Il buddhismo… originale

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Il buddhismo… originale

di Eugenia Romano – giugno 2000

Gautama Buddha, vissuto intorno al VI – V sec. a.C., è sotto certi aspetti vicino all’orientamento
upanisadico a lui contemporaneo, che si pone in modo critico rispetto al ritualismo vedico e al suo
elaborato sacramentalismo. Ma, laddove il brahmanesimo upanisadico si presenta come una riforma del
brahmanesimo rituale e non come un rifiuto – il sistema rituale viene lasciato sostanzialmente
inalterato per coloro che vogliano seguirlo – Gautama contesta ogni forma di rituale, specialmente
il rituale sacrificale, e ridimensiona le pretese dei brahmana.
Negli scritti risalenti alla tradizione vaisnava, è riportato che all’epoca in cui vive il Buddha,
la classe brahminica ha raggiunto livelli di degradazione molto alti.

Perché la gente smetta di avere questi brahmana come proprio punto di riferimento spirituale, il
Buddha dichiara nulla l’autorità dei Veda – le scritture rivelate – di cui essi fanno uso distorto,
al fine di trovare elementi che giustifichino la loro condotta. Al solo scopo di ottenere benefici
materiali, i brahmana sono dediti, fra l’altro, a sacrifici cruenti di animali. La scusa addotta è
l’esecuzione di yajna prescritti dai Veda; in realtà tali riti sono consigliati dalle suddette
scritture solo in occasioni molto circostanziate. Il punto di vista vaisnava è che il Buddha, nel
discutere il principio dell’ahimsa, dichiari l’inutilità dei sacrifici vedici, al fine di porre
termine ad una inutile e reiterata strage di creature innocenti.

Il Buddha, il realtà, non si oppone solo al ritualismo brahmanico ma anche all’esagerato ascetismo –
consistente delle innumerevoli ‘eresie’ mistico-ascetiche sviluppatesi in margine alla società
indiana – e alle sue distorcenti ed infruttuose dottrine speculative che lo hanno preceduto. La sua
è una riflessione critica sul modello religioso preesistente, di cui condanna, per la loro
intrinseca inutilità ogni dogmatismo, ogni vincolante apriorismo, qualunque acritica e irriducibile
presa di posizione che inibiscono, attraverso il filtro di illusorie determinazioni concettuali,
l’individuazione stessa della verità.

In un’opera buddhista, il Suttanipata, leggiamo: “Da tutti i Dhamma distaccato, da quanto è stato
udito, visto e pensato,… Come potrebbe nel mondo qualcuno alterare Lui, che è il Veggente che senza
impedimento procede? Essi (i Saggi) non si formano concetti, non preferiscono alcune (teorie), “io
sono infinitamente puro”, non dicono così: avendo sciolto il nodo dell’attaccamento nulla essi
bramano in nessun luogo del mondo .

Tuttavia il buddhismo, in quanto prodotto ‘eretico’ della cultura brahmanica, eredita dal genitore
ortodosso due aspetti filosofici fondamentali: la concezione della relatività dell’esperienza
spazio-temporale e l’importanza della meditazione come mezzo di accesso alla trascendenza.
Soprattutto nell’espressione upanisadica della tradizione brahminica, laddove è detto che
l’esistenza mondana è dolore e la via per sottrarsi all’angosciante ruota samsarica è un retto
processo conoscitivo, esso riscontra il fulcro delle quattro nobili verità, di cui è portavoce.

Pure la dottrina buddhista si spinge oltre le Upanisad, in quanto rifiuta di postulare l’esistenza
di un Brahman, puro spirito assoluto, immortale, eterno (come fa la speculazione upanisadica), non
perchè essa neghi una realtà ultima, incondizionata, di là dal flusso eterno dei fenomeni cosmici e
psicomentali, ma perché vuole evitare di creare falsi idola mentis che possono stagliarsi a mò di
schermo tra l’uomo e la realtà assoluta. Il nirvana può, difatti, essere ‘visto’ solo con l’’occhio
dei santi’, vale a dire con un ‘organo’ trascendente, che non partecipa più al mondo caduco,
forgiato mediante l’Ottuplice Sentiero .

I darsana indiani dichiarano che ciò che è eterno si trova già nello stesso mondo empirico, sotto
forma di atomi eterni, di anime eterne, del Dio eterno che pervade ogni cosa, ecc. Quest’ultimo
punto di vista è ovviamente abbracciato in toto da Prabhupada e dalla tradizione che rappresenta,
che trova inconsistente la teoria buddhista, secondo cui nel cerchio delle esistenze non vi sono
sostanze spirituali eterne e, anzi, il ritenere che vi siano pone le condizioni necessarie per una
permanenza nel ciclo delle rinascite. Secondo tale punto di vista buddhista, la personalità empirica
è originata dalle mutevoli conbinazioni dei dharma, suddivise in cinque khandha – in sanscrito
skandha – (gruppi): rupakkhanda (corporeità sensoriale), vedanakkhanda (aggrregato delle
sensazioni), sannakkhanda (aggregato delle percezioni), samkharakkhandha (aggregato delle formazioni
mentali o impulsi), vinnanakkhandha (aggregato della coscienza). Questi khandha dipendono gli uni
dagli altri; così anche il vinnanakkhandha, che più si avvicina come concetto a quello di anima, non
è né autonomo né indipendente da altro. Come il fuoco viene definito in base al materiale del suo
combustibile (un fuoco che arda per mezzo di legna viene definito fuoco di legna; un fuoco che arda
per mezzo di paglia è definito fuoco di paglia, ecc.), così la coscienza viene definita in base alle
condizioni per mezzo delle quali nasce: in dipendenza di un occhio (cioè della facoltà di vedere) e
di forme (cioè di oggetti visibili) si origina una coscienza visiva; in dipendenza di un orecchio e
di suoni si origina una coscienza uditiva, ecc. In tal modo, la suddetta coscienza nasce solo se vi
sono le condizioni necessarie e cessa non appena queste non vi sono più .

Spesso il buddhismo usa la metafora del carro per spiegare la personalità umana: alla stregua di un
carro che è costituito di varie parti, quali il timone, le ruote, ecc., e contiene solo quelle, l’io
è costituito da un fiume di dharma in continuo scorrere, è un fascio di percezioni differenti che si
susseguono con inconcepibile velocità e sono in perpetuo fluire e movimento. Ma l’incongruenza che
le altre tradizioni, fra cui quella vaisnava, riscontrano in questa teoria è che essa, pur avendo
confutato l’esistenza di una monade spirituale dimorante nel corpo, sostiene una rimunerazione
karmica; però, una rimunerazione attraverso le rinascite è concepibile solo ammettendo una sostanza
spirituale immutabile. Il buddhismo ribatte avvalendosi della formula delle ‘genesi condizionata’
(in pali paticcasamuppada, in sanscrito pratityasamutpada). E’ il metodo sintetico secondo il quale
niente nel mondo è assoluto. Ogni cosa è condizionata, relativa e interdipendente:

“…esistendo che cosa, c’è vecchiezza e morte?… quando ci sia nascita
ci sono vecchiaia e morte, perché vecchiaia e morte sono in base
alla nascita (jati).
… quando esista l’esistenza (bhava) c’è la nascita.
…quando esista l’attaccamento (upadhana) c’è l’esistenza.
…quando esista la sete (tanha, scr. trsna) c’è l’attaccamento.
…quando esista la sensazione (vedana) c’è la sete.
…quando esista il contatto (phassa, sparsa) c’è la sensazione.
…quando esistano i sei organi sensori (sal-ayatana, sad-ayatana) c’è il contatto.
…quando esista l’individuo (namarupa) ci sono i sei organi.
…quando esista la coscienza (vinnana) c’è l’individuo.
…quando esistano le predisposizioni (samskara) c’è la coscienza.
…quando esista l’ignoranza (avijja, avidya) ci sono le predisposizioni” .

Ogni fattore di questa formula è relativo ed interdipendente, ne consegue, pertanto, che non esiste
una causa prima, da cui scaturiscano tutte le altre. La ‘genesi condizionata’ va considerata come un
cerchio di dodici cause (nidana), e non come una catena. Nel suo ambito, ciò che per altre dottrine
ha significato di essenza immortale come, ad esempio, il namarupa o il vinnana, rientra in uno dei
dodici nidana, dunque ha esistenza condizionata. E, “tutte le cose condizionate sono impermanenenti.
Tutte le cose condizionate sono duhkha” .

Il buddhismo conferisce un’importanza notevole allo sforzo personale. I tathagata possono solo
indicare la strada verso la salvazione, che ognuno ha da compiere da solo. Questo principio di
responsabilità personale è, in un certo qual modo, l’estrinsecazione delle concezione buddhista
secondo cui, non essendovi la grazia benevola di un dio che agevoli il cammino verso
l’emancipazione, l’uomo può contare solo sulle proprie forze.

da Isvara.org

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