidente e per quella dell’Oriente. Non
diremmo che il telefono non è fatto per l’Oriente perchè è stato inventato in
Occidente. Così anche i metodi Yoga, benchè siano stati sviluppati in Oriente,
non sono riservati esclusivamente all’Oriente, ma sono utili a tutta l’umanità.

Che un uomo sia nato in India o in America, un giorno dovrà morire. Perchè
dunque non imparare a morire ogni giorno in Dio, come San Paolo? (nota 7: I
Corinti, 15,31) Lo Yoga ne insegna il metodo. L’uomo vive nel corpo come un
prigioniero: quando ha finito di scontare la sua condanna, deve sopportarne
l’umiliazione di esserne buttato fuori a calci. L’amore del corpo, dunque, non è
che amore per una prigione. Abituati da lungo tempo a vivere nel corpo, abbiamo
dimenticato cosa significa essere veramente liberi. L’essere nato in Occidente
non è una scusa per non cercare la libertà. E’ essenziale per ogni uomo scoprire
la propria anima e conoscere la sua natura immortale. Lo Yoga indica la strada.

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