Il labirinto di luce e le reti neurali

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Il labirinto di luce e le reti neurali

Ossia, come ideare e progettare a basso costo dispositivi che realizzano reti neurali sfruttando la
propagazione della luce, senza consumare energia.

RICERCA – Un team di ingegneri elettronici ed elettrici dell’UCLA (Università della California – Los
Angeles) ha creato una rete neurale artificiale fisica, ossia un dispositivo che implementa modelli
di neural networks ed algoritmi di deep learning, in grado di analizzare elevate quantità di dati
alla velocità della luce.

Cos’è il deep learning?

Il deep learning, o “apprendimento profondo”, è l’ambito dell’intelligenza artificiale che si occupa
di studiare e sviluppare sistemi in grado di imparare – sfruttando meccanismi simili a quelli del
cervello umano – la capacità di astrazione. La facoltà di ricavare concetti o rappresentazioni a
partire dall’osservazione di fenomeni e oggetti particolari nel mondo reale.

Generalmente gli algoritmi di deep learning sfruttano le cosiddette reti neurali: modelli matematici
costituiti da neuroni artificiali, che si ispirano alle caratteristiche del sistema nervoso degli
esseri viventi.

Le applicazioni pervadono sempre più in profondità tutti gli ambiti scientifici e tecnologici,
dall’esplorazione dello spazio allo sviluppo di sistemi di guida autonoma, fino alla ricerca in
ambito biologico/medico e alla sintesi di automi in grado di replicare – in modo talvolta
sorprendente – abilità umane molto specifiche, come comporre musica o dipingere.

In molte di queste applicazioni è di cruciale importanza il problema dell’identificazione di oggetti
o segnali specifici con grande rapidità. Un sistema di guida autonoma deve essere in grado di
riconoscere accuratamente sia gli oggetti fissi (come la segnaletica stradale) sia quelli in
movimento, come altri veicoli o pedoni, in modo tale da prendere tempestivamente le decisioni più
appropriate.

O, per meglio dire, selezionare la strategia più adeguata per garantire allo stesso tempo
l’esecuzione del tragitto pianificato, la minimizzazione del rischio per gli esseri umani e il
rispetto del codice della strada. Il compromesso da raggiungere è tra l’accuratezza necessaria per
una corretta identificazione – che richiede di elaborare grandi moli di dati ed è molto dispendiosa
dal punto di vista dei tempi – e la tempestività delle reazioni, soprattutto in caso di scenari
potenzialmente critici.

Lo studio dell’UCLA

La descrizione del lavoro di ricerca e la realizzazione tecnica del team UCLA sono riportate in
questo articolo pubblicato su Science, dal titolo: “All-optical machine learning using diffractive
deep neural networks”. Il neonato dispositivo, denominato appunto diffractive deep neural network
(D2NN) sfrutta la riflessione della luce da parte di un oggetto-target per identificare lo stesso
oggetto in un tempo pari a quello richiesto da una macchina per vederlo. Sfruttando le tecniche di
apprendimento automatico il processo è praticamente istantaneo: il principio di funzionamento si
basa quasi solo su fenomeni ottici.

Il D2NN è costituito da più strati trasmissivi e ogni punto su un dato strato si comporta come un
neurone artificiale. Si attiva trasmettendo o riflettendo la luce che riceve. In questo modo, il
meccanismo di propagazione dei segnali (tipico degli algoritmi neurali) viene tradotto direttamente
da fenomeno fisico e non richiede l’esecuzione di un software su un processore. Si risparmiano tempo
e carico computazionale: è il dispositivo a effettuare il calcolo usando solo la luce proveniente
dal target.

Si tratta di un approccio già utilizzato e sperimentato in altri ambiti, per diverse esigenze: in
questo articolo viene descritto un dispositivo, il memristore, che ha la capacità di acquisire
determinati segnali di ingresso, conservando memoria dell’evoluzione temporale precedente, e
prestandosi così a realizzare veri e propri computer senza l’adozione di software.

Com’è stato ottenuto?

Il processo di creazione è stato complesso e ha richiesto di realizzare prima di tutto sottili
strati polimerici con superficie tali da diffrangere la luce, ossia deviare le traiettorie di
propagazione delle onde luminose, comportandosi come un ostacolo sul loro cammino. Ognuno di questi
strati è costituito da decine di migliaia di neuroni artificiali, piccoli pixel attraverso cui la
luce si propaga.

Il comportamento complessivo di questa moltitudine di pixel come una “rete ottica” conferisce al
dispositivo la sua capacità di elaborazione di pattern luminosi: l’identificazione di un oggetto
avviene grazie al principio che la luce, per una specifica forma o figura, viene diffratta
principalmente verso i gruppi di pixel che sono associati ad essa. L’immagine che si forma sul piano
terminale d’uscita del dispositivo è correlata ad un ben determinato oggetto o forma e permette di
riconoscerli.

Anche questo sistema richiede una fase di apprendimento, necessaria per associare gli oggetti
specifici ai pattern che il dispositivo genera sul suo piano terminale. Un D2NN si comporta come un
intricato labirinto di specchi e cristalli, che trasforma le onde luminose provenienti da un oggetto
in figure semplicemente identificabili da una macchina.

Il dispositivo è stato creato utilizzando una stampante 3D, il che in teoria semplificherebbe di
molto il processo di produzione. Un componente di questo tipo avrebbe un costo di realizzazione di
non più di qualche decina di dollari. Inoltre, sfruttando un principio puramente ottico, di fatto
non richiede alimentazione e non consuma energia.

L’unica controindicazione è che, al momento, un D2NN funziona con luce non visibile, della frequenza
dei TeraHertz (migliaia di miliardi di cicli al secondo). Secondo gli autori, nel prossimo futuro
sarà possibile utilizzarlo anche con la luce visibile, quella che l’occhio umano può vedere, e nel
campo degli infrarossi.

Gianpiero Negri

oggiscienza.it

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