Le Chiavi Mistiche dello Yoga
di Guido Da Todi
Capitolo 64:
Nei confini della nostra giornata quotidiana, delle nostre faccende comuni,
del filo abituale dei nostri pensieri possediamo quel segno
caratteristico che è il sigillo di una figliolanza divina.
Noi tutti viviamo nascosti nel fogliame fitto delle leggi – minuti e
corpose – che formano l’atto espressivo cosmico. Esse sono simbolicamente
evidenti fuori di noi, come lo sono i frutti e le foglie e la verzura che
ci circondano, in quel simbolico bosco di cui parlo.
Ma, poiché – fra l’altro – noi ci nutriamo di questi frutti, che la natura
ci porge, le stesse leggi che loro rappresentano si muovono, espressive e
potenti, nel nostro organismo medesimo, nel nostro io e nelle nostre
funzioni vitali.
Così è per la reincarnazione.
Essa è una metrica evolutiva che costituisce una realtà esterna ad ogni
individuo, e che ne ritma, in modo temporale e spaziale, ogni suo avvenire
– sino a quando fa parte del regno umano; eppure, è anche un occulto
contenitore di essenze, in cui noi siamo pienamente immersi nel nostro
costante ora e adesso>.
Rammentate il simbolo della perfezione, provenutoci dall’antica Cina?
Ossia, la sfera, che contiene i due pesci> combacianti, ognuno dei quali
ha – nella sua parte più larga – un puntino di colore diverso, a
rappresentare un frammento del suo contrario, in sé.
Lo Yin e lo Yang – gli opposti universali che formano la danza
di tutto ciò che esiste – costituiscono l’ente completo in
espressione; ma, questo, mentre si esprime, mostra, dilatata, una funzione
dell’essere – la passiva, o l’attiva; e, compresso, in sé, il suo opposto.
Così è per la fisica moderna.
Si è da poco appurato che l’energia non è soltanto un’onda; e neppure un
granello di materia sottile. Ma, ambedue gli aspetti sono presenti,
contemporaneamente, in ogni manifestazione che accompagna il flusso delle
particelle e dei quanti. Onda e grano, di conseguenza, formano l’espandersi
della vita corpuscolare.
Tutto ciò, per arrivare a dire – in risonanza a quanto soggiace ad ogni
rivelazione metafisica – che ognuno di noi è, allo stesso tempo, immerso in
quel cielo (energia) a cui tanto anela, mentre vive nel mondo della
reincarnazione (materia), da cui tenta di divincolarsi, con intenso impeto.
Noi ci sforziamo di fluire nel mondo delle idee>, che esiste dopo la
morte, anche se codesto ci attornia, invisibile, sin da ora. E, di regola,
non lo sappiamo.
Noi supponiamo, ancora, che lì – in quel dorato Pantheon – saremo liberi da
qualunque connessione con le strutture della vita attuale e materiale; ma,
anche quando ci troveremo privi di qualsiasi corpo tangibile, una sottile
linea innegabile ci collegherà all’esistenza che avremo lasciato, una volta
morti>.
Questa sono le verità che ci suggeriscono i profondi insegnamenti esoterici
e spirituali di ogni tempo.
Vediamone il perchè.
La scaglia inserita nel simbolo che ci riguarda d’appresso – ossia, il
pesciolino Yinn (del mondo spirituale), che è l’ala speculare di ogni sfera
della nostra consapevolezza quotidiana (Yang), trova mille sotterfugi per
nuotare in quest’ultima, dalla dimensione parallela alla nostra, in cui si
trova; e viceversa.
Il sonno è uno di questi sotterfugi.
Noi entriamo nel mondo della morte ogni notte. Ed omettiamo di dilungarci,
a questo punto, su ogni descrizione – più o meno vera, più o meno
immaginifica – che molti filoni esoterici fanno di quest’esperienza del
profondo subconscio umano.
A noi interessa solo indicare una delle porte che la realtà
speculare alla nostra ci apre costantemente, per indicarci
quell’orizzonte che sarà, poi, la casa ciclica di tutti, in un avvenire
certo e definito.
Osserviamo, ora, il respiro puntuale, incessante di ogni essere.
Un’antica scienza ed una ancor più antica chiave ermetica ci insegnano che,
tramite questa funzione naturale dell’ organicità più esteriore, ognuno di
noi – sotto un ritmo di alcuni secondi per volta – si esprime e vive, in
modo oscillante, nel mondo della morte> ed in quello della vita>.
Difatti, l’espirazione ci allinea – occultamente – al
piano delle forme (reincarnazione);
l’inspirazione, a quello delle energie (piani sottili del dopo-morte).
In codesto breve accenno è contenuto l’intero panorama della tecnica del
respiro, o pranayama indiano. È, difatti, seguendo la matrice di verità
cosmica insita nel pendolo del respiro, che si
ottiene la libertà (tramite il terzo elemento della funzione polmonare: la
sospensione tra i suoi due movimenti) dalla vita e dalla morte.
Ma, codesto, è un altro argomento di cui si potrà parlare in una delle
prossime occasioni.
Ogni nostro pensiero – dal più inconsapevole, all’immensa cattedrale
filosofica – attinge la sua natura stessa nel piano delle energie, che
attorniano ognuno di noi, e si coagulano negli ambienti planetari e
individuali che noi vediamo concentrarsi, quale unico nostro panorama
esistenziale.
Un mondo di energie che è – né più, né meno -. quello che si ritrova nei
piani della morte.
La Scuola Tradizionale Metafisica, che, oggi, si articola, oramai, in due
precisi rami – l’orientale e l’occidentale – porta l’anima matura a seguire
il ritmo della concentrazione, della visualizzazione, della meditazione
solo per risvegliare in essa la percezione> del globo radiante di luce, a
cui è connesso l’universo materiale: il globo – appunto – nel quale il
pendolo> di cui parlammo, sbalzerà la medesima, dopo il distacco dal corpo
fisico.
È il momento, adesso, quindi, di parlare dell’estrema duttilità di queste
realtà superiori, verso cui tende ogni essere umano (e ogni esistenza degli
altri regni).
Dopo la morte – abolita qualunque connessione con il proprio organismo
umano – ognuno di noi si trova a vivere, ma in modo speculare, nella
dimensione opposta a quella che il simbolo dello Yin- Yang gli faceva
sperimentare nel piano della materia.
È, questa, una legge universale. La bilancia del dualismo si mostra –
precisa ed efficiente – anche nel rapporto usuale della vita e della non
vita di qualsivoglia essere.
In una stretta evolutiva del tutto indipendente dall’individuo singolo, una
volta che il Drago di Fuoco> (l’energia) avrà divorato il suo gemello – il
Figlio della Materia> -, ossia il corpo fisico, colui che conduce il
cocchio dei due destrieri (il Sé) si troverà immerso nella polarità inversa
dell’universo, che egli vedeva e sperimentava come concentrazione di
Il suo organismo conoscerà la consumazione di ogni aggregato solido, sino a
divenire pura essenza. Ed ecco il mondo della morte. Lo stesso mondo a cui
l’ego attingeva le sue grandi sorsate vitali,
mentre pensava; mentre dormiva; mentre respirava, addirittura.
Un mondo fluido, legato alla forza creativa mentale dello stesso jiva. E,
di conseguenza, luccicante di un rapporto diretto con ogni progettualità
personale – priva, però, di un qualunque conflitto con la dura resistenza
Yang che esso trovava nel tempo e nello spazio.
Giungerà il momento in cui il dondolio> farà nuovamente attraversare> lo
specchio alla nostra
Alice, e la riporterà – in obbedienza alla Legge di cui abbiamo parlato –
nel mondo della Forma.
Qui, infine, la ragione per cui la reincarnazione – fatti salvi alcuni
principi fondamentali – è un valore planetario appartenente, in
modo geloso, ad ogni anima, e solo a sè stessa.
Chiunque di noi ritrova, nel piano della sua dialettica istintiva
mentale>, esattamente quello che costituisce la radice più intima delle
propria essenze.
Descrivere gli stati post-mortem, di conseguenza, è un fatto che riguarda
la nostra natura radicale, visto che noi – ivi – troveremo solo l’archetipo
di ogni nostro pensiero e di ogni nostro desiderio.
Ma, a questo punto, viene naturale chiedersi se il ciclo delle vite e delle
morti dovrà continuare all’infinito, poiché infinita è la nostra funzione
mentale, ed anche quella del pendolo cosmico>.
Continuiamo, allora, a indicare la duplice natura umana: quella
che considerammo quale espressione di una figliolanza divina.
Un’onda estesa di respiro elastico accompagna qualsiasi condensazione e
qualunque attrito dei nostri giorni reincarnativi.
Già il cono di luce vibrante> su cui scorre lo schermo della nostra
soggettività, su cui si animano i mille e mille pensieri del nostro vissuto
interiore, e nel quale preordiniamo e prevediamo ogni nostra prossima
azione – il mondo, cioè, dell’immaginazione – è esattamente un brandello di
quell’universo parallelo> che conosceremo a fondo – ma, in modo
incredibilmente più esteso –
dopo che ci saremo liberato dalle nostre pelli animali>.
Nessuno di noi può negare che, durante le nostre adorate meditazioni, o
durante i nostri soliloqui intimi, qualcosa accade sempre: qualcosa non di
eclatante, e neppure di mirabolante, o di chiassoso.
Semplicemente, il lembo di una radiazione innegabile manda la sua dolce e
indicibile risacca ad inumidire la riarsa domanda dei nostri bisogni
spirituali.
Ebbene, si tratta della coda del nostro pesce Yang, che si è curvata, sino
a venire sfiorata dalla
Grande Natura Yinn, che – oggi – le si mette di fronte, nel noto simbolo
del Tao.
Il mondo che chiamiamo della non materia>, o quello della post-vita – ha
emanato il suo alito prezioso e profumatissimo, verso l’uomo, riarso dalla
pressione della fisicità.
Val qui bene ripetere un paragone fatto, in passato – soltanto nei
confronti dell’uomo e di Dio, che lo adombra, nell’ovunque – :” L’energia
circonda noi tutti, come l’acqua circonda, costantemente, e dona vita alle
creature del mare. Senza di essa, tutte perirebbero. “
Quindi, è semplicemente nel comprendere che ogni ente individuale viene
gestito da una legge universale, che lo rapprende e lo dilata, in un
susseguirsi di cicli cosmici, che si ha una visione della reincarnazione.
Ma, ancor più sottile, è la rivelazione che il “Libro dei Mutamenti” dona
in proposito.
In esso, viene indicata l’esistenza del Pre-Cielo> e del Post-Cielo>, nei
quali circuita l’intera espressione del creato.
Il Pre-Cielo rappresenta l’immanenza dell’Energia Una, che è contemporanea
e inscindibile ad ogni cosa; rappresenta l’eterno presente della monade,
in rapporto con la Prima Armonia dell’esistenza.
Il Post-Cielo, invece, indica quel circolo di movimento (gli hindu lo
chiamerebbero “maya”) in cui la forma è sottoposta, eternamente.
Nel nostro caso, l’energia immanente dell’universo (Dio), che è simultanea
all’individuo, mentre lo stesso oscilla tra la coppia degli opposti: vita e
morte.
Il vero Iniziato, sino a pervenire all’Avatar, ha eliso e disciolto quel
rigo di separazione tra materia ed energia; tra vita e morte.
Egli vede un indicibile elemento continuo davanti a sè ed a tutto ciò che
si esprime.
La sua coscienza non è più interrotta da periodi monchi di espressione
(reincarnazione) e non espressione (vita post-mortem). E difatti viene
detto che egli possiede la cosiddetta
Egli è chiamato nirvani: ossia, il morto vivente – o, anche, il
concetto ineffabile.
Noi viviamo contemporaneamente nella Vita e nella Morte; e non v’è bisogno
di abbandonare il corpo fisico, al termine della nostra esperienza
reincarnativa, per guardare nel volto il mistero del Non Essere.
Vita e Forma – come abbiamo tentato di indicare – si esprimono,
contemporanee, attorno a noi. Noi tutti già viviamo nell’originale Paradiso
Terrestre. Si tratta solamente di accorgercene.
Solo allora vivremo la vera esperienza di Figli di Dio!
(Guido Da Todi)
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