I segreti della gioia – Le tecniche

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I segreti della gioia – Le tecniche

Parte prima – Le tecniche

(Tratto da:”I segreti della gioia” – di Osho – Ed. Bompiani)

– Parte Prima –

*****************

1
In estate, quando vedi
tutto il cielo
infinitamente chiaro,
penetra in tale chiarezza.

2
Oh, Shakti,
vedi tutto lo spazio
come se fosse già assorbito all’interno della tua testa
nella luminosità.

3
Durante la veglia,
il sonno,
il sogno,
conosciti come luce.

Quando guardo nei tuoi occhi, non ti vedo presente; è come se fossi
assente. Vivi distrattamente, immemore: que-sta è l’origine di ogni
sofferenza. Puoi essere vivo senza es-sere affatto presente, ma in
quel caso la tua esistenza diven-terà noiosa; ed è ciò che è successo.
Pertanto, quando guar-do nei tuoi occhi, non ti trovo; devi ancora
venire alla luce, devi ancora essere. C’è una possibilità,
un’occasione favore-vole, ma tu ancora non sei.

Diventare consapevoli di questa assenza vuol dire inizia-re il viaggio
verso la meditazione, verso la trascendenza. Se sei consapevole che in
un modo o nell’altro ti stai lasciando sfuggire un’opportunità…
esisti, ma non sai come e perché; ignori persino chi vive dentro di
te. Tale inconsapevolezza crea sofferenze di ogni sorta, perché
qualsiasi cosa farai, provocherà dolore senza che tu ne sia
consapevole. L’importante non è ciò che fai, ma se sei presente o
assente mentre lo fai.

Qualunque cosa tu faccia, se riesci a farla in modo da es-sere
totalmente presente, la tua vita diventerà estatica, un dono del
cielo. Se fai qualcosa in modo assente, senza esse-re presente, la tua
vita sarà inevitabilmente una sofferenza. “Inferno” vuol dire questo:
essere assenti.

Esistono due tipi di ricercatori: uno è sempre alla ricerca di cosa
fare. Quel ricercatore è sempre sulla strada sbaglia-ta, perché il
punto non è affatto agire. Il punto è essere: co-sa e come essere.

Dunque, non pensare mai in termini di fare e agire, perché se sei
assente in ciò che fai — qualunque cosa essa sia -sarà priva di senso.

Che tu sia nel mondo o in un monastero, nella folla o in un angolo
remoto dell’Himalaya, non fa differenza. Sarai as-sente qui e lo sarai
là, e creerai dolore qualunque cosa tu fac-cia, nella folla o in
solitudine. Se non ci sei, tutto ciò che fai è sbagliato.
Il secondo tipo di ricercatore, quello sulla strada giusta, non si
chiede cosa fare, ma ricerca come essere. La prima cosa è: come
essere.

Un uomo di grande sensibilità e compassione si recò in visita dal
Buddha, e gli chiese: “Che cosa posso fare per aiu-tare il mondo?”.

Si dice che il Buddha abbia riso e abbia risposto: “Non puoi fare
nulla, perché non sei. Come puoi fare qualcosa quando non sei? Non
pensare al mondo, non chiederti co-me aiutare la Terra e gli altri;
prima sii presente. Una volta che esisterai, qualunque cosa tu faccia
diventerà un aiuto, una preghiera, un atto di compassione. La tua
presenza è il punto di svolta; il tuo essere è la rivoluzione”.

Dunque, sono queste le due vie: la via dell’azione e quel-la della
meditazione; esse sono diametralmente opposte. La via dell’azione si
interessa essenzialmente a te, in quanto soggetto agente. Essa tenterà
di cambiare le tue azioni; cer-cherà di modificare la tua personalità,
la tua morale, le tue relazioni, mai te. La via della meditazione è
diametralmente opposta. Non si interessa alle tue azioni; punta
direttamen-te e immediatamente a te: quello che fai è irrilevante,
l’im-portante è ciò che sei. Ciò che sei è basilare e fondamentale,
perché tutte le azioni nascono da te.

Ricorda, le tue azioni possono essere cambiate e modifi-cate, possono
persino essere sostituite da azioni diametralmente opposte, ma non ti
cambieranno. Nessun mutamen-to esteriore provocherà la rivoluzione
interiore, perché l’e-steriore è superficiale e la tua essenza più
intima non viene toccata da ciò che fai. Il contrario, invece, provoca
la rivo-luzione: se il nucleo più profondo è cambiato, la superficie
muta automaticamente. Quindi, metti a fuoco una domanda fondamentale,
solo allora potremo addentrarci in queste tecniche di meditazione.
Non preoccuparti di ciò che stai facendo; potrebbe esse-re un trucco,
uno stratagemma per evitare il problema au-tentico. Per esempio, sei
violento. Poiché pensi che se fossi non-violento diventeresti
religioso, ti avvicineresti al divino, farai ogni sforzo per essere
non-violento. Sei crudele, ma provi con tutte le tue forze a essere
pieno di compassione.

Puoi farlo, ma non cambierà nulla e resterai immutato. La crudeltà
diventerà parte della compassione, e sarà anco-ra più pericolosa. La
violenza farà parte della non-violenza, diventando ancora più sottile.
Sarai violentemente non-vio-lento. La tua non-violenza avrà tutta la
follia della violenza; sarai crudele attraverso la compassione.

Puoi persino uccidere per compassione: è successo. Sono state
combattute moltissime guerre di religione in nome del-la compassione.
Puoi uccidere in modo molto compassione-vole e non-violento. Puoi
compiere un assassinio con amo-re, perché lo stai facendo per il bene
della persona che stai uccidendo. La stai uccidendo per farle un
favore, per darle una mano.

Puoi cambiare le tue azioni, ma con tutta probabilità questo sforzo
non è altro che uno stratagemma per evitare il vero cambiamento. Il
cambiamento fondamentale è questo: prima devi “essere”. Devi diventare
più attento, più consa-pevole del tuo essere; solo a quel punto una
presenza discende in te. Non senti mai te stesso; anche se qualche
vol-ta accade, ti senti attraverso gli altri, attraverso
l’eccitazione,

lo stimolo, la reazione. È necessario qualcun altro perché tu possa
sentire te stesso; questo è assurdo. Da solo, senza ec-citazione,
senza nessuno che si trasformi in uno specchio, ti addormenti, ti
annoi. Non ti senti mai; non c’è alcuna pre-senza. Vivi in modo
assente.

Tale esistenza assente è la mente irreligiosa. Diventare colmi della
propria presenza, della luce del proprio essere, vuol dire diventare
religiosi. Per cui ricorda questo punto fondamentale: il mio interesse
non è rivolto alle tue azioni. Ciò che fai è irrilevante. Ciò che sei
— assente, presente, consapevole, inconsapevole — è l’oggetto della
mia attenzione. E le tecniche che ora affronteremo servono a renderti
più pre-sente, a riportarti qui e ora.

Per sentire te stesso ti occorre qualcun altro oppure il passato;
infatti, attraverso il passato — i ricordi — puoi senti-re la tua
identità. Oppure è necessario il futuro: in esso puoi proiettare i
tuoi sogni, gli ideali, le vite future, moksha, la li-berazione.

Per sentire te stesso hai bisogno dei ricordi, di una proie-zione
futura o di qualcun altro: da solo non sei mai suffi-ciente. Questo è
il male, e nulla ti appagherà mai, se non sa-rai sufficiente a te
stesso. Quando basterai a te stesso, avrai vinto, la battaglia sarà
conclusa. A quel punto non ci sarà più sofferenza: toccherai un punto
di non ritorno.

Oltre quel punto c’è la beatitudine, l’estasi eterna. Prima di quel
punto sei condannato a soffrire, ma stranamente ogni sofferenza è
frutto delle tue azioni: questo creare la tua stessa sofferenza è un
miracolo; nessun altro ne è artefice. Se fosse qualcun altro a
crearla, sarebbe difficile trascenderla. Se il mondo la stesse
creando, cosa potresti fare? Ma poiché puoi fare qualcosa, nessun
altro sta creando il tuo dolore: è il tuo incubo personale. E questi
ne sono gli elementi fon-damentali.

Primo: pensi, credi sempre di essere. È solo qualcosa che credi: non
hai mai incontrato te stesso, non sei mai stato fac-cia a faccia con
te stesso, non c’è mai stata alcuna connes-sione. Semplicemente, credi
di essere. Abbandona total-mente questa convinzione; sappi che non
sei, devi ancora es-sere, perché a causa di questa convinzione errata
non sarai mai in grado di trasformarti. Questa convinzione sbagliata
rende falsa tutta la tua vita.

Gurdjieff diceva spesso ai suoi discepoli: “Non chiedetemi cosa fare.
Non potete fare nulla, perché per fare qualco-sa, prima si deve
essere. Ma poiché voi non siete, chi agirà? Potete pensare all’agire,
ma non potete fare nulla”.

Queste tecniche servono ad aiutarti, a riportarti a te stes-so; ti
aiutano a creare una situazione nella quale puoi incon-trare te
stesso. Molte cose — tutto ciò che è falso e sbagliato — dovranno
essere distrutte. Prima che il reale nasca, il falso dovrà scomparire,
cessare di esistere. E queste sono idee sbagliate: pensare che tu sei,
che sei un’anima, atma, Brahma. Non è che tu non sia, è solo che
queste idee sono sbagliate.

Gurdjieff ha sottolineato con fermezza il fatto che in te non esiste
anima. Ripeteva, contro ogni tradizione: “L’uomo non ha un’anima.
Quest’ultima è una semplice possibilità: può essere o può non essere.
Va conquistata. Tu non sei al-tro che un seme”.

Questa enfasi è giusta. Esiste una potenzialità, una possi-bilità, ma
deve ancora realizzarsi. Eppure noi leggiamo la Gita, le Upanishad, la
Bibbia e continuiamo a pensare di es-sere l’anima; il seme crede di
essere l’albero. L’albero è na-scosto nel seme, ma deve ancora essere
scoperto. Ed è bene ricordare che potresti restare un seme, morire
come tale; in-fatti, l’albero non può crescere, spuntare da solo. Devi
fare consciamente qualcosa perché accada, infatti esso cresce so-lo
grazie alla consapevolezza.
Esistono due tipi di crescita. Uno è inconscio: la crescita naturale.
Se la situazione è propizia, quella crescita avverrà. Ma l’anima, l’
atma, l’essere intimo, il divino dentro di te, è un tipo di crescita
del tutto diverso: si sviluppa solo attra-verso la consapevolezza; non
è naturale, ma soprannaturale.

Lasciato alla natura, non crescerebbe; abbandonato semplicemente
all’evoluzione, non evolverebbe mai. Devi fare qualcosa
consapevolmente, devi fare uno sforzo conscio, perché esso cresce solo
attraverso la consapevolezza; allor-ché essa è focalizzata su quel
punto, la crescita accade. Queste tecniche servono a renderti più
consapevole.

****

– Adesso affronteremo le tecniche. –

La prima:

In estate, quando vedi tutto il cielo
infinitamente chiaro, penetra in tale chiarezza.

La mente è confusione; non c’è chiarezza. E la mente è sempre
affollata, piena di nuvole; non si scorge mai il cielo aperto, sgombro
e senza nuvole. La mente non può esserlo. Non puoi rendere limpida la
mente, non è nella sua natura; essa resterà sempre opaca, offuscata.
Se puoi lasciarti la mente alle spalle, se improvvisamente riesci a
trascenderla e a venirne fuori, la chiarezza ti accadrà. Tu puoi
essere luci-do, ma non la mente. Non esiste nulla come una mente
lu-cida; non è mai esistita né esisterà. “Mente>> vuol dire
con-fusione, mancanza di chiarezza.

Cerca di capire la struttura della mente, e questa tecnica ti
diventerà chiara. Cos’è la mente? Un processo continuo di pensiero, un
continuo svilupparsi di pensieri — associati, non associati,
importanti, non importanti — innumerevoli sensa-zioni
multídimensionali raccolte in ogni luogo. La vita inte-ra non è che un
accumulare polvere. E questo va avanti all’infinito.

Un bambino alla nascita è limpido, perché la mente non esiste; appena
compare la mente, subentrano l’opacità e la confusione. Un bambino è
limpido e luminoso, ma dovrà accumulare sapere, informazioni, cultura,
religione, condi-zionamenti: cose utili, necessarie. Dovrà raccogliere
da mol-te fonti, opposte e contraddittorie, ogni sorta di cose;
pren-derà e accumulerà da migliaia e migliaia di sorgenti. A quel
punto la mente si sarà trasformata in un mercato, in una fol-la e, a
causa di tutto questo accumulo, la confusione sarà ine-vitabile. E
qualunque cosa si raccolga non sarà mai nulla di certo: infatti, il
sapere è sempre un fenomeno in evoluzione.

Mi ricordo… Una persona, un grande ricercatore, mi ha raccontato
questo aneddoto sul professore che ebbe per cinque anni
all’università, alla facoltà di medicina; si trattava di uno studioso
molto quotato e famoso per le sue ricerche. L’ultima cosa che fece, al
termine dell’anno accademico, fu riunire i suoi studenti e dire loro:
“Devo spiegarvi un’ultima cosa. Tutto ciò che vi ho insegnato è vero
solo al cinquanta per cento, il restante cinquanta per cento è
assolutamente sbagliato; ma il problema è che non so quale sia il
cinquan-ta per cento giusto e quale quello sbagliato. Lo ignoro”.

L’intero edificio del sapere è costruito così. Non c’è nul-la di
certo, nessuno sa, tutti procedono a tentoni nel buio.

Procedendo così si creano i sistemi, e ne esistono migliaia e
migliaia. Gli hindu sostengono qualcosa, i cristiani qualco-s’altro, i
musulmani qualcos’altro ancora. Tutti si contraddi-cono, non esistono
certezze né punti in comune; eppure so-no queste le fonti della mente.
Tu raccogli qua e là, trasfor-mando la tua mente nel deposito di un
robivecchi; la confu-sione è inevitabile. Solo una persona che non
conosce mol-te cose può avere delle certezze; più sai, píù diventerai
insi-curo.
Gli uomini primitivi avevano più certezze e, apparente-mente, idee più
chiare. Non c’era chiarezza, ma solo igno-ranza dei fatti che potevano
contraddire tali idee. Se la men-te moderna è più confusa, lo si deve
al fatto che l’uomo mo-derno conosce più cose. Se sai più cose, sarai
più confuso, perché adesso possiedi più sapere. Più sai, più diventi
insi-curo. Solo gli idioti possono essere sicuri, dogmatici, senza
esitazioni. Più sai, più il terreno ti manca sotto i piedi e di-venti
esitante. Voglio dire questo: più la mente cresce, più saprai che la
sua natura è la confusione.

Quando affermo che solo gli idioti possono essere sicuri, non intendo
dire che il Buddha sia un idiota, visto che non è insicuro. Ricorda la
differenza. Egli non è né sicuro né in-sicuro, è semplicemente
limpido. “Mente” vuol dire incer-tezza; “mente idiota”, certezza. Con
la nonmente entrambe — certezza e incertezza — scompaiono.

ll Buddha è una chiarezza, uno spazio, uno spazio aperto. Non è
sicuro; non esiste nulla di cui essere sicuri. Né è insicuro, perché
non esiste nulla di cui essere insicuri. Solo colui che è alla ricerca
della sicurezza può essere insicuro. La mente è sempre insicura ed è
sempre alla ricerca della si-curezza; sempre confusa e sempre alla
ricerca della chiarez-za. Un Buddha è colui che ha abbandonato la
mente, e in-sieme a essa ogni confusione, certezza o incertezza. Tutto
viene lasciato cadere.

Considerala così: la tua consapevolezza è simile al cielo e la mente è
simile alle nuvole. Il cielo non viene toccato dal-le nuvole; esse
vanno e vengono, senza lasciare segni. Il cie-lo resta vergine: non
esistono tracce, impronte, ricordi delle nuvole. Queste ultime vanno e
vengono: il cielo resta indi-sturbato. La stessa cosa avviene anche
dentro di te: la con-sapevolezza resta indisturbata. I pensieri vanno
e vengono, le menti si evolvono e scompaiono. E non pensare che tu sia
una mente sola: ne hai molte, sono una folla. Le tue menti continuano
a cambiare.

Se sei un comunista, possiedi un certo tipo di mente. Puoi
abbandonarla e diventare anticomunista. A quel pun-to, hai una mente
diversa; non solo diversa, ma completamente opposta. Puoi continuare a
cambiare mente come fosse un vestito; e cambi in continuazione, anche
se non te ne accorgi. Queste nuvole vanno e vengono. La chiarezza può
giungere se diventi consapevole del cielo, se il tuo cen-tro
d’attenzione muta. Se non sei focalizzato sul cielo, sei fo-calizzato
sulle nuvole. Distogli lo sguardo dalle nuvole e metti a fuoco il
cielo.

Questa tecnica afferma:

In estate, quando vedi tutto il cielo
infinitamente chiaro, penetra in tale chiarezza.

Medita sul cielo; un cielo estivo senza nuvole, infinita-mente vuoto e
chiaro, limpido, totalmente vergine, senza nulla che si muova al suo
interno. Contemplalo, medita su di esso e penetra in tale chiarezza.
Diventa questa chiarezza simile allo spazio.
Se mediti su un cielo privo di nuvole, improvvisamente avrai la
sensazione che la mente stia scomparendo, sfuman-do in lontananza; ci
saranno delle pause. All’improvviso ti accorgi che è come se il cielo
limpido fosse penetrato in te. Ci saranno degli intervalli. Per un
momento, i pensieri ces-seranno… come se il traffico si fosse
fermato e nessuno si muovesse. All’inizio saranno solo pochi istanti,
ma anche questi istanti si trasformeranno. A poco a poco la mente
ral-lenterà e compariranno degli intervalli più lunghi; per mi-nuti
interi non ci saranno né pensieri né nuvole. E quando non ci sono
pensieri né nuvole, il cielo esteriore e quello in-teriore diventano
una cosa sola, perché solo il pensiero è la barriera, poiché solo esso
crea il muro; solo a causa del pen-siero l’esteriore è esteriore e
l’interiore è interiore. Quando il pensiero non c’è, l’esteriore e
l’interiore perdono i loro confini diventando una cosa sola. In
realtà, i confini non so-no mai esistiti. Sembrano esistere
esclusivamente grazie al pensiero, alla barriera.

È bellissimo meditare sul cielo. Sdraiati, in modo da di-menticare la
Terra. Sdraiati sulla schiena in una spiaggia so-litaria o in un posto
qualsiasi, e limitati a osservare il cielo. Un cielo chiaro — senza
nuvole, sconfinato — servirà di più allo scopo. Semplicemente osserva,
fissa il cielo.

Percepiscine la chiarezza, l’assenza di nuvole, l’espansio-ne senza
confini; quindi penetra in tale chiarezza, diventa una cosa sola con
essa. Abbí la sensazione di essere diventa-to il cielo, la spaziosità.
All’inizio, se mediti semplicemente sul cielo aperto, sen-za fare
altro, cominceranno ad apparire degli intervalli, per ché qualunque
cosa osservi entra in te. Qualunque cosa ve-di ti colpisce
all’interno; qualunque cosa vedi è dipinta, ri-flessa.

Quando guardi un palazzo, non lo stai guardando e ba-sta; qualcosa
comincia immediatamente ad accadere dentro di te. Quando vedi un uomo,
una donna, una macchina -qualsiasi cosa — non è solo un fenomeno
esteriore; dentro di te è cominciato qualcosa, un riflesso. Hai
cominciato a rea-gire. Qualunque cosa vedi ti modella, ti plasma, ti
modifica, ti crea. L’esteriore è costantemente collegato
all’interiore.

Guardare nel cielo aperto è ottimo: la semplice distesa senza confini
è bellissima. I tuoi limiti spariranno, perché il cielo infinito si
rifletterà dentro di te. E se riesci a fissare senza battere le
palpebre, sarà utile. Se guardi fisso senza battere le palpebre…
infatti, se le batti, il processo del pensiero continuerà. Guarda
fisso senza battere le palpebre. Fissa il vuoto, entraci, senti di
essere diventato una cosa so-la con esso, e a un certo punto il cielo
penetrerà in te.

Prima sei tu a penetrare nel cielo, poi esso penetra in te. E accade
un incontro: il cielo interiore incontra quello este-riore. In tale
incontro avviene la realizzazione. In esso acca-de la non mente,
perché l’incontro si verifica solo quando la mente non è presente.
In quell’unione, per la prima volta, non sei la mente. Non esiste
confusione, non può esistere senza la mente. Non esi-ste infelicità,
perché nemmeno l’infelicità può esistere senza la mente.

Hai mai notato che l’infelicità non può esistere senza la mente?
Senza, non puoi essere infelice; manca la fonte. Chi ti darà questa
infelicità? Chi ti renderà infelice? E lo stesso vale dall’altro punto
di vista: non puoi essere infelice senza la mente, né puoi essere
estatico con essa. La mente non può mai essere fonte di beatitudine.

Dunque, se il cielo interiore e quello esteriore si incon-trano e la
mente scompare, anche solo per un istante, sarai ricolmo di una vita
nuova. La qualità di quella vita è assolu-tamente diversa. È la vita
eterna, non contaminata dalla morte o da qualche paura. In
quell’incontro sarai qui e ora, nel presente: infatti il passato e il
futuro appartengono ai pensieri. Passato e futuro fanno parte della
tua mente. Il presente è l’esistenza, non fa parte della mente.

Questo momento non appartiene alla tua mente. Il momento che è appena
passato e quello che sta per arrivare, in-vece, sì. Questo momento non
ti appartiene mai. Ricorda: tu appartieni a questo momento, esisti qui
e ora. La tua mente esiste sempre da qualche altra parte.

Sgravati da ogni peso!

Stavo leggendo un mistico Sufi. Nel corso di un lungo viaggio, su una
strada deserta, vide un contadino con il suo carro. Il carro era
impantanato nel fango, perché la strada era molto accidentata. Il
contadino stava trasportando un grosso carico di mele, ma lungo il
percorso le mele erano ca-dute. Tuttavia, il contadino non se n’era
accorto.

Quando il carro si impantanò nel fango, prima fece del suo meglio per
tirarlo fuori, ma poiché tutti gli sforzi si ri-velavano vani, pensò:
“Adesso devo scaricare il carro, poi forse potrò liberarlo”. Quando
andò a guardare, vide che restavano solo una dozzina di mele; il carro
si era già svuo-tato! È possibile immaginare la sua infelicità, e il
Sufi rac-conta che quell’uomo esasperato fece un commento davve-ro
incisivo. Disse: “Bloccato, per l’inferno! Bloccato! E sen-za un
accidente di nulla da scaricare!”. L’unica possibilità per uscire dal
pantano era svuotare il carro, ma a quel pun-to non c’era più nulla da
scaricare!

Per fortuna, tu non sei bloccato in questo modo. Puoi al-leggerirti:
il tuo carro è troppo pieno. Puoi scaricare la men-te, e non appena
quest’ultima scomparirà, sarai in grado di volare.

Questa tecnica — osservare la chiarezza del cielo e diven-tare una
cosa sola con esso — è una delle più praticate. Molte tradizioni
l’hanno usata. Sarà molto efficace soprattutto per la mente moderna,
perché sulla Terra non resta nulla su cui meditare; rimane solo il
cielo. Se ti guardi intorno, ogni co-sa è prodotta dall’uomo, limitata
e confinata. Solo il cielo, per fortuna, è ancora aperto alla
meditazione.

Prova questa tecnica, sarà utile. Ma ricorda tre cose. La prima: non
battere le palpebre, tieni gli occhi spalancati. Anche se cominciano a
farti male e a lacrimare, non ti preoccupare. Anche quelle lacrime
faranno parte del tuo proces-so di alleggerimento; saranno utili.
Quelle lacrime rende-ranno i tuoi occhi più freschi e innocenti, li
laveranno. Continua a guardare con gli occhi spalancati.

La seconda cosa: non pensare al cielo, ricorda. Puoi cominciare a
pensare al cielo. Puoi ricordare bellissime poesie sul cielo, ma in
tal caso mancheresti il punto. Non devi pensarci su, ma entrarci,
essere una cosa sola con esso; infatti, se cominci a pensarci, si crea
di nuovo una barriera. Stai di nuovo mancando il cielo, e ti stai
ancora rinchiudendo nella mente. Non pensare al cielo. Sii il cielo.
Guardalo fissa-mente ed entraci; lascia che il cielo si muova dentro
di te. Se ti muovi dentro il cielo, quest’ultimo si muoverà
immediata-mente dentro di te.

Come puoi farlo? Come puoi muoverti dentro íl cielo? Continua
semplicemente a fissare sempre più lontano.

Continua a guardare fissamente, come se ne stessi cer-cando il
confine. Va’ il più possibile in profondità; questo stesso movimento
spezzerà la barriera. E questa tecnica an-drebbe praticata per almeno
quaranta minuti; meno di qua-ranta minuti sarà inutile, non servirà a
granché.

Quando sentirai di esserti veramente fuso con il cielo, potrai
chiudere gli occhi. Quando il cielo è entrato in te, puoi chiudere gli
occhi. Allora sarai in grado di vederlo anche dentro di te, non ci
sarà più bisogno… solo dopo qua-ranta minuti, quando sentirai che la
fusione è accaduta, esisterà una comunione: sei diventato parte del
cielo e la men-te non esiste più, allora chiudi gli occhi e resta con
il cielo interiore.

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