I feromoni: soprattutto fumo

pubblicato in: AltroBlog 0

Psicologia

I feromoni: soprattutto fumo

“L’amore è riconoscersi dall’odore”, come diceva una vecchia canzone ma ci sono altri componenti,
che hanno preso il sopravvento, almeno nel mondo degli uomini. Non è con il naso, infatti, che si
scelgono mogli, mariti o fidanzati, anche se poi ci si affida ai profumi per risultare più
attraenti. L’olfatto, molto sviluppato negli animali e poco acuto, invece, negli esseri umani ha una
particolarità che lo distingue dagli altri sensi: gli stimoli odorosi vengono elaborati
immediatamente dal cervello, prima ancora di venire codificati razionalmente. La mucosa olfattoria,
infatti, è collegata a quelle aree cerebrali che archiviano le emozioni, perciò profumi e odori
richiamano spesso reazioni di piacere o disgusto legate all’inconscio. In pratica, prima che la
nostra parte conscia e razionale possa ricordare dove abbiamo già sentito una certa fragranza,
l’inconscio risponde rievocando la sensazione registrata nella memoria.

Questa comunicazione subliminale è molto rapida ed efficace ma poco conciliabile con il nostro modo
di vivere e ragionare, mentre si integra perfettamente con l’istintualità che governa il regno
animale. Gli animali hanno ulteriormente sviluppato questo sistema attraverso i feromoni, veri e
propri messaggeri invisibili. Si tratta di sostanze organiche, volatili e inodori, secrete da
ghiandole della pelle, capaci di modificare la fisiologia e i comportamenti degli individui della
stessa specie. Quasi tutte le specie animali possiedono feromoni propri e li utilizzano per
segnalare ai propri simili: intenzioni sessuali, situazioni di pericolo, necessità di aggregazione.
I mammiferi sono dotati di una struttura specializzata nella ricezione di questi segnali chimici,
l’organo vomeronasale, situato ai lati del setto nasale, sotto la mucosa olfattoria.

Nell’uomo esiste una struttura analoga, ma sembra si sia atrofizzata con l’evoluzione della specie.
Non è sicuro che possieda dei collegamenti nervosi atti a captare e “leggere” i feromoni, tuttavia
alcuni esperimenti sembrano dimostrare che la specie umana produce sostanze assimilabili ai
feromoni.

Le prove scientifiche

Il primo esperimento nasce dall’osservazione, in donne che vivevano in comunità, del sincronismo del
ciclo mestruale, fatto che poteva essere spiegato ammettendo l’esistenza dei feromoni. Stern e
McClintock riuscirono a dimostrare (1998) che, in un ambiente rigidamente controllato, i ritmi
ovulatori potevano essere modificati. Composti inodori, prelevati dall’area ascellare di donne in
fase preovulatoria, fatti annusare ad altre donne, accorciavano il ciclo mestruale di queste ultime.
Al contrario, se il secreto veniva raccolto più tardi (fase ovulatoria) esercitava sulle altre donne
un effetto ritardante, prolungando il ciclo. Da ciò l’evidenza che esistono almeno 2 feromoni e
hanno un effetto sulla fisiologia neuroendocrina femminile.

Restano ancora da identificare questi composti, ci prova uno studio più recente (2000) svolto presso
l’università di Chicago che indaga sui possibili effetti psicologici di questi messaggeri. I
ricercatori utilizzano 2 steroidi, androstadienone ed estratetraene, rispettivamente simili agli
ormoni androgeni ed estrogeni, e li fanno respirare per 6 minuti a volontari divisi in maschi e
femmine. Nessuno dei 2 composti mostra un chiaro effetto eccitante o deprimente, ma entrambi hanno
amplificato il buon umore nelle donne mentre l’hanno diminuito negli uomini. Come dire che, in
presenza di altri stimoli determinanti, queste molecole agiscono da modulatori, positivi nella donna
e negativi nell’uomo, di certe reazioni psicologiche. Nel gruppo femminile l’esperimento è stato
ripetuto sciogliendo l’androgeno in olio di chiodi garofano, un’essenza sgradevole, e le reazioni
sono state meno negative del previsto. Tuttavia i 2 steroidi utilizzati non si trovano solo nel
sudore ma anche in altri fluidi biologici e la loro azione è modesta, perciò non possono ancora
essere definiti feromoni.

La patente di feromone giunge pochi mesi più tardi, grazie ad un’equipe di psichiatri della
University of Utah School of Medicine, che dimostrano come l’androstadienone secreto dal maschio
abbia un effetto selettivo sulla femmina. Un gruppo di 40 donne riceve, senza saperlo, lo steroide
oppure un placebo, somministrati direttamente nel canale vomeronasale. Gli effetti sono evidenti:
riduzione del nervosismo, della tensione e dei sentimenti negativi, solo nel gruppo trattato con
l’ormone.

Più sottile l’ultima ricerca, datata 2001, del Karolinska Institute in Svezia, dove le reazioni a
presunti feromoni sono state studiate, in entrambi i sessi, con l’ausilio della PET (positron
emission tomography), strumento che fornisce immagini dettagliate del cervello. Donne e uomini hanno
odorato, rispettivamente, androstadienone ed estratetraene mentre il tomografo fotografava le aree
cerebrali. In entrambi i casi lo strumento ha evidenziato un’attivazione dell’ipotalamo, la stessa
area che in molti animali riceve i segnali dall’organo vomeronasale e li elabora, traducendoli in
comportamenti sessuali diversi. Da qui l’ipotesi che anche gli esseri umani possano influenzare
reciprocamente i propri atteggiamenti sessuali e i sistemi riproduttivi.

La realtà

A conti fatti gli esperimenti sono pochi, poche le persone coinvolte, troppo pochi i dati per trarre
delle conclusioni. Certo gli scienziati continuano ad indagare ma, per ora, sembra molto probabile
che i feromoni nell’uomo rappresentino un reperto archeologico, una labile traccia di ciò che
millenni fa doveva essere un sistema necessario per la sopravvivenza della specie, divenuto poi
inutile e quindi quasi scomparso.
Fino a prova contraria, perciò, conviene diffidare di quanti vorrebbero vendere, a caro prezzo,
feromoni in bottiglia dai presunti effetti afrodisiaci. Nulla vieta, invece, di continuare a
profumarsi con quanto di più vario il mercato offre, per il proprio piacere e per difendere
dall’estinzione quel che resta del nostro olfatto.

Elisa Lucchesini

Fonti
Nature 392, 177 – 179 (1998)

Hormones and Behavior 37 (1):57-78 (February 2000)

Psychoneuroendocrinology 25(3):289-99 (April 2000)

Neuron 31(4): 661-8 (August 2001)

tratto da www.dica33.it

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *