I voti del Bodhisattva
di Robert Aitken
I Grandi Voti, noti come i Voti del Bodhisattva, sono nati probabilmente in
Cina intorno al sesto secolo come derivazione di un precedente “gatha”
(canto) sanscrito. Alla fine dell’VIII secolo li troviamo spiegati dal
maestro zen cinese Hui-Neng. Oggi sono recitati alla fine delle funzioni
religiose nella maggior parte dei centri Mahayana.
Composti di sette caratteri cinesi per verso, i Grandi Voti sono
poeticamente espressi in rime, reiterazioni e analogie. Le traduzioni
inglesi contemporanee dei Grandi Voti si rifanno massicciamente alla
versione di D. T. Suzuki, pubblicata per la prima volta nel 1935. Egli usò
il titolo “I quattro grandi voti”, abbreviazione di quello utilizzato da Hui
Neng, “I quattro grandi voti larghi”, dove “larghi” significa “per una larga
diffusione”.
Nakagawa Soen Roshi (1908-83) coniò il titolo “I Grandi Voti per Tutti”
nella sua traduzione del 1957, e due anni dopo, al Diamond Sangha – una
comunità appena formatisi a Honolulu – usammo questo titolo nel nostro primo
libro sui sutra. Oggi le nostre traduzioni si sono fatte molto più precise,
e tale titolo è praticamente l’unica parte dei voti a non essere cambiata.
I Quattro Grandi Voti esprimono le aspirazioni nei confronti dei Tre Tesori
del buddismo: redimere la “sangha”, smettere di svilire i Tre Tesori,
comprendere chiaramente il dharma e conseguire la buddhità. In quanto tali,
i Voti sono la versione Mahayana della “Ti-sarana-gamana”, la cerimonia con
cui si prende rifugio nei Tre Tesori, presente in tutte le tradizioni
buddiste.
“Shu jo mu hen sei gan do”
“I molti esseri, senza limite, voto, portare attraverso.”
“Gli esseri viventi sono infiniti; faccio voto di salvarli.”
“Shu” vuol dire i molti o tutti. “Jo” è letteralmente nascita o germogliare,
ed è il termine per un essere o esistenza. Il termine composto “shujo”, i
molti esseri, è una traduzione allargata del sanscrito “sattva”, che a sua
volta vuol dire un essere o esistenza. “Shujo”, i molti esseri, include il
regno vegetale, come sottolineano Soothill e Hodous nel loro dizionario
buddista, ma io includerei ne i molti esseri tutto ciò che esiste.
In altri contesti si trova una parola composta pronunciata “ujo”, senziente,
usata come traduzione di “sattva”. “Ujo” limita il significato di esseri al
regno animale, o più probabilmente alla sola umanità. Ma nei Grandi Voti
troviamo “shujo”, i molti esseri, non “ujo”. I nostri antenati asiatici
intendevano sicuramente includere ogni cosa; usare esseri senzienti in tale
contesto, come fanno alcuni centri occidentali, pone limiti antropocentrici
al nostro spirito di bodhisattva.
“Do” è una traduzione del sanscrito “paramita”, che ha due possibili
significati. Il primo è perfezione – lo stato e la pratica – mentre il
secondo è attraversare. “Do” segue questa seconda interpretazione, ed è
causativo: render(li) in grado di attraversare. Alcuni centri del dharma
usano illuminarli, e – benché i cespugli e le erbe si stiano evolvendo verso
l’«anuttara-samyak-sambodhi» – la parola illuminazione, riguardando gli
esseri umani, sembra escludere ancora una volta tutto ciò che non è umano.
Gli studenti alle prime armi chiedono spesso come sia possibile fare
sinceramente voto di salvare tutti gli esseri. Un simile voto ricorda
l’arroganza
missionaria. Hui-neng offre una risposta: “Li stai salvando nella tua
mente”.
Stai coltivando la “bodhichitta”, ovvero l’aspirazione alla saggezza e alla
compassione, oltre che alla determinazione di mettere queste ultime in
pratica al meglio delle tue possibilità.
“Bon no mu jin sei gan dan”
“Dolore, angoscia, senza esaurimento, voto, concludere.”
“Odio, avidità e ignoranza sono inesauribili; faccio voto di abbandonarli.
La parola giapponese “bonno” traduce il sanscrito “klesha”, dolore,
afflizione, angoscia, e questo termine è interpretato dai buddisti cinesi
come “illusioni, prove o tentazioni delle passioni che disturbano e
angosciano la mente”; più brevemente, è interpretato come “I Tre Veleni”.
I Tre Veleni sono “l’odio, l’avidità e l’ignoranza”, e noi ci siamo basati
su questa interpretazione, in quanto più precisa. Ostacoli sembra una
traduzione generica, mentre termini come passioni o veleni ricordano il
calvinismo più che il buddismo. Senza passioni sembreremmo dei morti che
camminano, e senza desideri non cammineremmo neanche.
“Dan” significa concludere, terminare, tagliare, e in alcune versioni
occidentali è reso con sradicare. Un membro della comunità ha sostenuto che
sradicare sembra un termine troppo “macho”, almeno nella sua traduzione
inglese (“cut”), per cui abbiamo scelto “abbandonarli”. Questo termine
implica che tali azioni venivano prima giudicate positivamente, cosa che
corrisponde alla realtà.
Come il primo, anche il secondo verso riguarda la propria mente. Esso
esprime l’aspirazione a “sradicare la via della mente”, per usare le parole
di Wu-men, la volontà di tagliare il nastro dell’incessante chiacchierio, il
monologo interiore vertente esclusivamente su “ciò che ero, ciò che sono e
ciò che sarò”. Nel silenzio che segue, ci si dedica naturalmente al
benessere agli altri, così come il Buddha ha rivolto la mente ai cinque
discepoli di Benares, quando ha tagliato il suo nastro incessante.
“Ho mon mu ryo sei gan gaku”
“Le porte del dharma, senza misura, voto, imparare.
Le porte del dharma sono infinite; faccio voto di risvegliarmi a esse.”
Quando la nostra sangha cominciò a studiare la terminologia dei voti, sedici
anni fa, Stephen Mitchell (che all’epoca stava traducendo “Il libro di
Giobbe”), ci suggerì di usare l’espressione “vasto e insondabile”, che
appare nella prima risposta di Giobbe a Bildad il Suchita. Omettemmo il
problematico “porte” e traducemmo: “Sebbene il dharma sia vasto e
insondabile”. Ma nella nostra nuova versione abbiamo ripristinato il termine
“porte”, perché questi sono davvero gli accessi al dharma – la nostra
possibilità di realizzare le tantissime realtà che abbiamo davanti a noi –
quando siamo aperti a essi.
Un’altra difficoltà di questo verso è data dalla parola “gaku”, imparare o
studiare. Questo carattere si trova nei composti significanti scuola,
istituto e studente. Di solito, viene tradotto con comprendere o
padroneggiare, ma nessuno di questi due termini dà l’idea di un essere
ricettivi a, che “gaku” sembra suggerire. Dopotutto, come è possibile
padroneggiare o comprendere un’opportunità? Questo verso richiama la sfida
del maestro zen Bassui: “Chi sta udendo quel suono?”. Quando sei ricettivo e
non sei prigioniero dei pensieri, quel suono, tocco, bagliore o aroma è la
tua grande possibilità.
“Butsu do mu jo sei gan jo”
“Buddha, via, senza paragoni, voto, diventare.”
“La via del Buddha è insuperata; faccio voto di incarnarla completamente.”
“Butsu” è Buddha, mentre “do” è Tao; quindi “Butsudo” è il Tao o il dharma
del Buddha, la via del Buddha, e la pratica del buddismo. A un livello più
basilare, si tratta della pratica perenne, così come è stata esposta dal
Buddha e i suoi successori.
“Mujo” vuol dire letteralmente niente di superiore, dove “jo” significa
superiore. Gary Snider traduce così questo verso: “La via del Buddha è senza
fine; faccio voto di seguirla fino in fondo”. Nel nostro primo seminario,
abbiamo avuto delle difficoltà con “jo”. Dopo alcune discussioni, abbiamo
optato per “incarnare”, aggiungendo “completamente” per dare ai Voti un
aspetto di completezza.
Questo verso finale è il nostro voto a percorrere l’Ottuplice Sentiero del
Buddha, con lo stesso rigore e la stessa nobiltà di quest’ultimo. Questa è
la Via che comincia dalle Rette Opinioni: la chiara intuizione della natura
insostanziale dell’io e di tutte le cose, l’armonia innata dell’organismo
universale e l’unicità di ciascun essere individuale. La Via si estende poi
all’applicazione di queste Opinioni nei pensieri, le parole, la condotta, i
mezzi di sussistenza, lo stile di vita, il raccoglimento e la meditazione.
Robert Aitken è direttore della Diamond Sangha di Honolulu. Tra i suoi
libri, ricordiamo “Taking the Path of Zen” e “The Mind of Clover (North
Point Press)”.
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