di Giuditta Dembech
L’ultimo tabù
IL MISTERO DELLA MORTE
– SEGUIRE IL CUORE –
Nel corso della nostra vita è molto probabile che ci accada di
assistere un morente, o al suo capezzale. Ciò che faremo in quel
frangente sarà importantissimo per lui e per noi.
Solitamente il malato grave, pur aspettandola, teme la morte.
Teme forse il dolore fisico che potrebbe accompagnarla, ma
soprattutto la vede come un dramma perché si sente costretto ad
abbandonare luoghi, persone, oggetti ed affetti che
rappresentavano la sua unica certezza per passare in un qualche
luogo o non-luogo di cui sa poco o nulla.
Lo scopo di queste pagine è quello di tentare di indicare ad un
pubblico più vasto possibile, quelle che sono le condizioni
ottimali per un trapasso dolce e senza traumi.
Aiutando ed accompagnando il trapasso di altre persone in
serenità e dolcezza, acquisiremo delle conoscenze che rende ranno
dolce e sereno anche il momento del nostro trapasso.
Le istruzioni sono semplici, chiunque sarà in grado di metterle
in pratica, in ogni momento. Come sempre, è sufficiente seguire
il cuore, tutto il resto verrà di conseguenza.
UN EVENTO LIBERATORIO
Quando la morte giunge dopo una malattia, dopo una sofferenza
prolungata o in tarda età, è molto più facile accettarla,
comprenderla, andarle incontro come ad un evento naturale o
liberatorio. L’ammalato lungodegente o l’anziano, ha avuto molto
tempo per pensarci e in qualche modo prepararsi.
Se vi sembra psicologicamente pronto, sarebbe utile fargli
leggere qualcosa che gli spiani ulteriormente la strada, come
queste pagine che, pur affrontando un evento così drammatico,
tutto sommato sono piene di serenità.
Sull’ultimo numero della rivista “Verso la Luce” Giuseppe
Filipponio (che Dio benedica il suo riposo per tutta la luce che
ha distribuito nella sua lunga vita!) riporta il messaggio di
addio che il ministro degli Esteri di Wilson, Frariklin Lane,
dettò in punto di morte per tutti i suoi amici. Lo riporto
testualmente per la sua semplicità e la sua forza intrinseca: (1)
“Ho visto la morte in varie occasioni e in varie forme, alcune
assai tragiche: ho visto impiccare, ho visto fucilare e due o tre
volte anch’io ho corso il rischio di morire per mano altrui, ma
mai prima d’ora mi sono sentito chiamato cosi imperiosamente a
entrare nella Valle delle Ombre. Dite quello che volete, spesso
mi sono detto che quando questo momento sarebbe venuto, avrei
cercato di raggruppare nel mio cervello poche parole che fossero
la sintesi della mia filosofia. Ora sono venuto alla decisione
che la migliore dichiarazione della mia fede è questa: ACCETTO!
Per me questo significa che il mio spirito deve tornare nel
Grande Oceano degli Spiriti.
Il mio dovere è di andare là, l’ho capito e l’ho accettato”.
(1) Verso la Luce . (n. 7/1989) edizione fuori commercio
UN TRAPASSO SERENO
La situazione più fortunata per chiunque, sarebbe di affrontare
ed accettare l’ultimo viaggio in serenità, nel proprio letto,
circondati dai propri cari nell’ambiente in cui si è vissuti, tra
cose amate e familiari.
Su questo momento cruciale cosi scrive Judge in “L ‘Oceano della
Teosofia” (1) un testo a volte non facile, ma importantissimo per
tutti i lettori in cammino sul sentiero della ricerca spirituale:
“Siano le nostre immagini mentali tutte meno che dolenti: siano
vive di speranza e di musica, belle d’amore e di fiori… sembra
quasi di vedere l’anima che si diparte, nell’atto di restituire
una benedizione mentre passa nel mondo della luce.”
Nell’assistenza ospedaliera ad un moribondo, medici e infermieri
sono in grado di riconoscere velocemente i sintomi di un
improvviso aggravamento e, se i parenti non sono presenti si
affrettano ad avvisarli.
Ma anche nell’assistenza domestica, quando il momento del
trapasso si avvicina, anche le persone meno esperte se ne rendono
conto.
In questo caso occorre rompere gli indugi e chiamare un
sacerdote.
Qualunque sia la religione che il morente professi, la vicinanza
di un suo sacerdote è di fondamentale importanza per la
tranquillità della sua anima.
Anche se in vita non è mai stato particolarmente devoto, anche se
non ha frequentato molto la sua chiesa, l’idea di poter lasciare
questa terra con l’anima alleggerita da una confessione e
accompagnata dalla benedizione, è un sollievo per chiunque.
Nella peggiore delle ipotesi il malato protesterà e rifiuterà i
conforti religiosi, (ma questa è una ipotesi estremamente
improbabile), e in ogni caso, il sacerdote saprà esattamente come
e cosa fare.
Anche la persona apparentemente più coriacea potrebbe avere sulla
coscienza un peso di cui si libererebbe volentieri; potrebbe
esserci un segreto mai rivelato, una colpa vera o presunta che ha
nascosto per anni nel silenzio del suo cuore. Lasciarlo andare
via col cuore in pace è l’ultima gioia che possiamo dargli.
Molto spesso si esita a chiamare il sacerdote per evitare di
spaventare il malato. Si teme che, vedendolo, possa essere preso
dal panico perché capisce che la sua morte è ormai imminente.
Occorre mettere da parte le esitazioni e stare VERAMENTE dalla
parte del moribondo.
Il sacerdote è ben preparato ad affrontare qualunque tipo di
situazione, saprà farsi accettare. Lasciamo che entrambi possano
dialogare fra loro nella massima intimità. La morte è un momento
di grande sacralità, il conforto religioso è il migliore
accompagnamento per il viaggio, sia che il malato sia cosciente o
privo di conoscenza.
(1) L’Oceano della Teosofia – Adyar Ediz. 1985
UN AMBIENTE SERENO
Anche l’ambiente circostante ha una sua grande importanza.
Cerchiamo di mantenervi la massima serenità possibile.
Negli ultimi istanti di vita, alcune percezioni fisiche sono
esasperate, come ad esempio l’udito.
Ogni minimo rumore viene percepito come amplificato o distorto,
dobbiamo cercare di non accrescere la sensazione di ansia
eliminando dove possibile i suoni e rumori molesti, le voci
concitate, i pianti.
Qualche tempo fa, negli ospedali, quando il paravento annunciava
che qualcuno stava lottando con la morte, una suora si sedeva al
capezzale e sottovoce in modo ininterrotto recitava il rosario.
Dall’altro capo della Terra accade tuttora una cosa molto simile:
in Tibet arrivano accanto al morente i giovani monaci e, sempre
sottovoce e in modo ininterrotto, giorno e notte intonano
salmodiando i giusti mantra; dicono che in questo modo si crea un
ponte di luce fra la terra e il “bardo” e su questo ponte l’anima
potrà passare senza paura.
il nostro Rosario è un mantra altrettanto potente e consolatore,
è VERAMENTE un ponte di rose e di luce lanciato fra cielo e
terra, valido in qualunque occasione. Accanto al morente è la
preghiera più indicata poiché racchiude una invocazione
specifica: “Prega per noi peccatori adesso, e nell’ora della
nostra morte”
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