Il senso del cancro: intervista a Mario Soliani

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Il senso del cancro: intervista a Mario Soliani

Medicina Non Convenzionale

La malattia può essere unopportunità per far riemergere le ragioni più profonde dellAnima capaci
di spingerci al cambiamento: ne parliamo con Mario Soliani autore del libro Cancro. Scienza, Mito e Destino

di Carmen Di Muro – 07/07/2018

Ogni giorno nella mia esperienza clinica mi trovo a far fronte al dolore. Una lama ardente che punge
lanima dei pazienti che accolgo. Sofferenze psichiche che muovono il corpo, sofferenze fisiche che
impattano sulla mente. Esse non sempre si radicano nelle parole, ma nella memoria somatica che ne
conserva le tracce. Una ruota che gira su sé stessa, in cui ogni elemento è responsabile
dellorigine e del punto darrivo in uninterrelazione costante. Ma uno più di tutti è il nome greve
e acre che pervade, invade e muta il panorama di esistenza di chi ne fa esperienza: il cancro.

Già solo la matrice di senso che sottende questo termine ha il potere invisibile di evocare scenari
psichici privi di qualunque possibilità duscita. Infatti a causa del significato rigido attribuito
a questa parola emergono credenze limitanti che conducono, tuttoggi, a considerare questa patologia
come lunica faccia di una medaglia che invece può celare un risvolto diverso, più ampio. Piuttosto
che avvicinarci al mondo, il cancro ci allontana, facendo sì che tra noi ed esso venga posto un
filtro ovattato attraverso cui vediamo, interpretiamo e viviamo gli accadimenti reagendo
alletichetta e non alla profonda ricchezza insita nellesperienza, anche la più dolorosa. Molte
persone, infatti, si rassegnano e si trascinano. Sopravvivono, ma non vivono. Ma è bene non dare
nulla per scontato. A volte basta cambiare parole per cambiare il senso di una vita, e le parole
giuste per scrivere del cancro non sono solo quelle che spiegano o narrano della malattia, ma quelle
che accolgono e danno forma al senso che assume nella nostra vita, che amplificano la nostra
conoscenza, conducendoci verso orizzonti trasversali di osservazione capaci di lenire il peso della sofferenza fisica, psichica e morale e di aprire le porte della guarigione.

Ed è questo che trapunta e orienta il lavoro clinico, le opere e la personalità del dottor Mario
Soliani, medico pediatra, omeopata specializzato in psicoterapia junghiana che nel suo saggio
Cancro. Scienza, Mito e Destino ci invita a vedere la malattia come metafora del nostro tempo,
affrontando il tema dei tumori con uno sguardo esteso che abbraccia il vissuto del malato
ricomprendendolo da una prospettiva multidimensionale e multidisciplinare, con lo scopo di imparare
a guardare questa patologia con occhi diversi rispetto a quelli che ci hanno fatto ammalare. La
lettura polimorfica del cancro, che coniuga categorie concettuali, mediche e psicologiche, si
propone larduo quanto luminoso obiettivo di raggiungere chi sceglie di darsi il tempo di
riflettere, pensare e ascoltare; e ha bisogno di tempo e silenzio per poterlo fare. Per noi le sue
parole divengono fonte preziosa che distilla conoscenza, perché la via della guarigione cè e può
essere battuta partendo dalla più vera e profonda accoglienza che passa dal sapere e forse, anche,
dal sapere di non sapere. Da qui origina la verità che consente di essere liberi di indirizzare le
nostre forze per la ricerca e per la lotta verso le cause e non verso gli effetti. Così facendo sicuramente cambierebbe la medicina e cambierebbe anche il mondo.

Dottor Soliani, da quanto si evince dalla sua poliedrica formazione, lei integra con sofisticata
eleganza lapproccio scientifico con quello umanistico, concretizzandoli in un fare medicina che si
occupa non soltanto della patologia in sé, ma dello scenario di senso profondo che assume per
lindividuo nelladesso della sua esperienza. Quali sono i principi cardine del suo lavoro clinico?

Bisogna considerare che luomo in quanto soggetto del dolore, la malattia in quanto sofferenza, il
contesto in quanto elemento ambientale, sociale e culturale, si sono contratti, specie dalla seconda
metà del Novecento, alla sola visione di malattia come patologia dorgano. Forse rammentare il senso
del fare clinica, dal verbo klìno – abbassarsi, a cogliere il volto che sta dietro la diagnosi, è
un buon modo per dare spessore e qualità al campo terapeutico che ci vede coinvolti.

Lei nasce come pediatra per poi approdare allomeopatia e alla psicoterapia junghiana, fino a
suggellare la sua eccletticità nella stesura del libro Cancro. Scienza, mito e destino, un saggio
fatto di parole, immagini e significati dove la patologia neoplastica viene riletta come metafora
del nostro tempo. Cosa ha motivato il suo viaggio epistemologico che sviluppa e abbraccia vari registi semantici?

È una domanda complessa e proverei a rispondere con un sogno, uno dei miei primi sogni danalisi,
tanto tempo fa: Stavo salendo su di una montagna innevata e vedevo nel cielo azzurro il sole e la
luna insieme. Mi soffermavo a guardare quellimmagine numinosa rapito dalla sua bellezza, quando
scosso da un brivido mi accorsi che stava facendo sera e dovevo rientrare a valle. Mi ritrovai
allora sulla cuspide della facciata di una chiesa con la croce al centro, e io appoggiato alla
croce, avevo a destra il mio zaino arancione da viaggio e a sinistra la mia borsa da medico. Il sogno, di natura prospettica, contiene credo ragioni che ancora mi eccedono.

Nel suo libro oltre a descrivere il profilo sistemico della malattia, passando in rassegna le cause,
la prevenzione, gli strumenti diagnostici e terapeutici insieme ai percorsi di assistenza, pone
laccento sui vissuti personali che si consumano nelle stanze interiori, aprendo le porte verso una visione più allargata per prendersi davvero cura di sé. Può parlarcene meglio?

Le stanze interiori sono abbastanza simili per tutti, diverso è il modo in cui le abitiamo, come diverso è il modo con cui ci rapportiamo a noi stessi.
Qui si pone una questione rilevante che investe la sfera del simbolico, inteso come ponte tra il
concreto e i suoi rimandi o rinvii, in cui gli argomenti della nostra coscienza dialogano con le
immagini interiori che ci abitano per congiungersi in forme condivise di consapevolezza. Semplifico:
nelle malattie gravi, cancro in primis, la struttura dellIo come centro ordinatore della coscienza
tende a ledersi e in queste crepe possono filtrare potenzialità dialogiche profonde a autentiche
col mondo interno. Questo dialogo, che ci rende recettivi alle ragioni dellAnima ci avvicina a
noi stessi e pur nella densità del concreto, fa riemergere lessenziale che può essere accolto nella nostra vita.

Diceva M. Foucault che il corpo è il punto zero del mondo, laddove i percorsi e gli spazi si
incrociano. Lanima respira attraverso il corpo e lesperienza della sofferenza avviene nella
carne. Divenire consapevoli di quel pezzo di esperienza che ci abita fa la differenza nella patologia tumorale?

Dipende dal tipo di consapevolezza. Come vittime del destino non cè differenza, se invece si assume
il corpo come soggetto di conoscenza e non solo come organismo da curare si modifica, e di molto, lo
sguardo su noi stessi. Il sentire del corpo non disgiunto dal riverbero emozionale che lo accompagna è un tratto essenziale da recuperare nella medicina moderna.
Ciò che il corpo significa è parte del rimosso del pensiero medico, chiuso nella dimensione
delluomo come rappresentante dorgano, direbbe Galimberti, al di fuori di ogni significazione che
la dimensione corporea contiene, ove la crisi del corpo traduce e tradisce il rapporto col mondo mutandone la prospettiva.

Continua la lettura su:

Scienza e Conoscenza n. 64 – Rivista Cartacea
Nuove Scienze, Medicina non Convenzionale, Coscienza
Autori Vari
www.macrolibrarsi.it/libri/__scienza-e-conoscenza-n-64-rivista-cartacea.php?pn=1567

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