I modelli di attivita’ cerebrale della fiducia in se stessi

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I modelli di attivita’ cerebrale della fiducia in se stessi

15 dicembre 2016

Monitorando l’attività cerebrale di una persona impegnata in un compito è possibile individuare il
suo livello di fiducia nella propria capacità di portarlo a buon fine. In prospettiva la tecnica
potrebbe essere usata per nuovi approcci alla terapia di diversi disturbi psichiatrici (red)

da lescienze.it

C’è un metodo per identificare schemi di attività neuronale che caratterizzano uno stato mentale di
fiducia in se stessi e poi sfruttarli allo scopo di elevare ulteriormente quella fiducia. A metterlo
a punto è stato un gruppo internazionale di ricercatori che lo descrivono in un articolo pubblicato
su “Nature Communications” a prima firma Aurelio Cortese dei ATR Computational Neuroscience
Laboratories di Kyoto.

Per identificare il modo in cui la fiducia è rappresentata nel cervello, i ricercatori hanno usato
approcci sperimentati mutuati dagli studi di intelligenza artificiale (IA), come quelli, per
esempio, che permettono a un sistema di IA di imparare a riconoscere dei volti.

In questo caso però ciò che andava riconosciuto erano i modelli di attività cerebrale correlati a un
buon livello di fiducia in sé mentre una persona era impegnata a svolgere un compito.

A questo scopo i ricercatori hanno sottoposto un gruppo di volontari a una serie di test percettivi
molto semplici, così da stimolarne la fiducia, mentre ne monitoravano l’attività cerebrale.

Una volta identificato il modello di base dell’attività cerebrale legata alla fiducia in se stessi,
i ricercatori hanno sottoposto i volontari a ulteriori test percettivi nei quali ogni volta che
rispondevano correttamente venivano premiati con una piccola somma di denaro. Al termine di ogni
sessione i partecipanti dovevano inoltre valutare la loro capacità di affrontare quelle prove, che
dopo una serie di risultati positivi risultava – sia sulla base dell’autovalutazione sia dai
risultati di vari parametri psicofisici – decisamente aumentata.

In esperimenti successivi, i ricercatori hanno inoltre mostrato che, ricorrendo a vari esercizi,
questo stato di sicurezza può anche essere smantellato, portando i soggetti in una condizione di
minore fiducia nelle proprie capacità.

Questi risultati richiedono ulteriori controlli, dato che il campione su cui è stato condotto lo
studio era molto piccolo (17 persone), ma Cortese e colleghi si dicono fiduciosi che saranno
confermati, dato che sono in linea con quanto ottenuto da altre ricerche nello stesso campo.

In prospettiva, concludono i ricercatori, la possibilità di identificare il livello di fiducia in sé
di una persona e quella di intervenire su di essa in modo controllato con protocolli comportamentali
potrebbe aprire la strada a un nuovo tipo di trattamento clinico per pazienti affetti da varie
patologie psichiatriche.

www.nature.com/articles/ncomms13669

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