Il segreto della felicità è la consapevolezza della presenza di Dio
Da “L’eterna RICERCA dell’uomo”
Di Paramahansa Yogananda.
Edizioni Astrolabio
Apprezzare la vita va benissimo; il segreto della felicità sta nel non
attaccarsi ad alcuna cosa. Godete del profumo del fiore, ma vedete Dio in
esso. Io ho conservato la coscienza dei sensi solo perché, usandoli, potessi
sempre percepire Dio e pensare a Lui. “I miei occhi sono fatti per vedere la
Tua bellezza ovunque. Le mie orecchie sono fatte per udire la Tua
onnipresente voce”. Questo è Yoga, unione con Dio. Non è necessario andare
nella foresta per trovarLo. Le abitudini terrene ci terranno incatenati
dovunque siamo, finché non ci saremo liberati di esse. Lo yoghi impara a
trovare Dio nel recesso del proprio cuore. Dovunque vada, porterà con sé la
beata coscienza della presenza di Dio.
L’uomo non è soltanto disceso nella coscienza mortale dei sensi, ma si è
legato ad anormalità di questa coscienza sensoria, quali l’ingordigia,
l’ira, la gelosia. L’uomo deve bandire queste anormalità per poter trovare
Dio. Tanto gli orientali quanto gli occidentali dovrebbero liberarsi
dall’asservimento ai sensi. Un uomo comune può arrabbiarsi perché non gli è
stato portato il suo caffè della prima colazione, ed è sicuro che questa
privazione gli procurerà un mal di testa. Egli è schiavo delle proprie
abitudini. Lo yoghi evoluto è libero.
Ognuno può essere uno yoghi proprio là dove si trova adesso. Ma noi siamo
inclini, invece, a considerare strana e difficile qualsiasi cosa trascenda
l’orizzonte delle nostre abitudini di vita. E non pensiamo a come le nostre
abitudini possano apparire agli altri!
La pratica dello Yoga porta alla liberazione. Alcuni yoghi portano
all’estremo questo concetto del distacco. Essi insegnano che si dovrebbe
essere in grado di giacere su un letto di chiodi senza disagio, e di
applicare altre forme di tapasya, o disciplina fisica. E’ vero che chi sia
in grado di sedere su un letto di chiodi pensando a Dio dimostra una grande
forza mentale, ma tali imprese non sono necessarie. Si può sedere su una
comoda sedia e meditare su Dio altrettanto bene.
Patanjali[1] insegna che qualunque posizione, purché mantenga la spina
dorsale eretta, è buona per la meditazione: la concentrazione yogica su Dio.
Non è necessario sottoporsi a contorsioni fisiche e praticare esercizi che
richiedano straordinaria sopportazione ed elasticità fisiche, come quelli
raccomandati dallo Hatha Yoga. La meta è Dio, e la coscienza della Sua
presenza è ciò che dobbiamo sforzarci di raggiungere. La Bhagavad Gita dice:
“Colui che si assorbe in Me, con l’anima immersa in Me, Io lo considero fra
tutte le categorie (di yoghi) come il più equilibrato”[2].
E’ noto che alcuni yoghi indù hanno dimostrato indifferenza verso il caldo
e il freddo estremi, verso le zanzare e altri fastidiosi insetti. Tale
dimostrazione non è un requisito necessario per essere uno yoghi, ma essa
costituisce un naturale raggiungimento dell’adepto. Cercate di eliminare gli
elementi disturbatori, o di sopportarli, se necessario, senza venirne
toccati interiormente. Se è possibile rimanere puliti, è inutile essere
sporchi. Ci si può attaccare alla vita in una capanna come a quella vissuta
in un palazzo.
Il fattore più importante nel raggiungere il successo spirituale è la
buona volontà. Gesù disse: “La messe è davvero abbondante, ma gli operai
sono pochi”[3]. La gente del mondo cerca i doni di Dio, ma chi è saggio
cerca il Donatore stesso.
Essere uno yoghi significa meditare. Lo yoghi, quando si sveglia al
mattino, non pensa, come prima cosa, al cibo per il suo corpo; egli nutre la
sua anima con l’ambrosia della comunione con Dio. Colmo dell’ispirazione
raccolta dalla mente che si è tuffata profondamente nella meditazione, egli
è in grado di svolgere con gioia tutti i compiti della sua giornata.
Con intenzione, Dio fece la terra qual è; nel Suo piano è compito
dell’uomo rendere il mondo migliore. Gli Occidentali tendono a andare agli
estremi nell’essere continuamente intenti a creare per se stessi sempre
nuove e perfezionate comodità materiali. L’Orientale tende agli estremi
nell’accontentarsi di ciò che ha. C’è qualcosa di attraente in entrambi,
nello spirito d’avanguardia dell’Occidente e in quello semplice e calmo
dell’Oriente. Noi dobbiamo prendere l’equilibrata via di mezzo.
ma molti studiosi la pongono nel Il secolo a.C.
[2] VI, 47.
[3] Matteo, 9, 37.
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