di Bikkhu Bodi
da saddha.it
– versione originale –
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Oggi, sia in Oriente che in Occidente, un indebolimento generale della
legge e dellordine, ha instillato in noi un
implacabile senso dansia, che ci striscia addosso, in strada, sul
lavoro, perfino quando siamo chiusi in casa.
Laumento dei tossicodipendenti, lincremento della piccola
criminalità, il declino del rispetto per gli altri tutto questo
assieme ha inquinato i più ordinari rapporti umani, creando
unatmosfera di sospetto.
Molti si sentono al sicuro solo dietro porte blindate, finestre chiuse
da grate di ferro e cancelli sorvegliati da allarmi sofisticati.
Eppure, spesso anche se ci siamo dotati di una corazza personale
munita del più inviolabile sistema di difesa, scopriamo che cè una
fonte di insicurezza anche più intrusiva. Un senso di paura e terrore,
che può spazzar via gli attimi più preziosi della nostra gioia di
vivere, e che non proviene da minacce esterne, bensì ci aggredisce
inesplicabilmente da dentro. Si mimetizza con i nostri problemi
quotidiani, e ci travolge in spirali di angoscia, ma la sua vera causa
non è tanto un pericolo esterno, quanto piuttosto, unansia
imprecisata che fluttua incontrollabile alla periferia della nostra
mente.
Un sutta poco noto, celato nel Devaputtasamyutta, ci dà unidea della
natura di questa angoscia, in modo più acuto e realistico di
quanto ci propongano i nostri più astuti filosofi esistenzialisti. Nel
suo breve sutta, di solo otto righe in pali, una giovane divinità, di
nome Subrahma, di fronte al Risvegliato, spiega il problema che grava
sul suo cuore:
Sempre ansiosa è questa
mente,
la mente è sempre agitata,
dai problemi presenti e futuri.
Ti prego di dirmi come posso
liberarmi dalla paura.
Sembra ironico che sia un deva ad esprimere in modo così succinto,
con elegante semplicità il dilemma alla base della
condizione umana. La confessione di Subrahma rende esplicito che né
nel mondo dei deva, né in qualsiasi altro stato condizionato, vi è un
rifugio impenetrabile dallangoscia. Castelli lussuosi, attività
milionarie, potere assoluto, sistemi di
sicurezza impenetrabili: nulla di tutto ciò garantisce la pace e la
serenità della mente. Dato che la fonte di tutti i problemi è la mente
stessa, che ci segue ovunque andiamo.
Per comprendere langoscia di Subrahma è sufficiente sedersi in un
luogo tranquillo, volgendo lattenzione al nostro interno e osservando
i pensieri che si accavallano. Se non ci fissiamo su un pensiero, ma
semplicemente li osserviamo tutti, mentre passano, sicuramente
noteremo anche ondate dangoscia, preoccupazione e timore, che si
susseguono, dietro e dentro questa processione senza fine.
Le paure e le preoccupazioni non sono necessariamente smisurate, non
sorgono da decreti metafisici sublimi. Ma, sotto la melodia dei
pensieri che cambiano continuamente, come un contrabbasso in un
quintetto jazz, avvertiamo il palpito persistente della preoccupazione
e della paura, che la punteggia, come un secondo battito del cuore.
Subrahma sottolinea la difficoltà che ha davanti difficoltà comune a
tutti gli esseri mondani, non illuminati ripetendo la parola
sempre (niccam) nei primi due versi.
Questa ripetizione è significativa. Non perché ogni nostro pensiero
sia afflitto da paura e preoccupazione, né vuole escludere che si
possa godere delle gioie del successo, del piacere di un amore
corrisposto o del coraggio di affrontare le terribili sfide della
vita. Ma sottolinea la presenza ostinata di un terrore ansioso, che si
trascina dietro di noi come un botolo ringhioso che grugnisce quando
ci guardiamo alle spalle, pronto a morderci i calcagni se siamo
distratti.
La paura e lansia infestano i meandri della mente, perché la mente è
una funzione del tempo, un barlume di consapevolezza che
scorre inesorabilmente da un passato che non può essere annullato
verso un futuro che si prende gioco di noi, con un perpetuo,
indecifrabile non ancora. È proprio perché la mente tenta di
afferrare il passare del tempo, avvolgendo i suoi tentacoli intorno a
migliaia di progetti e preoccupazioni, che il passare del tempo sembra
così possente. Perché il tempo significa cambiamento, e il cambiamento
porta alla dissoluzione, alla rottura dei legami che abbiamo forgiato
con tanta fatica.
Il tempo significa anche incertezza del futuro, ci precipita in sfide
imprevedibili e ci spinge verso linevitabile vecchiaia e verso la
morte.
Quando Subrahma è davanti al Buddha a porre la sua urgente richiesta
di aiuto, non chiede la ricetta del Prozac per affrontare
unaltra partita daffari o un flirt con le ninfe celesti. Chiede
niente meno che la liberazione totale dalla paura e, quindi, il Buddha
non tergiversa nella risposta. In quattro righe salienti, spiega a
Subrahma, lunico modo efficace per guarire da quella ferita
interiore, senza più il pericolo che si riapra.
Non senza il risveglio e lausterità,
non senza controllare i sensi,
non senza aver lasciato tutto,
vedo alcuna sicurezza per gli esseri viventi.
La liberazione definitiva dallansia, il Buddha chiarisce, si riassume
in quattro semplici provvedimenti. I più decisivi sono il risveglio
(bodhi) e il lasciar andare (nissagga), la saggezza e la
liberazione. Queste, tuttavia, non si realizzano dal nulla, ma solo a
seguito di un addestramento in virtù e in meditazione, inteso qui come
controllo delle facoltà sensoriali e nellausterità (tapas),
lenergia dello sforzo contemplativo. Lintero programma è diretto a
svellere la radice nascosta dellangoscia, che gli esistenzialisti,
con tutto il loro acume filosofico, non riuscivano a discernere.
Questa radice è lattaccamento. Addormentati nella profonda notte
dellignoranza, ci attacchiamo ai nostri beni, ai nostri cari, alla
nostra posizione e al nostro stato e, più tenacemente ancora, ci
aggrappiamo a quei cinque aggregati di forma, sensazione,
percezione, attività volitiva, e coscienza, supponendo che siano un sé
veramente esistente, permanente e piacevole.
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Tradotto dallinglese da Giorgio Salce
Loriginale è allindirizzo
www.accesstoinsight.org/lib/authors/bodhi/bpsessay_37.htm
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