IL PERCORSO EVOLUTIVO DELL’ESSERE UMANO – 9

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IL PERCORSO EVOLUTIVO DELL’ESSERE UMANO – 9

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

Del ricoprirsi del Papalagi, dei suoi molti panni e stuoie
di Tuiavii, saggio Capo Indigeno delle Isole Samoa
a cura di Matteo Guarnaccia
da ‘Papalagi’, Stampa Alternativa

Tuiavii, un saggio capo indigeno delle Isole Samoa, compì un viaggio in Europa agli inizi del
secolo, venendo a contatto con gli usi e i costumi del “Papalagi”, I’uomo bianco. Ne trasse delle
impressioni folgoranti che gli servirono per mettere in guardia il suo popolo dal fascino pericoloso
dell’Occidente.

Erich Scheurmann, un artista tedesco amico di Herman Hesse fuggito nei mari del Sud per evitare la I
guerra mondiale, raccolse questo tesoro di saggezza e lo pubblicò in un libro. “Papalagi” è un
trattato etnologico sulla tribù dei bianchi, esilarante ed atroce.

Il Papalagi è continuamente preoccupato di coprire ben bene la sua carne. “Il corpo e le sue membra
sono carne, solo quello che sta sopra il collo è vero uomo”; così dunque mi disse un bianco che
godeva di grande prestigio ed era considerato molto saggio. Voleva dire che degna di considerazione
è solo la parte dove hanno dimora lo spirito e tutti i buoni e i cattivi pensieri. La testa. Quella,
e in caso estremo anche le mani, il bianco le lascia volentieri scoperte. sebbene anche la testa e
le mani altro non siano che carne e ossa. Chi lascia vedere la propria carne, non può più vantare
alcun diritto di essere chiamato civile.

Quando un giovane sposa una fanciulla, non sa mai se è stato imbrogliato, perché non ha mai visto il
suo corpo. Una fanciulla, per quanto bella possa essere, fosse anche la più bella taopou (una
vergine del villaggio, la regina delle fanciulle) di Samoa, copre il suo corpo, perché nessuno lo
possa vedere e trarre gioia da tale vista.

La carne è peccato. Così dice il Papalagi. Poiché il suo spirito è grande grazie al suo pensiero. I1
braccio che si leva per il lancio verso la luce del sole, è una freccia del peccato. I1 petto su cui
ondeggia l’onda del respiro è la dimora del peccato… Le membra con le quali la vergine ci offre la
sua siva (danza sacra) sono peccaminose. E anche le membra che si toccano per fare la creatura a
gioia della. grande terra, sono peccato. Tutto è peccato ciò che è carne. In ogni tendine c’è un
veleno, un subdolo veleno che passa da creatura a creatura. Chi anche solo guarda la carne, sugge il
veleno, ne è ferito, è altrettanto riprovevole e perverso quanto colui che la mette in mostra. Così
dunque dicono le sacre leggi morali dell’uomo bianco.

Anche per questo il corpo del Papalagi è ricoperto dalla testa ai piedi di panni, stuoie e pelli, in
maniera così fitta e spessa che non un occhio umano vi può giungere, non un raggio di sole, così che
il suo corpo diventa smorto, bianco e appassito come i fiori che crescono nel profondo della foresta
vergine.

Lasciate che vi descriva, più ragio

nevoli fratelli delle molte isole, quale peso un solo Papalagi porta sul suo corpo. Prima di tutto,
sotto ogni altra cosa, egli avvolge il suo corpo sotto una pelle bianca, ottenuta con le fibre di
una pianta, chiamata pelle di sopra. La si solleva e la si lascia ricadere dall’alto verso il basso,
sopra la testa, sul petto e sulle braccia, fino all’altezza dei fianchi. Sopra le gambe e le cosce
fino all’ombelico, tirata dal basso verso l’alto viene la cosiddetta pelle di sotto. Entrambe sono
poi ricoperte da una terza pelle, più spessa, intessuta con peli di animale, un quadrupede lanoso,
che viene allevato appositamente per questo scopo. Questi sono i veri e propri panni e consistono
per lo più di tre parti, una che copre il busto, l’altra l’addome e la terza le cosce e le gambe. Le
tre parti sono tenute insieme da conchiglie e funi fabbricate con succhi dissecati dall’albero della
gomma, così che da ultimo sembrano fatte di un pezzo solo. Questi panni sono nella maggior parte dei
casi di un colore grigio come la laguna nelle stagioni delle piogge. Non devono mai essere colorati.
Tutt’al più quello di mezzo, e anche qui soltanto per gli uomini che amano far parlare di sé e
corrono molto dietro alle donne.

I piedi infine vengono avvolti in una pelle morbida e in una molto rigida. Quella morbida è per lo
più elastica e si adatta facilmente al piede al contrario di quella rigida. Anche questa è fatta con
la pelle di un robustissimo animale, la quale viene lasciata a bagno nell’acqua, poi raschiata con
un coltello, battuta e stesa al suolo fino a che si è completamente indurita. Con questa il Papalagi
si costruisce poi una sorta di canoa dal bordo molto alto, grande giusto quanto basta per farvi
entrare il piede. Queste barche da piedi vengono poi legate e allacciate con cordoni e ganci intorno
alla caviglia, così che il piede resta chiuso in un rigido guscio, come il corpo di una lumaca di
mare. Queste pelli da piedi il Papalagi se le porta addosso dal levar del sole fino al tramonto, con
esse fa i suoi malaga,danza e le porta anche quando fa caldo come dopo la pioggia tropicale.

Poiché tutto ciò è assai innaturale come il bianco del resto ben comprende, e rende i piedi come
morti, tanto che cominciano a puzzare…

Anche la donna porta come l’uomo molte stuoie e panni intorno al corpo e intorno alle gambe. La sua
pelle è perciò tutta segnata da cicatrici e ferite a causa dei lacci. I seni sono vizzi e spenti e
non danno più latte, per l’oppressione di una stuoia che lei si lega intorno al petto, dal collo fin
al basso ventre, e anche sulla schiena, una stuoia indurita e irrigidita con ossa di pesce, filo di
ferro e vari legacci. Perciò la maggior parte delle madri non possono più allattare i propri figli e
devono dare loro il latte in un rotolo di vetro, chiuso sotto e munito al di sopra di un capezzolo
finto. E non è neppure il proprio latte, quello che danno loro, ma il latte dei brutti animali
rossastri e cornuti ai quali viene tolto con la forza, premendolo fuori da quattro tappi che hanno
sotto la pancia.

Per il resto i panni delle donne e delle fanciulle sono molto più sottili e leggeri di quelli degli
uomini, e possono anche essere variopinti e luccicare tanto da essere visti da lontano. Inoltre
lasciano anche spesso intravedere collo e braccia e più carne di quegli degli uomini. Tuttavia è
considerata buona cosa che una fanciulla si copra molto e allora la gente dice di lei con
compiacimento “E’ casta”, e ciò sta a significare che rispetta le leggi dei buoni costumi.

Perciò non ho mai capito perché in occasione dei grandi fono (feste) e dei banchetti le donne le
donne e le fanciulle possono lasciar scoperta molta più carne sul collo e sulle spalle, senza che
ciò sia vergogna. Ma forse questo rappresenta appunto il pepe della festa, che in tali occasioni
venga permesso ciò che non è consentito tutti i giorni…

Essendo i corpi delle donne e delle fanciulle così accuratamente ricoperti, gli uomini e i
giovanetti provano un intenso desiderio di vedere la loro carne, com’è al naturale. Notte e giorno
ci pensano e parlano molto molto delle forme delle donne e delle fanciulle, e sempre in modo che ciò
che è bello e naturale appaia un grande peccato, come qualcosa che può essere visto solo nell’ombra
più fonda. Se lasciassero vedere la carne più apertamente, potrebbero dedicare i loro pensieri ad
altre cose, e i loro occhi non si storcerebbero e le loro bocche non pronuncerebbero parole vogliose
ogni volta che incontrano una fanciulla.

Ma la carne è peccato, è di Aiut (il male). C’è pensiero più stolto, cari fratelli? Se si dovesse
credere alla parola del bianco, si dovrebbe con lui desiderare piuttosto che la nostra carne fosse
rigida come lava e priva di quel dolce calore che viene da dentro.

Ma noi vogliamo ancora rallegrarci della nostra carne che può parlare con il sole, di poter muovere
le gambe come il cavallo selvatico perché nessun panno le lega e nessuna pelle appesantisce i piedi,
di non essere costretti a fare attenzione perché il nostro copricapo non ci cada dalla testa.
Godiamoci la gioia che ci dà la vergine che è bella nel corpo e mostra le sue membra al sole e alla
luce della luna. Stolto, cieco e senza il senso della vera gioia è il bianco che deve tanto
ricoprirsi per essere senza vergogna.

Connubi celesti
di Carlo Moiraghi

Vi son tre cose per me misteriose,
anzi quattro che non posso intendere:
la traccia dell’aquila del cielo,
la traccia della serpe sulla roccia,
la traccia della nave in mezzo al mare,
la traccia dell’uomo nella donna.

Vecchio Testamento Proverbi. 30.18

Risulta che Atena ed Efesto ebbero un incontro amoroso. Circolano voci confuse a riguardo. Dicono
che lui tentò di averla, quella volta che la dea si recò nella fucina profonda a domandare
l’armatura preziosa che per la guerra troiana ella aveva ordinato a lui, fabbro divino. Aveva detto
la dea, che per amore l’aveva richiesta e l’avrebbe contraccambiata, ed Efesto, forse mosso da
Poseidone che intendeva schernirlo, male interpretò. Ma la dea preservò la sua totale purezza. Altri
dice che Efesto la meritò in matrimonio, mai consumato, per averla aiutata a venire alla luce.

Una voce segreta li volle sposi felici e racconta che ebbero un figlio che chiamarono Apollo.

Tanta dovizia e diversità di racconti, e nulla di certo, cela o meglio chiarisce il segreto celeste.

Può la verginità conoscere l’unione divina e preservarsi intatta? Ed è l’unione divina concreta o
sottile? Essa è certo totale. Ma come è totale? E poi, non è la purezza un modo dell’essere? E un
modo come può venire intaccato da un atto, un incontro d’amore? Non è forse il modo dell’atto, non
l’atto stesso, che può segnare il modo dell’essere puro? E non è l’amore stesso purezza? E più se
divino?

Il mito racconta che mentre la dea si ritraeva, Efesto eccitato godette sulla veste di lei. E la
macchia d’avorio sul peplo muliebre testimoniò la. violenza tentata.

Ma nulla si sa delle voci di quell’unione. Atena fuggì silenziosa. Preservandosi vergine. E il seme
di lui, che la dea attenta si levò dalla veste, cadde a terra, e ingravidò Gea, la dea terra,
appunto.

Nacque così Erittonio, l’uomo dal corpo di serpente. Il bimbo, non riconosciuto da Gea, fu cresciuto
da. Atena, saggia e paziente, e divenne poi pio re di Atene. Oggi vive vestito di stelle. E’
l’auriga della costellazione celeste.

Efesto: io fabbro divino, io umile alchimista d’Olimpo, forgiatore di sacre gioviane saette,
desidero mostrarti, mia pura sorella, le perle di sudore che ornano il mio collo tarchiato. Desidero
donarti la mia saporita rugiada che avvampa quando la fucina profonda nella grotta risplende del
Liquore Incandescente, il Prezioso Succo della Terra, dove Calore e Colore ottengono in premio
d’unione e fusione l’Orgasmo del Metallo. Desidero donarti l’assenza, l’ebbrezza, l’umida purezza.
Io desidero, se mai lo potessi, iniziarti.

Atena: Mio tenero zoppo fratello, già mi iniziasti. Tu fracassasti con l’ascia il cranio gravido di
mio padre Zeus. So bene, mosso da filiale sollecitudine e dal pensiero di me, spero, ti impegnasti
nel colpo. La calotta cranica si spaccò come uovo divino ed io nacqui.

Nella tua volontà e decisione, forti come l’accetta, più forti del cranio numinoso, io nacqui. Atena
l’intatta. Per questo coraggio e saggezza e consiglio appropriato sono il mio cielo. Da te mi
vengono. Che cerchi ora? Tu già hai, non c’è unione può valere quello spacco deciso. Valuta. Tu
solamente interpreti la profondità del segreto. Proprio come io la pacatezza della luce. Tu forse
sei Sole, io Luna. Valuta che dai forma nel tuo corpo di zoppo all’evidenza del tuo sacrificio, e la
schiavitù dell’atto misterioso, non confondere per tue le potenze che ti reggono. Perché desideri?
Tu sei. Valuta. A che vale ripetere ciò che avvenne, e più, ciò che mai non avvenne? Parlami.

Efesto: Ho a lungo vegliato, sorella. Quanto l’ulivo, che tu sei, geme e freme estatico nel rotondo
del pieno di luna, che tu sei, io veglio con te. Quando il suo fremito pallido e chiaro rimbomba
attraverso la roccia e rimbalza come il cuore nella mia grotta, io veglio con te.

Quando nella battaglia il dardo nel tuo nome è scoccato, e il guerriero ferito per ore muggisce
fuori l’anima e il suo cuore fugge impaurito scrutando impossibili fughe alla prossima morte e una
tregua all’istante doloroso, e solo in te la trova, e pronuncia più volte il tuo nome e ancora
indossa le armature che io ho forgiato, e il tuo nome è una nuvola di luce che offusca in lui la
tristezza e il terrore, io veglio, Atena, con te.

E quando quello morente ancora vive e latra ultime preghiere e ricordi che si confondono con la
brezza della sera e le ombre delle rondini in cielo, allora, quando sul terreno il suo sangue
rappreso diviene in tutto corteccia di ulivo e muschio antico seccato al sole, tanto da trarre in
inganno le cantilene delle cicale, io percorrendo a ritroso la traccia di pietre dipinte di vita di
uomo che muore, vi raggiungo e fianco a lui con te veglio. E vivo.

Io bene conosco il senso lieve del peplo che ti cinge, il senso profondo del respiro che ti riempie,
quanto te io so. Nei tuoi pensieri mi specchio. Fianco a te io non desidero, Atena, io veglio.
Insieme a te. In seme. Vivo. Prima dissi desidero, perché così esprimo l’umano che, come sai, è in
ognuno di noi.

Atena: Guarda, caro goffo amante, guarda sole e luna, le sacre sorelle celesti. Noi stessi. Non si
rincorrono, non si cercano, non si attendono, non si pretendono. Serene semplicemente percorrono il
proprio cammino. Serene di esistere, serene dell’altro che esiste.

Non vogliono, il sole e la luna, incontrarsi. Non vogliono non incontrarsi. Vivono, il sole e la
luna precise eleganti parabole. Fidando in sé; fidando nell’altra. Fidando.

E naturale, prevista o imprevista sacra avviene l’elettrica notte nei giorno, Blu accecata di stelle
pulsanti di sole, nera di luna, sacra avviene l’eclisse. L’unione. Di sole e di luna naturale
congiunzione d’amore. Non essere impetuoso, Efesto, che in onestà io posso chiamare amore.

Valuta, amore non è desiderio, non è bisogno, non è sentimento. Amore è appagamento e sorriso.
Desideri e bisogni esso può dare, e sentimenti tonanti, gai, tenui, eccessivi, gravi. E’ potente
amore. Può dare gioia, collera, tristezza, paura, malinconia. Ma lui, amore, è un modo dell’essere.
E’ consapevolezza e sorriso. E’ una tonalità del respiro, della voce, del passo. Tonalità che ora è
tua, ed è mia. Ora noi siamo amore. Ma attento. E’ transitivo amore. Se avverti l’intransitivo in te
prendere forma, fermati e valuta. Amore è uno stato, un modo di vita che non è necessario
concretizzare in un corpo, in un nome, in un volto. E’ leggerezza, amore. Sii leggero, Efesto.

Non essere per fisico attimo, non essere vano. O siilo. Ma valuta, Efesto. Noi siamo felici armonie.
A noi convengono altri connubi. Anche questi, so bene. Valuta quale sia migliore momento di vita.

Nulla vieta. E non c’è modo che io non ti abbia. E tu me. Anzi c’è. Noi già siamo congiunti. Valuta
tu. Non pretendere. Né temere per me. Né per te.

Come tu sai, io sono Atena, saggezza e coraggio. E tu sei Efesto.

E ora io desidero te. Parlami, dio.

Forse allora, in altro luogo le voci accadendo, in altro le azioni, e insieme avvenendo gli eventi,
il dio zoppo concupì e la vergine dea proclamò il proprio splendore.

E in quell’atto e in quel modo tutti coloro che non si curano di sapere il come il dove il quando e
il se, con l’esperienza del piacere conoscono la completezza dello stupore gioioso. Forse solo gli
occhi si unirono.

Il mito si cura di non riferirlo. Svia anzi gli avvenimenti con fallaci racconti. Dato che chi aveva
in sorte di saper certamente sapeva e sa.

Né l’accaduto avrebbe potuto svolgersi diversamente da come accadde, ne fa fede totale la stessa
quotidiana esistenza.

Altro non vale riferire. Quale che fu la storia fu certo connubio celeste.

E più se incompiuto. Infinito. Fu purezza in purezza.

Atena ed Efesto si rivelarono. Ma che è rivelarsi se non velarsi di nuovo, rifare di velo protezione
e confine? Così fu. Svelati dunque si erano, se si rivelarono.

Nei fatti, mentre l’incontro avveniva zefiri preziosi avevano a lei il peplo disciolto. Compiacenti
avevano svelato lei, non oso dire se consapevole. E lui pure. Accadde? Che importa?

L’alabastro incandescente di lei conobbe il vulcano di ghiaccio di lui? Si ebbero senza baciarsi?
Morirono e rinacquero insieme? In seme? Riformarono la forma? Come la seppia alla roccia, come
l’ulivo nel vento? Come il quarzo preciso traspare sul silicio compatto?

Come la lava che incombe all’alba bacia e brucia l’erba, la rugiada, i fiori dormienti nel prato?
Riconobbero l’altro se stesso in se stesso, e se stesso nell’altro? Ero te. Eri me? Ricordarono?
Rifondarono il rito?

Che importa? Agli dei non compete. Gli dei sono e sanno e dell’amore vivono il gioco. Sacro. . .

Pure, quando nuovamente i venti le rivelarono il corpo, attenti a che il velo non formasse pieghe,
ma solo facesse nuvola chiara alla vista, spiegarono cioè precisi il drappo morbido e rivelarono la
dea, allora sonoramente la spuma gassosa del dio, la lingua di latte celeste scandì lieta impronta e
scottò la veste di vento di lei. e lei nei fu fiera. Urlarono insieme. E tacquero. Trasparenti.
Complici decisero poi su questo incontro il silenzio.

E la verginità e la purezza numinosa per esso si accrebbe.

Da allora il peplo divino rivela all’occhio chiaro l’impronta del sesso celeste nell’amore formato.
La bianca macchia di sacra terra è immagine sfumata e chiara dell’unione infinita. Insieme compiuta
e incompiuta.

Da allora la forma sacra è velata svelata e rivelata ogni istante ed ovunque. E il connubio celeste
insieme evidente e celato accade ed accadde qui ora nell’eterno presente.

Ciò che chiamano vita.

Tantra: il rito segreto
di Nik Douglas e Penny Slinger
da “Les Secrets de l’Extase”

Molti racconti, che presentano il rito d’amore tantrico, sono estremamente complessi e probabilmente
confondono un occidentale non abituato al rituale orientale. Per questa ragione qui ne daremo una
versione che, sebbene sia diretta e completa è molto semplificata.

E’ importante che il Rito Segreto non sia affrettato o venga interrotto. Prendetevi molto tempo e
fate in modo di non venir disturbati. Cercate di assicurarvi che l’ambiente sia “proprio giusto”,
abbellendolo con fiori, frutta, incenso e musica delicata. E’ meglio che la coppia effettui questi
preparativi prima.

Idealmente ci dovrebbe essere soltanto un candela o qualcosa che arde. La coppia dovrebbe porsi in
modo che sui loro corpi cada solamente una luce attenuata. Una lampada a olio vegetale, fatta
mettendo dell’olio vegetale in un piccolo contenitore e inserendo uno stoppino costruito arrotolando
un po’ di tessuto di cotone, è particolarmente adatta perché brucia regolarmente con una luce
chiara, leggermente purpurea.

Il rituale segreto o Mailhana Sadhana, come è conosciuto nel Tantra

incomincia con un bagno o con una doccia che i due partners fanno preferibilmente con acqua fredda.
Essa ha l’effetto di vitalizzare e tonificare la psiche. Poi i due partners dovrebbero oliarsi
leggermente e massaggiarsi l’un l’altro. Questo dovrebbe essere seguito da un breve periodo di
esercizi di stiramento per rilassare i muscoli e liberare la circolazione delle energie vitali. La
danza ha lo stesso scopo e può essere un modo molto efficace per armonizzare l’amore e far circolare
l’energia tra la coppia.

Nello stadio successivo la coppia si siede, preferibilmente con le gambe incrociate nella posizione
del loto e con la donna alla destra dell’uomo. Dovrebbe eseguire una semplice meditazione liberando
le menti da ogni pensiero mondano o abituale e regolando il respiro con una delicata respirazione
Solare Lunare o a narici alterne. Quando entrambi si sentono completamente rilassati e in armonia
allora sono pronti per procedere con il Rito Segreto in sé. Un semplice aiuto per armonizzare il
respiro e l’umore è il cantare insieme che può accompagnarsi con una registrazione. La cosa più
importante è che dovrebbe essere di tipo devozionale o trascendentale.

La prima parte del Rito Segreto consiste nell’onorare il principio femminile, la Shakti, sia
all’esterno che all’interno. L’uomo la onora estremamente facendo sedere la sua partner su un
guanciale o su un cuscino di fronte a lui avvolgendole il corpo delicatamente con uno scialle di
cotone, lana o seta, rosso o violetto. Immaginandola come la più bella dea di tutto l’universo
dovrebbe richiamare alla mente le sue qualità migliori e massaggiarle gentilmente i piedi con olio
profumato. Questo massaggio dovrebbe essere concentrato nella regione intorno e tra gli alluci.
Mormorando tra sé lievemente un mantra l’uomo dovrebbe investire questo momento di potenza e di
speranza. Interiormente la coppia dovrebbe compiere le onoranze ricordando lo scopo del rituale che
è di unirsi totalmente con la propria origine. Evocando ciascuno dentro di sé potere della
Kundalini, dovrebbe cercare di visualizzare un’onda di energia simile a un serpente d’oro infuocato
che si srotola alla base della spina dorsale. I poteri del fantasia e dell’immaginazione dovrebbero
essere spinti ad eccitare Kundalini. Concepita come un essere femminile primordiale estatico, la
Kundalini dovrebbe fornita di energia emotiva. Nel rituale da questo punto in poi i partner devono
dimenticare la loro identità personale, umana e riconoscere se stessi unicamente come Shiva Shakti,
la Coppia Suprema. L’uomo incominciando dal suo 1ato destro dovrebbe muovere graduatamente le mani
sul corpo della donna toccandola delicatamente con la punta delle dita, secondo quest’ordine: alluce
destro, piede destro, ginocchio destro, coscia destra, Yoni, natica destra, ombelico, parte centrale
del petto, seno destro, fianco destro, lato destro della gola e guancia destra, labbro inferiore,
occhio destro e sommità del capo. Poi dovrebbe scendere all’occhio sinistro, al labbro superiore,
guancia sinistra, lato sinistro della gola, fianco sinistro, seno sinistro, parte centrale del
petto, ombelico, natica sinistra, Yoni, coscia sinistra, ginocchio sinistro, piede sinistro e alluce
sinistro. Questa sequenza si collega direttamente al ciclo lunare della passione della donna. L’uomo
mentre fa vibrare delicatamente le mani toccando queste zone erogene, dovrebbe visualizzare
dell’energia che scorre fuori dalla punta delle dita eccitando la passione nella partner.

La donna dovrebbe visualizzare se stessa come una Dea Vivente, un ricettacolo d’amore, e il Prezioso
Crogiuolo del suo amante. Lui concentrandosi sulla circolazione dell’energia erotica dovrebbe
stimolare la sessualità di lei respirando profondamente e facendola rotolare delicatamente indietro
e in avanti. La donna, sentendo l’interiore vibrazione della Kundalini, dovrebbe investire tutto il
suo essere di un senso d’attesa.

L’uomo dovrebbe contemplare la fiamma di una candela o di una lampada e poi volgere di nuovo lo
sguardo al corpo della partner. Dovrebbe applicare delicatamente dell’olio profumato
(preferibilmente muschiato, patchouli o legno di sandalo) sulla zona pubica, l’ombelico, la regione
del cuore, la fronte e la cima del capo mentre mentalmente evoca il seguente antico detto: “La donna
è il fuoco, l’energia Sessuale è il combustibile, la sua Yoni è la fiamma; il suo pelo pubico, il
fumo; la penetrazione, l’offerta, le sensazioni piacevoli, le scintille. In questo fuoco gli dei
offrono in sacrificio il loro seme. Da queste offerte ogni essere è nato”.

L’uomo dovrebbe mettere altro olio sui suoi capelli, dietro le orecchie e sul palmo delle mani
controllando tutto il tempo la sua mente usando il mantra e la meditazione. Per questo rituale è
particolarmente adatto il mantra “HOM – AH – HUM” come è stato esposto in “rumori d’amore”. Dovrebbe
rendere onore alla sua partner mettendole dei fiori nei capelli o una ghirlanda attorno al collo.
Può applicarle del trucco sul corpo o fare qualunque cosa sia eccitante e stimolante per la partner
nel suo ruolo di Dea Vivente. Durante questo periodo è importantissimo che l’uomo resti saldo e
controllato e che la consapevolezza sia concentrata sull’intenzione del rituale.

Ora la donna si muove leggermente alla sinistra del partner e dovrebbe incominciare ad eccitarlo con
i movimenti delle mani e delle labbra sul suo corpo. Facendo così dovrebbe pensare al suo amante
come allo stesso Signore Shiva, lo yogi Supremo; dovrebbe rendere onore al suo Lingam come al Lingam
di Shiva, ungendolo d’olio. Dal momento in cui la partner femminile sta alla sinistra dell’uomo,
assume il ruolo dell’iniziatrice sessuale.

Dovrebbe compiere un’autoadorazione accendendo dei bastoncini d’incenso e muovendoli con un moto
rotatorio in direzione oraria attorno a sé e al suo partner.

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