IL DHARMA: UN PRESUPPOSTO IMPRESCINDIBILE.

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IL DHARMA: UN PRESUPPOSTO IMPRESCINDIBILE

di Marco Ferrini

L’uomo moderno è confuso, privo di punti di riferimento stabili e precisi che gli consentano di
navigare quietamente fra le onde della vita, colmo di angosce e timori apparentemente
insormontabili, fragile ed instabile nella psiche e pietosamente stremato da nevrosi di varia natura
ed origine che gli sottraggono, assorbendole occultamente, ingenti energie. Egli si ritrova anche
tristemente isolato ed incessantemente sballottato e trascinato verso ignote direzioni da tragici ed
incontrollabili eventi e da idee aberranti impostegli da individui più forti e prepotenti che, come
una tempesta di venti impetuosi, lo travolgono e lo costringono a naufragare, spingendo alla deriva
gli irriconoscibili resti della sua fragile imbarcazione. L’uomo della Tradizione, che basa la
propria vita su di un insieme di valori appunto tradizionali, aveva ed ha una visione cosmogonica:
vede e comprende l’universo ed è quindi in grado di individuare con precisione e certezza la propria
posizione nella vastità della manifestazione cosmica.

L’uomo cosiddetto moderno, al contrario, ha perso questi punti di riferimento e, paradossalmente,
pur avendo fatto passi da gigante nel campo della tecnologia, in particolare nel settore delle
comunicazioni, incontra serie di quasi insormontabili difficoltà nel comunicare con gli altri e con
sé stesso. Perduta gradualmente la visione organica della realtà, la coscienza della sua
inscindibile interezza, della connessione fra le parti e il tutto, si è immerso nello studio
ostinato e reiterato di frammenti, di micro-realtà scisse dall’insieme. Pur essendo diventato capace
d’inventare microscopi e altri potentissimi strumenti di indagine(1), deve alla fine riconoscere con
stupore, sgomento e persino con una punta di amarezza, che la natura materiale, come prendendosi
gioco di lui, sfugge sempre e comunque da questa impari lotta per conoscerla. La Natura è infatti
paragonabile ad una scatola cinese: una volta scoperto un aspetto se ne scorge subito un altro, dal
primo racchiuso. L’uomo moderno rischia quindi di andare incontro ad uno smarrimento traboccante
d’angoscia, un sottile ma diffuso “mal di vivere” che si radica sempre più profondamente ed
acremente negli animi (soprattutto dei più giovani) e che si aggrava una volta scoperta la mancanza
di risposte appaganti, ad ampio respiro, da parte delle varie religioni, le quali spesso impiegano
le proprie enormi energie e risorse più nella ricerca di vasti consensi popolari, che nel dare
risposte soddisfacenti ai tormentosi quesiti sul senso dell’intera vicenda cosmica; esse focalizzano
infatti gran parte dei loro interessi sulla sola sfera antropologica, cioè sull’uomo e sulle sue
problematiche. Con atteggiamento riduttivamente antropocentrico si adoperano quanto più possono
nell’elaborare fin nei minimi dettagli una politica per l’uomo, con complicati, e per questo spesso
irrealizzabili, piani economici e sociali, trascurando la semplice verità di fondo che l’uomo, se
non è in grado di individuare sé stesso nel suo contesto socio-cosmico e se non conosce sé stesso,
non essendo in grado di percepirsi nell’essenza, nella realtà trascendente, non potrà nemmeno
delineare un progetto serio per il proprio divenire(2).

Risulta quindi necessario indicare con la maggior precisione possibile la cosmogonia o disegno
universale, e l’escatologia o fine oltremondano dell’esistenza. Del progetto universale i Veda
tracciano un disegno dai contorni estremamente ampi. Cominciano col descrivere i quattro obiettivi
della vita umana evoluta(3); dharma, artha, kama e moksha, per raggiungere i quali la persona di
buona qualità articola i propri sforzi e organizza le proprie risorse al meglio. L’arte della vita
consiste nel conseguire questi obiettivi e viverli in maniera equilibrata, facendoli diventare
tutti, uno dopo l’altro o contemporaneamente, una realizzazione di successo. Dharma è l’Ordine
cosmico, la Legge di Dio, il volere del Signore, l’armonia, la sintonia di e con tutto ciò che
vibra, la forza che tutto sostiene, il principio vitale e le leggi che lo mantengono. Senza dharma i
pianeti non potrebbero mantenersi nelle loro orbite e noi non riusciremmo neanche a respirare se
cessasse il nostro rapporto col dharma.

Dharma è anche la religiosità, senza la quale non si potrebbe portare a compimento la benché minima
azione; è l’acquisizione di quella pietà minima, di quel minimo di buoni sentimenti che ci
permettono di affrontare la vita e che andranno poi espansi fino al massimo; ne occorre comunque un
minimo perché l’individuo possa vivere in mezzo alla gente, vivere nel creato e fra le creature
tutte. Col termine sanscrito bhuta vogliamo in questo contesto indicare l’essere creato; la radice
bhu infatti significa sia ‘essere’ che ‘divenire’, ma se si aggiunge la desinenza ta significa
‘creato’. Dato che l’anima è immortale(4), chi viene creato? I corpi, mentre il principio vitale,
l’atman, non viene creato: né nasce né muore. Tutte le creature nascono e muoiono solo
apparentemente; in realtà ciò che nasce e che muore sono i corpi, quegli involucri costituiti di
materia (prakriti) che l’essere immortale abita e che dall’essere rimangono sempre e comunque
distinti. Nella Bhagavadgita Krishna afferma che l’ottuplice materia(5), da noi percepita come forme
e nomi, è separata da Lui(6); e anche da noi, possiamo aggiungere: organi, tessuti e cellule sono
infatti aggregati di materia separata dal nostro vero essere. Per fare chiarezza in questo ambiente
alienato, in cui masse ottenebrate, colte da terribili crisi di identità, credono di essere il
corpo, cioè si identificano totalmente con la prakriti, occorre il dharma.

Il dharma fornisce alcune direttive fondamentali: yama e niyama(7), per vivere consapevolmente in
qualunque luogo ma soprattutto in quelli la cui atmosfera sia stata resa “incandescente” dalla
passione (rajo-guna) e tenebrosa dall’ignoranza (tamo-guna)(8). Quando la coscienza del sé si
sviluppa nella maniera corretta, cioè nel dharma, l’individuo diventa dharmya, portatore di dharma o
sostegno del dharma, ed è anche ‘sostenuto’ dal dharma. In un passo del Mahabharata(9) viene
affermato con forza che chi sostiene il dharma è dal dharma sostenuto, mentre chi calpesta il dharma
viene dal dharma schiacciato. Col sostegno del dharma si può conseguire il secondo obiettivo: artha,
ossia la prosperità economica, che di per sé non ha nessuna connotazione negativa(10), a meno che
non comporti un agire volgare, che abbrutisce il suo autore fino a fargli dimenticare i doveri
prescritti, quelli che conducono alla realizzazione spirituale. Gli shastra(11) consigliano di
conseguire questo scopo perché è indispensabile procurarsi lecitamente i mezzi per potersi
incamminare sulla via della perfezione; quando invece il ricongiungimento col Divino sarà diventato
stabile e definitivo, e solo allora, non ci sarà più bisogno di sforzi specifici per artha: il
Signore provvede direttamente. Tutto dipende quindi dall’aver fondato la propria vita sui principi
del dharma, la regola celeste, la legge divina, l’Ordine sovrano che tutto mantiene.

Osservando con attenzione i cicli naturali, possiamo rilevare la presenza di quest’Ordine divino:
gli alberi tornano a fiorire regolarmente ad ogni primavera; i giorni e le notti si avvicendano da
sempre; il sole non abbandona mai la sua orbita perché, se la mutasse allontanandosene seppur di
poco, sul nostro pianeta di formerebbero ghiacciai colossali che lo ricoprirebbero interamente; se
invece si avvicinasse, modificando la propria orbita anche solo di un impercettibile tratto,
manderebbe tutto a fuoco, l’acqua evaporerebbe, facendo scomparire la vegetazione e tutto ciò la cui
sopravvivenza deriva dall’acqua, esseri umani compresi. E’ il dharma che mantiene il sole e tutti
gli astri nella loro orbita e che rende possibile la vita sui pianeti; e fonte del dharma è l’Essere
sovrano che, col dharma, stipula un equo patto con tutte le creature, senza favorirne o penalizzarne
qualcuna. E’ solo in base al modo con cui ci rapportiamo al dharma infatti, che dovremo fronteggiare
le conseguenze delle azioni da noi compiute, sia in positivo che in negativo. E’ questo il principio
fondamentale che regge la legge del karman, la rigorosa legge eterna della remunerazione delle
azioni. Perciò l’uomo della Tradizione persegue lo sviluppo concreto e tangibile dei princìpi
fondamentali del dharma, sforzandosi costantemente e alacremente di applicarne nella vita quotidiana
gli assunti teorici, non riconoscendo nessuna reale importanza al filosofare fine a sé stesso,
avulso dalla realtà ed incapace di liberare l’essere dal problema di fondo dell’esistenza incarnata:
la sofferenza. Ricerca quindi un’intima ed autentica interiorizzazione delle leggi del dharma e la
loro espressione genuina, sia nel pensare che nel parlare ad altri, sia nel commentare gli eventi e
i mutamenti che si susseguono nella società e nella natura che nell’agire.

Dopo il conseguimento di artha sulla base del dharma, si passa a kama, termine col quale vogliamo
qui indicare la ricerca del piacere, del gioire. Se queste gioie vengono da artha, cioè se non sono
state ricercate con i mezzi altrui ma con i propri, e se questi mezzi sono stati procurati sulla
base di dharma, di regole morali, etiche e spirituali(12), allora sorge la gioia, il senso di
soddisfazione che segue alla realizzazione del piacere. Per essere più precisi va detto in tal caso
che la ricerca del piacere cessa di essere ossessiva e non condiziona più la mente dell’individuo al
punto da indurlo a fare scelte sbagliate pur di ottenere stimoli meramente sensoriali. Quando
conseguiti in armonia con l’Ordine divino i cosiddetti piaceri sono anch’essi potenzialmente in
grado di condurre l’uomo alla riflessione e gradualmente al distacco, per poi consentirgli di
dedicarsi unicamente, con quiete e lucidità, al perseguimento del quarto degli scopi che, secondo i
Veda, caratterizza l’uomo evoluto: moksha, la liberazione definitiva dalle illusioni,
dall’identificazione con la materia e dagli attaccamenti mondani, cioè da quelle che sono le
sorgenti del dolore(13). Pertanto, dare all’uomo una cornice ampia, universale, informazioni non
solo sulla dimensione dello spirito ma anche sulla varietà della manifestazione cosmica e, come
abbiamo spiegato poc’anzi, rivelargli il dharma e le sue regole fondamentali, tutto ciò significa
fornirgli da subito gli strumenti essenziali per progettare, costruire giorno per giorno e quindi
determinare il proprio avvenire. La messa a disposizione di questi strumenti costituisce la più
elevata attività umanitaria, che però arreca benefici non solo all’uomo ma anche a tutte le creature
e all’ambiente, inteso come micro e macro-sfera. Una visione dell’universo basata su di una
concezione spiccatamente e dichiaratamente antropocentrica sarebbe una riduzione a dir poco
inquietante, che implicherebbe una drastica riduzione delle capacità e delle potenzialità di
realizzazione spirituale.

L’uomo non ha una posizione centrale. La concezione vedico-vaishnava dell’universo è teocentrica: è
Dio il motore dell’universo. E’ il supremo, dolce desiderio di Dio che provvede a tutto. E se tutte
le creature, in particolar modo l’uomo, ponessero il Signore al centro delle proprie attenzioni,
della propria cura, dei propri pensieri, delle proprie parole, tutto ciò che vorrebbero ottenere si
presenterebbe quasi spontaneamente, con difficoltà ridotte in proporzione a quanto si saranno
concentrate nella contemplazione di Dio; e tutte le azioni così compiute andrebbero a beneficio non
solo degli uomini ma, come detto, di tutte le creature. Al contrario, se in una sorta di ossessione
antropocentrica e quindi in un ennesimo feticismo di specie, l’uomo fosse portato a considerare
degna di cure ed attenzioni soltanto la propria specie, non sarebbe neanche in grado di mantenere in
salute questo pianeta, divenendo causa di continue e gravi crisi ecologiche, dato che l’equilibrio
ecologico si può mantenere solo a patto che ci si adoperi per il benessere di “tutte” le creature,
permettendo che ognuna di esse esprima liberamente la propria natura.

L’uomo viene abitualmente considerato sovrano delle creature, ma il Sovrano vero in realtà è Dio,
sovrano anche dell’uomo. L’uomo ha il dovere di far da guida alle creature meno intelligenti ed
evolute, e ciò significa assegnare un ruolo a ciascuna di esse senza abusare di nessuna, altrimenti
non più di guida si tratterebbe bensì di sfruttamento. E’ quindi urgente e necessario seriamente
rivedere i concetti di progresso e di evoluzione, di sociologia, di benessere e di economia, e
persino di storia. Pensare che gli esseri umani siano gli unici cittadini a pieno diritto del
pianeta è troppo riduttivo; dovremmo estendere l’habeas corpus anche alle specie animali. Per quale
ragione dovremmo limitare l’amore, di cui spesso solamente si parla, all’umanità e basta? Porre
l’umanità al centro dell’universo è errore tipico della filosofia moderna.

(1) Ci riferiamo, qui, non solo al riduzionismo, ma anche agli “specialismi” che tanto
caratterizzano la vita culturale dell’Occidente moderno.
(2) Con ciò non intendiamo disconoscere l’insieme dei valori etici e spirituali conservati e
promossi dalle religioni storiche (il che sarebbe in contraddizione con la necessità di riferirsi a
un sapere tradizionale, di cui prima dicevamo), né sminuire l’importanza delle loro azioni sul piano
sociale; sentiamo però la necessità di un completamento e rifinimento dei campi d’azione volti ad
un’integrazione tra i pensieri religiosi, a partire dalla conoscenza approfondita sulla coscienza
fornita dai Veda.
(3) In sanscrito catur-purusartha.
(4) Vedi Bg II.20: Per l’anima non c’è nascita né morte. Esiste e non cessa mai di esistere. Non
nasce, non muore, è eterna, primordiale, non ebbe mai inizio e non avrà mai fine. Non muore quando
il corpo muore.
(5) Vedi p. 74.
(6) Cfr. Bg VII.4.
(7) Regole che compaiono in tutte le Scuole astika, quelle cioè che accettano i Veda come Scritture
rivelate, in particolare nello Yoga-darshana, Scuola la cui fondazione viene tradizionalmente
attribuita al saggio Patanjali, autore dei celebri Yoga-sutra, testo capitale della Scuola stessa.
(8) Due dei tre guna; vedi paragrafo ‘Il triguna e il karma’, p. 83.
(9) Adi Parva, capitolo 60.
(10) Tradizionalmente, il denaro e le ricchezze in generale, sono una manifestazione, nel mondo
degli elementi, di Shrimati Lakshmidevi, eterna consorte ed energia interna (antaranga-shakti) di
Shri Vishnu, Dio-Persona.
(11) Lett. ‘precetto, insegnamento’, in particolare quello contenuto nei testi sacri, sia Shruti
(Rivelazione) che Smriti (Tradizione). Lo Shastra sta alla Shruti come l’albero sta al proprio seme.
[Le maggiori Scuole di pensiero nell’ambito della Tradizione vedica delineano il metodo per
acquisire la conoscenza indicando tre principali strumenti cognitivi (pramana): pratyaksha
(percezione sensoriale), anumana (deduzione) e Shabda (testimonianza orale proveniente da una
Tradizione o Autorità). Delle tre, la terza è tradizionalmente considerata il mezzo più autorevole,
quello che consente anche da solo di conseguire il sapere, sia fisico che metafisico.] (12) Indicando con ‘morali’ le azioni nel mondo degli elementi; con ‘etico’ il concetto di ciò che è
bene e di ciò che è male; e con ‘spirituale’ la volontà determinata ad indirizzare l’azione alla
liberazione (moksha).
(13) Secondo la Scuola Gaudiya Vaishnava di Shri Caitanya Mahaprabhu, esiste un’ulteriore tappa,
successiva persino alla liberazione ed è prema, l’amore per Dio, definito anche param-purusartha
(supremo obiettivo umano).

da scienzaespiritualita.blogspot.com/

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