Il QI
Mentre abbiamo considerato il Qi come l’interfaccia tra la mente e il corpo, potremmo definire lo Yi
il “primus inter pares” e il “traìt d’union” tra Li (dimensione fisica) e Qi (dimensione
energetica). Con Yi le potenzialità del corpo, normalmente limitate alla forza dei muscoli e dei
movimenti veloci, possono essere elevate a massimi livelli grazie all’utilizzo cosciente del potere dell’ energia interna.
Lo Yi può essere allenato come si allena un arto, cominciando con piccoli esercizi di immaginazione
creativa, fino ad arrivare alle sofisticate tecniche messe a punto da generazioni di maestri nel
corso dei secoli, quali l’imitazione degli animali e dei fenomeni naturali (il turbinare del vento,
la potenza devastatrice del lampo, il fuoco, l’ acqua) che creano un’identificazione in grado di sviluppare straordinari poteri fisici e mentali.
La pratica dell’imitazione simbolica dei movimenti degli animali e delle forze della natura è la
chiave d’accesso per trascendere i limiti fisici imposti dai normali stati di coscienza e per
liberarci dai condizionamenti (genetici, ambientali ed educativi) che, come delle incrostazioni,
nascondono la nostra pura essenza e limitano la nostra libertà. Quest’imitazione cosciente,
liberando quelle energie nascoste e istintive che risiedono nelle profondità del nostro essere,
attiva una sorta di depurazione mentale, cosicché il nostro sistema psicofisico, non più condizionato, sarà in grado di dispiegare al massimo tutte le sue potenzialità.
A riprova di ciò può essere fatto un semplice esercizio: congiungete pollice e indice immaginandoli
come un anello d’acciaio, finché riuscirete a tenere ferma quest’immagine nella mente, diventerà
molto difficile per chiunque separarli. Altri esempi del potere eccezionale della mente sono gli
atti compiuti sotto ipnosi, in situazioni estreme di pericolo, o ancora la tremenda forza dimostrata
dalle persone colte da raptus. Durante queste crisi la più gracile delle persone può dare luogo a
delle manifestazione dì un tale vigore fisico da mettere in crisi anche diverse persone robuste che tentino di controllarla.
Questo può succedere perché ci sono determinati “stati indotti”, in cui la mente in situazioni non
ordinarie quali malattie, stati allucinatori, pencoli, non più vincolata dai normali parametri,
agisce senza senso di limite, liberando fonti inaspettate di energia. Questi “stati indotti”, oltre
che subiti, possono essere creati sotto la guida del pensiero cosciente (Yi). Inizialmente si usa la
propria capacità immaginativa, poi, una volta appreso il meccanismo, tutto avviene senza sforzo
cosciente. Dice, Elemire Zolla, nel suo libro Verità segrete esposte in evidenza.
II pugilato e la scherma con l’ombra nati nei monasteri taoisti e buddisti non vogliono forza
muscolare, ma immaginazioni veementi. (..) Chi la pratica diventa un simbolo del cosmo, un
astrolabio, con tutto il peso addensato nel basso ventre, mentre il flusso dell’ energia, come
provenendo dal centro della terra, gli sale su per i piedi e colma il tronco. In certe arti marziali
buddiste si immagina che la cintola sia una corda d’arco che scocca l’ energia del cosmo come un
dardo su per il tronco, lungo te braccia, attraverso le dita, via, fino ai confini dello spazio. Si
diventa l’asse che non vacilla, il volano del cosmo, e l’ energia si avvolge a elica intorno alla spina dorsale.
Per meglio comprendere quanto detto e quanto diremo nel prosieguo del nostro discorso, analizziamo,
seppure sommariamente, l’ideogramma Yi. Nella sua grafia antica la parte supcriore è (yin) indica
una vibrazione celeste, un suono che sovrasta l’ideogramma cuore ( xin), quindi lo YI è inteso come
risonanza del cuore, come suono o parola che sgorga con intenzioni chiare e pulite. Ma
nell’accezione usata dai maestri, indica qualcosa di più di una semplice correttezza d’animo; esso coinvolge il praticante in maniera globale.
Infatti vediamo che il radicale (inscindibile) yin è composto dal carattere “lì”, (stare eretti,
radicarsi, diritto ecc.) e dal carattere “ri” ( sole), che sovrastano il carattere “xin” (cuore).
Forse quest’analisi potrà sembrare troppo azzardata, ma rende in pieno l’idea dello Yi del
praticante di Taiji: Yi (li + ri + xin) come colui che sta eretto, perfettamente centrato nel proprio spirito e col controllo del proprio corpo e della propria mente.
Sole è l’energìa Yang per eccellenza e nel “microcosmo uomo” rappresenta il corpo fisico.
Cuore simboleggia l’ energia Yin. Per la tradizione cinese è anche il simbolo dell’attività mentale
ed è quindi usato come sinonimo di ” mente”. Nel corpo umano il cuore è considerato Yin.
Potremmo, quindi, intendere Yi sinteticamente, come quella qualità che controlla sia il proprio corpo sia la proprìa mente.
In realtà Yi è un’idea molto più complessa, che coinvolge la mente nei suoi molteplici aspetti, il
corpo con le sue potenzialità e lo spirito, o Shen. Yi è quindi una delle facoltà dell’organo Xin
nelle sue componenti principali: Yi Shi ( coscienza, consapevolezza) e Yi Nian (idea, intenzione ecc.).
Può essere sinteticamente espresso con ” mente-cuore”, termine che implica il concetto di
“consapevolezza intuitiva” (cfr. Le Tre Vie del Tao, p. 46 e p. 180) e cioè la capacità di conoscere
e di esserne coscienti senza mediazioni intellettuali, in maniera diretta e immediata. Infatti la
parola intuizione etimologicamente significa “essere in Dio”, dal greco en (in) e tbeos ( Dio); in
senso lato è quella che i maestri chiamano “conoscenza dei cuore”. Opportunamente sviluppata,
permette una presa di coscienza delle potenzialità sia del corpo sia della mente.
È lo stato in cui non c’è disarmonia tra pensiero e azione, in cui la consapevolezza si fonde con
l’azione, facendo sì che i movimenti del corpo siano perfettamente allineati al flusso della nostra
“intenzione cosciente”, è una specie di “estasi non mistica” che rappresenta uno stato di fusione,
di assorbimento totale in quello che si sta facendo, dimentichi di ogni cognizione spazio-temporale.
Alcuni grandi campioni sportivi la chiamano la “Zona” e la definiscono come uno stato nel quale “l’eccellenza delle prestazioni” non richiede sforzo alcuno.
Corpo, mente ed energia si fondono in uno stadio superiore, che rappresenta la quintessenza delle potenzialità individuali: lo Stadio Spirituale, o Shen.
Shen è uno stato potenziale indifferenziato (non è Yin, non è Yang – non è pieno, non è vuoto) da
cui può emergere qualsiasi cosa: il caos della lotta come la calma della meditazione. La mente nello
stato Shen è pura e trasparente come il cielo terso, il corpo è come la terra primigenia, il Qi come
gli elementi della natura. Quando lo Shen si condensa nello Yi, il corpo- terra emette la sua forza
scuotendosi come un vulcano, ondeggiando come l’oceano o turbinando come l’uragano. Quando lo Shen
si condensa nello Yi, il poeta può creare la sua poesia, il musico la sua musica, un uomo e una donna unire le loro essenze (Jing) e far nascere i “diecimila esseri”
Nella visione cinese lo Shen, non essendo solo metafisico, non è solo trascendente, ma immanente
all’essere umano, per cui si può parlare di Spirito Universale e di Spirito Individuale,
quest’ultimo dotato di una sua “fisicità energetica” con un suo preciso metabolismo, presente
ovunque vì sia vita e attivo in ogni parte e in ogni funzione corporea. È principalmente in questo senso che useremo il termine Shen nel contesto del nostro lavoro.
Molti sono quelli che, almeno una volta nella loro vita, hanno sperimentato questo stato di fusione
psicofisica in maniera spontanea, in cui la loro attenzione era talmente concentrata da non rendersi
conto di quello che succedeva intorno a loro; ma nello stesso tempo, senza perdere il controllo
della situazione, agivano perfettamente coordinati, senza ansia e preoccupazioni. Il Taiji
rappresenta un metodo scientifico per sviluppare questo stato in maniera cosciente. Secondo la
tradizione taoista, quando lo Shen individuale si sublima nel “Vuoto Assoluto”, o Xu (lian Shen huan
Xu), si diventa degli immortali viventi, o esseri illuminati, e ci si ricongiunge allo Spirito Universale (Wuji).
Da notare, infine, come “Yi” significhi anche “anticipare” (È naturale, per una scrittura composta
da segni ideografici, avere molteplici significati per una sola parola). Nel Taiji Quan è importante
il concetto della mente che “anticipa”, cioè che intuisce le intenzioni dell’avversario.
Nel Taiji Quan, Yi è assolutamente basilare, perché i risultati che si otterranno dipendono
essenzialmente da esso. Per questo è opportuno cercare, nei limiti imposti dalla parola scritta, di
spiegarne i vari significati e di specificare i molteplici contesti in cui viene usato. Secondo
l’ambito in cui agisce, YÌ assume sfumature a cui corrispondono significati con diverse valenze e
diversi livelli di realizzazione. È importante capire che ciò non rappresenta un inutile esercizio
intellettuale, ma è invece un passaggio obbli-gato, perché il Taiji è un’arte estremamente raffinata e i suoi confini non sono limitati al campo marziale, ma lo trascendono.
Yi è l’Alfa e l’Omega, è il principio e la fine, è la luce che illumina la mente.
Per la lingua cinese è normale sintetizzare m un ideogramma concetti complessi che nelle lingue come
quelle occidentali richiedono lunghe spiegazioni; è per questo che Yi può essere tradotto come idea,
attenzione, intenzione e volontà cosciente (più specificatamente Yi Nian); consapevolezza, coscienza e intuizione (più specificatamente Yi Shi).
Yi nian – Attenzione, volontà cosciente, intenzione
L’attività della mente non si ferma mai; l’uomo normale è continuamente coinvolto in un dialogo
interiore senza sosta, che gli impedisce la calma e agita i suoi pensieri come il vento agita le
acque di un lago. I maestri paragonano questo stato a una scimmia ubriaca che si agita incessantemente, e il pensiero a un cavallo che scalpita irrequieto.
La quiete del pensiero cosciente, che presiede all’equilibrio di tutte le attività dell’organismo, è
la condizione minima indispensabile per avviare il processo di pacificazione (Jing) della mente
(Yi). Yi Jing è il nome dello stato della mente pacificata, da cui si sgorga un pensiero puro e trasparente come acqua di sorgente.
Come giù nell’ acqua limpida si vedono la sabbia, la ghiaia ed il colore diverso delle pietruzze,
soltanto a cagione della sua trasparenza. Chi cerca la via della salvezza, bisogna che abbia la mente in egual modo limpidissima.
Lo strumento principale dell’Yi Jing è l’attenzione, strettamente legata alla capacità
di-concentrazione, che a sua volta altro non è che la focalizzazione volontaria dell’attenzione.
Pacificazione, attenzione, concentrazione e intenzione, sono strettamente correlate in una specie di
“circolo virtuoso” che si autoalimenta. Ci sono molti modi per entrare nel “flusso”, sicuramente la
capacità di focalizzarsi esclusivamente e intenzionalmente su quello che si sta facendo, in uno
stato di profonda concentrazione, ne rappresenta l’essenza. “Attento come un gatto che punta un topo
“. Questa immagine, spesso abusata, sintetizza in maniera esemplare, nell’immaginario collettivo,
l’archetipo della perfetta attenzione. Ma l’attenzione di cui parliamo, nel contesto del presente lavoro, è di ordine diverso ed è peculiare dell’essere umano.
Essa è nello stesso tempo una delle capacità più elevate e meno sviluppate che possediamo:
l’attenzione cosciente. Pochi sono coloro che hanno sviluppato questa attenzione volontaria, mentre
la maggior parte delle persone l’ha vissuta sporadicamente in situazioni fortuite, senza però
possederne il minimo controllo. Vediamo, quindi, di chiarire la differenza sostanziale che
intercorre fra l’attenzione istintuale di un gatto affamato e l’attenzione cosciente dell’essere
umano. Il gatto non ha possibilità di scelta: l’istinto della fame lo obbliga alla concentrazione
totale di tutte le sue energie sul cibo-topo. Tutti gli animali hanno queste risposte coatte e reattive sotto l’impulso degli istinti fondamentali.
Anche gli esseri umani sono soggetti a questi stessi istinti che condizionano il comportamento e
impongono un’attenzione intensa in determinate situazioni: pericoli di vita, forte eccitazione
sessuale ecc. Sono situazioni molto particolari, che hanno un gusto particolare, come certe rare
spezie dal sapore intenso ed eccitante. Escludendo queste rare situazioni che polarizzano
automaticamente e istantaneamente la nostra attenzione, la vita di tutti i giorni sembra immersa in
una specie di brodo esistenziale senza gusto. Probabilmente, è la ricerca di questo gusto forte e il
bisogno di ritrovare quell’unità interiore perduta, non più necessaria nelle condizioni dì vita
troppo confortevoli della nostra civiltà tecnologica, che porta molte persone a praticare alcuni sport particolarmente pericolosi.
Questo tipo di attenzione non cosciente non è il risultato dì una scelta, ma si produce
automaticamente quando per un caso fortuito le condizioni interne (istinti, bisogni, desideri) e quelle esterne coincidono.
La vera attenzione, al contrario, nasce dalla scelta consapevole dì orientare e focalizzare
l’intento o volontà della mente nella direzione scelta, indipendentemente da qualunque necessità o condizioni esterne.
Questa capacità di astrazione tipicamente umana, che abbiamo chiamato attenzione cosciente,
opportunamente sviluppata è la condizione indispensabile per una reale crescita ulteriore. Solo
grazie ad essa possiamo staccarci dalle situazioni contingenti e volgere all’interno il nostro sguardo per attivare le enormi potenzialità interiori.
Ecco cosa dice il Buddha a proposito dell’attenzione:
“L’attenzione conduce all’immortalità, la disattenzione alla morte; gli attenti non muoio-nomai, i
disattenti sono come morti”. E più avanti: “Praticano la disattenzione gli uomini stolti e senza
discernimento; ma l’intelligente custodisce l’attenzione, al pari del tesoro più prezioso”.
A queste due qualità dell’attenzione (l’istintiva, che negli uomini e negli animali nasce dal gioco
degli istinti, e la cosciente, tipica dell’essere umano, sganciata dalla circostanze e poco
sviluppata) corrispondono due qualità della volontà: quella che nasce dalle pulsioni istintuali e
dai nostri bisogni elementari e quella di ordine superiore, frutto del loro controllo e superamento.
La prima, molto spesso, nasce dalla paura e dal conseguente bisogno di potere, che ci porta ad
accumulare beni materiali di ogni tipo per colmare quel senso di vuoto esistenziale che ci
attanaglia, nonostante che le condizioni esterne siano quanto di più confortante e rassicurante ci
possa essere; la seconda, invece – frutto di uno sforzo cosciente di una personalità matura e
consapevole, in grado di dare un senso alla propria vita sia in termini materiali che di progresso interiore – è quella che viene chiamata intento o volontà, della mente.
Un’attenzione forte è frutto di un intento inflessibile.
Chi, dopo anni di pratica, non ha raggiunto dei risultati apprezzabili, può doverlo anche alla
mancanza di attenzione e volontà, perché senza di esse non si sviluppa la percezione della propria
energia interna (Qi). Molti sono i praticanti che, pur seguendo la disciplina con amore e diligenza,
non avendo sviluppato la consapevolezza interiore non fanno progressi nella pratica, perché non
riescono a decodificare i messaggi del corpo e sono ingannati dalle loro stesse sensazioni.
All’inizio è importante concentrarsi sulle forme da imparare per eseguire correttamente Ì movimenti,
con la pratica la loro esecuzione diventa più semplice, i movimenti fisici meno impegnativi e di
fatto possono essere eseguiti in maniera automatica, senza la necessità di uno sforzo cosciente.
Spesso, a questo punto, la pratica diviene routine meccanica e lo sviluppo risulta compromesso,
perché non si presta sufficiente attenzione a quello che si fa: esternamente sembra Taiji, in realtà è un guscio vuoto.
Al contrario, la pratica necessita di una ricerca esperienziale attiva e concreta fino al limite
dell’identificazione, che inizia con la focalizzazione del pensiero cosciente sugli aspetti più
esterni (movimenti parassiti, tensioni muscolari, blocchi energetici ecc.) e che procede per stadi
successivi fino alla presa di coscienza di qualsiasi fenomeno possa emergere, sia esso fisico,
emozionale o mentale. Il praticante deve essere perfettamente cosciente di ciò che gli accade senza
di-strarsi mai, con vigile attenzione deve essere in grado di percepire Ì mutamenti e le
trasformazioni che avvengono all’interno del suo corpo, solo così diventa padrone di se stesso ed è
quindi in grado di orientare la sua mente in modo che possa guidare, in maniera consapevole, tutto il processo di sviluppo.
Yi shi – Coscienza – consapevolezza – intuizione
Con Yi Shi, l’uomo ordinarlo comincia un processo di evoluzione interiore aprendosi a una realtà
dimensionale di ordine superiore. Infatti, mentre Yi Nian, nei suoi vari aspetti di volontà,
attenzione, concentra-zione molto utili nella vita quotidiana, può essere priva di valenze
spirituali, Yi Shi al contrario, coinvolgendo aspetti metafisici dell’esistenza umana ne è ricca.
Così come le tre qualità di Yi Nian, che sono comuni a tutti gli esseri umani, sono in base al loro
livello dì sviluppo quelle che fanno la differenza tra un uomo di successo, in grado di orientare la
propria vita vivendola da protagonista, e l’uomo velleitario e inconcludente che, invece, la
subisce; alla stessa maniera, lo sviluppo di Yt Shi ( coscienza, consapevolezza, intuizione) fa la
differenza tra l’uomo di successo mondano, che non si pone obiettivi di tipo spirituale (un grande
campione sportivo, un imprenditore affermato o un famoso scienziato sono tutti esempi di personalità
che hanno sviluppato a un buon livello volontà, attenzione e concentrazione) e l’uomo che, invece,
fa della trasformazione interiore e del miglioramento di sé lo scopo della propria vita, espandendo la sua coscienza oltre i confini della realtà fittizia dell’Io.
Coscienza
Quello che differenzia l’essere umano dagli altri esseri viventi è la coscienza di sé: egli non solo sa e sente dì esistere, ma è conscio di ciò.
Sostanzialmente si può parlare di due fondamentali stati di coscienza: uno di tipo biologico,
bagaglio comune di tutti gli esseri umani e uno che possiamo chiamare metafisico. Il primo, relato
alla mente ordinaria, nasce dai sensi e dall’attività di pensiero; il suo motto è il “cogito ergo
sum” di cartesiana memoria. Il secondo, relato alla ” Mente Universale”, è metafisico e va oltre la
comune attività di pensiero. La ” coscienza biologica o ordinaria”, legata all’Io, è dualistica:
conscio e inconscio, psiche e soma, soggetto e oggetto, ragione e istinto, cuore e cervello. La
coscienza metafisica, al contrario, frutto di un’intensa fase introspettiva scevra da ogni analisi intellettuale, da ogni pensiero discorsivo e conclusioni logiche, è senza “Io”.
Quest’assenza non va intesa come vuoto o annullamento, ma piuttosto come superamento o trascendenza
della condizione dell’Io; una tale condizione mentale per la mente ordinaria può essere solo
inconscia (involontaria), in quanto essa nei normali stati di coscienza non è in grado di concepire
se stessa senza un Io. (Cfr. Le Tre Vie del Tao, p. 159). La coscienza metafisica si sviluppa
attraverso la pratica della meditazione e della pacificazione del pensiero cosciente, armonizzando i
nostri pensieri fino al punto di fermare il dialogo interiore ed operare il rovesciamento
dell’orientamento della nostra visione interiore dalla molteplicità all’unità, dall’Io al non Io, dall’individualità all’universalità.
Le grandi tradizioni orientali, perfettamente consce di ciò, hanno elaborato tecniche
sofisticatissime per raggiungere lo scopo di azzittire il “dialogo inferiore ” e rompere il circolo
vizioso che mantiene in vita la falsa percezione del mondo, per sviluppare la vera consapevolezza,
che si manifesta quando la mente entra in uno stato di assoluto silenzio e non genera più pensieri.
Far tacere i pensieri, azzittire il dialogo interiore, è uno dei punti chiave per accedere a una
retta visione di noi stessi e della realtà circostante. Certo non è semplice riuscirci, perché i
metodi sono piuttosto insoliti e richiedono un impegno costante, inoltre è difficile vincere il
luogo comune che considera il dialogo mentale una condizione naturale e ineluttabile della mente.
Il silenzio interiore e il vuoto mentale che ne consegue, di cui parlano le tradizioni, sembrano per
l’uomo ordinario un’opera titanica difficilmente realizzabile, se non da pochi individui
particolarmente dotati. Infatti è così: sono veramente pochi coloro che ci riescono, ma non tanto
per una difficoltà intrinseca del lavoro quanto piuttosto per due ordini di motivi che sono come le
due facce di una medaglia: un approccio errato e una confusione di ruoli tra la mente e il prodotto della sua attività, cioè i pensieri.
L’ipotesi che nel nostro caso rende impossibile la soluzione è che per sua”forma mentis” l’uomo
occidentale è portato a pensare che tutto passa attraverso un’attività di pensiero. Ma pensare di
non pensare non produce il “vuoto”, bensì un altro pensiero: si cerca di smettere di pensare
pensando allo smettere di pensare. È una situazione assurda e paradossale, che genera solo
frustrazione e dolore, senza apparente via d’uscita. Ma, come spesso accade, la soluzione è più
semplice del previsto, basta operare un cambiamento passando a un livello logico superiore:
Il silenzio è semplicemente al di fuori della sfera di attività del pensiero.
Il processo del pensiero è una delle attività umane più alte e più nobili, ma per quanto grande è
limitato. Il problema è quindi di comprendere che esso è solo una delle infinite forme di percezione
e che restare ancorati alla sua sfera di azione ci taglia fuori da tutte le altre realtà dimensionali.
Vediamo, quindi, come possiamo procedere in pratica per rendere possibile il raggiungimento di
alcuni traguardi che ci permettono di rendere più stabile e forte la nostra mente. Per farlo
dobbiamo tracciare una specie di percorso, definendo in maniera chiara i passi fondamentali.
Il silenzio interiore e il vuoto mentale si generano lun laltro in un flusso circolare che si
autoalimenta, però mentre il vuoto mentale è silenzio interiore assoluto, in quanto vi è un’assenza
totale di pensieri, il raggiungimento dello stato di silenzio interiore non presuppone
automaticamente il vuoto mentale, né rappresenta solo la condizione indispensabile ma non
sufficiente. Per capire meglio dobbiamo chiarire la differenza tra il “semplice silenzio ”
interiore, che consegue alla cessazione del dialogo interno, e quello “assoluto” che consegue alla cessazione dell’attività pensante della mente.
Il primo non presuppone un’assenza totale di pensieri, ma solo la cessazione del loro fluire
disordinato, caotico e rumoroso; il secondo richiede, non solo la realizzazione di determinate
condizioni mentali (cessazione del dialogo, silenzio, blocco dell’attività pensante etc.), ma anche
lo sviluppo di determinate caratteristiche di ordine spirituale, senza le quali qualsiasi tecnica risulta completamente inutile.
Il silenzio interiore relativo al vuoto mentale è assenza totale di pensieri
In una prima fase, quindi, non si cerca di fare il vuoto mentale, ma solo di armonizzare l’attività
della mente spegnendo gradualmente il dialogo interno: si pensa non in maniera discorsiva per
parole, ma per immagini, un po’ come se sullo schermo della mente si proiettasse un film senza sonoro.
Nella mente c’è silenzio, ma non assenza di pensieri. Come in una valle di alta montagna, i nostri pensieri simili a uccelli volteggiano silenziosi nell’aria.
La presa di coscienza che non tutto passa attraverso la comune attività di pensiero, unita a
un’osservazione distaccata dell’attività prodotta dalla nostra mente e a una non eccessiva
identificazione con i nostri pensieri, è fondamentale per accedere al “cuore della mente”, dove ogni
discussione, ogni differenziazione cessa e: si è consapevoli di “essere “, senza bisogno di pensare, per esserne consapevoli.
La mente e i suoi pensieri
Si può affermare che ci sono infiniti metodi di meditazione, ma in ultima analisi si riducono essenzialmente pochi.
Uno dei metodi più semplici e più adatto all’uomo moderno occidentale lo possiamo chiamare
“Osservazione distaccata dei propri pensieri” o “Posizione del testimone”
II suo procedimento è relativamente semplice: sediamoci in un posto tranquillo, e dopo una prima
fase dedicata a creare uno stato mentale tranquillo respirando profondamente, poniamoci in
osservazione di noi stessi e dei nostri pensieri senza farci coinvolgere. In un primo momento ci
sentiremo tesi e agitati, la nostra mente somiglierà a un ingresso del metrò nell’ora di punta, i
nostri pensieri si accavalleranno in maniera disordinata e spingeranno per venire a farci visita.
Non bisogna fare nulla, solo un po’ di pazienza e mantenete un atteggiamento distaccato; e piano
piano ci accorgeremo che tra un pensiero e l’altro si crea uno spazio vuoto, un’assenza di pensiero.
Continuando in questo atteggiamento distaccato, questo spazio vuoto comincerà a dilatarsi sempre di
più, allora potremo cominciare a osservare la profondità della nostra mente. La pratica giornaliera
di questo tipo di meditazione ci permetterà un distacco dai nostri pensieri e da una eccessiva identificazione con essi.
Ci permetterà di capire che noi non siamo solo i nostri pensieri, ma qualcosa di molto più vasto.
Scopriremo che siamo emozioni, sensazioni, intuizioni e che tutto è magicamente legato e
interdipendente. Man mano che i giorni passano, in quei minuti che dedicheremo a noi stessi,
sperimenteremo sempre nuove sensazioni, nuovi modi di essere, avremo piccole e grandi intuizioni, un
senso di gioia spontanea sgorgherà dalla profondità del nostro essere. I pensieri perderanno quel
valore assoluto che avevano prima, saremo in grado di capire quali hanno diritto di cittadinanza e
quali invece sono pensieri indotti e clandestini. Tutti i nostri pensieri, le nostre opinioni, i
nostri ideali e le nostre convinzioni sottoposti a quest’esame, a quest’attenta valutazione che si
sviluppa con la meditazione risulteranno non di nostra esclusiva proprietà e potremo liberamente
affermare: “Io non sono questo pensiero, io non sono questa convinzione”. A questo punto un senso di smarrimento potrebbe assalirei.
“Se io non sono i miei pensieri, i miei ideali, le mie convinzioni, chi sono? Se tutto quello che ho
pensato finora non è di mia proprietà dovrò cominciare daccapo, ma su che basi ?” A questo punto è
bene fare delle riflessioni importanti su quanto è accaduto. E lo faremo con l’ausilio di una delle
massime zen più conosciute. “Prima che un individuo pratichi lo Zen, i monti sono monti, e i fiumi
sono fiumi. Quando egli si è addentrato nella verità dello Zen, per lui i monti non sono più monti
né i fiumi sono più fiumi. Ma poi, quando egli arrivi realmente alla Pace, i monti ridiventano monti
e i fiumi fiumi”. Prima di cominciare a meditare vivevamo senza osservarci, nella piena convinzione
dei nostri pensieri, opinioni e pregiudizi, che ci sembravano giusti perché espressioni del nostro Io”.
“I monti sono monti, i fiumi sono fiumi”.
Praticando la meditazione il nostro “Io” ha esplorato se stesso e… non si è trovato.
“I monti non sono monti, i fiumi non sono fiumi”.
Ora prima di procedere oltre è bene cercare di ridefinire il concetto dell’Io e di capire bene che
cosa è un pensiero e che cosa si esprime in un pensiero. Relativamente al concetto dell’io lo
abbiamo ampiamente trattato all’inizio di questo capitolo, quindi passiamo al secondo concetto.
Riprendiamo la nostra esplorazione interiore: ora abbiamo raggiunto una maggiore capacità di
distaccarci dai nostri pensieri senza farci coinvolgere eccessivamente, possiamo godere di quel
vuoto mentale e del senso di pace che lo accompagna e all’improvviso ci accorgiamo che il “vuoto” non è vuoto ma è pura e assoluta percezione, è un oceano di percezione.
Sentiamo che il nostro corpo vibra e si accorda con le infinite melodie, il nostro respiro vibra con
i colori, i nostri muscoli danzano con i suoni, la nostra colonna vertebrale come un grande flauto
suona ad ogni respiro, le nostre immagini si colorano, e le nostre emozioni sono puri movimenti d’
energia. Comprendiamo che il pensiero non è altro che una delle infinite forme della percezione e che noi siamo molto più che i nostri pensieri: siamo Coscienza.
Siamo un gioiello delDharmadhatu in cui si riflettono gli altri infiniti gioielli e nei quali noi ci
riflettiamo, in un bellissimo gioco dove ogni cosa è in intima relazione ed è inseparabile dalle
altre. Ora tutto è chiaro, abbiamo sviluppato la “retta visione” che ci ha portato alla “retta conoscenza”. “I monti ridiventano monti e i fiumi fiumi”.
Consapevolezza
La consapevolezza viene comunemente intesa come “essere coscienti di … “, ma in realtà è qualcosa
di più complesso, che presuppone anche un vero e proprio processo di conoscenza. Quindi:
Consapevolezza come processo dinamico di conoscenza che permette di prendere coscienza di…
Una conoscenza, ovviamente, che non scaturisce da un sapere esclusivamente intellettuale e astratto,
ma da un sapere d’ordine diverso, diretto e immediato, che nasce dall’esperienza di tutto il corpo e
della mente, un sapere che è pratica attiva, con tutto il proprio essere. Dopo questa definizione di
carattere generale, passiamo a precisare meglio i contenuti dei diversi tipi di consapevolezza che,
pur avendo identica funzionalità, sono però differenti nel loro centro focale, agendo a diversi livelli di sviluppo.
Abbiamo così la consapevolezza della forma corporea (Xing), dell’ energia vitale (Qi) e della mente-cuore (Xin).
La suddivisione, data la loro naturale interdipendenza, è solo formale, non sostanziale: ogni
problema inerente ad ognuna di esse, come pure ogni cosciente miglioramento, ha ripercussione sulle altre.
La consapevolezza corporea, che è il punto di partenza che apre la strada alle altre due, possiamo
definirla come “la conoscenza di se stessi attraverso il corpo “. Conoscenza che prende l’avvio
dall’immagine soggettiva che ognuno ha del proprio corpo, che si sviluppa per mezzo della percezione
del proprio organismo dall’interno, sia per quanto riguarda la sua forma o struttura corporea (Xing)
sia per le posizioni o posture (Shi) che può assumere nello spazio. Per una miglior comprensione di
come avviene il processo di percezione che ci permette di costruire l’immagine del nostro corpo, è
opportuno introdurre il concetto di quello che in fisiologia viene chiamato, analogamente ai cinque sensi, senso propriocettivo.
Dal punto di vista anatomico è presente in una forma molto ramificata in tutto l’organismo. I suoi
recettori, definiti propriocettori sono presenti in tutti i muscoli, tendini, legamenti e
articolazioni dell’apparato motorio. Possedendo un livello molto alto di specificità informativa, i
propriocettori ci forniscono le informazioni sulla postura del corpo. Questa capacità sensoriale,
che si aggiunge ai cinque sensi, lo possiamo sinteticamente definire il senso della percezione
corporea di sé, perché registrando ogni cambiamento posturale, ci permette di prendere coscienza di noi stessi.
A rigor di termini è un senso cinestetico, in grado, quindi, di percepire le sensazioni provocate
dal movimento (dal greco kinein, “muovere”, e aisthetikós, capace di sentire). Le informazioni
cinestetiche sono la fonte più importante delle componenti spaziali della percezione umana:
attraverso di esse, non solo prendiamo coscienza del nostro corpo, ma interagiamo anche con
l’ambiente circostante. Da ciò si deduce che lo sviluppo della consapevolezza corporea non è un
processo statico, ma è qualcosa che dinamicamente si costruisce, si struttura e si destruttura nel continuo rapporto con il mondo.
Differenziazione e integrazione
Operativamente, il praticante deve essere attento ad ogni movimento e posizione del corpo, deve
affinare sempre di più la sua capacità di percezione delle variazioni toniche dei muscoli,
raffinando ulteriormente la sensibilità cinestetica per sentire quali parti del corpo troppo tese
devono essere rilassate e quali troppo deboli devono essere, invece, rinforzate; deve, quindi,
rendere il suo corpo “intelligente” e “vivo”, deve essere in grado di differenziare la parte destra
dalla sinistra, l’alta dalla bassa, l’anteriore dalla posteriore, il centro dalla periferia. Dalla
differenziazione delle varie parti strutturali deve essere in grado di passare all’integrazione,
armonizzando la parte destra con la sinistra, l’alta con la bassa e così di seguito, in un processo
di apprendimento sempre più sottile e raffinato, in grado di ristabilire, in maniera efficace ed economica, l’equilibrio dinamico di tutta la struttura corporea.
Differenziazione e integrazione sono le facce Yin e Yang di un unico processo che ci permette di
capire la giusta ripartizione gerarchica e funzionale delle componenti fondamentali del nostro
sistema psicofisico. Per esempio, capire che la parte anteriore del corpo, con le sue ampie zone
ricettive è Yin, mentre quella posteriore e Yang, è fondamentale per non commettere errori che
possono inficiare il lavoro di anni. Infatti il dorso, che con la sua solidità garantisce stabilità
alla colonna vertebrale, è complementare alla necessaria flessibilità della parte anteriore.
Invertire questi ruoli irrigidendo, come avviene nelle palestre di body building, la parte anteriore
con degli esercizi che sviluppano in maniera eccessiva le fasce muscolari locali, significa non solo
alterare la giusta gerarchia funzionale, ma ignorare completamente dove risiede la vera forza.
Altra fondamentale ripartizione funzionale è quella tra centro e periferia del corpo, e quindi tra
forza centralizzata e periferica. È dai potenti muscoli del centro che partono gli impulsi motori di
una struttura efficiente e armonizzata. La presa di coscienza di queste gerarchie funzionali ci
permette di compiere correttamente qualsiasi azione sia nella vita quotidiana, sia durante l’esecuzione di una tecnica marziale.
Senza lo sviluppo cosciente della consapevolezza corporea non c’è progresso nella pratica, perché
non creandosi la fusione armonica tra Yi (pensiero cosciente), Xing (forma corporea) e Qi ( energia
interna) viene meno il giusto modo di agire. Lo sviluppo della consapevolezza, è opportuno
sottolinearlo, non significa semplicemente una vaga sensazione di stare bene nella propria pelle, ma
è una reale sensazione di forza e vigore interno, che con gli opportuni esercizi può essere trasformata in forza fisica (Qi sheng Jin).
Infine, la consapevolezza della mente-cuore è la presa di coscienza dei propri processi mentali e
delle proprie emozioni; è una attenzione continua ai propri stati interiori, che sviluppa la
capacità introspettiva della mente di osservare se stessa, la sua esperienza e le sue emozioni.
Intuizione
“Il pensiero di una mente pura è pura intuizione”
Quando la mente è libera dai pensieri che la distraggono, i sensi funzionano in maniera chiara e
finalizzata. Quando la mente è chiara e trasparente come le limpide acque di un lago di montagna,
allora riflette tutto quello che le sta attorno. Questa capacità di una mente pacificata di entrare
in risonanza con l’ambiente circostante, cogliendone le sottili sfumature, costituisce la base per
lo sviluppo di un’altra caratteristica fondamentale: l’intuizione. L’intuizione appartiene al regno
dello spirito, e come lo spirito non può essere allenata direttamente, è un frutto che sorge
spontaneamente quando tutte le condizioni giuste coincidono. Come il contadino non lavora
direttamente sul frutto, ma sul terreno e sulla pianta, così, per sviluppare l’intuizione bisogna
lavorare sul rilassamento e sulla pace interiore. Il contadino sa per esperienza che per ottenere
dei buoni frutti non deve forzare la natura, ma deve seguirla e aiutarla nel suo compito.
Non può tirare il grano per farlo crescere più in fretta, ma deve avere una infinita pazienza per
farlo giungere a maturazione. Sa che non è lui a far maturare i frutti, ma è perfettamente conscio
degli sforzi quotidiani che deve compiere affinchè la natura svolga al meglio la sua azione. Il
praticante si deve comportare analogamente. Ogni tensione fisica o emotiva allontana l’obiettivo:
andare oltre per eccesso di tensione è lo stesso che rimanere indietro, in ambedue i casi non si
coglie il bersaglio. Bisogna liberarsi di ogni tensione e portare l’attenzione sui giusti mezzi e
sul giusto modo di fare; solo allora si svilupperà quella tranquillità che assicura l’efficacia
dello sforzo, e un bel giorno l’obiettivo sarà raggiunto in modo del tutto spontaneo. Sarà come
cogliere un frutto maturo, un premio naturale prodotto dall’unione armonica delle cinque qualità
della mente (volontà, attenzione, concentrazione, coscienza, consapevolezza), che sono,
metaforicamente, come le dita di una mano che agendo assieme staccano il frutto maturo dall’albero.
Così come il pollice è il dito più importante della mano, ed è quello più in grado d’interagire con
tutte le altre dita, analogamente la volontà è la qualità fondamentale della mente e rappresenta il
terreno di coltura su cui crescono e possono svilupparsi tutte le altre: dalla volontà si sviluppa
l’attenzione e quando si è “volontariamente attenti” si sviluppa la concentrazione. Quando si è in
grado di “concentrarsi volontariamente” sui propri stati intcriori senza interruzioni per il tempo
che si desidera, allora si sviluppa un’introspezione così costante da fare emergere uno stato di
coscienza più profondo, che produce una nuova dimensione di esperienza personale in perfetta armonia con la nostra fonte più vera.
Come il pollice è il dito più importante della mano, analogamente la volontà è la qualità fondamentale della mente
Quando questo avviene, la mente si apre a una conoscenza d’ordine superiore che sviluppa la vera consapevolezza.
La fusione armonica di queste cinque qualità della mente apre le porte della pura intuizione e lo Yi evolve nello Shen.
“Il pensiero di una mente pura è pura intuizione”
“La pura intuizione è pura percezione ”
“La pura percezione è pura sensibilità”
Sviluppare la sensibilità richiede un particolare lavoro sia sul corpo sia sulla mente: come una
sensibilissima bilancia dobbiamo essere in grado di percepire le differenze e le variazioni toniche
dei nostri muscoli e dei nostri stati emotivi; senza questa abilità non c’è apprendimento, né
evoluzione nella capacità di apprendere. Rigidità ed eccessivo uso della forza tolgono sensibilità,
mentre, al contrario, sensibilità e leggerezza affinano la percezione, cosicché anche una piuma che
sfiora il corpo possa essere percepita. Tutto il corpo, e in particolare braccia e gambe, devono
diventare come degli acuti sensori che tengono sotto controllo l’ambiente circostante e
l’avversario, così sensibili da cogliere ogni minima variazione, per poter adeguare perfettamente ogni azione a quella avversaria.
Se non si sviluppa la sensibilità, allora bisogna imparare ad essere veloci fisicamente per essere
in grado di parare o schivare un eventuale attacco. Se invece si ha la perfetta percezione dei
movimenti dell’avversario, lo si può precedere anche con un movimento “relativamente lento”. Molto
spesso, le tecniche più spettacolari nascondono, nella rapidità del gesto, una scarsa percezione.
I veri maestri non sono mai spettacolari, la loro azione è sempre perfettamente calibrata, poco o
niente traspare all’esterno; fuori il maestro sembra lento, dentro è veloce come il fulmine.
“Chi è lento nello spirito deve essere veloce con il corpo
Fonte: taichineidan.com
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