19 aprile 2016
Le ultime misurazioni del tasso di espansione dell’universo, che accelera per effetto dell’energia
oscura, mostrano discrepanze che mettono in crisi gli attuali modelli cosmologici. Se non
emergeranno errori dalle nuove analisi dei dati occorrerà rivedere uno o più elementi della teoria,
riabilitando la costante cosmologica introdotta da Einstein nella teoria della relatività generale,
e poi rimossa, oppure ipotizzando che l’energia oscura abbia caratteristiche ancora più strane di
quanto si pensa
di Clara Moskowitz
Il nostro universo si sta espandendo, e in ogni istante le galassie si allontanano l’una dall’altra
più velocemente di quanto non facessero un istante prima. Gli scienziati sono a conoscenza di questa
accelerazione dalla fine degli anni novanta, ma la natura dell’energia oscura che la determina
rimane un mistero.
Ora, l’ultima misura della rapidità dell’espansione del cosmo infittisce ulteriormente la trama:
l’universo sembra gonfiarsi più velocemente di quanto dovrebbe, anche tenendo conto dell’espansione
accelerata causata dall’energia oscura. Gli scienziati sono giunti a questa conclusione dopo aver
confrontato la nuova misurazione del tasso di espansione cosmica, noto come costante di Hubble, con
il valore della stessa costante previsto sulla base dei dati riguardanti l’universo primordiale. Lo
sconcertante conflitto, che era emerso in dati precedenti e che è stato confermato nel nuovo
calcolo, implica che una o entrambe le misurazioni siano viziate da errori, oppure che l’energia
oscura o qualche altro aspetto della natura agiscano in modo diverso da quanto ritenuto finora.
Il dato di fondo è che l’universo sembra espandersi con una rapidità più elevata dell’otto per
cento rispetto a quanto avveniva nella sua infanzia e rispetto alla sua evoluzione attesa, spiega
Adam Riess dello Space Telescope Science Institute di Baltimore, nel Maryland, che ha guidato lo
studio. Dobbiamo prendere questo dato maledettamente sul serio. Riess e colleghi hanno descritto
le loro scoperte, basate su osservazioni ottenute col telescopio spaziale Hubble, in un articolo
sottoposto all’Astrophysical Journal e già pubblicato su ArXiv.
Un’increspatura di energia oscura
Una delle possibilità più interessanti è che l’energia oscura sia ancora più strana di quanto
previsto dalle teorie oggi più in voga. La maggior parte delle osservazioni supporta l’idea che
l’energia oscura si comporti come una costante cosmologica, un termine inserito da Albert Einstein
nelle sue equazioni della relatività generale e successivamente rimosso. Questo tipo di energia
oscura potrebbe derivare dallo spazio vuoto, che, secondo la meccanica quantistica, non è vuoto
affatto, ma è invece pieno di coppie di particelle “virtuali” e rispettive antiparticelle che
incessantemente compaiono e scompaiono. Queste particelle virtuali sarebbero dotate di un’energia,
che a sua volta potrebbe esercitare una sorta di gravità negativa che spinge ogni cosa verso
l’universo esterno.
La discrepanza sulla costante di Hubble, però, suggerisce che l’energia oscura potrebbe
effettivamente cambiare nel tempo e nello spazio, causando potenzialmente un’accelerazione crescente
del cosmo, invece di essere una forza costante verso l’esterno. Una teoria chiamata quintessenza
propone questo tipo di energia oscura postulando che essa non emerge dal vuoto dello spazio, ma da
un campo che pervade lo spaziotempo e può assumere valori diversi in punti differenti.
Una spiegazione alternativa per la discrepanza è che esista un’ulteriore particella fondamentale
oltre a quelle che conosciamo. In particolare, una nuova specie di neutrino, particella quasi priva
di massa che si presenta in tre diverse varietà, potrebbe spiegare la divergenza nelle misurazioni
della costante di Hubble. Se esistesse anche un altro tipo di neutrino, allora una quantità maggiore
di energia totale dell’universo avrebbe preso la forma di una radiazione, invece che quella di
materia. (I neutrini, poiché non sono quasi privi di massa, viaggiano a velocità prossime a quella
della luce e quindi sono considerati come radiazione in questo calcolo). Mentre la materia si
aggrega per effetto della gravità, un budget di radiazione più elevato avrebbe permesso all’universo
di espandersi più rapidamente di quanto sarebbe stato altrimenti.
Queste sono solo due delle possibili implicazioni delle misurazioni. Un’altra opzione, per esempio,
è che l’universo non sia piatto, come si ritiene, ma leggermente curvo. Se i fisici teorici sono
eccitati da queste e altre ipotesi, gli scienziati impegnati negli esperimenti ritengono necessario
in primo luogo cercare nelle misure gli errori che possano spiegare la divergenza . Quello che non
capiamo ha a che fare con la comologia oppure con i dati?, si chiede Charles Bennett, ricercatore
della Johns Hopkins University, non coinvolto nello studio, che ha lavorato sulla misurazione della
costante di Hubble a partire dall’universo primordiale. Uno delle due possibilità è molto più
eccitante, ma credo che l’altra sia più probabile.
Una scala per le distanze
Riess e il suo gruppo hanno calcolato quanto velocemente si espande l’universo confrontando le
distanze di diverse galassie con il loro redshift, che misura di quanto la lunghezza d’onda della
loro luce è stata dilatata dall’espansione dell’universo. Il calcolo delle distanze era un’impresa
difficile che richiedeva una tecnica chiamata costruzione di una scala delle distanze. In primo
luogo, con metodi affidabili hanno misurato le distanze delle galassie vicine, poi hanno utilizzato
queste misure per calibrare le misurazioni delle stelle variabili all’interno delle galassie. Queste
stelle, chiamate Cefeidi, si accendono e si spengono periodicamente e possono così servire come
unità di misura cosmiche. Infine, i ricercatori hanno utilizzato le Cefeidi, che sono visibili solo
nel cosmo relativamente vicino, per calibrare le misure di una classe speciale di esplosioni di
supernova chiamata Tipo 1a. Queste supernove, esplodendo, producono una luminosità nota che permette
agli astronomi di dedurre le loro distanze. Una volta ottenute misurazioni affidabili delle
supernove vicine, i ricercatori le hanno potute confrontare con supernovae più lontane dello stesso
tipo per ottenere stime molto accurate delle loro distanze.
Questa è essenzialmente la stessa tecnica che Riess e colleghi hanno utilizzato negli anni novanta
per ottenere la prima prova dell’espansione accelerata dell’universo, una scoperta che è valsa a lui
e ad altri due ricercatori il Premio Nobel per la fisica. Nel 2011 il gruppo ha condottoto una
misura aggiornata della costante di Hubble sulla base di otto galassie contenenti sia Cefeidi sia
supernovae di Tipo 1a, ma il nuovo articolo ne ha aggiunte altre dieci. Per ciascuna di quelle
dieci galassie, abbiamo fatto circa 12 differenti osservazioni su un arco temporale di circa 100
giorni: è stata un’impresa, ha spiegato Samantha L. Hoffmann, della Texas A&M University, che ha
analizzato gran parte dei dati. La misura più recente stabilisce che il tasso di espansione
dell’universo è 73,02, più o meno 1,79, chilometri al secondo per megaparsec (circa 3 milioni di
anni luce): ciò significa che, per ogni megaparsec di allontanamento, lo spazio si sta espandendo di
circa 73 chilometri al secondo più velocemente.
Guardando indietro nel tempo
La misurazione della costante di Hubble dall’universo primordiale, d’altra parte, proviene da
osservazioni del fondo cosmico a microonde, la radiazione che è rimasta dal big bang e che pervade
l’intero cielo. Per arrivare alla costante di Hubble, i ricercatori hanno studiato la struttura del
fondo cosmico e hanno estrapolato i valori delle epoche moderne, in base alle più note leggi
cosmologiche. Le migliori osservazioni finora del fondo cosmico a microonde sono state effettuate
dal satellite Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, i cui dati stimano il tasso di espansione
dell’universo in 67,3, più o meno 0,7, chilometri al secondo per megaparsec.
In precedenza, tra le due misure si evidenziavano alcune incongruenze, dice Dan Scolnic
dell’Università di Chicago, membro del gruppo di Riess. Ora sia il nostro gruppo sia il gruppo di
Planck hanno rianalizzato i dati e quegli indizi sono diventati qualcosa di più: è un campanello
d’allarme che la faccenda potrebbe essere più grossa, e riguardare la più grande incongruenza
presente oggi nella cosmologia.
L’ultimo risultato è anche in buon accordo con le altre misurazioni della costante di Hubble basate
su simili misurazioni della scala delle distanze, come per esempio quelle di uno studio del 2012
condotto da Wendy Freedman dell’Università di Chicago. È interessante il fatto che hanno aumentato
la dimensione del loro campione e che il risultato è sostanzialmente invariato, dice Freedman.
Essere a questo punto è frutto di uno spettacolare progresso, ma una misurazione definitiva a
questo livello richiede metodi indipendenti; in ultima analisi, è davvero troppo presto per dire
come si risolverà la faccenda”. Freedman sta guidando un progetto per eseguire lo stesso calcolo
utilizzando un altro tipo di riferimento per le distanze cosmiche, le stelle variabili di RR Lyrae,
invece delle Cefeidi.
Anche su fronte del fondo cosmico a microonde, i ricercatori continuano ad analizzare i dati e a
cercare spiegazioni di ciò che potrebbe essere andato storto. Bennett, che ha guidato una missione
di mappatura del fondo cosmico, chiamata Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP), precedente a
quella dell’esperimento Planck, sostiene che esistono discrepanze anche all’interno dei dati del
fondo cosmico, per esempio tra ciò che i satelliti misurano guardando il cielo su piccola scala o su
grande scala. Prima di saltare alle conclusioni su questioni cosmologiche, mi piacerebbe prima di
tutto capire queste cose”, spiega Bennett. Nel complesso, egli è entusiasta dei progressi fatti
finora.
Abbiamo passato anni e anni con un’incertezza sul valore della costante di Hubble di un fattore o
due, e ora stiamo parlando di ridurla entro il due per cento, conclude Bennett. I termini che
stiamo confrontando hanno una precisione notevole, e questo è un testamento per molte persone in
questo campo di studi. Il messaggio è che non è finita: dobbiamo continuare a guardare avanti.
(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com l’11 aprile 2016.
Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
www.scientificamerican.com/article/cosmic-speed-measurement-suggests-dark-energy-mystery/
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