10 febbraio 2011
La parola OMEOPATIA deriva dal greco antico e significa malattia simile. Fu Samuel Hanemann,
geniale medico tedesco vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo, a promuovere nell’era moderna
quello che già il medico greco Ippocrate aveva teorizzato nell’era antica: il principio della
SIMILITUDINE, per il quale le malattie si curerebbero non coi loro contrari (per es. siamo abituati
a parlare di anti-piretici, anti-infiammatori, anti-influenzali, anti-biotici ecc. per sottolineare
questa diversità) bensì coi loro simili, cioè con gli stessi principi che le determinano, da cui
il celebre moto: SIMILIA SIMILIBUS CURENTUR (i simili siano curati dai simili).
Spesso siamo abituati a guardare, ma non vediamo, e spesso nella storia degli uomini una lampadina
si è accesa, come per captare un’idea universale: ricordiamo Archimede di Siracusa (e il suo famoso
Eureka), Isacco Newton e la sua famosa mela, Fleming e le sue famose muffe. Quanti e quanti altri
esempi si potrebbero riferire su queste geniali illuminazioni… Fu così che capitò ad Hanemann,
deluso dalla medicina dei suoi tempi -tutta purghe e salassi nonché un elevatissimo tasso di
mortalità- dalla quale si era allontanato perché insoddisfatto, di trovarsi a tradurre (per
sopravvivere) l’opera di un medico scozzese (certo Cullen), il quale descriveva come gli operai
addetti alla lavorazione della china sviluppassero una serie di sintomi morbosi: febbre, artralgie,
simili a quelli che Hanemann aveva imparato a curare in pazienti che ovviamente non erano venuti a
contatto con la china stessa.
Forse che una stessa sostanza che nel sano provoca una malattia, può curarla se somministrata ad un
malato, il quale pur non essendo mai venuto in contatto con quella sostanza presenta sintomi simili
a quelli da essa provocati?
Questa fu la domanda che Hanemann si pose, e, per trovare una risposta, cominciò a effettuare una
serie di esperimenti sulle persone a lui più vicine: amici, parenti e collaboratori divennero le
sue cavie. Ad essi Hanemann faceva assumere, sovente in maniera ripetitiva, sostanze di varia
origine ed estrazione, provenienti spesso dal mondo vegetale, ma anche da quello minerale, se non
addirittura prodotti di derivazione biologica. La sperimentazione poteva durare anche diversi
giorni. Gli interessati dovevano annotare minuziosamente tutti i sintomi fisici oggettivi e anche
soggettivi, nonché sintomi riferibili alla sfera psichica: paure, emozioni, sogni. Il risultato di
questo lavoro è quella che si chiama PATOGENESIA = origine della malattia. In pratica Hanemann si
proponeva di provocare delle malattie artificialmente indotte in persone sane, tenendone un elenco
dei sintomi, in modo tale che se avesse poi ritrovato quegli stessi disturbi in persone malate, cioè
nella patologia spontanea, sarebbe stato in grado di curarle somministrando la stessa sostanza. Così
furono scritte le prime MATERIE MEDICHE, in cui era riportato fedelmente la lista di tutti i sintomi
che quelle sostanze provocavano (e curavano, secondo Hanemann).
L’omeopatia si basa su alcuni principi fondamentali:
1) SIMILITUDINE, dei sintomi presenti nella malattia vera con quelli della malattia provocata.
2) DILUIZIONE E DINAMIZZAZIONE del rimedio: le sostanze che verranno usate per curare vengono
diluite (in questo modo secondo Hanemann perderebbero ogni effetto tossico; non dimentichiamo che
molte sono dei veleni, a dose ponderale), e inoltre subiscono una serie di agitazioni definite con
il termine tecnico succussioni, per cui diventano DINAMIZZATE cioè acquistano POTERE
TERAPEUTICO: la parola dinamis in greco significa infatti forza o potenza. I due processi sono
strettamente correlati, per cui spesso si parla solo di potenze omeopatiche, sottintendendo
diluite e dinamizzate. La sola diluizione non sarebbe sufficiente comunque a determinare l’effetto
terapeutico.
I tipi di diluizioni più comunemente usate in omeopatia sono le HANEMANNIANE E LE KORSAKOWIANE. Le
prime possono essere a loro volta distinte in decimali (1 parte di sostanza + 10 parti di solvente
-per lo più una soluzione idro-alcoolica), dette anche DH e in centesimali o CH (la sigla significa
centesimale secondo Hanemann) in cui 1 millilitro della sostanza iniziale viene diluito in 99
millilitri di solvente, subendo ogni volta un certo numero di scosse, in modo da realizzare quanto
detto sopra. È interessante notare che per realizzare queste hanemanniane ogni volta che si procede
nella diluizione dovrebbe essere utilizzata una nuova bottiglia.
Nelle korsakowiane invece tutte le diluizioni-potenze successive alla prima vengono ottenute usando
sempre la stessa bottiglia che viene ogni volta svuotata, sicché praticamente la base di ogni
diluizione successiva è rappresentata dalla sottile pellicola di soluzione che rimane adesa alle
pareti interne.
Nelle forme commerciali più comunemente utilizzate siamo abituati a vedere dei granuli: si tratta
infatti di granuli di lattosio o zucchero di latte (sostanza neutra dal punto di vista omeopatico),
sui quali viene spruzzata la diluizione-potenza desiderata, in modo che i granuli ne rimangano
impregnati e possano poi veicolare e conservare nel tempo gli effetti terapeutici. In un contesto
culturale dove si reclama l’immediata scomparsa dei sintomi sgradevoli (dottore, la prego, ho un
terribile raffreddore, me lo deve stroncare entro domani), può non essere facile accettare l’idea
che prima di stare meglio si potrebbe attraversare una fase di riacutizzazione sintomatologica,
successiva alla somministrazione di un rimedio omeopatico ben scelto, conosciuta col nome di
aggravamento omeopatico. Certo che spetta al medico, che segue il caso, valutare ove si possa
trattare di un fenomeno per così dire positivo, o di qualche cos’altro. Però, quando si verifica,
può servire addirittura per avere ulteriore conferma di una appropriata scelta. Così come dopo la
grandine torna il sereno, dopo l’aggravamento omeopatico, se tale è, deve tornare la salute. Un vero
aggravamento omeopatico è caratterizzato sempre da una riacutizzazione dei sintomi fisici, a cui
stranamente si accompagna una sensazione di benessere psicoemozionale. La valutazione di questi
aspetti è naturalmente molto importante e delicata e solo un attento esame può permettere una
corretta interpretazione dei sintomi.
Nell’ambito dell’Omeopatia si sono via via differenziati alcuni principali orientamenti terapeutici
in base al tipo di diluizione usata, e alla possibilità di usare i rimedi omeopatici in associazione
o separatamente. Si definiscono perciò UNICISTI gli omeopati che ritengono esista per ogni persona
una sola sostanza capace di curarla, la cui somministrazione può essere ripetuta anche a distanza di
molto tempo, generalmente ad alta o ad altissima potenza. Tale sostanza deve riassumere in sé la
maggior parte delle caratteristiche fisiche, mentali ed emozionali del paziente in esame, essergli
cioè somigliantissima, per cui viene definita il SIMILLIMUM. Altri ritengono possibile l’utilizzo
anche di molti rimedi somministrati però separatamente, a variabile intervallo l’uno dall’altro, e
si definiscono PLURALISTI: la scelta del rimedio è suggerita dalla sintomatologia di quel momento,
la quale può anche cambiare, alla luce del panta rei di Eraclito e dell’ogni giorno è diverso
(Lucio Anneo Seneca). Altri ancora ritengono opportuno utilizzare CONTEMPORANEAMENTE più sostanze
con azione sinergica, in modo da agire sulla totalità dei sintomi, e dare un sollievo ai vari
disturbi che fanno parte del quadro, perché ad ogni sintomo corrisponde un rimedio: si definiscono
COMPLESSISTI.
COME FUNZIONA L’OMEOPATIA: come può una sostanza a dosaggi così bassi da non essere più chimicamente
presente nella soluzione – infatti oltre le DH 22 e le 12 CH si supera il numero di Avogadro, per
cui non ci sono più molecole! – avere proprietà terapeutiche? Coloro che non credono nell’omeopatia
sicuramente risponderanno: perché si tratta di un PLACEBO cioè di un effetto basato sulla
suggestione favorita dalle aspettative del paziente. Bisogna fare alcune considerazioni: la metodica
è utilizzata con risultati soddisfacenti anche sui neonati, sulle piante, sugli animali (tanto è
vero che esiste una fiorente scuola di omeopatia veterinaria): sostenere l’ipotesi della suggestione
in questi casi risulta difficile. Certo non si tratta di un meccanismo chimico, se di chimica non ce
n’è: un meccanismo cioè basato sull’interazione di una molecola su un recettore di membrana. In
questo caso è la fisica che può proporre ipotesi interpretative: qualche anno fa era stato proposto
un modello definito della memoria dell’acqua (l’acqua avrebbe conservato in base all’orientamento
delle sue molecole e alla loro polarità elettrica una sorta di impronta della sostanza iniziale).
Inoltre la fisica quantistica riconosce un’importanza alle energie cosiddette deboli cioè a
vibrazioni elettromagnetiche di bassissima intensità (ma non per questo inesistenti) specifiche per
ogni sostanza, capaci di innescare fenomeni di risonanza da cui un’amplificazione del segnale
elettromagnetico, scomodando persino la celebre equazione di Einstein.
La stessa distinzione energia-materia, visto che tutto ciò che si oppone al nulla è energia allo
stato puro, viene a cadere, e quella che i nostri sensi sono abituati a percepire come materia non è
altro che un aspetto sensibile dell’energia. Queste considerazioni ci rendono molto più
disponibili a speculare oltre le apparenze, come nel mito della caverna (Platone).
Il processo di guarigione in omeopatia segue una precisa dinamica, definita dalle leggi enunciate da
Costantino Hering: la guarigione procede dall’alto in basso, dall’interno all’esterno, dagli organi
più importanti a quelli meno importanti, in senso cronologico inverso all’ordine di apparizione dei
sintomi. Questa non è una disquisizione accademica ma un punto fondamentale della terapeutica
omeopatica (e non). Infatti capire se un paziente si sta aggravando oppure sta migliorando
(nonostante la comparsa di sintomi sgradevoli), è una cosa di primaria importanza per la corretta
gestione del caso e per avere conferma o meno di una corretta prescrizione del rimedio.
Per fare qualche esempio potremmo dire che un dolore ad un ginocchio, se prima c’era un dolore
toracico, esprime un miglioramento; una rinite è meno grave di una bronchite, un problema della
pelle è meno grave di quello di un organo interno (cuore, polmone, fegato ecc.). Inoltre se nel
corso della sua vita il paziente aveva sofferto di disturbi per cui aveva accusato nell’ordine una
cefalea, una gastrite, una calcolosi della colecisti con relativa colica, egli attraverserà uno
strano periodo in cui tornerà a manifestarsi prima una colica epatobiliare, poi una gastrite, e
infine un mal di testa. Potrà facilmente evidenziare un’eruzione cutanea, una dermatite, espressione
di questa forza esonerativa centrifuga, e probabilmente avrà l’impressione di sentirsi meglio dal
punto di vista psico-emotivo.
Autore: Vincenzo Valesi
Fonte: floriterapia.com
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