Il segreto dell’immortalità

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Il segreto dell’immortalità

di Giampiero Cara

Le grandi religioni della storia sono concordi nell’affermare che l’essere umano possiede un’anima
immortale. Nel far questo, scavalcano il problema del tempo proiettandosi direttamente in
un’eternità estranea al “qui ed ora”. Ma, in genere, concordano anche sul fatto che il corpo fisico
debba morire, prima o poi.

Le religioni orientali si basano sul principio della reincarnazione, ossia la credenza che l’anima
compia il suo processo di evoluzione incarnandosi in corpi diversi fino a raggiungere la liberazione
dal ciclo dell’esistenza fisica. In Occidente, invece, la religione cristiana afferma una sorta di
immortalità del corpo materiale. Poiché Gesù, ispiratore del Cristianesimo, è risorto, anche noi,
anime individuali che non possono reincarnarsi, risorgeremo un giorno nel nostro involucro di carne.
Si tratta però di un’immortalità che si verifica solo per intervento divino, peraltro dopo un
periodo indefinito di sospensione della vita fisica.

PIETRA FILOSOFALE ED ETERNA GIOVINEZZA

Ma il divario che sembra esistere tra il tempo della dimensione fisica e l'”eternità promessa” si
può colmare soltanto con l’invecchiamento e la morte del corpo? Non tutti la pensano così. Fin
dall’antichità sono esistiti, all’interno delle grandi tradizioni filosofiche e religiose, uomini o
gruppi dediti alla ricerca dell’immortalità non solo dello spirito ma anche del corpo. Basti
pensare, in Occidente, agli alchimisti che, attraverso la simbolica “pietra filosofale”, cercavano
il segreto dell’eterna giovinezza.

Si dice che esistano, infatti, testimonianze di “incontri postumi” con grandi alchimisti in carne ed
ossa come Nicolas Flamel, Gerolamo Cardano ed il celebre Conte di Saint-Germain. Secondo il francese
Marcel Pouget, autore del libro “L’immortalità fisica” (Ed. Mediterranee, £ 20.000), che si rifà
proprio all’antica tradizione alchimistica, l’essere umano può, con l’evoluzione individuale e
mediante l’uso di particolari tecniche, liberarsi dalla morte, oltre che dalle malattie e dalla
vecchiaia. Se infatti lo spirito è immortale, per essere in grado di prolungare indefinitamente la
propria esistenza anche sul piano fisico è necessario elevare il proprio livello di coscienza al
grado spirituale.

In Oriente, esiste una tradizione più ricca e più antica in questo senso (anche l’alchimia,
dopotutto, ha radici orientali). Secondo la filosofia taoista, per esempio, la pratica costante di
particolari tecniche conduce all’equilibrio perfetto di corpo e spirito, e quindi all’immortalità.
Nella credenza comune, questo stato di perfezione è stato raggiunto da grandi saggi della storia
come Confucio, Lao Tsu e i leggendari “Otto Immortali” taoisti.

Passando dalla Cina al vicino Tibet, in “I cinque tibetani” di Peter Kelder (Ed. Mediterranee), un
libriccino diffuso per la prima volta in Occidente negli anni Trenta, si afferma l’esistenza di un
gruppo di Lama che conosceva il segreto della “Fonte della Giovinezza” e lo ha tramandato per
millenni. Eseguendo dei semplici esercizi, o meglio riti, pare che questi monaci fossero in grado di
mantenere o di restituire la giovinezza riequilibrando il funzionamento dei sette chakra, poiché
sarebbe proprio la loro condizione anormale la causa della malattia, dell’invecchiamento e della
morte. (Per saperne di più sui “5 tibetani”, leggi l’altro articolo della sezione “Nuova
Spiritualità” intitolato “I riti tibetani per l’eterna giovinezza”).

DAL KRIA YOGA AD AUROBINDO

Un’altra tradizione immortalista orientale è quella del Kria Yoga, originario dell’India
Meridionale. Nel testo “Babaji, lo yogi immortale” (ed. Jackson/Futura) si associa questa antica
pratica ai diciotto Siddha, i mitici yogi immortali che meditano sull’Hymalaya per favorire
l’evoluzione spirituale dell’umanità, ed al leggendario maestro Babaji, il quale si dice che viva
sulla Terra da 1.700 anni, mantenendo un aspetto giovane e affascinante (si tratterebbe dello stesso
Babaji che, all’inizio degli anni Ottanta, ispirò a Leonard Orr i principi del Rebirthing).

Allo scopo di ringiovanire il corpo e di renderlo immortale, i Siddha crearono dei particolari
trattamenti, i kaya kalpa, per conservare le energie vitali del corpo attraverso il controllo delle
secrezioni interne e per trasmutare l’energia sessuale. Tutto questo interesse per il corpo era
dovuto al fatto che i Siddha lo consideravano il veicolo perfetto della scintilla divina interiore,
e ritenevano che solo prendendosene cura l’uomo potesse arrivare alla realizzazione delle sue più
alte potenzialità.

All’insegnamento dei Siddha sembra ispirarsi il celebre Sri Aurobindo, per il quale, in effetti,
l’immortalità fisica rappresentava il prossimo stadio nell’evoluzione dell’umanità. “Se la totale
trasformazione dell’essere è il nostro scopo”, scriveva questo grande saggio indiano contemporaneo,
“la trasformazione del corpo è indispensabile; senza di essa, non ci sarà possibile ottenere
realmente una vita divina sulla Terra”.
Secondo la sua dottrina, dunque, un cambiamento di coscienza non può non comportare anche una
trasformazione fisica. Raggiungendo l’illuminazione, anche il corpo e gli organi che lo compongono
dovrebbero diventare “centri di energia cosciente attivati dalla volontà cosciente”.

DEEPAK CHOPRA E IL “CORPO SENZA ETA'”

All’opera di Aurobindo si ricollega idealmente, da una prospettiva scientifica, Deepak Chopra, il
celebre “medico New Age” di origine indiana, quando, basandosi sull’identità di energia e materia
scoperta da Einstein, definisce il corpo “pura energia tenuta insieme e plasmata dalla
consapevolezza”.

Nel suo splendido libro “Corpo senza età, mente senza tempo” (Sperling & Kupfer), il dottor Chopra
scrive che il nostro corpo, apparentemente composto di materia solida suddivisibile in molecole ed
atomi, è in realtà soprattutto vuoto, poiché la fisica quantistica ci dice che ogni atomo è composto
per il 99,9999% di spazio vuoto e che le particelle subatomiche, che in questo spazio si muovono
alla velocità della luce, sono in realtà fasci di energia vibrante.
Si tratta tuttavia di un “vuoto” che reca misteriosamente impressa un’infinità di informazioni e che
pulsa di un’intelligenza invisibile, condivisa da tutto il corpo.

Col passare del tempo, però, il flusso di quest’intelligenza subisce vari intoppi a causa di quello
che chiamiamo invecchiamento. Come mai? Secondo Chopra, “l’aspettativa che abbiamo ereditato,
secondo la quale il corpo deve deteriorarsi con il tempo, insieme con le profonde convinzioni
secondo cui siamo destinati a soffrire, invecchiare e morire, crea il fenomeno biologico che
chiamiamo invecchiamento”, e quindi la morte.

“RINASCERE” PER NON MORIRE

E’ d’accordo su questo anche Leonard Orr, l’ideatore del Rebirthing, che si ricollega alla
tradizione indiana dei Siddha (il suo maestro, in effetti, è stato proprio Babaji, o almeno una sua
materializzazione avvenuta negli anni Settanta). Secondo lui, la principale causa dei decessi è la
credenza comune secondo cui la morte è ineluttabile.

In realtà, assicura Orr, ci sono casi di persone vissute migliaia di anni praticando degli esercizi
di purificazione spirituale, ma se non crediamo nella possibilità dell’immortalità fisica non ci
viene neppure in mente di andarli a cercare, e comunque, se li incontrassimo, li considereremmo
degli impostori (in effetti, come si fa a chiedere la carta d’identità a un’immortale?)

Inoltre, l’invecchiamento e la morte rappresenterebbero il desiderio rimosso di tornare nell’utero,
visto come oasi di beatitudine prima di una vita piena di sofferenze. In effetti, i cambiamenti sia
fisici sia psicologici che ci si aspettano dall’invecchiamento (come la caduta di capelli e denti,
il rimpicciolimento del corpo, la diminuzione della forza fisica e della coordinazione psicomotoria,
e talvolta l’incontinenza e la perdita dell’autocoscienza) corrispondono a certe caratteristiche
salienti della primissima infanzia. Persino l’incurvamento che spesso si verifica in età avanzata
potrebbe rappresentare un tentativo di riassumere la posizione fetale.

In ogni caso, che l’invecchiamento sia di natura psicologica è dimostrato, secondo Chopra, dal fatto
che le cellule del corpo, in realtà, non invecchiano. Anzi, si rinnovano continuamente. La pelle
viene sostituita in un mese, il rivestimento dello stomaco ogni cinque giorni, mentre per il fegato
ci vogliono sei settimane e per lo scheletro tre mesi. Organi che sembrerebbero sempre gli stessi
sono, in realtà, in costante divenire. “Ogni anno”, conclude Chopra, “il 98% degli atomi del vostro
corpo sarà stato cambiato”.

L’ILLUSIONE DEL TEMPO

Allora, “se i nostri corpi sono in grado di creare nuove cellule”, aggiunge Phil Laut, un allievo di
Orr, nel libro “Rebirthing” (Astrolabio), “per poter invecchiare, queste cellule dovrebbero essere
più vecchie di quelle che hanno sostituito. Ma se sono cellule nuove, come fanno a essere più
vecchie?”

Questa domanda ci riporta al fattore fondamentale a cui invecchiamento e morte appaiono
indissolubilmente legati: il tempo. O meglio, la sua percezione soggettiva, poiché il tempo, come ha
dimostrato ancora una volta Einstein, non è un fenomeno assoluto. Il fatto che le nuove cellule
nascano già vecchie dipende dalla nostra convinzione che esista un tempo oggettivo che ci trasporta
inesorabilmente verso la morte. Ma da secoli, basandosi sull’esperienza della meditazione, i mistici
indiani affermano senza mezzi termini che lo scorrere del tempo è un’illusione: solo il presente
esiste, passato e futuro sono proiezioni mentali.

Se dunque il tempo non è che un eterno presente, Phil Laut consiglia di porsi una domanda
rivelatrice per comprendere la questione dell’immortalità: “Sarei disposto a vivere per sempre
provando esattamente quello che provo in questo momento?” Se la risposta fosse sì in ogni istante,
forse l’illusione dell’invecchiamento e della morte potrebbe dissolversi…

Copyright © 2001 Giampiero Cara

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