Il marketing della malattia
di Valerio Pignatta
da Scienza e Conoscenza n. 37.
Se la medicina dell’informazione è il massimo esempio di comunicazione in un sistema societario
biologico (quello delle cellule dell’organismo umano), viceversa, l’informazione in medicina
costituisce l’esempio tipico non proprio edificante del mancato funzionamento di tale scambio di
notizie. L’informazione (o meglio la disinformazione) sanitaria è un Moloch ormai manifesto che
gestisce un sistema nevralgico dell’organismo società in modo poco corretto e sotto il peso delle lobby economiche e dei poteri forti.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un proliferare di campagne mediatiche condotte ad hoc per
indirizzare l’opinione pubblica verso il consumo di determinati farmaci, vaccini o test diagnostici
di cosiddetta prevenzione. A fronte delle campane suonate a martello che gridano al pericolo di
questa o quella malattia, sono ormai assolutamente trasparenti e di pubblico dominio le dinamiche
puramente economiche che regolano queste operazioni di marketing aggressivo da parte delle azienda farmaceutiche.
Il nocciolo della questione sta, infatti, nella relazione medici e istituzioni sanitarie da un lato
e case farmaceutiche dall’altro. La professione medica dovrebbe essere svincolata da input di origine economica e da interessi di sorta.
Salute: una questione di marketing
Le industrie di farmaci investono più in marketing che in ricerca e tendono inesorabilmente a
occultare i risultati delle ricerche se non a pilotarli direttamente. Il caso del Vioxx, il farmaco
antidolorifico ritirato dal mercato per i suoi devastanti effetti collaterali, occultati per anni
dall’azienda produttrice, è un caso emblematico del prevalere della sete di denaro sull’etica
medica. Ma ce ne sono molti altri: come Zyprexa, psicofarmaco per il quale la casa produttrice Eli
Lilly è stata condannata a vari risarcimenti miliardari (per prescrizioni off label ed effetti collaterali del farmaco come induzione di pensieri suicidi e diabete).
Il settore della sanità è uno dei settori economici più importanti al mondo. La Fortune 500 List,
l’elenco delle 500 maggiori aziende economiche del mondo, ha riportato che nel 2002 il volume di
incassi delle 10 maggiori aziende farmaceutiche superava quello delle altre 490 imprese della lista.
Nel 2004, i guadagni di una sola compagnia, la Pfizer, furono di 11 miliardi di dollari. Nell’ultimo
trimestre del 2009 la Novartis, che produce tra gli altri farmaci il vaccino contro l’influenza di
tipo A, ha guadagnato il 54% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (2,32 miliardi
di dollari) (1). Incassi di questo tipo non possono che generare un potere che va oltre quello che è
comprensibile affidare a un’impresa economica in un paese cosiddetto democratico.
I farmaci me too
I guadagni smisurati sono spesso motivati con costi eccessivi, dovuti secondo le aziende stesse,
agli investimenti per lo sviluppo di nuovi farmaci. Ma anche queste sono informazioni false. Solo il
14% delle entrare annue di un’azienda farmaceutica viene reinvestito nella ricerca. Nel marketing
invece si investe ben il 30,8% (2). Le aziende sono quindi più interessate a vendere quello che
hanno (qualsiasi cosa sia, vedi Vioxx) che a scoprire o migliorare nuovi farmaci. Più che su nuovi
medicinali la produzione delle case farmaceutiche si concentra sui farmaci cosiddetti me too,
ossia molecole già disponibili sul mercato e di cui si ha la pretesa di proporne una versione
migliorata. Questi farmaci in realtà sono solo una fonte più sicura di business. L’industria del
settore non è per nulla innovativa come vogliono farci credere. Secondo Marcia Angell, medico ed ex
direttrice del New England Journal of Medicine, una delle riviste mediche più prestigiose al mondo,
i farmaci me too sono il 77% dei farmaci approvati annualmente ed è stato dimostrato che solo il
14% di essi significa un miglioramento effettivo nel trattamento (3). Per straordinario che possa
sembrare, negli ultimi anni sono apparsi sul mercato pochissimi farmaci importanti e di nuova
concezione ed essi sono tutti provenienti da ricerche realizzate nelle università, presso piccole
compagnie biotecnologiche e centri pubblici di ricerca come i National Institutes of Health statunitensi (4).
Informatori scientifici del farmaco o scaltri venditori?
Il sistema si regge quindi sulla complicità cosciente o inconsapevole dei medici.
I medicinali vengono proposti negli studi medici dagli informatori scientifici inviati dalle
multinazionali del farmaco con capillare copertura. Le campagne di promozione sono mirate
precipuamente al personale medico e paramedico, dato che le compagnie sono consapevoli che tutto
parte dalle prescrizioni delle ricette e dal passaparola tra i pazienti sui medicinali più in voga
che il medico affermato di turno prescrive e consiglia. Per accattivarsi le simpatie e la
disponibilità cerebrale dei medici, le industrie produttrici organizzano per loro congressi e corsi
di aggiornamento e riversano sul personale sanitario premi e privilegi di varia natura che possono andare da penne e oggetti di valore a viaggi, vacanze o compensi in denaro (5).
Il fenomeno è gigantesco, è risaputo anche dall’uomo della strada e lo hanno affrontato varie
riviste mediche importanti come il British Medical Journal. Tuttavia il meccanismo disinformante
continua a proliferare e il sistema di produzione e vendita dei farmaci non muta. Come è possibile?
Lapprovazione dei farmaci: come funziona?
Sicuramente una delle cause a monte sta nella procedura di approvazione dei farmaci stessi a livello governativo e internazionale.
Negli Stati Uniti vengono approvati molti farmaci delle grandi aziende della salute che poi
invadono i mercati mondiali. L’ente federale di approvazione di questi farmaci è la Food and Drug
Administration (FDA). Nel 1992 negli Usa è stata approvata una legge, il Prescription Drug User Fee
Act, che mette l’FDA sul libro paga delle industrie farmaceutiche. Essa infatti autorizza tali
industrie a pagare delle user fees per accelerare l’approvazione dei farmaci. Le cifre versate dalle
multinazionali del farmaco hanno negli anni raggiunto la metà delle entrate effettive dell’FDA, con
la dipendenza di quest’ultima dalle prime che possiamo immaginare (6). A partire dal 2005 queste
entrate ammontano a circa 260 milioni di dollari l’anno (7). Dall’istituzione di questa legge l’FDA
ha implementato il personale addetto alle procedure di approvazione dei farmaci di circa un migliaio
di unità. Metà dei dipendenti complessivi dell’FDA è costituito da questo personale pagato dalle industrie (8).
Eppure è risaputo che la velocizzazione dell’approvazione di una molecola solitamente comporta
maggiori errori e una possibilità maggiore che farmaci pericolosi raggiungano il mercato. In effetti
nel decennio successivo al Prescription Drug User Fee Act sono stati ritirati negli USA ben 13
farmaci, una cifra record, e tuttavia solo dopo aver causato centinaia di morti (9). La vicenda
successiva del Vioxx è notoriamente peggiore. Il Vioxx (Rofecoxib), noto farmaco antinfiammatorio
ritirato nel 2004, avrebbe causato 27.785 morti per infarto del miocardio solo negli Usa. E un
articolo comparso sul The New England Journal of Medicine, afferma che questa caratteristica
iatrogena non è esclusiva di questo medicinale, ma dell’intera classe degli inibitori COX-2, e cioè
comprenderebbe anche Celecoxib (Celebrex), Valdecoxib (Bextra) e Parecoxib (Dynastat) (10).
Note
(1) Pierson, Ransdell e Krauskopf, Lewis, J&J results top views but forecast weighs, Agenzia Reuters, 26 gennaio 2010. Cfr.
http://www.reuters.com/article/2010/01/26/us-johnsonandjohnson-idUSTRE60P3DK20100126.
(2) Brody, Howard, Hooked. Ethics, the medical profession and the pharmaceutical industry, Rowman & Littlefield Publishers, Plymouth UK, 2008, p. 87.
(3) Angell, Marcia, Farma & Co. Industria farmaceutica: storie straordinarie di ordinaria corruzione, Il Saggiatore, Milano, pp. 79-80.
(4) Angell, Marcia, Health policy, pharmacy and pharmacology talks at Winsconsin School of Medicine
and Public Health, 2007. Cfr. http://videos.med.wisc.edu/videoInfo.php?videoid=940/.
(5) Martín, Moreno S., Ética de la prescripción. Conflictos del médico con el paciente, la entidad
gestora y la industria farmacéutica, in Medicina Clínica, vol.116, n. 8, 2001, pp. 299-306. Cfr.
http://www.elsevier.es/es/revistas/medicina-clinica-2/etica-prescripcion-conflictos-medico-paciente- entidad-gestora-15291-articulos-especiales-2001.
(6) Angell, Marcia, Farma & Co, cit., p. 172.
(7) Loc. cit.
(8) Loc. cit.
(9) Loc. cit.
(10) Solomon, S.., McMurray, J., Pfeffer, M., Wittes, J., Fowler, R., Finn, P., Anderson, W.,
Zauber, A. et al., Cardiovascular risk associated with celecoxib in a clinical trial for colorectal
adenoma prevention in The New England Journal of Medicine, vol. 352 (11), 2005, pp. 10711080.
Continua la lettura su Scienza e Conoscenza n. 37.
Scienza e Conoscenza n. 37
luglio/settembre 2011
Editore:Scienza e Conoscenza – Editore
Data pubblicazione:Luglio 2011
Formato:Rivista – Pag 80 – 18,5×29
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__scienza-e-conoscenza-n-37.php?pn=1567
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