Il Buddha in Oriente oggi
L’insegnamento del Buddha fu totalmente orale. Narra la
leggenda che all’eta’ di ventotto anni volto’ le spalle
alle ricchezze e al potere del suo principato — il padre
era un re locale o raja dell’India nordorientale — per non
farvi piu’ ritorno. La maggior parte di noi fa scelte di
genere opposto. Ed e’ questo che mi ha sempre impressionato
piu’ d’ogni altra cosa, anche rispetto a qualunque altra
delle maggiori figure religiose. Nessuno puo’ patire il
voto di poverta’ piu’ di un giovane principe playboy che
gode di ottima salute e della possibilita’ di appagare ogni
giorno e senza limiti l’intera gamma dei piaceri dei sensi.
In Occidente non abbiamo alcun esempio paragonabile. Andrew
Carnegie dono’ una grande parte della propria ricchezza in
tarda eta’ ma sembra che l’abbia fatto spinto da rimorso e
pentimento. Oggi molti ricchi vengono spogliati dei loro
miliardi, ma la spoliazione non e’ affatto spontanea.
Il Buddha ando’ ramingo come un mendicante per diffondere
il proprio messaggio di rinuncia. Non permise che i
discepoli annotassero le sue parole, dipingessero o
intagliassero la sua immagine, esagerassero nel raffigurate
la sua persona, la mitizzassero o addirittura la
divinizzassero. A quanto pare, solo nel secondo e nel terzo
secolo d.C. i dotti registrarono le numerose regole del
Buddha, molte delle quali avevano subito mutamenti in quei
circa seicento anni di tradizione orale.
Quella che era una filosofia personale divenne la religione
buddista, e un uomo divenne piu’ che un uomo — mentre il
Buddha era con tutta probabilita’ quello che in termini
contemporanei si direbbe un ateo o un agnostico. Da allora
sono stati introdotti molti altri mutamenti.
Ho fatto un giro sulla zattera grande per vedere se
riuscivo a riconoscere il buddismo fra i buddisti. Per
andai ad abitare in una casa a Puente Hills in
California che distava meno di un miglio dal piu’ grande
tempio buddista dell’emisfero occidentale. Il tempio Hsi
Lai (con sede centrale a Taiwan) apri’ i battenti per
affari spirituali nel novembre del 1988. Poco dopo venne
visitato dal Dalai Lama. Da un giorno all’altro i prezzi
delle case circostanti, inclusa la mia, balzarono alle
stelle. Le proteste locali si trasformarono in orgoglio per
la diversita’ culturale, in inviti alla stampa e in
apprezzamento del valore turistico. Agenti immobiliari
furono svelti nel definire i confini del del
tempio e nell’includere negli elenchi
delle caratteristiche delle proprieta’ in vendita.
Visitai il tempio poco dopo che era stato aperto. Era piu’
lustro e ricco di ogni tempio buddista che avessi visto in
Estremo Oriente. Nei giorni limpidi, il tempio Hsi Lai era
visibile da Puente Hills nella valle
di San Gabriel alle alte e scoscese Montagne di San
Gabriel. All’interno del tempio grandi buddha dorati
sorridenti e bodhisattva sedevano circondati da migliaia di
minuscoli Buddha assisi in piccole uova d’oro. Al di sotto
dei grandi buddha e dei bodhisattva il discorso del
Diamante Sutra si estendeva inciso lungo la parete di
pietra nera. Un museo annesso ospitava statue di buddha
ricevute in dono e provenienti da diversi posti
dell’Oriente. Monache disadorne in vesti grigie e marroni
si muovevano indaffarate per il tempio e nel negozio di
doni. Edifici in stile elaborato che evocavano la Citta’
Proibita di Pechino racchiudevano una grande corte di
rettangoli di cemento fra i quali cresceva l’erba. I
rettangoli rappresentavano le migliaia di passi che
separano la condizione umana da quella di Buddha e
conducono alla sala centrale del tempio, una vasta area
dedicata al culto con numerosi buddha, bodhisattva, buddha
nelle uova e un massiccio candeliere dorato sotto al quale
una volta mi trovai, rimanendone ammirato, mentre un
piccolo terremoto scuoteva la sala.
Al mattino presto, fedeli in lunghe vesti nere si allineano
nella corte, leggono cantilenando i loro libri liturgici e,
tenendo le mani a coppa e le teste inclinate, entrano nella
sala centrale per proseguire i loro canti e l’istruzione
religiosa. E’ tutto molto bello da guardare, ma molto
remoto da un uomo che non permise ai seguaci ne’ di
registrare le proprie parole, ne’ di disegnare o scolpire
la propria effigie.
Il tempio Hsi Lai ha avuto successo, ma non nel modo che
intendevano i suoi fondatori. Ogni anno attira un gran
numero di visitatori, ma come turisti e curiosi, non come
convertiti al buddismo. Il richiamo delle religioni
orientali e’ consistito sempre nella loro componente
esperienziale, non nel rituale e nell’apparato che lo
circonda. Le religioni occidentali ne offrono infatti in
abbondanza.
Lo Yogi Maharishi Mahesh mise a segno una vera e propria
alle azioni dell’induismo quando scorporo’ dal
suo involucro religioso il mantra-yoga, lo chiamo’
e vendette ai meditanti i loro
personali segreti mantra da salmodiare silenziosamente e
ripetutamente per venti minuti al giorno.
In maniera non diversa karate, judo e le altre arti
marziali hanno avuto una fioritura in Occidente quando sono
state strappate ai loro contesti storici e culturali. ll
buddismo ha finora resistito a un’analoga popolarizzazione
occidentale, forse perche’ quello che un occidentale ne
vede e’ soltanto il rituale, le statue e la serie
televisiva Kung Fu.
Allora che cosa dice il buddismo? Quali sono le tecniche
secolari del Buddha? Il Buddha compendia la sua visione del
mondo in quattro punti: (1) la vita e’ dolore (dukha), (2)
il dolore deriva dal desiderio (tanha), (3) eliminate il
desiderio ed eliminerete il dolore, (4) vivete una vita
modesta, meditate e cio’ vi aiutera’ a eliminare il
desiderio. Non desiderate e non avrete male; il che e’ piu’
una pillola intellettuale contro la sofferenza che una
religione.
Nelle conversazioni trascritte, o sutra, l’insistenza del
Buddha su questi punti e’ martellante. Egli rifiuto’ di
rimanere impaniato nelle parole, in quello che lo studioso
buddista D.T. Suzuki ha descritto come <il mondo edificato
da distinzioni intellettuali e da contaminazioni emotive>.
Buddha non fu un teorico fuzzy in un senso matematico, non
scrisse alcuna pagina sugli insiemi o sui sistemi fuzzy, ma
ebbe l’idea delle sfumature di grigio: ammise l’A *e* non-A.
Accuratamente evito’ la bivalenza artificiale che sorge
nelle lingue naturali dal termine di negazione . Donde
la sua frase famosa: <La non-mente non-pensa nessun-pensiero
su nessuna-cosa>. Il Buddha sembra sia stato il primo grande
pensatore a rigettare completamente il mondo dicotomico
della bivalenza, e cio’ da solo richiese una grande
penetrazione, liberta’ di spirito e tenacia in un’epoca in
cui non c’era l’ausilio di alcuna analisi formale. Egli
costrui’ una filosofia personale sulla negazione della
bivalenza e oggi in Occidente associamo il buddismo alla
panciuta caricatura di quella filosofia personale.
Il Buddha non volle che le parole prendessero il posto di
cio’ che considerava un organismo dotato di vita e di
morte. Evitando le demarcazioni dicotomiche, diede un
grande contributo a vedere piu’ chiaramente il mondo di
correlazioni e a gettar luce sul destino dell’uomo. La
citazione di Buddha posta all’inizio di questo capitolo
prosegue cosi’: <… Io non ho spiegato che il mondo e'
finito o infinito. E perche’ non l’ho spiegato? Poiche’
tutto questo non e’ di alcun vantaggio relativamente ai,
ne’ ha niente a che fare coi principi fondamentali della
religione, ne’ contribuisce all’essere distaccati,
all’assenza di passione, alla cessazione, alla quiete>.
Buddha concentro’ l’attenzione sulla morte, sulle
sofferenze che tendono a precederla e sulla vecchiaia.
Sofferenze che ai suoi tempi erano piu’ diffuse e intense
di quanto accada oggi che disponiamo di ben altri
antidolorifici. Ciononostante la vita termina ancora presto
e male: sul limite Buddha coglie sempre nel segno.
[Bart Kosko, _Il Fuzzy-Pensiero_, Baldini e Castoldi]
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