Il karma – Jon Kabat Zinn

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Il karma

di Jon Kabat Zinn

Ho udito maestri Zen affermare che la pratica meditativa quotidiana
può mutare un karma da negativo in positivo. Ho sempre attribuito
questa dichiarazione a una curiosa promozione di carattere
moralisti-co. Ho impiegato anni per capire. Immagino sia questo il mio
karma.

Karma significa che questo accade come conseguenza di quello. B è
collegato in un certo modo ad A, ogni effetto ha una causa
antece-dente e ogni causa un effetto che è a sua misura e conseguenza,
alme-no a livello non quantitativo. Complessivamente, quando parliamo
del karma di una persona intendiamo la somma totale della sua
dire-zione nella vita e del tenore delle cose che la riguardano
derivate da condizioni, azioni, pensieri, sentimenti, impressione
sensoriali, desi-deri precedenti. Spesso il karma è erroneamente
confuso col concetto di predestinazione. Si tratta piuttosto di
un’accumulazione di tenden-ze che può incanalarci in particolari
schemi comportamentali che a loro volta producono ulteriori
accumulazioni di tendenze di natura similare. E quindi facile farsi
condizionare dal proprio karma e pen-sare che la causa risieda sempre
altrove — in altre persone e situazioni al di fuori del nostro
controllo, mai dentro di noi. Ma non è necessa-rio essere prigionieri
del vecchio karma, è sempre possibile cambiarlo e crearne uno nuovo.
Vi è un solo momento in cui potete annullarlo. Indovinate quando?

Ecco come la consapevolezza trasforma il karma. Quando sedete in
meditazione, non consentite ai vostri impulsi di tradursi in azioni.
Per il momento almeno limitatevi a osservarli. In questo modo potete
capire rapidamente che tutti gli impulsi mentali emergono e si
dissol-vono per vita propria; non sono voi, ma solo vostri pensieri e
non dovete esserne governati. Se non reagite e non alimentate gli
impulsi comprenderete direttamente la loro natura in quanto pensieri;
di fat-to, questo processo brucia gli impulsi distruttivi nel fuoco
della concentrazione, dell’equanimità e del non-agire.
Contemporaneamente, le conoscenze e gli impulsi creativi non vengono
più emarginati con egual forza da quelli più turbolenti e distruttivi;
sono alimentati ap-pena si percepiscono e se ne diventa consci. In
questo modo la consa-pevolezza può ristrutturare le maglie della
catena di atti e conseguen-ze e così facendo ci affranca, ci libera
aprendoci nuovi percorsi attra-verso i momenti che chiamiamo vita.
Senza la consapevolezza siamo trasportati troppo agevolmente dalla
corrente del passato, senza una spiegazione per la nostra impotenza e
nessuna via di uscita. Il nostro dilemma sembra essere sempre la colpa
di altri o del mondo, cosic-ché i nostri pensieri e sentimenti sono
permanentemente giustificati. Il momento presente non costituisce mai
un nuovo inizio perché im-pediamo che così avvenga.

Come spiegare altrimenti, per esempio, la circostanza fin troppo
comune che si verifica quando due persone, che hanno vissuto assie-me
l’età adulta, procreato figli, ottenuto il successo nei rispettivi
am-biti professionali in misura superiore alla media, invece di
godersi i frutti delle rispettive fatiche si accusano l’un l’altro di
aver rovinato la vita di coppia e anche quella personale? Come
spiegare perché im-putano all’altro la sensazione di isolamento, di
costrizione, di soffe-renza che li opprime costantemente? La risposta
è << karma >>. Sotto una forma o l’altra, continuate a vederlo in
rapporti inaspriti o carenti di qualcosa di fondamentale sin
dall’inizio, la cui assenza induce tri-stezza, amarezza, dolore. È
molto probabile che presto o tardi si rac-colga ciò che si è seminato;
se in un rapporto si praticano risentimen-to e isolamento per
quarant’anni si finisce imprigionati nel rancore e nell’alienazione.
Non è sorprendente e in questi casi non serve a molto stabilire le
colpe.

In definitiva è la nostra sconsideratezza che c’ingabbia. Diventiamo
sempre più esperti nel perdere contatto con l’arco completo delle
no-stre possibilità e sempre più bloccati nell’ormai inveterata
abitudine di non vedere, di limitarci a reagire e recriminare.

Lavorando nelle carceri mi accade di vedere da vicino i risultati di
karma << negativi >>, anche se fuori da quelle mura la situazione non è
molto diversa. Ogni detenuto ha un passato di vicende concatenate;
d’altronde tutte le storie sono così, una cosa porta all’altra. Molti
hanno difficoltà a rendersi conto di che cosa sia accaduto, di che
cosa sia andato storto. Solitamente è una lunga successione di
situazioni che iniziano dal rapporto con i genitori e la vita in
famiglia e proseguono con la vita di strada, povertà e violenza,
fiducia mal riposta, ricerca del guadagno facile e tentativi di lenire
la sofferenza e ottundere i sensi con alcol e allucinogeni che
annebbiano la mente e il corpo. È l’effetto delle droghe, ma anche
della vita vissuta, dell’indigenza e del blocco nello sviluppo della
personalità. Questi individui mescola-no pensieri e sentimenti, azioni
e valori, lasciando scarsi spazi per temperare o quanto meno
riconoscere impulsi o bramosie lesivi, cru-deli, distruttivi e
autodistruttivi.

Così, in un attimo al quale hanno condotto altri momenti non
re-gistrati dal subconscio, si può << perdere la testa >>, commettere un
atto irreparabile e poi subire la miriade di conseguenze future. Tutto
ha conseguenze, che lo sappiamo o meno, che si sia << beccati >> dalla
po-lizia o no. Veniamo sempre presi. Presi dal karma della propria
condi-zione. Costruiamo la nostra prigione giorno per giorno. Da un
certo punto di vista i miei amici carcerati avevano fatto le loro
scelte, più

o meno consapevolmente. Da un’altro, non avevano scelta; non
sape-vano che esistesse la possibilità di scegliere. Ancora una volta
ci tro-viamo in presenza di << inconsapevolezza >>, o ignoranza, come
dicono i buddisti. È l’ignoranza di come impulsi inconsulti,
soprattutto se caratterizzati da avidità e odio, per quanto
giustificati, razionalizzati

o legali, possono distorcere la mente o la vita di un essere umano.
Tut-ti soffriamo di simili stati mentali, occasionalmente in forme
dram-matiche, ma il più delle volte attraverso percorsi più sottili.
Tutti pos-siamo essere imprigionati da esigenze incessanti, da una
mente otte-nebrata da idee e opinioni a cui si aderisce come se si
trattasse di ve-rità.

Sperare di cambiare karma significa rinunciare a quanto può offu-scare
mente e corpo condizionando ogni nostra azione. Non vuol di-re fare
buone azioni, ma sapere chi si è, e soprattutto che non si è il
proprio karma, quale che sia in un dato momento. Significa adeguarsi
alle cose così come stanno, ossia vedere chiaramente.

Da dove iniziare? Perché non dalla vostra mente? Dopo tutto è lo
strumento tramite il quale i pensieri, i sentimenti, gli impulsi e le
percezioni sono tradotti in azioni. Quando sospendete l’attività
esterna per qualche tempo e praticate l’immobilità, proprio lì, in
quel mo-mento, con la decisione di sedere a meditare, interrompete già
il flus-so del vecchio karma, creandone uno interamente nuovo e più
saluta-re. Qui risiede la radice del cambiamento, il punto di svolta
di una vi-ta vissuta.

L’atto stesso d’interrompere, di coltivare momenti di sosta,
limi-tandosi semplicemente a guardare, ci colloca su un piano del
tutto di-verso rispetto al futuro. Come? Perché solo se ci si
compenetra com-pletamente in questo momento presente, qualsiasi altro
che seguirà potrà caratterizzarsi per maggior comprensione, chiarezza
e gentilez-za, sarà inoltre meno dominato dalla paura o dalla
sofferenza e più dalla dignità e dall’accettazione. Solo ciò che
avviene ora avverrà poi. Se non esistono compassione, consapevolezza
ed equanimità ora, nell’unico momento in cui possiamo usufruirne e
nutrirci, quan-te probabilità vi sono che appaiano in seguito in
condizioni di stress o di difficoltà?

*******

L’idea che l’anima si congiungerà con l’estatico
solo perché il corpo è corrotto –
è pura fantasia.
Ciò che si trova ora, si trovava allora.

(KABIR)

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