IL PERCORSO EVOLUTIVO DELL’ESSERE UMANO – 3
da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
Gurdjieff e l’evoluzione umana
di Luisa Della Morte e Niccolò Branca
Gurdjieff è stato un pensatore molto originale, il suo pensiero colpisce e stimola perché con
chiarezza e lucidità porta a riconoscere i meccanismi e i condizionamenti della vita che ostacolano
il cammino verso una presa di coscienza personale. La sua domanda è apparentemente semplice ed
arriva in modo ineluttabile a tutte le persone che decidono di prendere in mano la propria vita. E
questa sostanzialmente è “qual è il senso e il significato della vita sulla terra, e in modo
particolare dell’uomo?”. Pochi cenni biografici ci possono far intravedere come la vita di Gurdjieff
sia stata rivolta sin dai primi anni alla necessità di dare una risposta a questa domanda.
G.I.Gurdjieff nacque nel 1877 a Gurmu, città del Caucaso vicino alla frontiera russo – turca e visse
poi a Kars, che in quel periodo raccoglieva gruppi etnici di diverse provenienze. Questa convivenza
stimolò e facilitò Gurdjieff a viaggiare e a continuare le sue ricerche lontano dai luoghi
familiari, entrando in contatto con scuole di pensiero difficilmente avvicinabili. Nella sua
autobiografia Incontri con uomini straordinari Gurdjieff ci parla delle persone che incontrò in
quegli anni e che influenzarono il suo pensiero. All’inizio della prima guerra mondiale Gurdjieff
visse a Mosca e attraverso conferenze, rapporti personali raccolse intorno a sé numerosi allievi con
cui formò piccoli gruppi, non solo a Mosca ma anche a Costantinopoli, Tiflis, Londra. Nel’22 si
stabilisce a Fontainebleu in Francia e apre l’Istituto per lo Sviluppo armonico dell’uomo, che in
diversi periodi raccoglierà persone dalle svariate esperienze, unite dal progetto comune di lavoro
su di sé attraverso la danza, l’espressione e l’accudimento della casa. Ma un grave incidente d’auto
gli impedisce di viaggiare e di visitare le scuole nel frattempo sorte in tutto il mondo, si dedica
perciò interamente alla stesura dei Racconti di Belzebù al suo nipotino. Muore a Parigi nel ’49.
La necessità per l’uomo di essere consapevole della propria meccanicità è il primo passo che
Gurdjieff ci propone di fare verso una possibilità di cambiamento e di evoluzione. Il più grande
errore è credere che l’uomo abbia un’unità permanente; in realtà l’uomo moderno vive nel sonno e
Gurdjieff lo paragona a una casa senza padrone piena di servi dove continuamente ognuno di loro
cerca di essere il padrone.
Nel documento di presentazione dell’Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo Gurdjieff dice: “La
psiche dell’uomo moderno è scissa in tre entità completamente indipendenti che non hanno alcun
rapporto reciproco e che sono separate sia nelle loro funzioni che nelle loro manifestazioni. Questi
tre centri (fonte della vita intellettuale, fonte della vita emotiva e il centro motorio o
istintivo), anziché amalgamarsi interiormente nel modo normale per produrre comuni manifestazioni
esteriori, marciano lungo strade diverse che raramente s’incontrano e perciò non concedono la minima
possibilità di ottenere quello che in realtà si dovrebbe capire per mezzo della propria coscienza,
malamente usata dalla gente moderna d’oggi.
E ancora: “L’uomo moderno rappresenta tre diversi uomini in un singolo individuo, il primo pensa in
modo completamente isolato, il secondo Si limita ad aver sensazioni, il terzo agisce soltanto
automaticamente, secondo riflessi stabiliti o accidentali delle sue funzioni organiche. Ciò deve
portare a concludere che l’uomo non è padrone neanche di se stesso perché non solo non controlli
questi centri, che dovrebbero funzionare completamente subordinati alla sua coscienza, ma non sa
neppure quale di questi centri lo governi. L’uomo moderno non pensa, ma qualcosa pensa per lui, egli
non agisce, ma qualcosa agisce tramite lui, egli non crea, ma qualcosa viene creato per mezzo suo,
egli non realizza, ma qualcosa viene attuato attraverso di lui.
Nel percorso dell’evoluzione Gurdjieff suddivide la natura umana in sette categorie.
La maggior parte degli uomini si lascia dominare dagli istinti, da abitudini materiali, cioè dal
corpo fisico. Questo è l’uomo numero uno. I1 suo comportamento è dominato da considerazioni di tipo
materiale, la sua attenzione è rivolta alla quantità più che alla qualità, al concreto più che ai
valori profondi.
Nell’uomo numero due prevalgono i sentimenti e le emozioni, entusiasmi irrazionali, antipatie e
simpatie profonde, paure e speranze con scarso fondamento nella realtà; agisce fidandosi dei propri
sentimenti.
Nell’uomo numero tre predomina la funzione del terzo centro, la sua mente predomina sul corpo e i
sentimenti, c’è la propensione a risolvere i problemi più a parole che con i. fatti. Secondo
Gurdjieff la maggior parte di noi appartiene ad una di queste tre categorie.
L’uomo numero quattro non è nato così ma lo diventa in seguito ad una serie di sforzi di carattere,
sulla via della liberazione dal proprio egoismo e ha visto il proprio percorso nell’evoluzione; e un
prodotto di lavoro di scuola, il suo livello é nettamente superiore all’uomo numero uno, due e tre,
: egli ha soprattutto un centro di gravità permanente, e i centri psichici iniziano ad equilibrarsi
ha un atteggiamento stabile nei confronti della vita.
L’uomo numero cinque ha avuto una trasformazione interiore che gli permette di acquisire un diverso
tipo di natura, non più soggetto alle limitazioni dell’esistenza, possiede un io permanente e tutta
la sua conoscenza appartiene a questo io; il suo corpo non muore con il corpo fisico.
L’uomo numero sei è il grande santo, possiede un corpo di natura superiore sede dell’intelletto
oggettivo, che tuttavia può ancora perdere.
L’uomo numero sette è il sapere oggettivo, è libero da qualsiasi limitazione della propria
individualità, possiede volontà, coscienza, un io permanente e immutabile, immortalità,
individualità e tante altre proprietà che non è possibile definire.
Rispetto all’immortalità, secondo Gurdiieff l’uomo è un essere naturale con i semi potenziali
dell’immortalità ma la cui crescita non è garantita. Secondo un insegnamento antico l’uomo che ha
raggiunto il completo sviluppo possibile è composto da quattro corpi. Questi quattro corpi sono
costituiti da sostanze che diventano sempre più sottili, si compenetrano e formano quattro organismi
indipendenti aventi tra loro una relazione e capaci di azione indipendente. Gurdjieff definiva il
primo corpo fisico, nella terminologia cristiana il corpo carnale, il secondo, sempre secondo la
terminologia cristiana, è il corpo naturale, il terzo è il corpo spirituale, e il quarto, nella
terminologia del cristianesimo esoterico, il corpo divino. Secondo la terminologia teosofica, il
primo è il corpo fisico, il secondo il corpo astrale, il terzo il corpo mentale e il quarto il corpo
causale. Nel linguaggio figurato di certi insegnamenti orientali, il primo è la carrozza, il secondo
è il cavallo, il terzo il cocchiere e il quarto è il padrone.
I1 primo corpo, il corpo fisico, assicura tutte le funzioni necessarie per la sopravvivenza al
secondo corpo; il corpo astrale, l’anima in rapporto al corpo fisico, si forma quando esiste una
sovrabbondanza di sostanze che si cristallizzano, e, se ciò accade prima che l’uomo muoia, allora il
corpo astrale sopravvive alla morte del corpo fisico. Anche il corpo astrale è soggetto ai suoi
centri, e per questo deve essere educato a elaborare nuove sostanze. L’uomo che ha due corpi può,
durante la sua vita, formare il terzo corpo. Quando i tre corpi lavorano insieme fissano le nuove
proprietà acquisite formando il quarto corpo . Questo dà accesso a possibilità, che solo l’uomo
autentico possiede e segna il raggiungimento massimo del suo sviluppo su questo pianeta. In una
delle sue caratteristiche esemplificazioni Gurdjieff paragonava lo sviluppo dei quattro corpi ai
processi che avvengono in un alambicco che contiene diverse polveri mescolate (i nostri io e le
nostre multiple volontà). Se queste vengono riscaldate (lavoro su di sé, lotta tra i si e i no
dell’uomo) si fondono e non sono più facilmente separabili, (formazione del secondo corpo) e se si
aggiungono nuove caratteristiche come il magnetismo o la radioattività avremo un nuovo prodotto o
una nuova sostanza (terzo corpo) che verrà poi definitivamente fissato (quarto corpo). E’ certo che
non esiste una scuola universale per ogni tipo di persona, da sempre esistono scuole corrispondenti
alla divisione dell’uomo in uomo numero uno, due e tre. All’uomo numero uno corrisponde la via del
fachiro, che lotta col corpo fisico; il fachiro deve sviluppare la volontà sul corpo per ottenere il
potere, è una via di sofferenze con esercizi particolarmente forti; se queste sofferenze vengono
superate attraverso la volontà c’è la possibilità di sviluppare il quarto corpo, ma le altre
funzioni intellettuali ed emozionali rimangono allo stadio primitivo.
All’uomo numero due corrisponde la via del monaco, della devozione, del sentimento. I1 monaco lavora
per lunghissimi anni nel tentativo di sottomettere tutte le emozioni e se riesce a farle confluire
in una sola anche lui può raggiungere il quarto corpo.
L’uomo numero tre corrisponde alla via dello yogi: egli lavora sull’intelletto e solo cosi può
raggiungere il quarto corpo, ma le sue emozioni e il suo corpo non ne avranno nessun beneficio.
Certo che se non esistesse un’altra via saremmo messi veramente male. Per fortuna Gurdjieff ci parla
della via dell’uomo astuto, (“1a quarta via”): quest’uomo conosce un segreto che il fachiro, il
monaco e lo yogi non conoscono, e la cosa più bella e allo stesso tempo affascinante è che per
seguire questa via non bisogna ritirarsi dal mondo, poiché le con dizioni naturali sono dell’uomo
stesso, l’uomo deve comprendere, senza comprendere non può assolutamente percorrere la quarta via,
ogni uomo deve assicurarsi da sé delle verità che gli renderanno possibile il lavoro simultaneo sul
corpo fisico, emozionale e intellettuale. L’individualità nel senso di unità interiore, l’io
permanente e immutabile, la coscienza, la volontà, possono appartenere all’uomo. Percorrendo la
quarta via si deve sviluppare la consapevolezza e il ricordo di sé, attraverso la pratica dell’auto
osservazione con vari esercizi. Gurdiieff ci parla dell’esercizio dello stop, che significa: darsi
uno stop e dove sei con la faccia che hai, con i pensieri che hai, con le emozioni che hai ti dai
uno stop e ti vedi in quel momento ti osservi e se noi siamo in ricordo di noi stessi lo stop può
essere pressoché immediato, ma se non ci ricordiamo di noi, se siamo in un percorso pressoché
automatico non riusciremo a fermarci, non c’eravamo, chi eravamo? Eravamo ciò che sta accadendo
fuori di noi e quindi non riusciamo a fermarci. Perciò uno deve lottare contro le emozioni negative,
contro il mentire, l’identificazione, il considerare, l’immaginazione.
L’evoluzione non è un processo automatico, ma un processo cosciente; e quando percorriamo questo
cammino dobbiamo fare attenzione a tutti i particolari; poiché il salto è brusco, la coscienza va in
una zona inconscia. Noi viviamo in un sogno, con le nostre attese, le nostre aspettative, e se ci
ricordiamo che stiamo sognando abbiamo qualche possibilità di svegliarci. Sogno significa che noi
pensiamo di essere quello che noi siamo, il nostro livello di cultura e di civiltà vive di
illazioni, di fandonie, di luoghi comuni, di inesattezze che noi chiamiamo la nostra cultura, la
nostra storia. Tutto questo in grandissima parte è falso come i valori, giudizi, attitudini e chi ha
il coraggio di dirlo apertamente esce dal gregge, viene additato come un matto ghettizzato, perché
affronta direttamente la mente collettiva dicendogli la verità. E noi ricercatori, che utilizziamo
questi codici pericolosi, lavoriamo in maniera pericolosa su di noi, pericolosa perché diventiamo
cosci di essere in un sogno, perché abbiamo accettato per forza di cose una mente collettiva, ma ora
siamo decidere di togliercela da dosso e di ricrearci una nuova esistenza, una nuova vita, una nuova
consapevolezza di esistere. La nostra esistenza è in un universo che non conosciamo e noi non
sappiamo perché noi siamo, non ci conosciamo, ma esistiamo così come tutto esiste e fluisce con una
sua armonia, una sua bellezza, una sua infinità, e questo infinito in cui esisto è divino, sacro.
Il superuomo: così parlò Zarathustra
di Friedrich Nietzsche
Così parlò Zarathushtra:
Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per
superarlo? Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In
passato foste scimmie, e ancor oggi l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia.
Ecco, io vi insegno il superuomo!
Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!
Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di
sovraterrene speranze!
Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio.
Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra:
possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e
così sono morti anche tutti questi sacrilegi.
Commettere il sacrilegio contro la terra, questa oggi è la cosa più orribile.
Zarathustra guardò meravigliato la folla. Poi parlò così:
L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio
periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso
rabbrividire e fermarsi.
La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una
transizione e un tramonto.
Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione.
Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E
così egli vuole il proprio tramonto.
Io amo colui l’anima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro
di lui: tutte le cose divengono così il SUO tramonto.
Io amo colui che è di spirito libero e di libero cuore: il SUO cervello, in tal modo, non è altro
che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. Io amo tutti coloro che sono come
gocce grevi, cadenti una ad una dall’oscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il
fulmine e come messaggeri periscono.
Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si
chiama superuomo.
E’ tempo che l’uomo fissi la propria meta. E’ tempo che l’uomo pianti il seme della speranza più
alta.
Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. Io vi dico:
voi avete ancora del caos dentro di voi.
E così parlò al suo cuore:
Una nuova luce è sorta al mio orizzonte: compagni di viaggio mi occorrono e vivi, non compagni morti
e cadaveri, da trascinare dove io voglio.
A portar via molti dal gregge – per questo io sono venuto. Pieni di collera verso di me, hanno da
essere il popolo ed il gregge: predone vuol essere chiamato dai pastori, Zarathustra.
Guarda i credenti di tutte le fedi! Chi odiano essi massimamente? Colui che spezza le loro tavole
dei valori, il distruttore, il delinquente – ma questi è il creatore.
Compagni per il suo viaggio cerca il creatore e non cadaveri, e neppure greggi e fedeli. Compagni
nella creazione cerca il creatore, che scrivano nuovi valori, su tavole nuove.
Compagni cerca il creatore, tali che sappiano affilare le falci. Distruttori li chiameranno e
dispregiatori del bene e del male. Essi invece sono i mietitori che celebrano la festa.
L’evoluzione umana secondo Teilhard de Chardin
di Aurelio Penna
Se vi è per l’umanità un ambito nel quale tutto dovrebbe risultare immutabile, tale è, almeno a
prima vista, quello della religione. Qui infatti l’uomo si trova al cospetto delle realtà ultime,
metafisiche, trascendenti, che, proprio per questo, dovrebbero rappresentare un punto fermo,
assoluto, fuori dalla storia e quindi dalle mutazioni.
Invece è proprio sul terreno religioso che si assiste alle più macroscopiche e pervasive forme di
evoluzione. Ciò accade a vari livelli: teologico, strutturale, personale. Un esempio del primo lo
troviamo nella Bibbia, che è un insieme eterogeneo di varie decine di libri, scritti da autori
diversi nell’arco di circa 1200 anni. In essa è possibile rilevare significative evoluzioni del
pensiero teologico, a proposito della stessa concezione di Dio, dell’uomo, come pure del destino di
questi dopo la morte. Un esempio di evoluzione strutturale lo rileviamo dalle varie espressioni con
le quali si è concretizzato il cristianesimo, dal cattolicesimo all’ortodossia, al protestantesimo,
con mutamenti sostanziali nella concezione dell’autorità e della natura della Chiesa stessa.
Un principio evolutivo è poi reperibile in modo palese nelle micro storie dei singoli credenti.
Pensiamo al Buddhismo, nel quale l’uomo, attraverso una successione di reincarnazioni, giunge a
concludere la propria parabola nel nirvana. Pensiamo in genere a tutte le religioni, nelle quali la
dimensione del misticismo apre le porte ad un progressivo affinarsi della spiritualità
dell’individuo, che nei casi estremi giunge a svaporare nell’infinitudine del Tutto.
Una delle teorizzazioni più audaci e suggestive del principio dell’evoluzione applicata alla realtà
universale e all’uomo in particolare è quella dovuta a Pierre Teilhard de Chardin. Francese gesuita,
vissuto tra il 1881 e il 1955, Teilhard de Chardin fu scienziato (geologo e paleontologo), filosofo
e teologo di grande rilievo, pensatore di straordinaria ampiezza e originalità, volto a riconciliare
il principio dell’evoluzione con la fede cristiana e insieme a restituire all’uomo una concreta
speranza nel futuro. Il suo pensiero, certamente assai innovativo e sovvertitore rispetto alla
tradizione cristiana, suscitò una dura e sospettosa reazione da parte del Vaticano e la censura
ecclesiastica gli inibì sempre di pubblicare quegli scritti nei quali tenta di reinterpretare il
cristianesimo in termini di cultura moderna, presentando una visione originale del cosmo, dell’uomo
e del senso della vita, che prende le mosse dalla scienza e propone l ‘uomo stesso come chiave e
punta qualitativa più alta dell’universo. Nondimeno egli restò sempre fedele e obbediente alla sua
chiesa, accettando con disciplina l’esilio culturale che gli fu imposto. I suoi scritti sul
significato filosofico e teologico dell’evoluzione e sulla spiritualità cristiana videro la luce, in
quindici volumi, solo dopo la morte; le opere più compiute sono Le milieu divin e Le phénomène
humain.
Teilhard prende le mosse da una prospettiva evoluzionistica generalizzata e sviluppa il suo pensiero
su tre differenti livelli. Al primo livello, scientifico, vi è un processo nel quale la materia, da
uno stato di semplicità elementare, si fa complessa in corpi sempre più evoluti, fino all’apparire
della vita che, in particolari condizioni, si manifesta per generazione spontanea, sulla terra e
forse anche altrove. Il processo è governato dalla legge di complessità -consapevolezza, per cui a
strutture organiche sempre più complesse corrisponde una sempre maggiore coscienza di sé, che
raggiunge il massimo nell’essere umano, con il pensiero e la facoltà della riflessione, che fa
riscontro al massimo di complessità organica, rappresentato dal sistema nervoso e dal cervello. Vi è
pertanto una progressione, dalla “cosmogenesi”, alla “biogenesi”, alla “antropogenesi”. Ciò dimostra
che l’evoluzione, nell’universo, è direzionale: in un processo di milioni di anni questa ha come
meta l’essere umano, con la sua consapevolezza, il suo pensiero, la sua capacità di amare.
Sorge qui spontanea la domanda: questo processo evolutivo direzionale si arresta con l’Homo sapiens
oppure è in movimento verso ulteriori mete? Si giunge cosi al secondo livello, quello filosofico.
Sembrerebbe illogico pensare che l’evoluzione termini con la creazione di una moltitudine di
individui separati, se è vero che la storia del cosmo si manifesta come processo di unificazione.
Ecco allora l’affascinante ipotesi di Teilhard, secondo la quale l’evoluzione continua, non più
nella sfera della biogenesi, bensì in quella della mente e del pensiero, che egli chiama “noosfera”.
Le forze evolutive sono ora di natura spirituale, ossia conoscitive ed affettive (“energia
amorosa”); esse unificano l’umanità, quasi fossero un sistema nervoso spiritualizzato. Il progresso
umano diviene sinonimo di crescita nel1a consapevolezza, la consapevolezza di possedere un destino
unitario. Attraverso un ulteriore processo di milioni di anni, la capacità di amore e di unione
dovrebbe pervenire ad un punto Omega, fuori del mondo, in cui tutto converge e che fin dalle origini
sovrintende il processo stesso. Teilhard tuttavia rifiuta il cieco determinismo: la crescita nella
capacità di amore e di unione, infatti, presuppone anche una capacità di rifiutare tutto ciò. In
questo modo viene introdotta nel sistema una possibilità di scelta, quindi un’opzione morale: è
possibile decidere fra l’immobilismo e il trascendimento dello stato attuale.
In tal modo si perviene al terzo livello, quello teologico, che è poi specificamente cristiano.
Teilhard postula una fonte d’amore personale, collocata fuori del processo evolutivo, un assoluto
trascendente, capace di attivare l’energia amorosa del mondo e quindi dì condurre l’evoluzione
universale al suo compimento. Egli identifica l’Omega dell’evoluzione con il Cristo della
rivelazione, il quale è quindi insieme l’Alfa e l’Omega, il principio ed il fine di tutto, il
Signore e la speranza dell’universo. In tale contesto, secondo l’autore, assumono piena significanza
le espressioni bibliche degli apostoli Giovanni (“tutto trarrò a me”) e Paolo (“tutto in tutti”).
La fede in Cristo diventa così sorgente di energia inesauribile, che aiuta a compiere la scelta
positiva per la “grande opzione” a favore di una collaborazione cosmica.
Il tradizionale e statico concetto biblico di creazione viene dilatato a quello di trasformazione
creatrice, mentre si impone un ripensamento della concezione del male (come espressa simbolicamente
nel racconto del peccato originale).
Anche la cristologia viene vista in un’ottica nuova; la redenzione non è più tanto un’espiazione
sulla croce per le colpe commesse dall’uomo, quanto piuttosto una divinizzazione dell’uomo e del
creato.
Il pensiero di Teilhard de Chardin ha indubbiamente sovvertito gran parte della tradizione biblica e
cristiana e questo rende comprensibili le resistenze e le ripulse cui ha dato luogo; d’altra parte è
anche vero che esso ha esercitato una sensibile influenza sia all’interno della stessa Chiesa
cattolica (Concilio Vaticano II, enciclica Populorum progressio), sia in larghi ambienti esterni
alle religioni tradizionali. Indubbiamente tra gli aspetti più interessanti della concezione
teilhardiana vanno annoverati sia l’unione della storia dell’uomo con quella della natura, sia il
concetto di partecipazione attiva da parte dell’umanità all’opera creatrice di Dio.
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