Il Karma Yoga – cap.31

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Il Karma Yoga

Le Chiavi Mistiche dello Yoga

di Guido Da Todi

Capitolo 31:

– IL KARMA YOGA

Vivekananda considerava l’essenza del Karma Yoga la più nobile delle Vie
Spirituali. La Bagavadh Gita è un compendio praticamente esclusivo di
questo Yoga.
Perché?

In effetti, una delle caratteristiche fondamentali degli insegnamenti
indù è il buon senso e la praticità immediata, anche se ciò non invalida
l’altissima natura delle loro tradizioni.

Non è possibile afferrare il significato della legge del karma, se almeno
non si è – in misura bastevole – intuita la natura delle cose universali:
che è unità fondamentale, olismo ininterrotto, identificazione totale
dell’apparente frammento con il tutto.

La ripercussione di ogni atto e di ogni pensiero prodotti da noi avviene e
si risolve, alla fine, in noi stessi solo per il fatto che non esiste
soluzione di continuità fra l’illusione di una vita distaccata dal resto
dell’esistenza e quest’ultima.

Il gioco sottile e complesso della legge del karma, tuttavia, non
costituisce lo scopo principale del presente articolo; dovrà, forse, venire
rimandata ad uno dei prossimi.

Uno degli aspetti del buon senso della filosofia indiana si riferisce al
suo modo di interpretare la celata fisionomia del d’ognuno di noi.

La legge della reincarnazione costituisce il formidabile serbatoio di una
totale fecondazione di cause, da parte dell’individuo, che si annodano agli
effetti evidenti di questo suo .

In poche parole, l’io è il motore di ogni propria azione; ma, una volta
data la spinta che la produce, l’azione stessa diviene il motore dell’io.

Si tratta di un gioco delle parti assolutamente irrinunciabile.

Ecco, se potessimo scattare l’istantanea della vita di uno qualsiasi tra di
noi, quanto verrebbe alla luce – esotericamente parlando – sarebbe un
prodotto complesso e molto difficile da scomporre, nei suoi elementi
costituenti.

Immaginate una pesca acerba, e supponete di volere distaccare con le vostre
stesse mani il suo nocciolo dalla polpa ancora verde.

Il risultato di questo atto mostrerebbe la parte dura e centrale del
frutto, ma con massicci frammenti di polpa che fanno un tutt’uno con esso;
tanto è praticamente impossibile separare il centro dalla periferia, quando
i tempi non sono quelli giusti.

L’esempio – evidentemente grossolano – indica, con una certa precisione, il
rapporto che ognuno di noi ha con il suo attuale karma.

Volere rinunciare ad esso, in modo inconsulto, violento ed irrazionale
costituirebbe un’azione simile a quella che abbiamo appena immaginato, in
riferimento alla pesca acerba.
Il nostro karma attuale costituisce il baricentro ultimo delle forze e
delle azioni emesse in un passato, più o meno lontano, e la spinta
trainante che conduce gran parte della nostra esistenza.

Il dharma, invece, è l’atto mentale che ne riconosce la fisionomia e si
adatta ad essa, con il proprio comportamento quotidiano.

In effetti, questa è già una notevole indicazione per l’individuo che
voglia intervenire nel proprio destino.

Qualunque malumore, generato dalla nostra insoddisfazione per la vita che
conduciamo, per il lavoro che facciamo, per l’ambiente in cui viviamo
rappresenta un’energia inutilmente sprecata.

In modo giusto, o errato, siamo stati noi gli unici responsabili di quella
di forze, che stanno rapprendendosi attorno a noi ed in
noi.

Non è possibile liberarcene, almeno in modo violento.

A questo punto non risulta inutile un cenno a quelle azioni ribelli, che
molti commettono sovente. Essi abbandonano, all’improvviso, la compagna, o
il compagno; i figli; il lavoro che li delude. Insomma, staccano
contatto> con la ruota che gira in una determinata direzione, e – come un
elettrone che cambia orbita – si incasellano in un altro vortice di vita;
nella creazione di nuove abitudini, di una nuova esistenza.

Ma, la ruota continua a girare… Essi non hanno il potere di interrompere
quel flusso di energia in cristallizzazione operativa di quanto hanno
creato nel loro passato.

In tal modo, provocano altro karma; ma, non eludono quello antico; che si
ripresenterà, prima o poi. E la loro fuga si sarà risolta in un bel nulla
di fatto.

Cosa dice, allora, in proposito, la filosofia indiana del Karma Yoga? Cosa
dice Vivekananda? E
cosa insegna la Gita?

Intanto – e ciò è un fondamento di altissima rilevanza spirituale – che non
importa, nella vita, desiderare disperatamente un destino di suprema
nobiltà formale; e neppure temere di esprimerci in azioni che consideriamo
mediocri e prive di smalto e di significati profondi.
Nella vita importa solo capire e compiere ciò che è
momento>.

La suprema nobiltà formale, lo smalto e cos’altro si possa desiderare,
magari, diverranno una conseguenza di quanto è opportuno, per il momento,
realizzare, nella giusta direzione, ora e adesso.

Solo in tal modo riusciremo a costruire quel canale in cui rosolerà e si
consumerà la che portiamo appesa al collo: il nostro
karma pesante e, spesso, doloroso..

Attenzione, ciò non vuol dire accettare e subire passivamente, ed in modo
beota, qualunque costrizione la vita ci stia imponendo. Indica solo la
saggezza e l’abilità di saperci svincolare, nell’unico modo armonico e
sano, da una stretta soffocante, che rischia, spesso, di annientarci, nel
corso di questa nostra esistenza.
Tuttavia, abbiamo parlato di unità del tutto.
Il Karma Yoga afferma che ognuno di noi rappresenta una tessera parziale di
un universo illimitato. Chi si oppone a questo dato di fatto, oppure non lo
conosce, è destinato ad una espressione tronca
del Sè: in poche parole, all’infelicità.

L’intera tradizione del vero spiritualismo tende alla sperimentazione della
Vita Totale.

Aderire al nostro dharma, ed accettarlo con cristallina consapevolezza
delle motivazioni cosmiche che si trovano dietro ad esso, per incanto ci
unifica alla Vita Totale; verso la quale non opponiamo più, di conseguenza,
alcuna resistenza attiva, o passiva.

Ogni senso delle dimensioni, allora, risulta impossibile a comporsi. Non
esiste, qui, un più grande, o un più piccolo. Esiste solo quel componente
che, saldandosi con l’intero, fa confluire in esso ogni tensione ed ogni
opposizione personale.

La parte si accorge di essere divenuta un del
tutto.

Di essere il tutto. E di gioire, tramite l’esecuzione di un agire
personale, della gioia impersonale, che possiede delle risonanze prive di
limite e di estensione.

Il karma yoghi vive ogni suo atto quotidiano; ossia, senza
opporsi ai doveri che incombono sulla propria vita, e che egli ha tutti
riconosciuti, nell’attimo della sua originaria espansione di coscienza.

In tal modo, non soltanto esaurisce e scioglie tutti i legami reincarnativi
che lo avvincevano ai tre mondi dell’illusione formale, ma, pure, salda ed
unisce la tessera che rappresenta il frammento personale del mosaico al
grande affresco cosmico, di cui quella è parte costituente.

Potrei esprimervi la mia personale esperienza, in proposito. Non credo
possa esistere gioia più acuta e indicibile del sentimento che invade
l’animo, quando si il proprio io, mentre, con la massima
partecipazione, aderisce all’intero dharma della sua vita: dalle
minime incombenze, all’arco totale del proprio complesso ciclo
reincarnativo.
Si narra di un giovane yoghi indù, il quale passò degli anni in
meditazione, nel folto di una foresta. Un bel giorno, egli guardò con
fastidio un uccello, che lo disturbava con il suo canto. Ed il volatile
cadde a terra fulminato.

Lo yoghi stabilì, allora, di aver raggiunto dei poteri straordinari, e che
era giunto il momento di tornarsene fra gli uomini.

A sera, giunto ai limitare di un paese, bussò ad una casa modesta, per
chiedere da mangiare. La donna anziana che gli aprì gli disse subito:”
Attendete, sadhu, che io mi occupi dei bisogni del mio sposo. Tra poco
tornerò a voi, e vi offrirò la cena…”
La risposta parve poco rispettosa allo yoghi, che, evidentemente, si
attendeva la priorità su tutto e tutti, visto il rango spirituale che
riteneva di essersi guadagnato. E, senza accorgersene, guardò con sguardo
seccato la donna.

“Non crediate che io sia un uccello, per potermi fulminare, sadhu! – gli
ribatté quella – “Ho dei doveri da compiere. Ma state pur tranquillo, che
immediatamente dopo toccherà’ a voi…”

L’uomo rimase folgorato. Come sapeva quella anziana signora la storia
dell’uccello? A cena, con cautela, glielo domandò.
“Vedete, sadhu, il mio maestro mi ha insegnato che, compiendo esattamente
tutti i miei doveri con gioia e con dedizione, mi sarei fusa con
l’universale. Questa è la ragione per cui ho raggiunto la luce e l’unione
con Dio…”
La storia continua, ma voglio interromperla per indicare che l’essenza del
Karma Yoga è tutta qui. Quando se n’è afferrato lo spirito, ognuno di noi
diviene consapevole del minuscolo che
rappresenta il suo io, circoscritto dal proprio karma reincarnativo. Egli
sente e vede i confini di questo karma, con una vivezza incredibile.

Aderendo al suo dharma, con gioia e distacco, vive, allora, una tra le
massime esperienze metafisiche. Pur se ancora stretto ai legami dei tre
mondi, prova già intensamente la completa liberazione da essi e da tutto
ciò che è relativo.

Ogni minuto della sua giornata è, in lui, un atto sacro di meditazione, di
congiungimento a Dio, di eucaristico rapporto con la Realtà Una.

Egli è oramai un karma yoghi. Egli è un liberato!

(Guido Da Todi)

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