Da: Autobiografia di uno Yoghi
di Paramahansa Yogananda
Ediz. Astrolabio
CAPITOLO XXXIV
IL CONVEGNO INCANTATO SULL’HIMALAYA
“Il primo incontro di Lahiri Mahasaya con Babaji è una storia affascinante, una delle poche che ci dia un’immagine particolareggiata del Guru immortale”, disse Swami Kebalananda come preambolo a uno straordinario racconto. La prima volta che l’udii rimasi muto dallo stupore. In seguito costrinsi il mio gentile professore di sanscrito a ripeterlo in molte altre occasioni. La stessa narrazione mi fu fatta più tardi anche da Sri Yukteswar, e quasi con le identiche parole. Questi due discepoli di Lahiri Mahasaya avevano raccolto dalle stesse labbra del loro Guru l’impressionante episodio.
“Il mio primo incontro con Babaji avvenne nel mio trentatreesimo anno di vita”, aveva detto Lahiri Mahasaya. “Nell’autunno del 1861 mi trovavo nella sede di Danapur, quale funzionario governativo nel Dipartimento del Genio Militare. Una mattina il direttore d’ufficio mi chiamò:”
“- Lahiri – disse – un telegramma è giunto or ora dalla sede centrale. Dovete esser trasferito a Ranikhet, dove si sta organizzando una base militare”.
“Con un unico servo partii per il mio viaggio di 500 miglia. Un po’ a cavallo e un po’ in calessino, giungemmo in trenta giorni a Ranikhet nell’Himalaya”.
“I miei doveri d’ufficio non erano onerosi. Potevo passare molte ore a vagabondare per le magnifiche montagne. Poiché mi era giunta voce che dei grandi asceti santificavano quella regione con la loro presenza, sentivo in me un gran desiderio d’incontrarli.
Durante una passeggiata di primo pomeriggio, fui stupito nell’udire una voce lontana che mi chiamava per nome. Continuai l’impervia salita sul monte Drongiri. Ero un po’ preoccupato al pensiero che forse non avrei saputo trovare la via del ritorno prima che la notte scendesse sulla jungla.
Alla fine giunsi a una piccola spianata i cui lati erano punteggiatí da grotte. In piedi su una delle sporgenze rocciose, un giovane sorridente mi tendeva la mano in segno di benvenuto. Notai con meravíglia che, eccetto per i suoi capelli color rame, egli mi somigliava molto.
“- Lahiri, sei venuto! – Il Santo mi rivolse affettuosamente la parola in indi. – Riposati in questa grotta. Sono io che t’ho chiamato,”
“Entrai in una linda, piccola grotta in cui erano varie coperte di lana e alcuni kamandalu (ciotole per l’acqua)”.
“Lahiri, rammenti questo posto?” – E lo yoghi m’indicò una coperta piegata in un angolo.
“- No, signore. – Un po’ confuso per la stranezza della mia avventura, aggiunsi: – Devo andarmene adesso, prima che scenda la notte. Ho da lavorare domattina in ufficio.”
“Il misterioso Santo rispose in inglese: – L’ufficio è stato fatto per te, non tu per l’ufficio”.
“Ero strabiliato che questo asceta della foresta non solo parlasse in inglese, ma parafrasasse le parole del Cristo”.
“- Vedo che il mio telegramma ha raggiunto il suo scopo”. – Le parole dello yoghi mi erano incomprensibili; gliene chiesi spiegazione.
“- Mi riferisco al telegramma che ti chiamava in questi luoghi solitari. Fui io a suggerire silenziosamente al tuo superiore di trasferirti qui. Quando si sente la propria unità con tutti gli uomini, tutte le menti divengono stazioni trasmittenti per il cui tramite si può agire a volontà. E dolcemente aggiunse: – Lahiri, questa grotta certamente la conosci”.
“Poiché serbavo un silenzio impacciato, il Santo si avvicinò e mi colpì lievemente sulla fronte. Al suo tocco magnetico, una miracolosa corrente mi attraversò il cervello, liberando le dolci memorie assopite della mia precedente vita”.
“- Rammento! – La mia voce era spezzata da gioiosi singhiozzi”.
Voi siete il mio Guru Babaji, che mi appartiene da sempre! Le scene del passato mi ritornano vive alla memoria; questa è la grotta in cui ho trascorso tanti anni della mia ultima incarnazione! – Ineffabili ricordi m’invasero e piangendo abbracciai i piedi del mio Maestro.
“- Per più di tre decenni ho atteso che ritornassi a me! – La voce di Babají risuonava di amore celestiale. – Sei scivolato via e sei scomparso nelle tumultuose onde della vita al di là della morte. La bacchetta magica del tuo karma ti toccò, e te ne andasti.
Sebbene tu non fossi più conscio di me, io non ti ho mai perduto di vista. Ti ho inseguito sul luminescente mare astrale dove veleggiavano gli angeli gloriosi. Attraverso il buio, le tempeste, gli sconvolgimenti e la luce, io ti ho seguito come un uccello madre che protegge i suoi piccoli. Mentre vivevi la tua vita uterina, e quando venisti al mondo, il mio occhio era sempre su di te.
Quando nella tua fanciullezza sistemavi le tue pilecole membra nella posizione del loto sotto le sabbie di Nadia, ero presente benché invisibile. Pazientemente, mese per mese, anno per anno, ho vigilato su di te attendendo questo giorno perfetto. Ora sei con me! Guarda! Ecco la grotta che amavi. L’ho sempre serbata pulita e pronta per te. Questa è la tua sacra coperta per gli asana dove sedevi ogni giorno per colmare di Dio il tuo cuore che si allargava. Ecco la tua ciotola da cui tanto spesso bevesti il nettare preparato da me! Guarda come ti ho serbato lucida la coppa di rame, affinché tu vi possa bere ancora. Creatura mia, comprendi adesso?
” – Mio Guru, che posso dire? – mormorai con voce rotta”.
” Dove mai si è visto un simile amore immortale? – Guardai a lungo estasi il mio eterno tesoro, il Guru, mio nella vita e nella morte.
“- Lahiri, hai bisogno di purificarti. Bevi l’olio di questa ciotola e sdraiati accanto al fiume. – La pratica saggezza di Babaji, pensai con un rapido sorriso pieno di reminiscenze, predominava sempre.
“Ubbidii alle sue istruzioni. Scendeva la gelida notte dell’Himalaya, eppure una calda radiazione confortante cominciò a pulsare in me. Me ne meravigliai. Quell’ignoto olio era fosse dotato di un calore cosmico?
“Il vento tagliente mi sferzava nel buio, urlando la sua sfida feroce. Le gelide onde del fiume Gogash ogni tanto lambivano il mio corpo disteso sulle rive rocciose. Ululavano le tigri vicine, ma il mio cuore era libero da ogni paura. La forza irradiante che si era generata in me mi dava la certezza di una protezione invincibile. Le ore passavano rapide; memorie sbiadite di un’altra vita s’intessevano nel brillante disegno della mia nuova unione col mio Guru divino.
“Le mie solitarie fantasie furono interrotte da un rumore di passi che si avvicinavano. Nel buio, la mano di un uomo mi aiutò gentilmente a rialzarmi e mi diede delle vesti asciutte.
“- Vieni fratello, – disse il mio compagno, – il Maestro ti attende. – E mi guidò attraverso la foresta. Giunti che fummo a una svolta del sentiero, l’oscura notte si illuminò ad un tratto, in lontananza, di una luminosità costante.
“- E’ già l’alba? – chiesi. – Non è possibile che già sia trascorsa tutta la notte.
“- E’ mezzanotte. – La mia guida rise piano. – Quella luce è il fulgore di un palazzo d’oro che l’impareggiabile Babaji ha materializzato qui in questa notte. Nell’oscuro passato, una volta tu esprimesti il desiderio di godere delle bellezze di un palazzo. Il Maestro ora appaga il tuo desiderio, liberandoti del tuo ultimo vincolo karmico. E aggiunse: Il magnifico palazzo sarà questa notte teatro della tua íniziazione al Kriya Yoga. Tutti i tuoi fratelli qui si uniscono in un peana di gioia, esultanti perché il tuo lungo esilio è giunto alla fine. Guarda!
“Un immenso palazzo d’oro splendente si ergeva dinanzi a noi.
Tempestato d’innumerevoli pietre preziose e posto in mezzo a magnifici giardini panoramici dove tranquilli laghetti riflettevano la sua immagine, esso offriva uno spettacolo di grandiosità impareggiabile. Le altissime arcate erano elaboratamente ornate di grandi brillanti, zaffiri e smeraldi. Uomini dai visi angelici sostavano presso cancelli che risplendevano rossi della luce di scintillanti rubini.
“Seguii il mio compagno in una grande sala da ricevimento. Il profumo d’incenso e di rose impregnava l’aria; lampade velate spargevano una dolce luce multicolore. Piccoli gruppi di devoti, alcuni di pelle chiara, altri scuri, cantavano armoniosamente o sedevano in meditazione, immersi nella pace interiore. Una gioia vibrante permeava l’atmosfera.
Pasci i tuoi occhi, godi degli artistici splendori di questo palazzo, perché esso è stato realizzato solo in tuo onore. – La mia guida sorrise comprensiva quando proruppi in esclamazioni di meraviglia.
“- Fratello, – dissi, – la bellezza di questo edificio sorpassa i limiti d’ogni immaginazione umana. Ti prego, chiariscimi il mistero della sua origine.
“- Ti illuminerò ben volentieri. – Gli occhi scuri dei mio compagno brillavano di saggezza. – In realtà non vi è nulla d’inspiegabile in questa materializzazione. Tutto il cosmo non è che un pensiero proiettato del Creatore. Questa greve zolla terrestre che fluttua nello spazio è un sogno di Dio. Egli fece tutte le cose creandole dalla Sua mente, così come l’uomo, nella coscienza del sogno, riproduce e dà vita a una creazione con le sue creature.
“_ Dio creò la Terra dapprima come idea, indi la ravvivò; l’energia atomica e poi la materia iniziarono la loro esistenza. Egli coordinò gli atomi in modo che formassero questa solida sfera; tutte le sue molecole sono tenute in coesione dalla volontà di Dio. Quando Iddio ritirerà la Sua volontà, gli atomi della terra si trasformeranno di nuovo in energia. L’energia atomica ritornerà alla sua origine: la coscienza; la terra-idea scomparirà dall’oggettività.
“- La sostanza di un sogno è foggiata dal pensiero subconscio di chi sogna. Quando quel pensiero creativo viene annullato dal risveglio, il sogno e i suoi elementi si dissolvono. Un uomo può chiudere gli occhi e edificare una creazione di sogno, che al risveglio egli dissolve senza alcuno sforzo; quell’uomo segue il modello-archetipo divino. Analogamente, quando si ridesterà nella Coscienza Cosmica, egli dissolverà senza sforzo le illusioni dei sogno terrestre.
“- Babaji, essendo unito alla Volontà Infinita che effettua ogni cosa, è in grado di imporre agli atomi elementari di organizzarsi e manifestarsi in qualsiasi forma. Questo palazzo d’oro, creato in un solo istante, è reale com’è reale questa nostra terra. Babaji creò questo stupendo edificio dalla sua mente e ne mantiene in coesione gli atomi con la forza della sua volontà, così come Iddio creò la terra e la Sua volontà la mantiene in esistenza. – E aggiunse: – Quando questo edificio sarà servito al suo scopo, Babají lo dissolverà.
” Siccome me ne stavo in reverente silenzio, la mia guida fece un largo gesto: Questo risplendente palazzo ornato di splendide gemme non è stato eretto da nessuno sforzo umano; né l’oro e le gemme furono estratti faticosamente da qualche miniera. L’edificio è solido e incrollabile: una monumentale sfida all’uomo. Chiunque, come Babaji, si realizzi quale figlio di Dio, può raggiungere qualsiasi scopo usando gli infiniti poteri che si celano in lui.
Una comunissima pietra racchiude in sé i meravigliosi segreti dell’energia atomica; così pure il più umile dei mortali è un serbatoio della potenza divina.
” Il saggio raccolse da una tavola un grazioso vaso il cui manico scintillava di diamanti. – Il nostro grande Guru ha creato questo palazzo solidificando miriadi di raggi cosmici liberi, – egli proseguì. Tocca questo vaso e i suoi diamanti; essi reggeranno ad ogni esame dei tuoi sensi.
“Esaminai il vaso. Le sue gemme erano degne della collezione di un re. Passai la mano sulle lisce pareti della stanza, che erano d’oro massiccio e lucente.. Una profonda soddisfazione invase la mia mente; un desiderio sommerso, celato nel mio inconscio da vite ormai passate, sembrava essere simultaneamente appagato ed estinto.
“Il mio augusto compagno mi condusse attraverso ornati portici e corridoi in una serie di stanze riccamente ammobiliate nello stile di un palazzo imperiale. Entrammo in un’immensa sala. Nel centro stava un trono d’oro ornato di gioielli rutilanti in un brillante arcobaleno di colori. Qui, assiso nella posizione del loto, stava il supremo Babaji. M’inginocchiai sul rilucente pavimento ai suoi piedi.
“- Lahiri, stai ancora pascendoti del tuo sogno di un palazzo d’oro? – Gli occhi del mio Guru brillavano come i suoi zaffiri. “- Svegliati! Tutti i tuoi desideri terreni saranno fra breve estinti per sempre. Mormorò alcune mistiche parole di benedizione.
Figlio mio, alzati. Ricevi la tua iniziazíone al regno di Dio attraverso il Kriya Yoga.
“Babaji stese una mano e apparve un fuoco homa (sacrificale) circondato da frutti e fiori. Dinanzi a questo fiammeggiante altare fui iniziato alla tecnica yoga liberatrice.
“I riti terminarono alle prime luci dell’alba. Non sentivo il bisogno di dormire in quel mio stato d’estasi, e giravo per il palazzo colmo da ogni.parte di tesori e squisiti oggetti d’arte. Quando discesi nei fragranti giardini, osservai lì vicino le stesse caverne e le nude rocce che ieri non vantavano la vicinanza di alcun palazzo né di terrazze fiorite.
“Rientrando al palazzo, scintillante in modo fiabesco nel freddo sole dell’Hímalaya, cercai il mio Maestro. Era ancora seduto sul suo trono, circondato da molti silenziosi discepoli.
“- Lahiri, – disse, – tu hai fame. Chiudi gli occhi.
“Quando li riaprii, l’incantevole palazzo e i suoi pittoreschi giardini erano scomparsi. Il mio corpo e le forme di Babaji e dei discepoli erano ora seduti tutti sulla nuda terra, nel punto esatto del palazzo scomparso, non lontano dagli ingressi delle grotte rocciose, ora toccati dal sole. Rammentai che la mia guida aveva detto che il palazzo sarebbe stato smaterializzato, e i suoi atomi imprigionati sarebbero stati liberati per ritornare nelle essenze-pensiero dalle quali erano venuti. Benché stordito, guardai fiducíoso il mio Guru. Non sapevo che cosa attendermi da questo giorno di miracoli.
“- Lo scopo per cui il palazzo fu creato, ora è raggiunto, – spíegò Babají. Prese da terra un recipiente di terracotta: – Metti qui la mano e ricevi il cibo che desideri.
“Non appena ebbi toccato la larga ciotola vuota, essa si riempì di luchi caldi imburrati, curry e dolci. Mi servii osservando che il recipiente rimaneva sempre pieno. Alla fine del pasto mi guardai intorno cercando dell’acqua. Il mio Guru m’indicò la ciotola che avevo dinanzi, ed ecco che il cibo era sparito; al suo posto vi era dell’acqua, chiara come quella di un ruscello montano.
“- Pochi mortali sanno che il regno di Dio include anche il regno degli esaudimenti terreni – osservò Babaji. – Il reame divino si estende a quello terreno; ma quest’ultimo, essendo illusorio, non può includere l’essenza della Realtà.
“- Amato Guru, questa notte mi avete dato una dimostrazione dei legami esistenti fra la bellezza celeste e quella -terrena!
“Sorrisi, ricordando il palazzo svanito; certamente nessun semplice yoghi aveva mai ricevuto l’iniziazione agli augusti misteri dello Spirito in un ambiente più spettacolare e lussuoso!
Osservai con occhio tranquillo lo stridente contrasto con la scena attuale. L’arido suolo, la volta celeste, le caverne che offrivano un rifugio primitivo, tutto sembrava una graziosa cornice naturale per i seraficí Santi che mi circondavano.
“Quel pomeriggio rimasi seduto sulla mia coperta, santificato dai ricordi di realizzazioni raggiunte in vite passate. Il mio divino Guru si avvicinò e passò la mano sul mio capo. Entrai nello stato del nirbikalpa samadhi, e rimasi in quel rapimento ininterrottamente per sette giorni.. Attraversando i successivi strati dell’autoconoscenza, penetrai nei reami immortali della Realtà. Tutte le limitazioni illusorie si dileguarono. La mia anima si stabilì pienamente sull’altare dello Spirito Cosmico.
All’ottavo giorno caddi ai piedi del mio Guru e lo implorai di tenermi sempre accanto a sé, in quel sacro luogo selvaggio.
“- Figlio mio, – disse Babaji abbracciandomi, – la parte che ti è affidata in questa incarnazione deve svolgersi dinanzi agli occhi delle moltitudini. Già benedetto nel tuo stato prenatale da molte vite di solitaria meditazione, tu devi ora’ mescolarti al mondo degli uomini.
“- Una profonda ragione -giustifica il fatto che tu non mi abbia incontrato questa volta prima d’essere già un uomo sposato, con delle modeste responsabilità familiari e di lavoro. Devi mettere da parte il pensiero di volerti unire al nostro gruppo segreto nell’Himalaya: la tua vita deve essere vissuta tra la folla cittadina, per fornire l’esempio di uno yoghi capofamiglia ideale.
“- Le grida di molti esseri umani sperduti nel mondo non sono giunte invano álleorecchie dei Grandi – egli continuò. – Tu sei stato prescelto per portare, mediante il Kriya Yoga, conforto spirituale a molti cercatori sinceri. Milioni di persone inceppate dai legami familiari e dai pesanti doveri dei mondo attingeranno da te nuova speranza, poiché anche tu sei un capofamiglia come loro.
Dovrai dimostrare loro che i più alti conseguimenti yoga non sono negati all’uomo che è a capo di una famiglia. Anche stando nel mondo, lo yoghi che onestamente adempie le proprie responsabilità senza un movente o attaccamento personale, percorre la via sicura dell’illuminazione.
“- Nessuna necessità ti costringe a lasciare il mondo, poiché interiormente hai già spezzato ogni legame karmico con esso. Pur non appartenendo a questo mondo, devi vivere in esso. Molti anni ti restano ancora, durante i quali dovrai coscienziosamente ottemperare ai tuoi doveri familiari, civili, lavorativi e spirituali. Un dolce e nuovo soffio di divina speranza penetrerà negli aridi cuori degli uomini nel mondo. Osservando la tua vita equilibrata essi comprenderanno che la liberazione dipende dalle rinunzie interiori, più che da quelle esteriori.
“Come mi sembravano lontani la mia famiglia, l’ufficio, il mondo, mentre ascoltavo il mio Guru sulle alte solitudini dell’Himalaya! Eppure una verità adamantina risuonavo nelle sue parole. Con sottomissione accettai di abbandonare quel benedetto porto di pace.
Babaji mi istruì nelle antiche e rigide norme che governano la trasmissione dell’arte yoga dal guru al discepolo.
“- Affida la chiave del Kriya Yoga solo a dei chela qualificati, disse Babaji. Chi fa voto di sacrificare tutto alla ricerca del Divino è idoneo a sciogliere gli ultimi misteri della vita tramite la scienza della meditazione..
“- Angelico Guru, poiché avete già favorito l’umanità facendo risorgere la perduta arte del Kriya, non volete accrescere tale beneficio allentando le severissime regole imposte per il discepolato? – chiesi, fissando supplichevole Babaji. – Ve ne prego, permetteterni di comunicare il Kriya a tutti coloro che cercano sinceramente, anche se a tutta prima non possono votarsi alla completa rinuncia interiore. Il genere umano, torturato, perseguitato da un triplice ordine di sofferenze, ha bisogno di uno speciale incoraggiamento.. Questa gente potrebbe non tentare mai la via della liberazione, se l’íniziazíone Kriya fosse loro negata.
“- Così sia. La Volontà Divina è stata espressa attraverso te.
“Con queste semplici parole il Guru misericordioso annullò le rigorose barriere che per secoli avevano sottratto il Kriya alla conoscenza del mondo: – Offri liberamente il Kriya a tutti coloro che umilmente cercano aiuto.
“Dopo una pausa Babaji aggiunse: – A ognuno dei tuoi discepoli ripeti quest’alta promessa della Bhagavad Gita: ‘Swalpampyasya dharmasya, trayate mahato bhayat! [Anche solo un po’ della pratica di questo dharma (rito religioso o giusta azione) ti salverà da grandi paure (mahato bhayat): le enormi sofferenze inerenti ai cicli ricorrenti di vita e morte ].
“Quando la mattina appresso m’inginocchiai ai piedi del mio Guru per chiedergli la benedizione d’addio, Egli sentì la mia profonda riluttanza ad abbandonarlo.
“- Per noi non vi è separazione, mio amato figlio. – Mi toccò la spalla con affetto: – Dovunque tu sia, ogni volta che mi chiamerai, all’istante sarò con te.
“Consolato da questa meravigliosa promessa e ricco del mio nuovo tesoro di saggezza di Dio, ripresi la via che scendeva a valle. All’ufficio fui accolto festosamente dai miei compagni di lavoro, che per dieci giorni mi avevano creduto disperso nelle jungle dell’Himalaya. Ben presto giunse una lettera dall’ufficio centrale che diceva: ‘Lahiti ritorní all’ufficio di Danapur; il suo trasferimento a Ranikhet è dovuto a un errore. Altro funzionario doveva essere inviato per gestire l’ufficio’.
“Sorrisi, riflettendo alle vie segrete che mi avevano condotto in quel lontanissimo paesino dell’India.
“Prima di ritornare a Danapur trascorsi qualche giorno in una famiglia bengalese a Moradabad. Una comitiva di sei amici vi si riunì per salutarmi. Poiché avevo avviato la conversazione su argomenti spirituali, il mio ospite osservò malinconicamente: – Purtroppo in quest’epoca l’India manca di santi!
“- Babu, – protestai con calore, – vi sono ancora dei grandi santi in questo paese!
“In uno stato di esaltato fervore, mi sentii spinto a raccontare le mie miracolose esperienze sull’Himalaya. I miei ascoltatori rimasero educatamente increduli.
Lahiri, – disse uno di essi con blandizie, – la tua mente è stata sottoposta a una certa tensione, nell’aria rarefatta dell’Himalaya. E’ un sogno ad occhi aperti quello che ci hai raccontato.
“Ardente di tutto l’entusiasmo della verità, allora parlai senza riflettere:
“-Se lo chiamo, il mio Guru apparirà proprio qui, in questa casa!
” In tutti gli occhi passò un lampo d’interesse. Non c’era da meravigliarsi se gli amici erano avidi di assistere a tale fenomeno.
Un po’ riluttante, richiesi una camera tranquilla e due coperte di lana nuove.
“- Il Maestro si materializzerà dall’etere, – dissi. – Restate in silenzio fuori della porta. Presto vi chiamerò.
“Mi raccolsi in meditazione, chiamando umilmente il mio Guru. La camera oscurata ben presto si riempì d’una fioca e dolce luminescenza; la luminosa figura di Babaji emerse.
“- Lahiri, mi chiami per un nonnulla? – Lo sguardo del Maestro era severo. – La verità è solo per coloro che la cercano seriamente e non per quelli che provano soltanto una vana curiosità. E’ facile credere quando si vede; nessuna ricerca dell’anima è allora necessaria.
La verità ultrasensoria viene meritatamente scoperta da coloro che riescono a superare il loro naturale scetticismo materialistico. -E aggiunse con gravità: – Lasciami andare!
“Caddi supplichevole ai suoi piedi: – Santo Guru, mi accorgo del mio grave errore. Ne chiedo umilmente perdono. Era per creare la fede in quelle menti spiritualmente cieche che ho osato chiamarvi. Poiché siete graziosamente apparso alla mia preghiera, vi prego di non andar via senza aver impartito una benedizione ai miei amici. Per quanto scettici, erano pronti a verificare l’esattezza delle mie strane affermazioni.
“- Sta bene. Rimarrò un poco. Non voglio che le tue parole siano messe in dubbio dai tuoi amici. – Il volto di Babaji si era addolcito; aggiunse però con gentilezza: – D’ora in poi, figlio mio, verrò da te quando ne avrai bisogno, e non ogni volta che mi chiamerai.
“Un silenzio teso regnava nel gruppetto quando aprii la porta. Come se non credessero ai loro occhi, i miei amici fissavano la luminosa figura assisa sulla coperta.
“- Questo è ipnotismo collettivo, – disse uno di loro ridendo rumorosamente. Nessuno avrebbe potuto entrare nella stanza senza che lo vedessimo.
“Babaji avanzò sorridendo e chiese a ciascuno dei presenti di toccare la solida, calda carne del suo corpo. Scomparsi i dubbi, i miei amici si prostrarono in reverente pentimento.
“- Si prepari l’halua. – Babaji fece questa richiesta, lo sapevo, per convincere ancor più il gruppo della sua realtà fisica.
Mentre la zuppa di frumento cuoceva, il Guru divino si mise a conversare affabilmente. Grande fu la metamorfosi di quegli increduli Tommasi, trasformati in ferventi San Paoli. Dopo aver mangiato, Babaji ci benedisse tutti, uno per uno. Poi vi fu un lampo subitaneo; assistemmo all’istantanea dissoluzione degli elettroni del corpo di Babaji in una vaporosa luce diffusa. Il potere di volontà del Maestro, intonato alla volontà di Dio, aveva allentato la stretta sugli atomi eterei riuniti insieme a costituire il suo corpo; subito i miliardi di minuscole scintille vitatroniche sparirono nell’infinito serbatoio cosmico.
“- Con i miei occhi ho visto colui che vince la morte, – diceva con reverenza Maitra , uno del gruppo; e il suo viso era trasfigurato dalla gioia del suo recente risveglio. – Il Guru supremo ha giocato col tempo e con lo spazio, come un bimbo gioca con le bolle di sapone. Ho veduto uno che possiede le chiavi del cielo e della terra”.
“Presto ritornai a Danapur”, concluse Lahiri Mahasaya. “Fermamente ancorato nello Spirito, ripresi ad adempiere i molti obblighi familiari e di lavoro imposti dalla mia qualità di capofamiglia”. Lahiri Mahasaya riferì a Swami Kebalanada e a Sri Yukteswar anche un altro suo incontro con Babaji, avvenuto in circostanze che ricordavano la promessa del Guru: – Verrò sempre, quando avrai bisogno di me.
“Il fatto avvenne a un Kumbha Mela, ad Allahabad, dove mi ero recato durante una breve licenza”, raccontò Lahiri Mahasaya ai suoi discepoli. “Mentre mi aggiravo tra una folla di monaci e di sadhu venuti da paesi lontanissimi per partecipare alle sante feste, notai un asceta ricoperto di cenere che teneva in mano una ciotola da elemosine. Nella mia mente si formò l’idea che l’uomo fosse un ipocrita che portava i segni esteriori della rinuncia, senza una corrispondente grazia interiore.
“Appena ebbi oltrepassato l’asceta, i miei occhi caddero stupefatti su Babaji: era inginocchiato dinanzi a un anacoreta dai capelli intrecciati.
“- Guruji, – dissi correndo verso di lui. – Signore, che fate qui?
– Lavo i piedi a quest’uomo che ha rinunciato al mondo e poi laverò i suoi utensili da cucina. – Babaji mi sorrise come un bimbo; capii che mi ordinava in tal modo di non criticare nessuno, ma di rendermi conto che il Signore risiede ugualmente in ogni tempio umano, sia che appartenga ad esseri inferiori o superiori. E il grande Guru aggiunse: – Nel servire i sadhu, saggi o ignoranti che siano, imparo la virtù più grande e piacente a Dio più d’ogni altra: l’umiltà”.
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