05 dicembre 2017
Un nuovo studio smentisce l’ipotesi che nel cervello esista un unico orologio interno che dà il
tempo alle altre regioni cerebrali: sono i diversi insiemi di neuroni che si attivano secondo
complessi schemi per rendere possibile l’azione del soggetto nei tempi corretti (red)
da lescienze.it
Il senso e il controllo del tempo sono cruciali per molte attività umane: un musicista può
controllare gli intervalli con cui può produrre suoni, un oratore può controllare il ritmo del
proprio discorso.
Ma come fa la mente umana ad avere un controllo preciso e flessibile degli intervalli di tempo in
cui svolgere un compito? Ora un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology
propone sulle pagine di “Nature Neuroscience” un nuovo modello di come il cervello sovraintende alle
attività che richiedono una precisa tempistica.
Il modello finora più accreditato per spiegare il controllo del cervello sul tempo era basato
sull’esistenza di un unico “orologio interno”, una sorta di Big Ben a cui fanno riferimento tutte le
altre regioni cerebrali, di cui però non è mai stata dimostrata l’esistenza.
Alcuni ricercatori hanno quindi iniziato a chiedersi se le parti del cervello che hanno bisogno di
“conoscere” il tempo non fossero in grado di farlo da sole.
Così è nata l’idea di registrare l’attività neuronale di alcune scimmie impegnate in un compito in
cui dovevano controllare gli intervalli di tempo in cui agire. I ricercatori hanno scoperto un
complesso schema di attività neuronale durante questi intervalli: alcuni neuroni si attivano più
rapidamente, altri più lentamente; mentre quelli che avevano un’attività oscillante hanno iniziato a
oscillare più rapidamente o più lentamente.
Ma il dato cruciale emerso dalle misurazioni è che qualunque fosse la risposta dei neuroni, la
rapidità con cui regolavano la loro attività dipendeva dall’intervallo di tempo richiesto.
In altre parole, i neuroni compivano sempre la stessa “traiettoria” da uno stato iniziale a uno
stato finale, qualunque fosse l’intervallo di tempo richiesto.
L’unica cosa che cambiava era il tasso con cui i neuroni percorrevano la loro traiettoria. Quando
l’intervallo di tempo era lungo, la traiettoria era allungata, il che significa che i neuroni
richiedevano più tempo per evolvere verso lo stato finale. Quando l’intervallo era più breve, la
traiettoria era invece compressa.
I ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sui collegamenti cerebrali tra tre diverse regioni: la
corteccia frontale dorsomediale, coinvolta in molti processi cognitivi, il caudato, coinvolto nel
controllo motorio e il talamo, una regione cerebrale che coordina segnali motori e sensoriali.
Hanno così scoperto lo specifico schema neurale prima descritto nella corteccia frontale dorso
mediale e nel caudato, mentre nel talamo lo schema era differente: invece di alterare la velocità
della loro traiettoria molti neuroni semplicemente aumentavano o diminuivano la rapidità con cui si
attivavano, in funzione dell’intervallo di tempo richiesto.
Per comprendere più approfonditamente questo schema di attività, i ricercatori hanno realizzato
anche un modello al computer, che inizialmente prevedeva centinaia di neuroni connessi tra loro in
modo casuale, poi addestrato a eseguire lo stesso compito degli animali, senza alcuna indicazione su
come il modello avrebbe potuto eseguire il compito. Hanno così scoperto che le reti neurali finivano
per usare gli stessi schemi di attivazione osservati nei test sugli animali, confermando la validità
dei risultati sperimentali ottenuti.
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