Il buddhismo è una religione? (parte seconda)

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Il buddhismo è una religione? (parte seconda)

(del venerabile Ajahn Sumedho)

(parte seconda)

© Ass. Santacittarama, 2008. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Dal libro “La mente e la via”
Traduzione di Elizabetta Valdrè

Estratto del libro “La mente e la via”, su gentile concessione dell’Editore
Ubaldini.

– La pratica buddhista

Oggi si tende di frequente a ritrarre la meditazione buddhista come un
abbandono del mondo, come lo sviluppo di uno stato mentale di estrema
concentrazione, che dipende da alcune condizioni attentamente controllate.
Perciò, negli Stati Uniti e negli altri paesi in cui la meditazione
buddhista sta diventando sempre più popolare, molti credono che sia uno
stato mentale concentrato in cui la tecnica e il controllo sono molto
importanti.

Le tecniche di questo tipo vanno benissimo, ma anche se iniziate a
sviluppare le capacità riflessive della mente, non è sempre necessario, e
nemmeno opportuno, che passiate il tempo a cercare di perfezionare la mente
e portarla al livello in cui tutto ciò che è grossolano e spiacevole viene
annullato. È meglio aprire la mente alla pienezza delle sue potenzialità, a
una sensibilità piena, per venire a conoscenza che le condizioni di cui
siete consapevoli al momento, ciò che sentite, vedete, udite, fiutate,
gustate, toccate, pensate, sono impermanenti.

L’impermanenza è una caratteristica comune a tutti i fenomeni, che si tratti
della fede in Dio o di un ricordo del passato; che sia un pensiero di rabbia
o un pensiero d’amore; che sia qualcosa di alto, basso, grezzo, raffinato,
buono, cattivo, piacevole o doloroso. Qualunque sia la sua qualità,
osservatelo come oggetto. Tutto ciò che sorge, scompare. È impermanente.
Ora, l’apertura della mente di cui parlavo, vi permette, come pratica e
riflessione di vita, di avere una visione d’insieme delle emozioni e delle
idee, della natura del vostro corpo e degli oggetti dei sensi.

Tornare alla coscienza in quanto tale: la scienza moderna, la scienza
empirica, ritiene che il mondo della materia che vediamo, udiamo e sentiamo,
sia il mondo reale, l’oggetto dei sensi. Il mondo oggettivo è chiamato
realtà. Vediamo il mondo della materia, conveniamo sulla sua esistenza, lo
udiamo, lo gustiamo, lo tocchiamo, o addirittura concordiamo su una
percezione o sul nome da attribuirle. Ma anche quella percezione è un
oggetto, non è così? Dato che la coscienza crea l’impressione che esistano
un soggetto e un oggetto, crediamo di star osservando qualcosa che è
separato da noi.

Il Buddha, tramite i suoi insegnamenti, portò alle ultime conseguenze il
rapporto soggetto-oggetto. Insegnò che tutte le percezioni, tutte le
condizioni che ci attraversano la mente, tutte le emozioni, le sensazioni,
gli oggetti del mondo materiale che vediamo e udiamo, sono impermanenti.

Disse: “Ciò che sorge, svanisce”. E questa, lo ripete in tutti i suoi
insegnamenti, è la visione profonda che ci libera da ogni forma di
illusione. Ciò che sorge, svanisce.

Si può definire la coscienza anche come capacità di conoscere, esperienza
del conoscere. Il soggetto che conosce l’oggetto. Quando guardiamo gli
oggetti e gli diamo un nome, pensiamo di conoscerli. Pensiamo di conoscere
questa o quella persona perché sappiamo il suo nome o ci ricordiamo di lei.
Pensiamo di conoscere cose di tutti i tipi perché ce ne ricordiamo. La
capacità di conoscere, a volte, è condizionata: sapere che, piuttosto che
conoscere direttamente qualcosa.

La pratica buddhista consiste nel rimanere in quella pura attenzione in cui
si trova ciò che chiamiamo conoscenza intuitiva, o conoscenza diretta. È una
conoscenza non fondata sulla percezione, su un’idea, su una posizione, o una
dottrina, ed è possibile solo tramite l’attenzione. Ciò che intendiamo per
attenzione è la capacità di non attaccarci ad alcun oggetto, che appartenga
al regno materiale o al regno mentale. Quando non c’è l’attaccamento, la
mente è in uno stato di pura consapevolezza, intelligenza e chiarezza.

Questa è l’attenzione. La mente è pura e ricettiva, sensibile alle
condizioni esistenti. Non è più una mente condizionata che si limita a
reagire al piacere e al dolore, alla lode o al biasimo, alla felicità e alla
sofferenza.

Se adesso, per esempio, vi arrabbiate, potete seguire la rabbia. Potete
crederle e continuare a riprodurre quell’emozione, oppure potete soffocare
la rabbia e cercare di interromperla per paura o per avversione. Tuttavia,
invece di comportarvi in uno dei due modi, potete pensare alla rabbia come a
qualcosa che può essere osservato. Ora, se la rabbia fosse il nostro vero
sé, non la potremmo osservare; ecco ciò che intendo per “riflessione”. Che
cos’è che può osservare e riflettere sulla sensazione della rabbia? Che
cos’è che può esaminare e investigare la sensazione, il calore del corpo, o
lo stato mentale? Quella che osserva e investiga, è ciò che chiamiamo mente
riflessiva. La mente umana è una mente riflessiva.

– La rivelazione della verità comune a tutte le religioni

Possiamo porci domande quali: chi sono io? perché sono nato? che cos’è la
vita? cosa succede quando muoio? la vita ha un significato o uno scopo?
Poiché pensiamo che altri conoscano ciò che noi non conosciamo, gli
chiediamo delle risposte, invece di aprire la mente e aspettare pazienti e
vigili che sia la verità a rivelarsi. La rivelazione è possibile, tramite
l’attenzione e la vera consapevolezza. La rivelazione della verità, o della
realtà suprema, è l’essenza dell’esperienza religiosa. Quando ci leghiamo al
divino, e in quel vincolo impegniamo la totalità del nostro essere, facciamo
sì che la rivelazione della verità che chiamiamo visione profonda, una
visione profonda che sia vera e intensa, penetri nella natura delle cose.

Anche la rivelazione è ineffabile. Le parole non sono assolutamente in grado
di esprimerla. Ecco perché le rivelazioni possono essere molto diverse. Il
modo in cui vengono esposte o si concretano nelle parole può variare
all’infinito.

Perciò le rivelazioni di un buddhista hanno un’aria molto buddhista e le
rivelazioni di un cristiano danno un’impressione molto cristiana, il che è
abbastanza giusto. Non c’è niente di sbagliato in questo. È necessario però
riconoscere i limiti della convenzione del linguaggio. Dobbiamo carpire che
il linguaggio non è vero né reale in senso assoluto; è un tentativo di
comunicare ad altri la realtà ineffabile.

È interessante vedere quanta gente oggi cerchi una meta religiosa. Un paese
come l’Inghilterra, prevalentemente cristiano, ha ora molte religioni. Ci
sono tanti incontri interconfessionali e in questo paese si fanno molti
tentativi per capire l’uno la religione dell’altro. Possiamo rimanere a un
livello elementare e sapere semplicemente che i musulmani credono in Allah,
che i cristiani credono in Cristo e i buddhisti in Buddha. Ma quello che mi
interessa è andare al di là delle convenzioni e arrivare a una vera
comprensione, alla comprensione profonda della verità. Questo è un modo di
parlare buddhista.

Oggi abbiamo l’opportunità di lavorare in direzione di una verità comune a
tutte le religioni; possiamo iniziare ad aiutarci l’un l’altro. Di questi
tempi, convertire la gente, o competere gli uni con gli altri, non sembra
avere alcuna utilità o valore. Invece di cercare di convertire, la religione
può farci risvegliare alla nostra vera natura, alla vera libertà, all’amore
e alla compassione. È un modo di vivere in piena sensibilità, completamente
ricettivi, così da godere del mistero e delle meraviglie dell’universo per
il resto della vita, e aprirci ad esse.

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