“A proposito del nibbana”
del monaco buddhista Isi Dhamma
Tratto da it. dhammadana.org
L’insegnamento di oggi è sulla definizione di nibbana. nibbana è lo scopo supremo di ogni vero
buddhista. Ogni persona che prende coscienza della natura penosa dell’esistenza non può che aspirare
a ciò, ed il più rapidamente possibile. Quando un buddista prende rifugio nei tre gioielli, che sono
Buddha, Dhamma e sangha; quando rende omaggio ai suoi genitori, ai suoi ascendenti; quando osserva i
cinque, o gli otto precetti, ecc. il suo desiderio finale è di raggiungere il nibbana. Perché così
tante persone desiderano tanto realizzare l’esperienza del nibbana? Perché fu, è e sarà sempre la
migliore, la più nobile e la più perfetta delle felicità, spoglia da ogni attaccamento e da ogni
errore.
Tuttavia, alcuni dubitano della felicità di una simile esperienza, ove non esiste alcun piacere
sensuale, né alcuna sensazione. Questa idea non piace loro. I masticatori di bétel non amano le
località ove non si trova il bétel; i fumatori non vanno nelle zone ove sia proibito fumare; chi ama
le grandi distrazioni non si reca nei luoghi ove non ci sia del divertimento. I piaceri dei sensi
sono i desideri per le sensazioni gradevoli che possono apparire al contatto tra: un oggetto visivo
e l’occhio, un oggetto auditivo e l’orecchio, un oggetto olfattivo ed il naso, un oggetto gustativo
e la lingua, un oggetto tattile ed il corpo, un oggetto mentale e la mente. Ogni persona che è
attaccata ai piaceri dei sensi tende a non amare il nibbana, che ne è del tutto sprovvisto. Questi
piaceri sono chiamati vedayita sukha, cioè: il piacere attribuito al contatto degli organi di senso.
Riguardo qualunque piacere sensuale, è necessario uno sforzo per acquisirlo e trattenerlo. Questo
sforzo è sempre penoso, faticoso, costoso; mentre l’oggetto del piacere è sempre effimero, nocivo.
Prendiamo, per esempio, il piacere del palato: bisogna produrre un lungo lavoro per procurarsi degli
alimenti. Vi è il trasporto, l’acquisto (con denaro duramente guadagnato). Secondo il tipo di
alimenti, se sono rari e desiderati, ci si può trovare di fronte a dei conflitti; a seconda di dove
ci si trovi, ciò può risultare pericoloso; se si deve cacciare un animale, ciò procura degli
akusala, ecc. Infine, bisogna prepararli: pulizia, taglio, dosaggio, cucina, cottura, ecc. Il
procedimento del pasto è esso stesso egualmente il risultato di sforzi: bisogna servirsi, preparare
i bocconi, masticare, ingoiare, ecc. Dopo mangiato, ci sono le stoviglie, bisogna espellere gli
escrementi e l’urina, c’è la digestione che appesantisce il corpo per molte ore, la pulizia dei
denti; e, se questo è mal fatto, possono apparire delle carie; se il cibo è avariato, il corpo può
uscirne intossicato, ecc. In realtà, una sensazione piacevole non procura mai soltanto del
benessere; inevitabilmente, c’è sukha (felicità) e dukkha (sofferenza), che appaiono assieme.
Esiste un altro tipo di felicità, chiamata santi sukha, che, contrariamente a vedayita sukha, non è
connessa ai piaceri dei sensi. Si tratta di un oggetto supremo di pace e di tranquillità, una
felicità perfetta, libera da ogni impurità e, dunque, di ogni attaccamento e di ogni tipo di
sofferenza. E’molto complicato fare dei paragoni precisi. Ecco, comunque, un’illustrazione che
permette di averne un’idea:
Immaginiamo qualcuno messo in prigione, per dei crimini. E’ naturalmente infelice, fisicamente mal
messo, le sue condizioni esistenziali sono miserevoli. La sua cella è angusta, molto lurida, piena
di insetti sgradevoli e di parassiti, invasa da cattivi odori. Durante il suo lungo soggiorno in
questa prigione, il criminale subisce delle angosce fisiche e mentali. Il giorno in cui la sua pena
finisce, si trova all’improvviso liberato dalla prigionia e di conseguenza da tutte le avversità che
sono peculiari ad essa. Anche se si ritroverà povero e senza possedere nulla, il fatto di venire
liberato dalle condizioni atroci del carcere sarà vissuto da lui come una felicità immensa, come una
grande realizzazione della fine di ogni sofferenza.
Immaginiamo, adesso qualcuno colpito dalla lebbra. E’ sfigurato, le sue piaghe sono ripugnanti.
Nessuno vuole frequentarlo, ed egli conduce una vita da recluso. Soffre per molti mali della sua
malattia, ma ne resta impotente, dato che non può fare nulla per il fisico e non possiede alcun
metodo per superare finanziariamente i suoi problemi. E’, dunque, sventurato ed ha il morale molto
basso. Un giorno ha la fortuna di incontrare un medico sufficientemente amabile e competente per
guarirlo dalla sua malattia. Possiamo immaginarci come possa divenire felice. Quel momento è
sicuramente il più gioioso della sua intera vita, anche se egli vive nell’indigenza. La sua malattia
era così opprimente che la felicità di essersene sbarazzato è più intensa della felicità procurata
da ogni altro eventuale piacere sensuale.
Similmente, la felicità del nibbana non è legata all’acquisizione di un bene, e neppure ad un
oggetto piacevole dei sensi. Come è stato precedentemente insegnato, si tratta di un oggetto supremo
di pace e di tranquillità, una felicità perfetta, senza attaccamenti: il fine ultimo di ogni
sofferenza.
Certuni descrivono nibbana come se si trattasse di un luogo magnifico. Alcuni tentano di dipingere
una bella città utopica per rappresentarlo. Altri visualizzano nibbana come un palazzo di vetro
brillante. E c’è chi lo immagina come un luogo ove l’atmosfera è fresca e serena, che supera tutte
le creazioni artificiali delle dimore umane più lussuose. Queste interpretazioni sono tuttavia delle
illusioni.
Ecco alcune corrette definizioni, che figurano nelle Scritture:
1. “nibbati etthatinibbana”: “nibbana è la pace che risulta dalla cancellazione della sofferenza”.
Lo stato di freschezza calmo, santi, in pali, è una caratteristica del nibbana. Quando lo yogi
contempla i fenomeni fisici e mentali e realizza improvvisamente la cessazione di tutti questi
fenomeni, la sofferenza si estingue del tutto.
2. “nibbativa adukkha etamsi adhigatetivanibbana”: Quando questa serena freschezza è raggiunta, la
ronda delle sofferenze nel campo delle impurità (kilesa vassa), delle azioni (kamma va??a) e dei
risultati delle azioni si interrompono”.
3. “nibbayatenibbana”: nibbana causa una fine piena di pace nella ronda delle sofferenze”. Con
l’aiuto dell’arahant magga, i kilesa vengono spenti. Così, nibbana permette lo svanire dei kilesa,
del karma e di vipaka:
a) kilesa vassa: impurità mentali che causano avijja (l’ignoranza delle quattro nobili verità),
tanha (la sete) ed upadana (l’attaccamento).
b) kamma vassa: assieme delle azioni sane, o malsane che poggiano sui kilesa.
c) vipaka vassa: provocato dalle azioni buone o negative, assieme di nama e rupa, che costituisce
una nuova rinascita. Quando vi sono dei kusala kamma, una maggioranza di essi genera una esistenza
nei mondi superiori; una maggioranza di akusala ne provoca una nei mondi inferiori.
Quando si realizza nibbana, questi tre vatta si estinguono.
Gli yogi che hanno delle difficoltà a comprendere chiaramente le spiegazioni date nelle scritture
pali forse si domanderanno:”come si può spiegare nibbana in semplici parole?” Una volta, il re
Milinda pose questa domanda al Venerabile Nagasena, che gli rispose:” O nobile re! Uno yogi che
contempla i fenomeni fisici e mentali in maniera ininterrotta, dal momento in cui si sveglia, sino a
quello che precede il sonno, notando il movimento del gonfiarsi e sgonfiarsi dello stomaco durante
la seduta, il movimento del passo mentre cammina, il movimento dei gesti durante le normali
attività, i suoni che ascolta, gli odori, i gusti, i tatti, i dolori, i pensieri, ecc.. sforzandosi
di applicare l’attenzione su ogni istante, sarà portato, un giorno, a constatare che non solo non
v’è più un unico oggetto da osservare, ma che non esiste più alcuna coscienza. Una simile esperienza
viene chiamata la realizzazione del nibbana.
Cosa sperimenta lo yogi nel momento in cui realizza nibbana?
1. La caratteristica: lo yogi può riconoscere la realizzazione del nibbana attraverso le
caratteristiche della pace e della cessazione dei fenomeni fisici e mentali. Questo non è sonno, né
perdita di coscienza, né morte. Alcuni pensano che dei sintomi, quali una violenta vibrazione del
corpo, o una scossa che li faccia cadere al suolo caratterizzino il nibbana. Questo punto di vista è
totalmente errato.
2. La funzione: nibbana possiede la virtù di proteggere perfettamente il corpo da ogni danno. La
mente è totalmente calma ed il suo ardore pienamente risvegliato.
Che il corpo sia assiso, o in piedi, esso resta immobile, dritto, grazioso, composto. Non si curva,
non dondola e non cade.
3. La manifestazione:Nel momento dell’esperienza del nibbana, lo yogi non sarà cosciente del suo
corpo; né della sua forma, né della sua vista, né della sua silhouette. L’apparizione e la
sparizione dei nama e dei rupa sono cessate assieme. Tutto è divenuto pacifico, ogni movimento, ogni
visione ed ogni silhouette sono spariti. Questi sono i sintomi del nibbana.
Come deve lo yogi sforzarsi di raggiungere il nibbana? Buddha ha detto:” O monaci! Per realizzare
magga e phala (il cammino ed il frutto), il bhikkhu (lo yogi) deve addestrarsi al satipatthana
vipassana bhavana, poiché questa è la sola via che porta al nibbana. “Così, ogni yogi deve
contemplare il movimento dei passi durante la marcia, il movimento dell’addome durante la seduta, i
suoni, gli oggetti tattili, gli oggetti mentali, ecc..in modo sostenuto e ininterrotto, fino a
realizzare la cessazione di ogni fenomeno fisico e mentale. Lo yogi non dovrebbe mai abbandonare la
sua disciplina fino a che non arrivi a questa cessazione dei nama e dei rupa, poiché questo è
l’unico modo per realizzare magga e phala, il cammino ed il frutto, che è nibbana.
Ai tempi di Buddha viveva il figlio di un uomo ricco, che si chiamava Soreyya. Mentre stava
scendendo al fiume per bagnarsi scorse un bellissimo monaco, il Venerabile Mahakaccañña. Allora,
lascio che il suo spirito si distraesse e sognò:” Se questo monaco fosse stata una donna, l’avrei
ben presa come moglie!”
Poiché il Venerabile Mahakaccañña era un arahant, Soreyya venne immediatamente trasformato in donna,
a causa del suo desiderio insultante verso un arahant. Comprendendo il suo errore, egli moltiplicò
le sue scuse e chiese perdono, sottolineando il suo rispetto verso il Venerabile Mahakaccañña, con
delle prosternazioni. E, finalmente, ritrovò le sue sembianze mascoline. In seguito a questo
avvenimento, decise di unirsi alla comunità monastica ed iniziò immediatamente a praticare con
diligenza e senza interruzione vipassana bhavana. Contemplò ogni percezione che appariva attraverso
le sei porte sensoriali, come il movimento dei passi, quello dell’addome, i suoni, i tatti, i
pensieri, ecc. sino a che pervenne alla realizzazione di magga e di phala, cioè al nibbana.
A coloro che chiedono se realizzare il nibbana sia come entrare in un magnifico e lussuoso palazzo,
in una città meravigliosa, o in una casa vetro, con l’aggiunta di gioia e conforto, possiamo
rispondere che nulla di tutto ciò è vero. nibbana è la cessazione completa dei kilesa e delle sue
radici, che sono lobha, dosa, e moha, la scomparsa definitiva di ogni attaccamento, di ogni odio, di
ogni illusione, di ogni impurità e di ogni sofferenza; sono la pace perfetta e la completa
tranquillità. Questa, la definizione data dal Venerabile Nagasena al re Milinda.
Così, ogni yogi dovrebbe addestrarsi con sforzo ardente, con perseveranza e in maniera continua al
satipatthana vipassana bhavana, sino all’estinzione di kilesa vassa, la ronda delle sofferenze,
dovuta alle impurità mentali; all’estinzione di kamma va??a, la ronda delle sofferenze dovuta
all’azione provocata dai kilesa; all’estinzione di vipaka va??a,la ronda delle sofferenze dovuta
all’assieme dei nama e rupa, che rappresentano una nuova esistenza.
Possiate tutti realizzare la fine di tutte le impurità, di tutte le sofferenze, per gioire della
felicità perfetta, libera di ogni attaccamento, e compiere il più rapidamente possibile la
realizzazione di nibbana!
sadhu! sadhu! sadhu!
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