di Giovanna Visini
Il medico e psicoterapeuta R.Dahlke, autore di molti libri, tra cui La straordinaria forza
terapeutica del respiro (Tecniche Nuove, 2003), definisce il respiro “il terapeuta perfetto” che
“collega tutte le istanze del nostro essere, consentendo il contatto nei punti in cui lo scambio e
la comunicazione risultano bloccati, ripristina il flusso delle energie vitali, laddove queste
ristagnano”. Nel respiro sono presenti sia il sistema di regolazione automatica (come per la
circolazione sanguigna) sia quello del controllo volontario delle funzioni (come per i muscoli
scheletrici). “Possiamo respirare consapevolmente, ossia modificare volontariamente la profondità
dell’inspirazione e dell’espirazione, ma il respiro continua a fluire anche di notte, durante il
sonno, quando la coscienza vigile viene disattivata. Il respiro rappresenta dunque una connessione
tra le attività esteriori, consapevoli, e la vita interiore inconscia del corpo [e della psiche]; e
non collega solo conscio e inconscio, giorno e notte, bensì, attraverso i lobi polmonari, anche
sinistra e destra, quindi polo maschile e femminile. Anche il sopra e sotto vengono messi in
contatto, perché ogni respiro viene percepito anche nel basso ventre e, attraverso il diaframma,
principale muscolo dell’apparato respiratorio, raggiunge anche l’intestino.”
Il respiro libera l’energia vitale che ristagna nei blocchi emotivi, nelle difese e resistenze, nel
bisogno di controllo, nei modelli di comportamento condizionati e cristallizzati, negli schemi e
visioni rigidi di noi stessi e della vita, nella corazza di tensioni (quella che W. Reich chiamava
la corazza caratteriale) che è diventata la nostra seconda pelle. Ci “rieduca” a fluire con la vita,
a rilassarci, riacquistando fiducia nelle nostre risorse e nella bontà dell’esistenza, riduce fino
ad eliminare la paura di vivere e di soffrire, ci rende più aperti e sicuri, riparando le ferite e i
traumi più o meno gravi non elaborati emotivamente che distorcono il nostro sguardo sulla realtà,
impedendoci di essere più creativi e flessibili nell’affrontare giorno per giorno la nostra vita.
Ho iniziato il mio percorso personale e professionale con il Rebirthing in Cile nel 1990. Quello che
ho vissuto seduta dopo seduta sul lettino dello studio della mia amata guida cilena , psicologa e
rebirther, mi ha fatto scoprire il potere di trasformazione interiore della respirazione circolare
che si pratica nel Rebirthing. Come le tantissime persone che in seguito hanno respirato con me,
posso dire anch’io che il Rebirthing mi ha cambiato la vita. Lavoravo all’epoca per l’Unicef, un
lavoro entusiasmante e pieno di gratificazioni. Molti anni passati in Africa e in America Latina, la
conoscenza di molti paesi, lingue e culture diverse, l’importanza di un’attività che contribuiva a
salvare la vita di tanti bambini e di tante donne, esperienze arricchenti dal punto di vista umano e
professionale. Tuttavia, come spesso accade a un certo punto della nostra vita, iniziai a sentire
crescere in me il bisogno di operare dei cambiamenti. Provavo una profonda inquietudine, la spinta a
cercare un senso più profondo da dare alla mia vita. Cominciò una ricerca che mi portò a studiare le
filosofie e le tradizioni spirituali orientali, andando varie volte in India, a praticare la
meditazione, a riprendere lo studio delle psicologie occidentali, a lavorare su di me utilizzando
diversi metodi e approcci terapeutici.
Dobbiamo a C.G. Jung il termine “individuazione” per indicare la meta di questa tensione interiore,
questo bisogno di diventare più compiutamente se stessi, armonizzando la personalità intorno a un
centro che è il Sé. Anche la Psicosintesi si applica al raggiungimento di questo obiettivo (vedi il
mio saggio Il Rebirthing come percorso di crescita, su questo sito). Allora, nel 1990, cercavo un
metodo che mi mettesse in contatto con le dimensioni più profonde di me, non solo quelle
dell’inconscio biografico ma anche quelle dell’inconscio superiore transpersonale. Incontrai il
Rebirthing e mi conquistò per la sua potente efficacia, per il fatto che fosse basato sulla
respirazione, un metodo naturale, da sempre conosciuto dalle antiche tradizioni soprattutto
orientali, eppure capace di risolvere disturbi e disagi, di sciogliere antichi nodi e di operare un
profondo rinnovamento interiore.
Iniziai un viaggio all’interno di me stessa che non si è mai esaurito, continua ogni giorno. In
questo viaggio ho attraversare tanti paesaggi, a volte (all’inizio soprattutto) dolorosi e
difficili, poi sempre più luminosi e carichi di intuizioni e sensazioni di pace, di ritorno a casa,
di ritrovare il significato profondo dell’esistenza, stati transpersonali di unità, consapevolezza e
pura gioia.
Come spesso accade utilizzando questa respirazione, nelle prime sedute ho provato gli irrigidimenti,
i formicolii, i crampi e mi sono dibattuta nelle mie tensioni e nei miei blocchi. Ho pianto
moltissimo, si piange spesso nel Rebirthing perché si lasciano andare e si sciolgono emozioni
rimosse, spesso molte antiche o precoci, sofferenze a volte superate razionalmente ma non integrate,
non ancora veramente dissolte. Ho incorniciato nel mio studio un verso di Thich Nhath Hanh, il
monaco vietnamita maestro Zen, scritto da lui con il pennello che dice “Le lacrime che ho pianto
ieri sono diventate pioggia”. Mi è sembrato bellissimo e così appropriato per esprimere quello che
accade in molte sedute, quando oltre il pianto si trova il significato profondo di quello che
abbiamo vissuto, ci si riconcilia con noi stessi, con gli altri, con la vita, ci si perdona e si
perdona, e si sente nelle fibre più profonde del nostro essere che le nostre lacrime sono diventate
pioggia e noi siamo quella pioggia.
Ho rivissuto la mia nascita molto traumatica, in cui mi sentivo soffocare ed ero sicura di morire
per poi provare alla fine un sollievo e una felicità travolgenti. Ho rivissuto situazioni rimaste
sepolte dentro di me, di cui avevo ricordo ma che consideravo archiviate, o che non ricordavo. La
cosa che mi sorprendeva era il fenomeno della doppia coscienza che spesso accade nel Rebirthing
(conosciuto anche dalla neurologia, dopo gli esperimenti di W. Penfield), l’essere cioè consapevole
di me che stavo respirando e allo stesso tempo il fatto di rivivere nel presente situazioni,
emozioni e sentimenti che risalivano a altre epoche della mia vita e a volte addirittura non
relazionabili con la mia storia biografica.inconscio collettivo, inconscio familiare, vite passate?
La definizione è poco importante, ma certamente si trattava di “ripuliture” del mio bagaglio
bio-psichico inconscio.
L’esperienza di trasformazione profonda che ho vissuto grazie al Rebirthing, grazie al potere del
respiro, mi ha fatto decidere di continuare a studiare, a praticare e fare di questo metodo il mio
nuovo lavoro, lasciando dopo qualche anno l’Unicef, tornando in Italia, seguendo altri corsi di
formazioni, praticando e studiando non solo il Rebirthing ma anche altri approcci, come il Rei-Ki,
la Gestalt, la Psicosintesi, il Counseling ad approccio umanistico-esistenziale. In Italia ho
conosciuto Filippo Falzoni Gallerani, fondatore della Scuola di Rebirthing Transpersonale,
diventando sua allieva e poi collega.
Come spesso accade alle persone che scoprono qualcosa di altamente utile e benefico, volevo anch’io
che anche altre persone potessero beneficiare di questo formidabile strumento di guarigione, di
crescita ed evoluzione. Mi ero ormai da tempo resa conto che i problemi della gente e del mondo,
anche quelli che per tanti anni avevo cercato di risolvere lavorando per l’Unicef, venivano
affrontati in modo non risolutivo, l’ottica era parziale e mirava soltanto agli aspetti più
superficiali e materiali della vita e della realtà; erano utili ma non sufficienti, e non tenevano
conto dell’importanza del cambiamento del livello di coscienza, della necessità di una
trasformazione interiore. Solo molti anni dopo ho trovato nel libro A Theory of Everything
(Shambhala, 2000) di
Ken Wilber (che considero mio maestro e punto di riferimento teorico fondamentale nella mia
attività) un’analisi critica dell’approccio dell’Unicef nel suo lavoro di aiuto umanitario. Gli
insuccessi di questo organismo delle Nazioni Unite (che ha comunque contribuito ad abbassare la
mortalità infantile e materna nei paesi in via di sviluppo) erano attribuiti appunto alla visione
dimezzata dello sviluppo umano, inteso in termini puramente socio-economici, senza integrare le
dimensioni della soggettività individuale e culturale (per approfondire il tema della visione
integrale di Ken Wilber, vedi su questo sito vari saggi e traduzioni).
Come dice Thich Nhath Hanh “lavorare per la pace significa, prima di tutto, essere pace”, per essere
pace dobbiamo cambiare noi stessi, essere in grado di sorridere e aiutare gli altri a sorridere.
Quando sono arrivata in Italia, il Rebirthing non era molto conosciuto. Filippo Falzoni Gallerani è
stato certamente un valoroso pioniere. Dei passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni, ma
ancora insufficienti. Molte persone, dopo aver sperimentato gli effetti benefici della respirazione
per risolvere i loro disturbi, come ansia, attacchi di panico, insicurezza, timidezza, difficoltà a
prendere decisioni, paure, tensioni muscolari di origine psicosomatica, quando sentono che è
avvenuto un cambiamento positivo dentro di loro mi chiedono quasi stupiti: Ma perché non è più
conosciuto? .perché non è più conosciuto?
Penso che la risposta possa essere trovata, almeno in parte, considerando che l’Occidente ha operato
una separazione tra il corpo e la psiche/mente. Il corpo e il mondo erano visti come macchine,
orologi e l’Io/mente come qualcosa di autonomo e indipendente sospeso nel nulla e capace di studiare
e operare su questa materia inerte. La mente razionale e pensante, l’ego, ha sempre diffidato del
corpo e delle sue manifestazioni, della sua fragilità e della sua mortalità creando una dualità
insanabile (vedi il testo di Ken Wilber: Riconciliare mente e corpo, su questo sito). La psiche
viene curata con le terapie verbali, il corpo con la medicina che utilizza farmaci e chirurgia.
In relazione a questo, nella sua prefazione al libro Integral Medicine (su questo sito), Wilber
scrive che esiste “una questione molto complessa, divenuta famosa sotto il nome di “dualismo
cartesiano”, o rapporto mente-corpo e che, sotto questi ambiziosi paludamenti filosofici, significa
molto semplicemente questo: proprio adesso voi sentite, molto probabilmente, di avere un qualche
tipo di coscienza e di libero arbitrio, ma la scienza fisica procede come se la realtà fosse un
sistema materialistico chiuso.
Anche se da un punto di vista filosofico voi foste dei materialisti, dovreste costantemente
‘tradurre’ ogni esperienza nei termini materialistici, perché non è questo il modo in cui
l’esperienza viene fatta. Il fisicalismo, in altri termini, viola la maniera propria in cui
naturalmente il mondo presenta se stesso (a parte il fatto che la maggior parte dei filosofi di
questa area non pensa che la coscienza possa essere ridotta al materialismo riduttivo). Comunque,
come medici convenzionali, siete più o meno obbligati a trattare il paziente come se fosse puramente
un sistema biofisico e materiale: medicazioni, chirurgia, radiazioni, insomma, un intervento fisico
dopo l’altro. I pazienti, nella loro relazione con la medicina, diventano macchine materiali. Eppure
il medico, nella consapevolezza di se stesso, sente di non essere una macchina, e anche i suoi
pazienti lo sentono. Il problema “cartesiano” nella pratica convenzionale della medicina è questo:
siete obbligati, come medici, a trattare il paziente come una macchina materiale, quando entrambi
sapete che non siete macchine”.
L’Oriente non ha mai operato questa scissione e la respirazione è stata sempre considerata
fondamentale nel ristabilire l’equilibrio tra corpo e mente, sciogliere i blocchi energetici,
calmare la mente, aumentare la consapevolezza e raggiungere stati di pace interiore e contatto
profondo con le dimensioni transpersonali.
Questo ci fa vivere meglio, più consapevoli del presente, rende possibile acquisire quella “fiducia
esistenziale” dell’essere e dell’esserci (che spesso da bambini non siamo stati aiutati a conservare
e sviluppare), che ci fa celebrare la vita e godere dei piccoli miracoli di ogni giorno, rende
capaci di accettare e attraversare la sofferenza quando si presenta, ci fa sentire parte di un tutto
più grande, e ci rende capaci di essere fonte di serenità anche per chi ci circonda. Quando siamo in
pace con noi stessi contribuiamo alla pace del mondo.
Solo negli ultimi decenni anche da noi si sono fatte strada visioni e concezioni più integrali
tendenti a superare il dualismo corpo/mente e che introducono anche negli approcci psicoterapici
l’attenzione al corpo, ai blocchi energetici, alla consapevolezza del qui e ora (la bioenergetica,
la gestalt, la psicosintesi). Sono molte anche le iniziative che mirano a integrare la psicologia
delle tradizioni orientali, quella buddista in particolare, con la visione e gli approcci
occidentali; fioriscono gli studi di neurofisiologia sul funzionamento cerebrale durante gli stati
meditativi (vedi: www.mindproject.com, e su questo sito il brano: La tua mente può cambiare).
Oggi accade spesso che persone che seguono psicoterapie tradizionali (psicanalisi freudiana, analisi
junghiana, adleriana, cognitiva-comportamentale, ecc.) decidano di intraprendere anche un percorso
con il Rebirthing perché sentono il bisogno di coinvolgere il corpo e le emozioni, e il piano
energetico, al fine di accelerare il loro iter terapeutico. Ma sono anche molte le persone che si
avvicinano direttamente a questo metodo perché alla ricerca di un approccio efficace ma più breve e
mirato. In ogni caso sarebbe utile una maggiore diffusione della conoscenza di questo metodo tra i
professionisti della salute e gli psicologi per una maggiore collaborazione nell’interesse dei
pazienti.
Medicina, psichiatria, neurologia, psicologia e dimensione spirituale sono diventati campi separati
(spesso anche ostili) e hanno sviluppato la frammentazione più di quanto non siano riusciti a
ricomporla. Metodi e approcci più olistici che si ispirano a conoscenze e pratiche orientali non
vengono riconosciuti. Molto pochi sono coloro che considerano gli esseri umani nella loro
“totalità”.
Come sottolinea Ken Wilber, è necessario lavorare per promuovere l’integrazione di teorie e pratiche
rivolte alla cura e al benessere dell’essere umano.
A parte i disturbi psichiatrici gravi (quali schizofrenia e psicosi) e pochi altri casi, la
respirazione del Rebirthing può esser praticata con notevoli risultati da tutte le persone, sia che
si vogliano risolvere e superare vari disturbi psicosomatici o disagi esistenziali, sia come cammino
di crescita personale e spirituale e di autorealizzazione. E’ necessario affidarsi a professionisti
esperti e qualificati che abbiano anche una buona formazione psicologica e siano aperti alle
dimensioni transpersonali della coscienza.
Fin dall’antichità, tutte le culture e le tradizioni in Oriente e in Occidente conoscevano il potere
di guarigione della respirazione che viene oggi praticata nel Rebirthing.
Molto interessante mi sembra, a questo proposito, citare l’esempio, poco conosciuto, dei Terapeuti
di Alessandria.
Filone d’Alessandria, la cui nascita si colloca tra il 20 e il 10 a.C. e la morte attorno al 40
d.C., descrive nella De Vita Contemplativa le usanze di un gruppo di persone, i Terapeuti, che egli
conobbe e frequentò nei dintorni di Alessandria, luogo di incontro delle civiltà dell’Oriente e
dell’Occidente, di sincretismi di tradizioni e culture diverse, dove proliferavano le sette e i
gruppi religiosi. I Terapeuti erano degli uomini e delle donne di tradizione ebraica, come Filone
stesso, ma aperti agli apporti della cultura greca.
Al tempo di Filone, il terapeuta era qualcuno che aveva cura del corpo, ma anche delle immagini che
abitavano nella sua anima, aveva cura degli dei e delle parole che gli dei dicevano alla sua anima.
I Terapeuti erano filosofi, cercatori e amanti dell’Intelligenza creatrice (sophia) ed erano capaci
di curare il corpo. Ma il corpo non può essere considerato soltanto un oggetto, come una cosa o una
macchina dal funzionamento difettoso: il corpo è animato. Non vi è corpo senza anima, poiché ciò che
non ha più anima non è più un corpo, ma un cadavere. Curare il corpo di qualcuno, significa essere
attento al soffio che lo anima. Per gli antichi Ebrei la malattia e la morte erano legate a una
perdita o mancanza di ‘soffio’: curare, risvegliare qualcuno voleva dire far circolare di nuovo il
soffio nelle sue membra. Quando il soffio ritorna a Dio, il composto animato si decompone, ritorna
all’inanimato. La vita è il soffio, e il terapeuta si prende cura di questo soffio. Guarire qualcuno
significa farlo respirare: “mettere il soffio al largo”, cioè amplificarlo, e osservare tutte le
tensioni, i blocchi, le chiusure che impediscono la libera circolazione del soffio, vale a dire lo
sviluppo dell’anima in un corpo. Il compito del terapeuta sarà sciogliere questi nodi dell’anima,
questi ostacoli alla Vita e all’Intelligenza creatrice nel corpo animato dell’uomo.
Mi piace l’idea di considerarci, noi che utilizziamo, amiamo e onoriamo il respiro, come eredi
moderni dei Terapeuti di Alessandria, anche noi aiutiamo a mettere “il soffio al largo” affinché
possa circolare liberamente e, sciogliendo i nodi e gli ostacoli, ricostituire quell’armonia tra
corpo, mente e anima che sola, alla fine, può assicurare la vera guarigione.
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