I GRANDI MISTICI E LE GRANDI VIE SPIRITUALI 5
da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
Spiritualità Sherpa – miti, montagne e mandala: il dramma danzato del “Mani Rimdu”
Di Italo Bertolasi
Konchok Chumbi è conosciuto tra gli Sherpa per la sua straordinaria memoria; lo incontro nel suo
villaggio natale di Kumjung, ai piedi del monte sacro Kumbhila che nessun essere umano ha mai
scalato.
Mi racconta del suo viaggio con sir Edmund Hillary, e con lo scalpo dello yeti nei laboratori
scientifici d’Europa, mi racconta antiche leggende Sherpa e di come le valli di Kumbhu, simili ad un
immenso fiore di loto d’oro, fossero dagli dei benevolenti consegnate agli Sherpa.
Le valli, “illuminate da arcobaleni” e circondate dai monti più alti della terra – l’Everest, il
Lhotse, il Cho Oyu – erano un luogo segreto e misterioso dove santi e anacoreti si rifugiavano in
contemplazione.
Thimi Yangho è il primo Sherpa (Sher = est, Pa = popolo) che esplora Kumbhu, seguendo le istruzioni
del dio Zurra e di Guru Rimpoche. Gli Sherpa emigreranno dal Tibet 300 anni fa – 27 generazioni fa –
seguendo le indicazioni di Yangho.
Per raggiungere queste valli devono però attraversare deserti d’alta montagna e ghiacciai, devono
superare passi altissimi – il Tashi Lepcha, il Nangpa La. Devono ancora girare attorno a montagne
altissime che sbarrano la marcia e che gli Sherpa eleggeranno a “guardiani della valle”.
Fenomeni atmosferici straordinari, l’alta quota, l’uso di erbe potenti ed inebrianti e la poliformia
psichedelica delle pietre, degli alberi, delle cascate di ghiaccio accenderanno presto visioni e
sogni. Ogni angolo di questo mondo così strano ben presto si animerà di misteriose ed inquietanti
creature: magie e magnetismi, folletti e demoni, luci e dei gloriosi. L’alta quota e la natura
desolata potranno anche farci sentire in balia di invisibili magie, che solo una più potente magia
potrà contrastare.
Gli Sherpa adottano così l’alta magia col buddhismo tantrico tibetano; oggi gli Sherpa appartengono
all’ordine “Nying Mapa” ed alla setta “Gsang – Sngags” delle formule segrete.
La maggior parte dell’attività spirituale è condotta da un lama capace di concentrare un particolare
tipo di energia in grado di distruggere i demoni, nemici del “dharma” e della negatività umana.
Tra i rituali più potenti vi è certamente il dramma danzato “Mani Rimdu”, che contiene elementi
delle feste popolari, “Cham” e delle danze esorcistiche anti demoni dei rituali “Bon”.
“Mant rtl sgrub” o “Om mani Rimdu” è anche una consacrazione della vita, ed una “prayer coromonty”,
che servirà a conquistare la benevolenza degli dei, simile alle rappresentazioni dei misteri del
nostro Medioevo, il Mani Rimdu ricrea gli elementi leggendari riguardanti le intuizioni del
buddhismo in Tibet, ad opera del mago e santo Guru Rimpoche.
Attori monaci impersonano demoni, maghi vinti e convertiti, energie della natura domate dagli dei
guardiani; il Mani Rimdu è anche un rito di esorcismo e di incantamento che allontana malesseri e
debolezze.
Le prime danze si inventano tra le mura del monastero di Rongphu, in Tibet, e si esportano per la
prima volta a Tengpochè – Nepal nel 1930. Da allora i monaci di Tengpochè celebreranno Mani Rimdu
durante la luna piena del nono mese del calendario tibetano (fine ottobre – primi di novembre), a
Thamo si celebrerà nel terzo mese tibetano (maggio – giugno) ed a Chiwong durante la luna piena del
decimo mese (dicembre).
L’intero ciclo del Mani Rimdu inizia con la lettura di un libro speciale: “De – Shek Kun – Dhu” che
ne prescrive il rituale, poi si dovranno purificare il gompa, il cortile delle danze e lo spazio
protetto dove verrà disegnato il mandala che è un cosmogramma ed ancora uno psicogramma.
Gyal – Tsen, le bandiere simbolo dei quattro re guardiani, vengono issate agli angoli del monastero,
ed i purbas, i pugnali mistici dello sciamano, vengono conficcati attorno al mandala. Il mandala è
una pittura di sabbie colorate, che rappresenta l’idea dell’ordine universale buddista. Al centro è
raffigurato il monte Meru, centro del mondo, illuminato da sole e luna, e circondato da anelli di
montagne ed oceani.
La lettura mistica del mandala – in meditazione – trasferirà per magia imitativa l’ordine “dipinto”
e l’equilibrio cosmico nell’officiante.
Per dipingere il mandala si userà un cono metallico, Chak pur, che viene sollecitato da un piccolo
“Dorje”; la sabbia uscirà come un filo d’inchiostro da un piccolo foro del cono. Il mandala verrà
poi protetto dall’invisibile confine delimitato da 10 Purba – i pugnali mistici – conficcati ai
punti cardinali, in posizioni intermedie ed ancora allo Zenit ed al Nadir.
Al centro del mandala – in cima alla sacra cima del monte Meru – verrà poi deposta la tazza
liturgica ricavata da un cranio umano che conterrà le preziose pillole “Rilbu”. Le Rilbu sono
pillole taumaturgiche, viatico spirituale che i saggi “Hamchi” – i medici tibetani confezionano da
secoli riunendo erbe e minerali d’alta montagna a “puja” preghiere – ed a soffi che trasferiscono
energie vitali.
Nelle notti di vigilia i monaci si attaccheranno a questo cranio – crogiuolo con 5 fili colorati –
gli “Zunta” – simbolo dei 5 “chakra” – i centri energetici dell’uomo. Le pillole si potenzieranno
così con 1’energia della preghiera. Il mandala diventa così una specie di antenna che riceve e
dispensa l’energia della vita.
Chi assisterà poi alle danze con cuore puro potrà acquisire “Sonam” – un accrescimento vistoso di
buon karma.
A Tengpochè nel 15 giorno dell’Om Mani Rimdu – il giorno fausto della luna piena, i pellegrini
raggiungono la gompa che contiene il mandala per ricevere le pillole taumaturgiche. Lo si riceve
come potente viatico nel viaggio del trapasso ma anche come panacea contro difficoltà ed i vari
malanni della vita di ogni giorno. Il Rimpoche prima benedice poi purifica aspergendo con acqua
benedetta – TRUH – e con CHANG – un alcool di riso. Finalmente iniziano le danze con una prova
generale a porte chiuse chiamata “TSAM-KI-BULU”; senza costumi e senza maschere ci si sincronizzerà
con la musica. Poi annunciati dal suono solenne dei lunghi corni monastici – DUNG CHEN – entrano in
scena i danzatori NGAK-PA per la danza del nettare d’oro – SER KYEN.
Al suono di cimbali e gong danzeranno nello spazio sacro – CHAM RA – con un calice d’argento che il
maestro del rito CHORPEN – riempirà di elisir, simbolo del nettare di lunga vita.
Alla fine della danza di Ngak-Pa verseranno l’alcool elisir sugli spettatori e lo getteranno verso
il cielo come offerta ai “Gyalwa Rig Nga” – i Buddha e le altre divinità. Nella seconda e molto
energica danza quattro “KING PA” – messaggeri di Guru Rimpoche – mimeranno la riunione degli opposti
“Yab-Yum”. Due di loro con maschere rosso e bianco sono il principio maschile, gli altri due con
maschere verdi e blu sono invece simbolo del principio femminile.
Poi entra trionfalmente in scena GURU RIMPOCHE sotto le apparenze di Dorje Throlo, che è la sua
manifestazione di demone combattente.
Dorje Throlo dopo aver circumambulato tre volte attorno al centro del rnandala della danza – e cosi
facendo sconfiggerà avidità, ignoranza ed odio – riceve le offerte propiziatorie.
Dorje Throlo ha in mano il doje – il tuono primordiale – ed il purba – il pugnale rituale -, e la
sua danza vuol essere di stimolo al miglioramento spirituale d’ognuno.
Nella quarta danza NGA CHAN – la danza dei tamburi, si celebra la vittoria della disciplina
spirituale contro le tentazioni di vie spidtuali “personalizzate”; i danzatori incarneranno con
dolorose metamorfosi la trasformazione di alcuni demoni in Choh Kyong o Dharmapala – i protettori
della fede. RU TANG è la danza dei cimiteri: annunciati dal suono lugubre dei Kanling – i femori
umani usati come trombette – compaiono i due “scheletri” messaggeri di THUR DAG il signore della
morte e dei cimiteri. Mentre due danzatori Ngak Pa con i purbas – i pugnali rituali – colpiranno una
statuina di ‘Tsampa” dalla forma umana, uccidendo così la negatività dell’essere umano, i due
“scheletri” trascineranno un bambolotto di pezza, simbolo dell’impermanenza e della caducità.
La danza della bambola appesa a dei fili è il viaggio dello spirito umano nel “Bardo”, viaggio alla
ricerca della Luce divina. Dopo questa drammatica performance entra ora in scena Ml TSERING, un
comico mascherato da vecchio asceta: i suoi cerimoniali goffi e pretenziosi vogliono educare alla
semplicità liturgica ed alla serietà nella pratica religiosa. Poi inizia la danza degli otto
guardiani del Dharma: i “Dharmapala” – specialissimi protettori delle vallate di Kumbhu; la loro
danza porterà pace e prosperità all’umanità intera. La loro danza è di preambolo all’entrata in
scena dell’elaboratissima maschera di Zurra. Preceduto da due MINAK “black men” – ecco finalmente
comparire Zurra, dio delle montagne e guardiano di Kumbhu; Zurra è anche una manifestazione di Dorje
Chang ed è il messaggero prediletto di Guru Rimpoche. Poi tra la baldoria generale escono da parti
diverse i cinque danzatori Khan-Dro che appartengono rispettivamente alle cinque famiglie
spirituali: Ratna, Vajira, Padma, Karma, Buddha. Impersonano una specie d’angeli celesti con il
corpo di pura luce. La loro danza irradia arcobaleni e luci e nelle mani hanno il “Damaru” un
piccolo tamburello e il “Tilbu” una campana d’argento. Poi tra l’attesa dei bimbi c’è il lungo
interludio comico dove uno stralunato “yogi” tenta di ammaestrare un novizio picchiatello. Il
novizio cattura tra il pubblico un turista occidentale con macchina fotografica che diventerà il
vero protagonista della scenetta. Lo yogi tenterà invano d’educare il novizio attore che distratto e
scocciato si ubriaca, inciampa e scatta foto. Il novizio turista verrà trascinato a carponi tra la
folla divertita, infradiciato di birra, fotografato in ogni modo. L’intento di questa danza è allora
di chiamare attenzione sulla pratica del Dharma e di dare giocosamente semplici insegnamenti sulle
cause della sofferenza e sulla impermanenza e goffaggine dell’uomo “re dell’universo”. Le danze
proseguono con alcune offerte consegnate ai Lakma – dei minori – mentre nella splendida Tl CHAM o
danza delle spade i Dharmapala faranno a pezzi le solite statuine di “Tsampa” simbolo questa volta
dei demoni. La danza delle spade è potente esorcismo che rimuove gli ostacoli alla pratica
religiosa.
Nella danza seguente ZOR CHAM due Ngak-pa riprendono dal centro del mandala delle danze, le “Zor
tormas” che rappresentano il corpo delle divinità; gettano le torme in aria trasformandole così in
armi delle divinità con le quali si potrà distruggere ignoranza, odio e bramosia.
La danza conclusiva dell’Om Mani Rimdu è il “Yhen Cham”; questa volta ricompaiono in scena tutte le
maschere del dramma danzato e distribuiscono piccoli pezzi di torma al pubblico, poi portano in
processione il vessillo del Dharma che viene conficcato al centro. Con questo gesto si vogliono
imprigionare i demoni, le energie oscure e negative, dentro il monte sacro al centro del mandala.
Ora le valli di Kumbhu sono nuovamente benedette e gli Sherpa ancora una volta purificati.
Poi verrà distrutto il mandala: le sabbie colorate si mischiano, si estraggono i pugnali magici a
guardia del mandala. Le reliquie del disegno magico, 1e sabbie e le torme vengano portate in
processione verso il fiume. Qui dopo aver richiesto la benevolenza dei “LU” – gli spiriti delle
acque e dei ghiacci – i monaci riuniscono le sabbie colorate alle acque dei ghiacciai.
Così tutto si riordinerà, così tutto ritroverà armonia.
Chuang Tzu – Folle per i confuciani contemporanei, vive ancor oggi come grande maestro del tao
di Aurora Maggio Cooper
Al contrario di Lao Tzu, Chuang Tzu è incontestabilmente esistito. Chuang Tzu visse all’epoca del
principe Houei di Leang, che regnò dal 370 al 318 a C. e del principe Siuan di T’si (319-301 a.C.).
Il suo vero nome era Chuang Chou, originario della città di Mong, nel piccolo stato feudale di Sung,
dove la dinastia imperiale dei Chou aveva confinato i discendenti della precedente dinastia Shang,
affinché potessero continuare i loro riti ancestrali. Nella letteratura cinese precedente all’era
volgare, gli abitanti di Sung sono spesso ridicolizzati e presi in giro, quasi fossero autentici
cretini. Tipico l’aneddoto del contadino di Sung che, per far crescere alcune piante più in fretta,
ne sollevava da terra i germogli con le mani. Questo atteggiamento della cultura dominante in Cina
non è che il riflesso della condanna di una cultura diversa da quella confuciana, una cultura
sicuramente più antica, di probabile origine sciamanica, non accettata dal razionalismo confuciano.
Chuang Tzu nacque quindi in un ambiente culturale particolare, che fece germogliare l’essenza della
sua vita e della sua opera. Ma non bastò a non farlo apparire un folle agli occhi e al giudizio dei
confuciani.
Vita semplice
Era sposato e molto povero, “vestito con un abito di ruvida tela tutto rappezzato e con scarpe di
stracci”, porta il testo storico. In gioventù era stato funzionario in una manifattura di gomma…
come che sia, vi rinunciò assai presto per scrivere e vivere in armonia con il Tao. Occupare un
posto da funzionario era contrario al suo pensiero e alla naturale libertà che amava. “Povertà non
vuol dire infelicità. Quando l’uomo di lettere non può mettere in pratica la propria dottrina,
questa è infelicità. Con un abito rappezzato e le scarpe bucate egli è povero, non infelice.
Significa soltanto che non ha incontrato un’epoca felice.”
Rifiuto del potere
Ecco come racconta lui stesso un episodio che rivela l’intima natura del grande maestro spirituale:
“Mentre Chuang Tzu pescava con la lenza sulla riva del P’ou, il re di Chou gli inviò due alti
funzionari per fargli delle offerte. ‘Il nostro principe’, gli dissero ‘desidererebbe affidarvi la
responsabilità del suo territorio’. Senza sollevare la lenza, senza neanche volgere la testa, Chuang
Tzu disse loro: ‘Ho sentito dire che c’è a Chou una tartaruga morta da più di tremila anni. Il
vostro re ne conserva il carapace in un paniere avvolto in un panno nella parte alta del tempio dei
suoi avi. Ditemi se quella tartaruga non avrebbe preferito vivere trascinandosi la coda nel fango’.
‘Avrebbe preferito vivere trascinandosi la coda nel fango’, dissero i funzionari. ‘Andatevene
dunque’, disse Chuang Tzu, ‘anch’io preferisco trascinare la coda nel fango’.
Tao mistico
Il Tao Te Ching – che Lao Tzu avrebbe scritto sollecitato da un discepolo, poco prima di ritirarsi
sulle montagne a morire espone i principi della via e della virtù, ma le parole di Chuang Tzu li
spiegano, li riprendono, con uno spirito mistico particolare, denso di aneddoti, dialoghi, allusioni
mitiche. E’ lui che dà al taoismo il profondo senso mistico del Tao, della via; con Chuang Tzu si
penetra nell’infinito del Tao: “… i saggi non discutono di ciò che oltrepassa la sfera terrestre,
neppure per negarne l’esistenza. Parlano invece delle cose di questo mondo, ma senza giudicarle”.
Per Chuang Tzu il saggio è un uomo libero dal pensiero, libero da qualsiasi filosofia – Confucio e
il pragmatico confucianesimo sono il suo bersaglio. Nel vero saggio il Tao agisce spontaneamente e
senza ostacoli.
Wu wei, lascia scorrere la vita
La naturalezza del wu wei, del lasciar correre, del lasciar scorrere, distingue Chuang Tzu da altri
grandi spiriti. Per lui, la naturalezza, la semplicità danno quella serenità che apre all’immensità
del Tao. La semplicità sarà difesa come il bene supremo da Chuang Tzu, per tutta la vita: ad essa
sono legati la felicità spirituale ed il raggiungimento del distacco dall’illusione dei sensi e
dall’identità mondana. L’idea che nel mondo tutto è relativo, che nessuno è completamente bianco né
completamente nero, che il bene non è tutto bene né il male veramente male non vuol dire per il
saggio taoista seguire “la giusta misura”, avere un comportamento ragionevole come indica Confucio.
All’uomo della giusta misura il saggio taoista contrappone l’uomo naturale. Quello che conta è il
movimento, la trasformazione infinita della vita. Il bene e il male, la fortuna e la sfortuna, la
sorte e la malasorte non sono definitivi ma parte del movimento della vita. Ecco la ragione del wu
wei, del lasciar scorrere gli eventi così come vengono, senza interferire mai. Chuang Tzu dice:
“Colui che professa il vero senza vedere il falso, l’ordine senza vedere il disordine, non comprende
nulla dell’universo e della natura reale degli esseri. Egli è simile a colui che professa il Cielo
senza vedere la Terra, l’oscurità senza vedere la luce. La sua azione è necessariamente votata alla
sconfitta”.
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