Il mito del colesterolo alto

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Il mito del colesterolo alto

Tratto dal libro: “Gli inventori delle malattie”

La misurazione dei tassi di colesterolo è un passatempo molto diffuso, che certi medici e certe
case farmaceutiche fanno di tutto per incoraggiare, visto che grazie a esso riescono a realizzare
profitti miliardari. Ecco che allora l’Associazione federale dei cardiologi tedeschi, la ditta Becel
(che produce margarina), il gruppo farmaceutico Pfizer e l’impresa Roche Diagnostics organizzano
regolarmente delle «iniziative per la salute», il cui obiettivo è quello di convincere la gente a
farsi misurare il tasso di colesterolo nel sangue. Su un opuscolo a disposizione dei clienti nelle
farmacie si può leggere quanto segue: «A partire dal trentesimo anno d’età, ognuno di noi dovrebbe
conoscere il proprio tasso di colesterolo e farlo controllare ogni due anni». Il principio che si
vuole far passare per vero è che una colesterolemia elevata rappresenta «uno dei più frequenti
fattori di rischio» per le malattie cardiocircolatorie. La «Neue Apotheken Illustrierte» definisce
il colesterolo una «bomba a orologeria per la salute».

Eppure il colesterolo è una componente molto importante del nostro organismo: il cervello ad
esempio ne ha bisogno in grande quantità. Esso infatti è costituito di colesterolo per una
percentuale che va dal 10 al 20%. La maggior parte delle cellule del nostro corpo possono produrre
esse stesse il colesterolo, se esso non è presente nei cibi. Ed è una fortuna, visto che senza
questa molecola tanto vituperata le cellule morirebbero. Tuttavia molte persone, non appena sentono
la parola colesterolo, temono seriamente di dover morire anzitempo di arresto cardiaco. L’incubo del
colesterolo fa andare di traverso a molti l’uovo che consumano durante il pasto o il burro che si
spalmano sul pane, o mette in imbarazzo chi sta per mangiarsi una bella salsiccia. Soltanto nel
2001, più di un milione di persone che non si sentivano a posto con la coscienza si sono sottoposte
al test della colesterolemia nell’ambito dell’«iniziativa per la salute». Come ci si poteva
aspettare, è risultato che per più della metà delle persone esaminate il valore riscontrato era
superiore al valore limite, fissato arbitrariamente a 200.

I medici e le case farmaceutiche interessati alla suddetta iniziativa, ne traggono direttamente
un grande vantaggio. La Roche Diagnostics produce apparecchiature per la misurazione del tasso di
colesterolo. I cardiologi hanno nuovi pazienti che vanno a farsi visitare, e a essi consigliano di
non consumare burro, cosa questa che giova alla ditta Becel, produttrice di margarina. La ditta
Pfizer poi guadagna miliardi di euro vendendo in tutto il mondo farmaci che riducono la
colesterolemia. Poche volte si è vista una campagna pubblicitaria che induce la maggioranza della
popolazione a pensare di essere malata, organizzata con tanta convinzione e con tanto dispendio di
risorse.

Un comitato dell’Associazione americana di cardiologia dice che occorre controllare regolarmente
la colesterolemia già nei bambini di cinque anni. Anzi, già prima della nascita del bambino, o nel
periodo immediatamente successivo, sarebbe bene che un medico verificasse se per il neonato
sussistono rischi di malattie cardiache e se in famiglia c’è qualcuno che ha il vizio del fumo. Gli
stessi cardiologi aggiungono che, quando il bambino comincia a essere in grado di consumare cibi
solidi, è bene consigliare ai genitori che gli facciano mangiare cibi poveri di colesterolo. E’
anche consigliabile far controllare la pressione sanguigna del bambino a partire dai tre anni di
età.

Va detto tuttavia che da test eseguiti a quell’età non è possibile prevedere quali saranno in
futuro le condizioni di salute di coloro che vi sono stati sottoposti. «Lo screening dei bambini,
anche di quel 25% di essi nelle cui famiglie si riscontra un’elevata colesterolemia e la presenza di
malattie cardiache precoci, è uno spreco di denaro che probabilmente fa più male che bene», osserva
il dottor Thomas B. Newman, epidemiologo dell’University of California di San Francisco.

Se si seguissero alla lettera i consigli di certi medici, non si dovrebbe neppure nutrire i
neonati con il latte materno: esso infatti è una vera e propria bomba al colesterolo. Ma in realtà
sono proprio i bambini allattati al seno quelli che crescono meglio. E la cosa non deve stupire,
visto che le cellule nervose e il cervello necessitano, per strutturarsi, della grande quantità di
colesterolo presente nel latte materno.

I programmi su larga scala studiati per educare la popolazione mentono quando inducono a credere
che le teorie sul colesterolo oggi di moda, siano una realtà ormai acquisita nel campo della
medicina. Molti medici nutrono seri dubbi riguardo al fatto che il colesterolo sia davvero il
responsabile principale di tanti casi di infarto cardiaco. Già quando in Germania, nel 1990, venne
fissato arbitrariamente il valore limite di 200, esperti come il cardiologo Harald Klepzig
dell’lstituto tedesco di cardiologia di Francoforte sul Meno hanno dichiarato di non essere
d’accordo con quella decisione. Proprio quando la teoria sul colesterolo oggi in voga stava
acquistando grande credito presso l’opinione pubblica, il dottor Klepzig ha detto: «Saremmo lieti se
potessimo disporre anche di un solo studio verificabile da cui risultasse che vite umane possono
essere salvate con l’abbassamento del tasso di colesterolo. Invece non abbiamo nessuna difficoltà a
trovare dieci studi che dimostrano che un calo dei lipidi corrisponde a una mortalità più elevata».

E Paul Rosch, presidente dell’American Institute of Stress e docente di medicina al New York
Medical College, commenta: «Il lavaggio del cervello che ha subito l’opinione pubblica ha funzionato
talmente bene che molte persone credono di essere in salute o di poter vivere più a lungo se hanno
il tasso di colesterolo basso. Invece non c’è niente di più falso».

In effetti l’opinione che il colesterolo alto sia causa di gravi inconvenienti per la salute non
si basa su prove, ma soltanto su indizi, molti dei quali se sottoposti a verifica si dimostrano
infondati. Nel 1953 Ancel Keys, un ricercatore dell’Università del Minnesota, ha pubblicato un
lavoro che sarebbe diventato il mito fondante della teoria sul colesterolo. In quel suo studio
l’autore ha inserito un diagramma, basato sull’ipotesi che in sei diversi paesi del mondo sia
riscontrabile una relazione evidente tra il consumo di grassi e la mortalità dovuta a cardiopatie
coronariche. La rivista «Lancet» ha commentato il lavoro con queste parole: «La curva tracciata non
lascia dubbi sul fatto che esista un rapporto tra la percentuale di grassi negli alimenti consumati
e il rischio di morte a causa di una cardiopatia coronarica».

La curva del diagramma fa sicuramente una certa impressione, tuttavia si basa su un errore non
da poco. Nel tracciarla, infatti, Keys ha preso in considerazione soltanto i dati provenienti da sei
paesi del mondo, pur avendo a disposizione le cifre relative a 22 paesi. Se si utilizzano tutti i
dati disponibili, ecco che il rapporto tra il consumo di grassi e la morte per arresto cardiaco si
dimostra inesistente. Se Keys «avesse incluso nella sua ricerca tutti i paesi di cui disponeva i
dati, non avrebbe potuto disegnare quella curva sul suo diagramma», dice il medico svedese Uffe
Ravnskov. «Ad esempio, negli Stati Uniti la mortalità dovuta a cardiopatie coronariche era tre volte
più alta che in Norvegia, anche se in entrambi i paesi il consumo di grassi era all’incirca lo
stesso».

I medici come Ravnskov non negano affatto che esista un rapporto tra i grassi nel sangue e le
cardiopatie coronariche. Circa lo 0,2% della popolazione soffre di ipercolesterolemia ereditaria: le
persone affette da tale malattia hanno troppo pochi recettori di colesterolo integri. Il colesterolo
quindi non può essere trasportato dal sangue alle cellule dell’organismo, per cui la colesterolemia
aumenta. I valori vanno da 350 a 1000 milligrammi per decilitro. Le persone che soffrono di questo
disturbo sono esposte più di altre al pericolo di morire d’infarto cardiaco, perché si ammalano
spesso di una grave forma di arteriosclerosi. Non è tuttavia sicuro che questa patologia sia
paragonabile alla vera arteriosclerosi. Esami autoptici eseguiti su persone che soffrivano di
ipercolesterolemia ereditaria hanno dimostrato che il colesterolo si deposita non solo nei vasi, ma
in qualunque altro organo. «Molti organi sono letteralmente impregnati di colesterolo», dice Uffe
Ravnskov. Perciò è sbagliato considerare valido il rapporto esistente tra colesterolo e
arteriosclerosi per persone che hanno la colesterolemia «normale».

A volte il medico cerca di convincere un paziente anziano «a rischio» a cambiare le sue
abitudini alimentari e a cibarsi di alimenti poveri di colesterolo, ma per la persona anziana questo
cambiamento può risultare pericoloso. L’alimentazione di chi è avanti con gli anni è «comunque già
pregiudicata da protesi dentarie, stipsi, mancanza d’appetito e intolleranza verso parecchi cibi»,
avverte il medico americano Bernard Lown, un noto specialista di malattie cardiache che nel 1985 ha
ricevuto il premio Nobel per la pace quale membro dell’associazione internazionale Medici per la
prevenzione della guerra atomica. Lown ricorda il caso di una sua paziente molto anziana che di
colpo era dimagrita e deperita perché voleva abbassare il livello del colesterolo. Lown le disse che
se avesse continuato in quel modo avrebbe messo in pericolo la sua salute: «Le ordinai di ignorare i
consigli che le erano stati dati da altri medici e di mangiare tutto quello che le piaceva.
Nell’arco di sei mesi ritrovò il suo peso di prima e anche l’umore allegro e propositivo che la
caratterizzava». In realtà abbiamo bisogno del colesterolo oggi tanto vituperato, dalla nascita fino
all’età più avanzata.

La saga delle statine
La presenza nell’organismo delle cosiddette statine impedisce che si formi in esso l’acido
chiamato mevalonico, necessario per la sintesi del colesterolo. In questo caso le cellule
dell’organismo debbono procurarsi il colesterolo dai cibi, per cui il tasso di colesterolo nel
sangue diminuisce. Questa caratteristica delle statine fa sì che esse siano un prodotto d’importanza
capitale per l’industria farmaceutica. Le persone che possono averne bisogno sono moltissime: sono
cioè tutti quegli individui il cui tasso di colesterolo è già stato definito troppo alto e che
quindi hanno bisogno di cure. Si tratta di persone che, a parte il colesterolo alto, stanno bene di
salute e quindi possono vivere tanto a lungo da dover assumere statine tutti i giorni per decenni.
In effetti le sostanze che impediscono la formazione del colesterolo si sono dimostrate vere e
proprie macchine per far soldi sul mercato dei prodotti farmaceutici, soprattutto perché sono state
brevettate e si possono acquistare soltanto a caro prezzo (all’incirca da uno a due euro per ogni
dose giornaliera). La Pfizer con la sua statina chiamata Lipitor conta di arrivare a un volume
d’affari annuo di dieci miliardi di dollari: già oggi il Lipitor è il prodotto farmaceutico più
venduto di tutti i tempi. Il prodotto concorrente, lo Zocor della ditta Merck & Co., arriva alla non
meno impressionante cifra di 7,5 miliardi di dollari. Negli Stati Uniti il 5,4% della popolazione
adulta assume statine e nel mondo si contano 44 milioni di consumatori.

(…)

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