03 luglio 2014
La psilocibina, principale principio attivo di alcuni funghi allucinogeni, blocca la sincronizzazione fra le aree di pensiero superiori, ma potenza l’attività e la sincronizzazione delle regioni più arcaiche del cervello, quelle che presiedono all’emotività, in modo molto simile a quello che si osserva quando si sogna. L’attivazione contemporanea di un eccesso di circuiti che creano percorsi di pensiero insoliti può spiegare la descrizione dell’esperienza psicedelica come espansione della mente (red)
lescienze.it
Gli effetti allucinogeni della psilocibina, il principio attivo dei “funghi magici”, ovvero funghi con sostanze psicoattive, sono legati a un potenziamento dell’attività nelle parti evolutivamente più antiche del cervello, come l’ippocampo e il giro del cingolo anteriore, fortemente legate alla modalità emotiva di pensare, e a una contemporanea disorganizzazione delle aree che presiedono al pensiero di alto livello. Ma non solo: oltre a questo schema di attività che ricorda molto quello che si osserva durante il sogno, le diverse aree cerebrali entrano in comunicazione fra loro lungo percorsi che normalmente non vengono attivati, o quanto meno non vengono attivati tutti nello stesso momento. Una circostanza, questa, che potrebbe dar conto della descrizione dell’esperienza psichedelica come di una “espansione della mente”.
La scoperta – pubblicata su “Human Brain Mapping” – è opera di un gruppo di neuroscienziato della Goethe-Universität di Francoforte, dell’Imperial College di Londra e dell’argentino Consejo Nacional de Investigaciones Cientificas y Tecnologicas. “Conoscere i meccanismi alla base di quello che accade sotto l’effetto di droghe psichedeliche può anche aiutare a capire i loro possibili usi. Attualmente stiamo studiando l’effetto dell’LSD sul pensiero creativo e la possibilità che la psilocibina possa essere d’aiuto nell’alleviare i sintomi della depressione, consentendo ai pazienti di cambiare i loro modelli rigidamente pessimistici di pensiero. Tentativi di sfruttare le sostanze psichedeliche a fini terapeutici erano stati effettuati già negli anni cinquanta e sessanta, ma ora stiamo finalmente cominciando a capire la loro azione sul cervello e come eventualmente farne un buon uso”, osserva Robin Carhart-Harris, uno degli autori.
Per chiarire le basi biologiche dell’esperienza con le sostanze psichedeliche, i ricercatori hanno analizzato i dati di imaging cerebrale di 15 volontari ai quali è stata iniettata per via endovenosa la psilocibina mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Dai dati raccolti sembra che una delle principali azioni della psilocibina, come verosimilmente di altre sostanze allucinogene, sia di far “saltare” la sincronizzazione generale fra le attività delle diverse aree cerebrali superiori. Al contrario, diverse aree sottocorticali legate all’emotività e alla memoria mostravano di lavorare in modo più sincronizzato e più intenso.
Successivamente i ricercatori hanno analizzato i dati modellandoli come un sistema dinamico, calcolandone l’entropia, una misura che permette di quantificare il livello di casualità nell’evoluzione di un sistema. In questo modo hanno rilevato che che nel sottosistema costituito dalla parte più primitiva del cervello si verificava un notevole incremento dell’entropia, interpretabile come un aumento del numero di tipi di attività possibili sotto l’influenza della psilocibina. Per esempio, in uno stato di coscienza normale i diversi circuiti che collegano il giro del cingolo dell’emisfero sinistro e di quello destro, l’ippocampo sinistro e quello destro, si possono attivare in rapida successione, ma non in contemporanea, cosa che invece avviene sotto lo stimolo della psilocibina.
Precedenti ricerche hanno tra l’altro suggerito che ci sia un numero ottimale di reti dinamiche contemporaneamente attive nel cervello, che permette di ottimizzare l’equilibrio tra la stabilità e la flessibilità della coscienza, un requisito importante dal punto di vista evolutivo. Se il numero di questi circuiti supera quel punto critico ottimale, osservano gli autori, la mente passa a operare come un sistema dinamico sempre più caotico, con l’apertura di “percorsi di pensiero” imprevedibili e potenzialmente pericolosi.
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