di Manonath Dasa
14 aprile 1994
tratto dal sito dell’Accademia Vaishnava
www.isvara.org
L’origine
Non si può parlare di un’origine dei Veda. Quando si costruisce qualsiasi macchina, le istruzioni
per l’uso sono create in modo automatico, esistenti almeno in modo potenziale. Dio è eterno, per cui
anche la conoscenza che riguarda Lui e la Sua creazione è priva di un qualsiasi inizio. I Veda
(dalla radice “vid”, conoscere) sono i libri che contengono tale sapere, quindi in nessun modo è
possibile datarli.
Ma da dove provengono? Sono di origine umana o divina? Le scritture ci rispondono in modo netto:
asya mahato bhutasya nisvasitam etad yad
rig-vedo yajur-vedah samavedo ‘tharvangirasah.
I quattro Veda (Rik, Yajur, Sama, Atharva) sono emanazioni che provengono dal respiro della Suprema
Personalità di Dio. (Brihad- aranyaka Upanishad 4.5.11).
Ancora:
yo brahmanam vidadhati purvam yo vai
vedams ca gapayati sma krsnah.
“Fu Krishna che all’inizio (della creazione) istruì Brahma sulla conoscenza vedica e la disseminò
nel passato.” (Atharva Veda, Gopala Tapani Upanishad 1.24)
Qui si dice chiaramente chi è stato l’autore e il diffusore dei Veda, e viene fatto il nome di
Krishna.
I Veda sono di origine divina. Nella Bhagavad-gita (10.22) Shri Krishna dice “Io sono i Veda.” Per
questa ragione è impossibile stabilire una data della loro creazione. I Veda sono eterni.
Studiosi e ricercatori si sono cimentati per secoli nel cercare date attendibili, ma nei Veda stessi
queste sono praticamente inesistenti. Proprio perchè non hanno inizio nè fine. Le teorie di costoro
sono dunque destinate a rimanere tali.
Ma è vero che non sempre i testi vedici sono a disposizione dell’umanità. Per ragioni che possono
essere le più diverse, talvolta si celano alla vista degli uomini. Quando tale situazione sfortunata
si verifica, il caos più totale sopraggiunge a rendere la vita degli uomini davvero miserabile. La
conoscenza è sicuramente la cosa più necessaria nella vita; senza non è possibile distinguere il
vero dal falso, ciò che è bene per noi e per gli altri e ciò che non lo è.
Le scritture stesse ci narrano dei momenti in cui i Veda sono scomparsi dalla nostra vista. Lo
Shrimad-bhagavatam racconta che alla fine del giorno precedente di Brahma, quando egli sentì il
bisogno di dormire, i Veda emanarono dalla sua bocca e un demone di nome Hayagriva li prese con sè e
li nascose. Quando quella notte mistica cessò e Brahma stava per destarsi, Vishnu, nell’incarnazione
di un Pesce (Matsya), uccise il demone e recuperò i sacri testi vedici. Eravamo all’inizio
dell’epoca di Svayambhuva Manu. Dunque erano stati persi per quasi l’intera notte di Brahma.
Ma non fu l’unica volta. Di nuovo Vishnu ci salvò, alla fine del Manvantara precedente al nostro,
durante il regno di Cakshusha Manu. Nella Sua seconda incarnazione di Pesce, li affidò alla cura del
santo re Satyavrata, che sarebbe poi diventato Vaivasvata Manu. Ma di storie di questo tipo se ne
potrebbero raccontare all’infinito.
I saggi e i santi sono chiamati para-duhkha-duhkhi proprio per la caratteristica che hanno di
sentirsi a disagio di fronte alla sofferenza degli altri. Essi vogliono fortemente vedere tutti
felici, e per ultimo realizzati, liberi da ogni illusione materialistica e dalle pene che ne
scaturiscono. Per questa ragione vengono in questo mondo a predicare la vera conoscenza nei modi e
nella quantità che sono più opportuni al fine di un risultato positivo, quella di attrarre la gente
al messaggio della Trascendenza.
I Veda sono quindi eterni, ma talvolta sono “allo stato manifestato” e altre volte no.
I Veda fino a Dvapara-yuga
Di norma, durante Dvapara-yuga, i testi vedici, come ogni genere di conoscenza, non vengono messi
per iscritto, ma comunicati a voce dai guru ai loro discepoli, che a loro volta li ripeteranno
fedelmente. In questo modo i canoni della sapienza sono tramandati secondo un sistema chiamato
parampara, che significa letteralmente “uno dopo l’altro”, oppure sampradaya, che vuol dire
“comunità” o tradizione”.
In Kali-yuga la gente in genere non è più in grado di capire i sottili concetti filosofici, nè
tantomeno di memorizzarli. Kali- yuga è un’epoca terribile dove l’uomo si degrada fino ai livelli
più bassi.
“Una volta egli (Vyasa)… notò anomalie (nel periodo storico in cui viveva)… e grazie alla sua
visione trascendentale, prevedette il deterioramento di ogni cosa… (questo fenomeno era) dovuto
all’influenza dell’epoca (Kali-yuga). Egli capì che la gente avrebbe avuto una vita molto corta e
sarebbe stata tormentata dall’impazienza per mancanza di virtù… egli pensò che i sacrifici
insegnati nel Veda avrebbero potuto purificarla, e allo scopo di semplificare il suo avanzamento
spirituale lo divise in quattro parti…” (Shrimad-bhagavatam 1.4, versi sparsi)
“L’intelligente Maharaja Yudhisthira denotò la presenza dell’era di Kali osservando (aumentare)
l’avarizia, la falsità, l’imbroglio e la violenza.” (Shrimad-bhagavatam 1.15.37)
Da qui la necessità di mettere tutto per iscritto.
I Vyasa non inventano nulla, ma sono i portavoce e i commentatori di una conoscenza millenaria
adattata ad essere studiata e capita dall’uomo di quest’era.
I Vyasa
Prima di soffermarci sull’ultimo autore dei Veda, parliamo un momento della carica che il termine
Vyasa denota.
Secondo gli scritti vedici, Vyasa è l’appellativo che si riferisce a una funzione, e non a una
particolare persona. Quei saggi che ricevono l’incarico di disseminare conoscenza per il beneficio
della società umana mettendola per iscritto e conferendole un ordine perchè possa meglio essere
compresa, vengono chiamati Vyasa.
La radice sanskrita “as” preceduta dal prefisso “vi” indica l’atto del separare per analizzare.
Questo è il compito del commentatore, che divide i testi per esporne in dettaglio il significato.
Questa funzione è stata ricoperta nel corso dei millenni da diversi personaggi. I Purana ci spiegano
che alla fine di ogni Dvapara-yuga in ogni Maha-yuga c’è un Vyasa che “ordina”, che mette a posto
l’intera conoscenza ingegnata da grandi saggi chiamati Rishi (letteralmente “coloro che vedono la
verità”). Ma spieghiamo meglio questo punto.
Sappiamo che il tempo si divide in quattro Yuga (Satya, Treta, Dvapara e Kali), e che un ciclo
completo di questi Yuga viene chiamato Maha-yuga (pari a 4 milioni 320 mila anni). Settantuno
Maha-yuga costituiscono un Manvantara (un periodo della vita di Manu), e in un giorno di Brahma ci
sono 14 Manu. Questo periodo (che pressappoco equivale a mille Maha-yuga) è appunto un giorno della
vita di Brahma, il quale vive cento anni di questi giorni. Noi ora stiamo vivendo nel Manvantara
chiamato Vaivasvata (il settimo Manu del primo giorno del 51.esimo anno della vita di Brahma), e
dall’inizio dell’epoca del nostro Manu sono passati già 27 Yuga completi. Il nostro è il Kali-yuga
del ventottesimo Maha-yuga della vita di Vaivasvata Manu.
Alla fine di ogni Dvapara-yuga, in previsione della degradazione che è in procinto di devastare
l’intero pianeta durante il terribile Kali-yuga, l’epoca che “distrugge tutte le buone qualità
dell’uomo”, un Vyasa appare per ordinare e mettere per iscritto tutta la conoscenza chiamata Veda.
Prima del “nostro” Vyasa ne sono passati altri ventisette. I loro nomi sono reperibili in diversi
Purana:
1. Brahma, 2. Vaiva-svata, 3. Ushana, 4. Brihaspati, 5. Savitri, 6. Yama, 7. Indra, 8. Vashishtha,
9. Sarasvata, 10. Tridhama, 11. Trivrisha, 12. Bharadvaja, 13. Antariksha, 14. Vapra, 15.
Trayyaruna, 16. Dhananjaya, 17. Kritanjaya, 18. Rina, 19. Bharadvaja, 20. Gotama, 21. Uttama, 22.
Vena, 23. Trinavindu, 24. Valmiki, 25. Shakti (il padre di Parashara), 26. Parashara, 27. Jaratkaru,
e infine il nostro Krishna Dvaipayana, il figlio di Parashara. I testi succitati ci informano anche
del nome del prossimo Vyasa, il celebre Ashvatthama, il figlio di Dronacarya.
Krishna Dvaipayana Vyasa
La storia completa della nascita di Vyasa è nel Maha-bharata (Adi Parva, Adivamsavatarana Parva,
sez. 63). Qui daremo solo po-chi accenni.
Satyavati, figlia del re Uparicara Vasu e dell’apsara Adrika, fu adottata da un pescatore. Un giorno
il saggio Parashara la vide e le chiese di concepire un figlio con lui. Affinchè la giovane
accettasse, le concesse diverse benedizioni. Il giorno stesso dell’unione tra i due, nacque un
bambino che fu chiamato Krishna, in quanto scuro di pelle, e Dvaipayana, perchè nato su un’isola
posta in mezzo al fiume Yamuna.
Il Maha-bharata dice: “… E il sapiente Dvaipayana, osservando che la virtù (che possiede quattro
gambe) era destinata a diventare zoppa di una gamba per ogni Yuga e che la longevità e la forza
degli uomini si sarebbero conformate alle caratteristiche degli Yuga, mosso dal desiderio di
ottenere i favori di Brahman (colui che è in possesso di infinite qualità) e dei Brahmana, mise a
punto i Veda. E per questo fu chiamato Vyasa.
“Questa grande personalità che elargiva profusamente benedizioni, insegnò a Sumantu, a Jaimini, a
Paila, a suo figlio Shuka e a Vaishampayana i Veda, che hanno il Maha-bharata come loro quinto…”
Vyasa previde, dunque, la degradazione di Kali-yuga e, volendo facilitare lo studio delle sacre
scritture, le mise per iscritto dopo averle divise in quattro parti. In seguito ne avrebbe affi-dato
la diffusione a cinque suoi discepoli; a Paila avrebbe consegnato il Rig Veda, a Jaimini il Sama
Veda, a Vaishampayana lo Yajur Veda, ad Angira (o Sumantu) l’Atharva Veda e a Romaharshana le
Purana. Alla grande anima liberata Shukadeva Gosvami, che proveniva direttamente da Goloka
Vrindavana, affidò la crema della conoscenza, il Purana immacolato, lo Shrimad-bhagavatam.
Ora, certuni dubitano che Krishna Dvaipayana Vyasa sia stato il redattore di tutti i Veda,
specialmente dello Shrimad-bhagavatam, che dicono essere sia un’opera di molto posteriore alle
altre. Ma in questo campo non abbiamo altra autorità che le scritture stesse: chi può infatti
affermare o negare per proprio conto ciò che è accaduto migliaia di anni fa? Lasciamo dunque parlare
lo Shrimad-Bhagavatam stesso:
(E poi)”… emanò dalle labbra di Shukadeva Gosvami (che era il figlio di Vyasa)…”
(Shrimad-bhagavatam 1.1.3)
“… dopodichè nella 17.ma incarnazione Shri Vyasadeva apparve dal ventre di Satyavati attraverso
Parashara Muni, ed egli divise l’unico Veda in diverse parti e sezioni, vedendo che la gente sarebbe
diventata meno intelligente…” (Shrimad-bhagavatam 1.3.21)
Tuttavia le evidenze scritturali che dichiarano che Vyasa è l’ordinatore di tutti i Veda e dei suoi
corollari (Purana, Upanishad e altri) sono così numerose che sarebbe inutilmente gravoso enumerarle
tutte.
Quest’ultimo verso, poi, ci informa che fra tutti i Vyasa che lo hanno preceduto, Krishna Dvaipayana
era speciale, essendo dotato di particolari poteri. Infatti nel Bhagavatam (1.1.7) viene chiamato
Bhagavan, intendendo che si tratta di un’avatara di Dio. Addirittura questi compare nella lista
delle incarnazioni principali (precisamente la diciassettesima) di Vishnu.
Sui Quattro Veda
Originalmente esisteva un Veda solo, lo Yajur Veda, che venne poi scisso in quattro: lo Yajur-veda,
l’Atharva-veda, il Rig-veda, il Sama-veda, ognuno dei quali è diviso a sua volta in due parti:
Mantra e Brahmana. La prima sezioni contiene, appunto, i Mantra, che sono indispensabili sia per la
purificazione che per ottenere risultati di vario genere. La seconda contiene direzioni
circostanziate utili per la esecuzione dei sacrifici, durante i quali i Mantra devono essere
recitati. In questa sezione generalmente vengono riportate le storie che li riguardano.
Vediamo in breve di cosa tratta ciascun Veda.
Lo Yajur-veda tratta delle formule necessarie allo svolgimento dei sacrifici. Il Rig-veda tratta
degli inni di lode ai numerosi deva e personalità divine “cantati” da diversi saggi. E’ così
chiamato perchè è composto di Rica, versi che devono essere recitati a voce alta. Il Sama-veda ha
come argomento le funzioni liturgiche. Sama infatti significa melodia. L’Atharva-veda entra nel
merito degli ulteriori aspetti tecnici che riguardano i sacrifici e affronta i doveri dei vari
sacerdoti che devono presenziare allo Yajna. Sono i Brahmana (che dirigevano l’intera cerimonia),
gli Hotar (che si occupavano di condurre le offerte), gli Adhvaryu (che badavano al fuoco sacro) e
gli Udgatar (che recitavano i mantra sacri); gli ultimi tre erano gli assistenti del Brahmana.
L’opera tratta anche della conoscenza dei Mantra per ottenere o conferire benedizioni o anche per
lanciare maledizioni.
Questi quattro vasti volumi contengono lo scibile umano per quanto riguarda il mondo fenomenico.
La ragione della divisione è di rendere tutto più comprensibile per un’era in cui la gente è priva
delle qualità necessarie allo studio di una scienza così complessa.
La strategia di fondo
L’anima in questo mondo materiale è sopraffatta da vari tipi di desideri materiali, che cerca di
soddisfare grazie al grande campo d’azione (karma-kshetra) messo a disposizione dall’energia
illusoria del Signore Shri Krishna. Tesa com’è alla ricerca della perfetta felicità, compie atti che
comportano risultati di vario tipo.
Ci sono diversi tipi di azioni.
Quelle chiamate Vikarma sono della specie peggiore, perchè sono fatte in modo autonomo, trascurando
i consigli delle scritture, che anzi vanno intenzionalmente contro di esse; sono quelle che
risultano nelle reazioni peggiori, distruttive per se stessi, per gli altri e per il mondo intero.
Chi le compie non si cura di nulla, se non del proprio illusorio vantaggio.
Quelli chiamati Karma sono gli atti condotti secondo i consigli delle scritture, le quali
specificano minuziosamente come condurre una vita di regolata gratificazione dei sensi e ottenere il
doppio risultato di provare soddisfazione materiale e nel contempo di elevarsi in direzione dello
scopo finale, che è la spiritualizzazione e per ultimo il servizio d’amore al Signore Supremo Shri
Krishna.
Le attività Yajnartha-karma (o Akarma) conducono alla liberazione, e mai sono fatte per
soddisfazione personale. Ahaituki apratihata yayatma suprasidati, dice lo Shrimad-bhagavatam: il
servizio devozionale deve essere condotto in modo tale da soddisfare l’Anima suprema (atma
suprasidati), cosa che in ultima analisi risulta d’appagamento anche per colui che lo attua.
I quattro Veda si occupano del secondo tipo di azioni, karma. Attraverso un regolata gratificazione
dei sensi la gente si può purificare. I Veda sono quindi codici di comportamento. D’altra parte,
essendo di origine divina, il loro Autore originale non poteva voler dare solo un metodo per avere
benessere in questo mondo, ma indicare anche la strada di ritorno per il mondo trascendentale.
Lo scopo dei Veda non è fine a se stesso. “vedaih ca sarvaih aham eva vedya”, “lo scopo dei Veda è
di far sì che Io (Shri Kri-shna) sia conosciuto”. Ciò è così vero che nella stessa Bhagavad- gita
(2.42 e 43) i Veda vengono addirittura criticati. Coloro che sono attaccati ai Veda vengono chiamati
“avipashcitah”, possessori di poca conoscenza, in quanto dichiarano che non esiste nulla di
superiore ai pianeti celestiali e alle loro gioie, possibili da ottenere grazie alla stretta
osservanza delle ingiunzioni vediche.
Per questa ragione, cioè per chiarire bene il messaggio vedico, sono venute ad essere anche tutte
quelle scritture indicate col nome di Vedanta, ovvero “ciò che è alla fine dei Veda”, o il loro vero
significato, ciò che essenzialmente vogliono dire.
Ma delle scritture superiori ai quattro Veda originali, chiamate Vedanta, parleremo in seguito.
Vogliamo, comunque, ricordare che Vyasa stesso, terminata l’opera, non se ne sentì affatto appagato
(eppure aveva scritto i Veda, il Brahma-sutra, il Maha-bharata e altre) e non riusciva a capirne le
ragioni. Fu Narada a spiegarglielo:
“Ti senti soddisfatto nel considerare il corpo o la mente (come il tuo sè e quindi) come oggetti di
realizzazione del sè? Non c’è alcun dubbio che le tue ricerche abbiano un valore notevole, in quanto
hai compilato un grande e fantastico lavoro come il Maha-bharata, che è pieno di sequenze vediche
spiegate nei minimi dettagli. Hai anche chiarito i concetti che riguardano il Brahman impersonale e
ciò che ne deriva… (ma ciò non è stato sufficiente) la tua insoddisfazione è causata dal non aver
narrato le pure e sublimi glorie della Suprema Personalità di Dio…” (Shrimad- Bhagavatam 1.5 versi
sparsi)
Tutte le cerimonie previste nei Veda hanno la loro ragione nella soddisfazione di Vishnu (yajno vai
vishnuh). E come insegnava Shri Madhavendra Puri, il loro siddhanta è ricordare Krishna ad ogni
momento e sviluppare nel nostro cuore il più profondo sentimento d’amore nei Suoi confronti e nei
confronti dei Suoi devoti.
Manonath Dasa
14 aprile 1994
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