IL MEDITANTE E LA SCIENZA
Articolo di Tendzin Gyatso, il XIV Dalai Lama,
pubblicato sul New York Times del 26 Aprile 2003…
Ci sono periodi in cui le emozioni conflittuali come la rabbia, la paura e l’odio divampano, dando luogo a problemi devastanti in tutto il mondo. Quando le notizie che troviamo sui quotidiani o telegiornali ci ricordano tutto il potere distruttivo di queste emozioni, la domanda che dovremmo rivolgerci è: cosa possiamo fare individualmente, in quanto singole persone, per contribuire a sconfiggere la loro influenza negativa?
Naturalmente queste emozioni perturbatrici fanno parte della condizione umana da sempre. Alcune persone (quelli che non credono che sia possibile “guarire” i nostri impulsi a odiare e prevaricare gli altri) affermano che questo sia il prezzo da pagare per il semplice fatto di essere umani. Ma questo punto di vista può solo servire a creare indifferenza, o apatia, nei riguardi delle emozioni perturbatrici – portandoci alla conclusione che gli impulsi distruttivi siano completamente al di là del nostro controllo.
Io sono convinto che esistano metodi pratici che, in quanto individui, possiamo impiegare per liberarci dagli impulsi pericolosi – quelli che, in una scala più ampia, portano alle guerre e alle violenze di massa. Come prova di questa convinzione non ho soltanto la mia pratica spirituale, e la comprensione dell’esistenza umana basata sugli insegnamenti buddhisti: adesso esistono anche le esperienze e le conclusioni di molti scienziati.
Negli ultimi quindici anni ho intrapreso una serie di conversazioni con gli scienziati occidentali. Abbiamo scambiato i nostri punti di vista su argomenti che spaziano dalla fisica quantistica e la cosmologia, alla compassione e alle emozioni distruttive. Ho trovato che, da una parte, le scoperte scientifiche permettono una comprensione più profonda di settori come la cosmologia; d’altra parte, sembra che le spiegazioni del Buddhismo (specialmente nel campo delle scienze cognitive, biologiche e neurofisiologiche) possano offrire agli scienziati formatisi in Occidente un nuovo modo di guardare alle loro discipline. Potrebbe sembrare strano che un leader spirituale si occupi così tanto di scienza, ma gli insegnamenti buddhisti sottolineano l’importanza di comprendere la realtà – quindi occorre prestare attenzione a ciò che gli scienziati hanno imparato sul nostro mondo attraverso esperimenti e misurazioni.
Allo stesso modo i Buddhisti hanno alle spalle una storia di 2500 anni, trascorsi a investigare il funzionamento della mente umana. Nei millenni, molti praticanti hanno portato avanti ciò che potremmo chiamare “esperimenti” su come sconfiggere la tendenza verso le emozioni distruttrici.
Ho caldamente incoraggiato gli scienziati ad esaminare degli esperti praticanti tibetani, per verificare i benefici che queste pratiche potrebbero avere per gli altri, al di fuori di ogni contesto “religioso”. Lo scopo di ciò è accrescere la nostra comprensione di tutto ciò che riguarda la mente, la coscienza, le nostre emozioni.
Per questa ragione ho fatto visita al laboratorio di Neurofisiologia del Dottor Richard Davidson, nell’Università del Wisconsin. Con l’uso di strumentazioni in grado di rappresentare graficamente ciò che accade nel cervello durante la meditazione, il Dottor Davidson è riuscito a studiare gli effetti delle pratiche usate nel Buddhismo per coltivare la compassione, l’equanimità o la concentrazione. Per secoli i Buddhisti sono stati convinti che la pratica di questi metodi renda gli individui più calmi, più amorevoli e più felici; allo stesso tempo, essi diventano sempre meno inclini alle emozioni distruttive.
Secondo il Dottor Davidson, adesso la scienza è in grado di sostenere pienamente questa convinzione. Egli mi ha detto che l’emergere di emozioni positive potrebbe essere dovuto a questo: la meditazione rinforza i circuiti neurologici che calmano la parte del cervello responsabile della paura e della rabbia. Grazie a questo, diventa più facile creare una sorta di “meccanismo ammortizzatore” fra gli impulsi cerebrali violenti e le nostre azioni.
Sono già stati conclusi svariati esperimenti, in cui si dimostra che alcuni praticanti sono capaci di raggiungere uno stato di pace interiore, anche quando si trovano ad affrontare situazioni estremamente difficili o sfavorevoli. Il Dottor Paul Ekman dell’Università di California, a San Francisco, mi ha detto che rumori forti ed improvvisi (ad esempio un colpo di fucile) non sono riusciti a far sobbalzare il praticante buddhista che egli stava esaminando. Il Dottor Ekman mi ha detto che non aveva mai visto nessuno restare così calmo alla presenza di disturbi così intensi.
Un altro praticante, che guida uno dei nostri monasteri in India, è stato sottoposto dal Dottor Davidson a una seduta con l’elettroencefalogramma, per misurare le sue onde cerebrali. Il Dottor Davidson ha riscontrato, nelle aree del suo cervello associate alle emozioni positive, il livello di attività più alto che gli sia mai accaduto di misurare.
Naturalmente il beneficio di queste pratiche non è riservato ai monaci che trascorrono mesi di ritiro in meditazione. Il Dottor Davidson mi ha parlato della ricerca da lui svolta con individui alle prese con lavori estremamente stressanti. A costoro (tutti non–buddhisti) è stato insegnato un tipo di meditazione in cui la mente non si lascia coinvolgere dal contenuto di pensieri o sensazioni, ma li lascia andare e venire come se si osservasse un fiume mentre scorre. Dopo otto settimane, il Dottor Davidson ha riscontrato un notevole incremento nell’attività di quelle aree cerebrali che presiedono alla formazione delle emozioni positive.
Le implicazioni di tutto questo sono chiare: il mondo oggi ha bisogno di cittadini e leader capaci di lavorare in direzione della stabilità, e di dialogare con il “nemico” – a prescindere dal tipo di aggressione che sono stati costretti a subire.
Fra l’altro, occorre notare che questi metodi non sono soltanto utili, ma anche… economici: non c’è bisogno di prendere medicine o iniettarsi qualche sostanza; non c’è bisogno di diventare “buddhisti”, o di adottare una qualche fede religiosa. Chiunque ha il potenziale per condurre una vita pacifica e significativa; occorre semplicemente esplorare il modo di realizzare questa potenzialità.
Personalmente, cerco di mettere in pratica questi metodi nella mia vita quotidiana. Quando sento cattive notizie – come i tragici racconti che ascolto spesso dai miei connazionali tibetani – la mia reazione è naturalmente di tristezza. Tuttavia, mettendo le situazioni nel loro contesto, trovo che riesco ad affrontarle ragionevolmente bene; e le sensazioni di disperazione e rabbia, che semplicemente avvelenano la mente e amareggiano il cuore, raramente sorgono in me – anche dopo aver udito le notizie peggiori.
Un’attenta riflessione dimostra che, nella nostra vita, la sofferenza non è creata da cause esterne, ma da eventi interiori come il sorgere delle emozioni perturbatrici. Quindi il miglior antidoto contro la sofferenza è migliorare la nostra capacità di gestire queste emozioni.
Se l’umanità deve sopravvivere, la felicità e l’equilibrio interiore sono di importanza fondamentale; altrimenti è molto probabile che le vite dei nostri figli e dei loro figli siano infelici, disperate e brevi. Certamente il progresso materiale contribuisce, in una certa misura, alla felicità e a una vita comoda; ma questo non è sufficiente. Se si vuole raggiungere un livello più profondo di felicità, non si può trascurare lo sviluppo interiore. La catastrofe dell’11 Settembre 2001 ha dimostrato che la tecnologia moderna e l’intelligenza umana, se sono guidate dall’odio, possono produrre distruzioni immense. Questi terribili atti sono il sintomo violento di uno stato mentale afflitto dalle emozioni perturbatrici. Per rispondere ai problemi in modo saggio ed efficace, dobbiamo essere ispirati da stati della mente ben più salutari; questo significa non solo evitare di nutrire le fiamme dell’odio, ma rispondere in modo abile. Faremmo bene a ricordare che una guerra contro l’odio e il terrorismo potrebbe (o dovrebbe) essere intrapresa anche sul fronte “interiore”.
Tendzin Gyatso, XIV Dalai Lama
http://www.vajrayana.it/indexn.php?idar=126
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