Il secolo del gene

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Il secolo del gene

di: Alessio Mannucci

ENCODE PROJECT

Il Progetto Genoma Umano continua. Dopo la mappatura dei tre miliardi di lettere che compongono il
DNA, il Progetto ENCODE (ENcyclopedia of DNA Elements), un’impresa nata dalla collaborazione
internazionale di oltre 80 paesi e 35 équipe di ricerca, promette una prima interpretazione della
mastodontica mole di dati prodotta dai sequenziamenti genomici (i primi risultati sono stati
pubblicati su Nature lo scorso giugno).

Oltre 200 analisi per descrivere il comportamento del nostro codice genetico, o meglio, di una sua
piccola porzione: 30 milioni di basi nucleotidiche, pari all’1%. I ricercatori sono riusciti a
capire come e dove si svolgono determinate funzioni biologiche, mettendo in discussione certi dogmi
e rivalutando quello che finora è stato chiamato “DNA spazzatura”, ovvero DNA non-codificante.
“L’immagine tradizionale del nostro genoma come un insieme ben ordinato di geni indipendenti viene
rimessa in discussione”, ha annunciato il consorzio internazionale di ricerca.

Dalle analisi è risultato che il DNA spazzattura, che è la maggior parte, è trascritto in molecole
di RNA (acido ribonucleico) che svolgono una funzione fondamentale per la regolazione dell’attività
del DNA stesso. “I nuovi dati indicano che il genoma contiene pochissime sequenze inutilizzate”, ha
dichiarato in un comunicato il consorzio e il Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare e di
Bioinformatica (EMBL-EBI) che ha guidato lo studio, insieme al National Human Genome Research
Institute (NHGRI), parte dei National Institutes of Health (NIH) statunitensi.

In alcune di queste sequenze sono state scoperte strutture di cromatina (insiemi di geni e proteine
che formano i cromosomi) sostanzialmente analoghe a quelle che si trovano in regioni attive del DNA,
che producono proteine. La presenza di aree simili nel DNA di altri mammiferi suggerisce la
possibilità che esista un grande insieme di elementi neutrali biochimicamente attivi che fungono da
“magazzino” della selezione naturale.

PROGETTO BIOSAPIENS

In Europa, i luminari del settore si sono riuniti nella Rete di eccellenza denominata “BioSapiens”,
nell’ambito dell’aria tematica «Scienze della vita, genomica e biotecnologia per la salute» del
Sesto programma quadro.

Finora, uno dei principali risultati del progetto è stato lo sviluppo di nuovi strumenti di
bioinformatica e la loro integrazione nei sistemi esistenti di gestione dei dati biologici, che sono
stati testati e convalidati da scienziati di tutto il mondo nell’ambito del progetto internazionale
ENCODE. «I nostri risultati evidenziano principi importanti nell’organizzazione di elementi
funzionali del genoma umano, fornendo nuove prospettive su tutto, dalla trascrizione del DNA
all’evoluzione dei mammiferi», ha commentato il partner del progetto BioSapiens Ewan Birney, del
Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare, che ha diretto i lavori di analisi dei dati.

Il progetto BioSapiens durerà ancora un anno e in questo periodo i ricercatori prevedono di
perfezionare i loro strumenti per la prossima fase del progetto ENCODE, che comporta l’annotazione
del restante 99% del genoma umano. Il progetto BioSapiens non è tuttavia ristretto alle attività di
ricerca, esso prevede anche una componente formativa. «Vi è un’esigenza reale di una formazione in
bioinformatica», ha spiegato il professore Alfonso Valencia del Centro nazionale spagnolo per la
ricerca sul cancro e coordinatore di contatto di BioSapiens. Esiste già una lista d’attesa per i
corsi, che introducono i partecipanti ai concetti di base della bioinformatica e li istruiscono
sull’uso degli strumenti disponibili nella loro ricerca.

Il dottor Frederick Marcus, funzionario competente per il progetto presso la Commissione Europea, h
dichiarato che “la ricerca bioinformatica rimarrà una questione prioritaria per la Commissione
nell’ambito del Settimo programma quadro (7 PQ) essendo una parte assolutamente essenziale della
ricerca in materia di salute”.

DESERTI GENETICI

Secondo uno studio di ricercatori della School of Medicine della Stanford University e della
University of California di Santa Cruz, gran parte del DNA non-codificante umano controlla in realtà
l’espressione genica (i risultati dello studio sono apparsi lo scorso aprile sul’edizione online dei
Proceedings of the National Academy of Sciences).

Gill Bejerano, assistente professore of Biologia dello Sviluppo e di Computer Science alla Stanford
University, ha scoperto che più di 10.000 frammenti di geni quasi identici “punteggiano” i cromosomi
umani. Molti di questi frammenti si trovano in zone cromosomiche espanse prive di geni che i
genetisti chiamano “deserti genetici”. Queste sezioni sono però piene di frammenti di DNA utili,
inclusi quelli descritti da Bejerano e di suoi colleghi, che preferiscono chiamarle “giungle
regolatorie”.

In particolare, i ricercatori hanno trovato queste sequenze abbondanti vicino a geni che aiutano le
cellule a rimanere attaccate. Geni che giocano un ruolo cruciale nella fase di cescita e sviluppo
degli organismi animali, perché aiutano le cellule a migrare verso la corretta posizione per formare
organi e tessuti.

Le 10.402 sequenze studiate dal gruppo di Bejerano, in collaborazione con quello di David Haussler,
professore di Ingegneria Molecolare alla University of California di Santa Cruz, sono resti di pezzi
di DNA chiamati “trasposoni”, elementi presenti nei cromosomi capaci di duplicarsi e spostarsi da
una posizione all’altra del genoma. Secondo Bejerano, quando un trasposone finisce in una regione
dove non è necessario, lentamente accumula mutazioni finché non ritorna alla sua sequenza originale,
e infatti il genoma è pieno di questi trasposoni decadenti; quando invece viene a trovarsi in una
zona dove risulta utile, rimane stabile, influenzando l’attività dei geni più vicini.

L’idea che i trasposoni svolgano un ruolo attivo nella regolazione genica era stata avanzata, per la
prima volta, nel 1956, dal premio Nobel Barbara McClintock, che per prima scoprì i trasposoni.

SPAZZATURA EVOLUTIVA

Secondo uno studio condotto da Peter Andolfatto, un biologo dell’Università della California di San
Diego (pubblicato sul numero del 20 ottobre scorso di Nature), il DNA spazzatura riveste
un’importanza fondamentale anche in chiave evolutiva, dato che queste regioni non-codificanti
svolgono un ruolo importante nel mantenimento dell’integrità genetica di un organismo.

“Il sequenziamento del genoma completo dell’uomo, del moscerino, dei nematodi e delle piante”, ha
spiegato il ricercatore, “ha rivelato che in tutte queste specie il numero di geni codificanti è
molto più simile del previsto. Mentre, curiosamente, le maggiori differenze funzionali sembrano
essere legate proprio al DNA spazzatura”. Usando un approccio rivolto alla popolazione genetica
invece che al singolo genoma, sviluppato di recente, Andolfatto ha dimostrato che le regioni di DNA
spazzatura – che nel moscerino ammontano a circa l’80% del genoma totale – evolvono più lentamente
di quelle del DNA codificante, a causa, si suppone, delle pressioni della selezione naturale.
“Sembrano resistere all’acquisizione di nuove mutazioni”, dice ancora Andolfatto.

Dunque, il confronto delle sequenze genomiche di specie così diverse suggeriscono l’ipotesi che
all’origine delle differenze evolutive fra gli esseri umani e i loro parenti più prossimi possano
esserci proprio le regioni non codificanti. “I miei risultati”, dice Andolfatto, “supportano l’idea
che le differenze adattive tra le specie siano dovute più ai cambiamenti della regolazione genica
che non all’evoluzione proteica”. E dunque anche all’attività del DNA spazzatura.

IL SECOLO DEL GENE

“Il Secolo del Gene” (Garzanti, 2001), della storica e filosofa della scienza Evelyn Fox Keller,
analizza il “Progetto Genoma” criticando radicalmente il riduzionismo genetico: “Il primato del gene
quale concetto fondamentale per spiegare struttura e funzione biologica appartiene ormai al secolo
scorso”, scrive la Keller.

Mentre i geni vengono brevettati a ritmo crescente, mentre i media ci deliziano quasi
quotidianamente con la scoperta dei geni “dell’alcolismo” o “dell’omosessualità” (ultimi arrivati
sono il gene della sterilità e quello dell’autismo, ndr), la Keller scommette che il maggior
successo del Progetto Genoma, e di tutti i suoi derivati, sarà quello di accelerare la sepoltura del
concetto di gene: “Oggi siamo in uno di quei momenti preziosi in cui il successo insegna l’umiltà
[…] Per quasi cinquant’anni ci siamo illusi che la scoperta delle basi molecolari
dell’informazione genetica avrebbe svelato ‘il segreto della vita’, che bastasse decodificare il
messaggio nella sequenza dei nucleotidi per capire ‘il programma’ che fa di un organismo quello che
è”.

In effetti, i risultati delle ricerche genetiche stanno sgretolando il paradigma del riduzionismo
genetico. Il Nobel Walter Gilbert diceva che il nostro genoma può entrare in un compact disc, e che
il contenuto di quel cd corrisponde ad un essere umano. Francis Crick, uno dei due scopritori del
DNA, disse, sbrigativamente: “il DNA fa l’RNA, l’RNA fa le proteine e le proteine fanno noi”. Per
non parlare del “gene egoista” di Dawkins, secondo cui “i geni sono le unità base dell’egoismo”.

Ci si è resi conto che che le cose sono molto più complesse: un gene può essere coinvolto nella
sintesi di molte proteine (a volte decine, o persino centinaia), una proteina, viceversa, può avere
a che fare con più geni, e un certo frammento di DNA può venire riorganizzato e trascritto in molte
maniere diverse. Non solo. I geni non segnano il destino di un organismo, perché la loro attività
dipende fortemente dalle relazioni con l’ambiente esterno. In certi casi (nei batteri, per esempio,
come quelli che vivono nell’organismo umano), persino le mutazioni sembrano aumentare in risposta a
stress ambientali. Insomma, si è capito che il genoma è un tutto fluido, dinamico, complesso,
intelligente, che non può essere ridotto a mero determinismo; che il DNA spazzatura non è affatto da
buttare nel secchio; che i geni non sono affatto egoisti; che la genomica non è sufficiente a dare
delle risposte senza la metagenomica (lo studio delle relazioni tra genomi); che l’evoluzione è un
processo sistemico.

Già quindici anni fa, uno storico della biologia come Richard Burlan diceva: “la struttura del DNA è
un dato di fatto, ma nessun dato di fatto ci dice cosa sia un gene”. Secondo il biologo Peter
Portin, “il vecchio termine di gene, essenziale in una precedente fase di analisi, è diventato
inutile”. Il genetista William Gelbart ha decretato: “i geni hanno fatto il loro tempo, non sono più
oggetti materiali, ma meri concetti che hanno accumulato molta zavorra storica”.

La Keller, dunque, proprio nel momento in cui il gene, nell’immaginario mediatico, diventava icona,
mito, la parola del “linguaggio di Dio”, ha auto il coraggio di dire che era giunto il momento di
sbarazzarsene. Anche se, “è improbabile”, scrive, “che i biologi smettano di parlarne nei prossimi
anni”. Perché il gene “è una comoda stenografia per gli scienziati”. E perché “è uno strumento di
persuasione indubbiamente efficace, non solo per promuovere programmi di ricerca e ottenere
finanziamenti, ma anche e forse soprattutto per vantare i prodotti di un’industria biotech in rapida
espansione”.

La graduale demolizione del determinismo genetico che lo stesso Progetto Genoma ha innescato, ha
comunque segnato l’inizio di una nuova era post-genomica. Il secolo del gene, in questo senso, è
finito.

APPENDICE – IL SECOLO DEL GENE

1900 – Riscoperta delle leggi della trasmissione ereditaria dei caratteri, che Mendel aveva
pubblicato nel 1865 e che avevano come assunto l’esistenza di fattori discreti – “elementen” – i
geni, che determinano i caratteri e che si trasmettono da una generazione all’altra.

1902 – Walter S. Sutton ipotizza che i fattori mendeliani, i geni, siano localizzati sui cromosomi.
Archibald Garrod dimostra l’ereditarietà mendeliana di alcuni disturbi metabolici, che attribuisce a
errori innati e che lo portano a ipotizzare che i fattori mendeliani controllino le reazioni
biochimiche.

1910-1911 – Thomas Hunt Morgan inizia a mappare i geni dei cromosomi del moscerino della frutta
Drosophila melanogaster sulla base del principio che quando due geni sono vicini sul cromosoma
possono essere ereditati insieme: attraverso il confronto tra l’ereditarietà delle regioni
cromosomiche e quella dei caratteri o delle malattie genetiche specifiche si possono localizzare i
geni e costruire delle mappe di associazione genetica.

1944 – Oswald T. Avery Colin MacLeod e Maclyn McCarty stabiliscono che il DNA è il materiale
ereditario.

1953 – James Watson e Francis Crick propongono la struttura a doppia elica per il DNA, che prevede
l’accoppiamento complementare tra le 4 basi nucleotidiche A:T; G:C.

1956 – Viene stabilito che il patrimonio cromosomico completo dell’uomo è di 46 cromosomi.

1961-1966 – Viene decifrato il codice genetico, ovvero stabilito il rapporto tra le 64 triplette
possibili a partire dalle 4 basi nucleotidiche del DNA, e i 20 aminoacidi che formano le proteine.

1967 – Mary Weiss e Howard Green introducono la tecnica dell’ibridazione delle cellule somatiche che
rende più agevole la mappatura dei geni umani.

1972 – Paul Berg costruisce la prima molecola DNA ricombinante in vitro utilizzando gli enzimi di
restrizione. Vengono realizzati con successo i primi esperimenti di clonazione del DNA.

1973 – Stanley Cohen, Annie Chang e Herbert Boyer costruiscono il primo batterio ricombinante. Si
tiene la prima conferenza sulla mappatura dei geni umani.

1974 – Cohen e Boyer ottengono l’espressione di un gene estraneo trapiantato in un batterio con la
tecnica del DNA ricombinante.

1975 – Si tiene la conferenza di Asilomar che propone una moratoria sugli esperimenti con il DNA
ricombinante in assenza di linee guida per la sicurezza delle manipolazioni genetiche.

1977 – Per la prima volta un gene umano viene ricombinato e inserito in un batterio per clonare una
proteina, la somatostatina. Fred Sanger, già premio Nobel come inventore del metodo per sequenziare
le proteine, sviluppa un metodo nuovo ed efficiente per sequenziare il DNA (contemporaneamente
Walter Gilbert e Allan Maxam inventano un metodo analogo).

1978 – Boyer costruisce una versione sintetica del gene dell’insulina e lo inserisce in un batterio.
La Genentech, fondata nel 1976 dallo stesso Boyer insieme a Swanson, otterrà il permesso di
commercializzare l’insulina prodotta mediante ingegneria genetica nel 1982 e quindi il brevetto.

1978-1980 – Vengono sviluppate nuove tecniche basate sull’ibridazione molecolare e l’utilizzazione
come marcatori delle variazioni individuali del DNA per mappare fisicamente i geni e le sequenze
geniche sui cromosomi. Grazie alle nuove tecniche e alla collaborazione internazionale tra i
mappatori, i geni mappati passano da 579 nel 1981 a 1.879 nel 1991: tra questi vengono mappati il
gene della corea di Huntington (1983), il gene per la distrofia muscolare (1987) e il gene per la
fibrosi cistica (1989).

1980 – Viene concesso il primo brevetto su una forma di vita geneticamente modificata, un
microrganismo che si nutre di petrolio. Kary Mullis inventa la tecnica della PCR che consente di
moltiplicare in vitro le sequenze di DNA.

1981 – Viene prodotto il primo animale transgenico.

1983 – Viene inventato il primo sequenziatore automatico.

1986 – Viene proposto da diversi biologi molecolari, tra cui Renato Dulbecco, di sequenziare
completamente il genoma umano.

1988 – Viene concesso il brevetto per un topo transgenico altamente suscettibile al tumore del seno.

1989 – Viene creato il National Center for Human Genome Research (NCHGR), guidato da James Watson
per mappare e sequenziare tutto il DNA umano entro il 2005 con un costo di 3 miliardi di dollari. Il
progetto viene formalmente varato il 1° ottobre 1990.

1992 – Craig Venter crea l’Institute for Genomics Research.

1993 – Francis Collins assume la direzione del National Human Genome Research Institute (ex NCHGR).

1995 – Viene pubblicata la prima sequenza completa del genoma di un organismo vivente diverso da un
virus, il batterio Haemophilus influenzae. Il risultato è stato ottenuto da Craig Venter applicando
una nuova tecnica – “whole genome shotgun” – che consiste nel frammentare l’intero genoma,
sequenziare automaticamente i pezzi e quindi ricostruirne l’ordine attraverso potenti algoritmi di
calcolo. Viene inventata da James Sikela una nuova tecnica per mappare i geni, una specie di codice
a barre, che consiste di sequenze definite e uniche tali per cui possono essere facilmente
localizzate sui cromosomi insieme al gene da cui sono state prodotte.

1996 – Viene riportato il sequenziamento completo del primo organismo complesso, il lievito
Saccharomyces cerevisiae.

1997 – Viene costruito il primo cromosoma umano artificiale e annunciata la clonazione di un
mammifero, Dolly.

1998 – Viene pubblicata una prima bozza della mappa del genoma umano, che mostra la localizzazione
di più di 30.000 geni. Viene pubblicata la sequenza completa del primo genoma di un animale, il
verme Caenorhabditis elegans. Venter e la Perkin Elmer Corporation fondano la Celera Genomics con
l’intento di sequenziare tutto il genoma umano in tre anni con il metodo whole genome shotgun.

2000 – Viene pubblicata la sequenza completa del genoma di Drosophila melanogaster e viene
annunciato dalla Celera Genomics il sequenziamento di tutte le basi nucleotidiche del DNA umano con
il metodo whole genome shotgun.

Data articolo: dicembre 2007

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