Il senso della pratica

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Il senso della pratica

di Ajahn Thanavaro

Un discepolo chiese al maestro: “Dove posso cercare l’illuminazione?”.
Il maestro rispose: “Qui”. “E quando accadrà?”. “Sta accadendo proprio
ora”. “Allora, perché non la percepisco?”. “Perché non guardi”. “Per
cercare cosa?”. “Niente. Guarda e basta”. “Che cosa?”. “Qualunque cosa
su cui si posano i tuoi occhi”. “Devo guardare in modo speciale?”.
“No, il modo solito va bene”. “Ma non guardo sempre nel solito modo?”.
“No”. “E perché mai?”. “Perché per guardare devi essere qui, e tu il
più delle volte sei altrove”.

Questo passo del libro Un minuto di saggezza, di Anthony De Mello,
descrive un po’ la nostra situazione. Pensiamo che l’illuminazione sia
molto lontana, pensiamo che la pace e la felicità che stiamo cercando,
anche se in modo confuso, siano irraggiungibili. Invece, si tratta
soltanto di aprire gli occhi. è difficile aprirli perché sono ben
serrati, e la tensione che ci portiamo appresso come accumulo di
reazioni emotive non ci permette di apprezzare il momento presente.
Quando siamo in grado di apprezzare il momento presente ci rendiamo
conto di determinate verità, e questa comprensione porta un’apertura
del cuore, un senso di gratitudine per la ricchezza della vita.

Ricordo che una delle cose più difficili da apprezzare nella mia
infanzia era la bontà dei miei genitori, il loro impegno nel farmi
crescere, nell’educarmi, nell’incoraggiarmi a fare il bene. Purtroppo,
come in molti rapporti, il conflitto nasceva nel momento in cui il
loro concetto di bene, e quindi le loro aspettative, venivano a
cozzare con le mie idee. Oggi invece so che, prescindendo dalle
opinioni personali, possiamo aprire sempre il cuore all’altro,
apprezzarne le qualità e le virtù, condividere con lui la nostra
gioia, renderlo partecipe della nostra vita comunicando, e questo è
vero e importante soprattutto nel rapporto tra genitori e figli.
Credo che tutti abbiamo sofferto, in un modo o nell’altro, per la
mancanza di un rapporto profondo con i genitori e, con il passare
degli anni, la possibilità di recuperare questo rapporto ci sembra
sempre più difficile.

Forse i nostri genitori sono morti, forse ci siamo allontanati, ma
senza dubbio quel rapporto ha condizionato sin dall’inizio la nostra
vita, ma quando incominciamo a fare chiarezza sul nostro mondo emotivo
incominciamo a fare chiarezza anche sul passato, e comprendiamo come
il passato influisca sul presente. Potremmo dire che il passato è
morto, e di fatto lo è, ma spesso ce lo trasciniamo dietro, lo teniamo
stretto, così che il più delle volte diventa un cadavere puzzolente.
Nonostante costituisca le nostre fondamenta, sarebbe bene prendere le
distanze dal passato mediante un cambiamento dei rapporti che si sono
formati come effetto del nostro passato. Attuare un cambiamento
significa trasformare un peso in un trampolino, prendere lo slancio
per orientarci in modo nuovo e fiducioso nei confronti della vita.

Osservando la mente vediamo come i ricordi rivestano un ruolo molto
importante nel paesaggio interiore, sono come i monti e le colline che
ci impediscono la vista del sole che sorge. Forse non abbiamo ancora
fiducia e speranza nei frutti della pratica, perché i raggi del sole
appena spuntato non ci scaldano ancora. Forse ci chiediamo: “A cosa
serve tutto questo? Se la mia pratica è solo una scalata, una salita,
se è solo fatica senza ricompensa, senza un momento di serenità, a che
serve?”.

Con che finalità pratichiamo? Potremmo cercare la risposta nei libri,
nella dottrina, e a questo proposito ricordo il momento in cui decisi
di seguire una dieta esclusivamente vegetariana. Le difficoltà
nacquero quando mi chiesero le ragioni della mia decisione e io, non
avendo le basi concettuali per formulare una risposta, dovetti
ricorrere ai testi che illustrano le molteplici ragioni di quella
scelta. Potremmo fare così, potremmo usare i testi dottrinali per
spiegare agli altri le ragioni della nostra pratica, ma se facessimo
così dimenticheremmo l’impulso spontaneo, il desiderio che nasce
naturalmente dal cuore e che è stato la scintilla che ci ha portati a
una prima apertura, a un primo momento di chiarezza, alla ricerca di
un cambiamento.

La nostra pratica, e il nostro impegno verso la pratica, non hanno
bisogno di essere giustificati o razionalizzati, ma di tanta
perseveranza e soprattutto di tanta pazienza, perché il lavoro, pur
non essendo né facile né difficile, richiede un impegno costante. Per
coloro che si sono avvicinati alla meditazione è importante aver
chiaro, anche se a grandi linee, che cosa stiamo facendo, in che
direzione stiamo camminando.

La nostra mente è agitata. Questa agitazione è fatta di desiderio:
desiderio di avere, di afferrare un oggetto e tenerlo stretto, come
pure il desiderio di liberarci, di allontanare un oggetto mentale che
non ci è gradito. Oppure, invece di essere agitata, la mente può
trovarsi in uno stato di torpore, di sonnolenza, più o meno duraturo e
indotto da una molteplicità di cause. La cosa importante è notare la
difficoltà a mantenere la vigilanza quando la mente è sonnolenta.
Spesso opponiamo resistenza alla sonnolenza, nel tentativo di
riportare la mente alla sua chiarezza. Molto spesso la sonnolenza è
causata da una mancanza di chiarezza, cioè il raggio dell’attenzione
non mette bene a fuoco l’oggetto, mentre la mente, senza per altro
seguire nessun nesso logico, riempie tutto il suo spazio con immagini
e pensieri disordinati che la offuscano. Se abbiamo una mente portata
al razionalismo e alla concettualizzazione, possiamo riempirci di
dubbi circa noi stessi e tutto quanto. Ma proprio questa forma di
‘squilibrio mentale’, per usare un’espressione un po’ forte, può
diventare uno strumento efficace per sfoltire tutte quelle
elaborazioni concettuali che non fanno che appesantire la pratica.

La pratica, essenzialmente, richiede grande fiducia, grande abbandono
e la capacità di lasciarsi andare, perché è proprio l’incertezza, il
saper stare con l’incertezza e con l’instabilità di tutte le cose che
ci permette di andare al di là dell’irrigidimento concettuale di tipo
dualistico. In questo modo entriamo in spazi mai conosciuti: lo spazio
della consapevolezza.

In questi spazi hanno la possibilità di riemergere situazioni del
passato che si erano sedimentate, perché la capacità di osservazione
permette ai materiali rimossi di emergere nella coscienza. E sarà
quella stessa energia repressa dalla mancanza di accettazione che ci
darà la forza di praticare e una più salda convinzione sugli effetti
della pratica.

Preoccupazioni e paure non mancano e non mancheranno, perché stiamo
esplorando spazi sconosciuti, ma, ancora una volta, è nella
consapevolezza che possiamo trovare rifugio. Prendere rifugio nel
Buddha significa essenzialmente prendere rifugio nella consapevolezza,
nella capacità di essere presenti, nella capacità di conoscere le cose
per ciò che sono al di là dell’identificazione, al di là del
coinvolgimento, della reattività, dei travisamenti e delle
interpretazioni. Le cose così come sono.

Osservandole, incominciamo a notare che la loro apparente realtà è
comunque transitoria. Poi, portando l’attenzione un po’ più a fondo,
scendendo un po’ più in profondità, vediamo che l’apparente realtà
dell’oggetto, del fenomeno, dell’avvenimento o del ricordo è priva di
sostanzialità, che niente esiste indipendentemente da una causa o una
condizione che lo produce. Questa continua interdipendenza e
interrelazione è la sostanza stessa dell’universo. Questo nostro
universo si rivela allora ‘vuoto’, privo di una sostanzialità a sé
stante, e anche il nostro io, il centro da cui osserviamo il mondo, si
rivela della stessa natura.
Questa considerazione può spaventare. Forse, durante l’immersione
meditativa, avete vissuto momenti di panico o di paura, momenti in cui
vi sembrava di perdere il controllo. Forse i pensieri si accavallavano
in modo irrazionale, forse ci siamo sorpresi davanti alla loro forza e
ai loro contenuti. è un po’ come aprire una botola e scoprire che
tutto ciò che avevamo messo in cantina perché si conservasse è
marcito. Il piano superiore della casa si riempie di odori
nauseabondi. A questo punto potremmo chiudere la botola, aprire le
finestre, fare una passeggiata e, al ritorno, dimenticare tutto. Ma
una casa è fatta di un piano superiore e una cantina, e così la mente,
la mente ordinaria, conscia, poggia su contenuti che non vengono
lasciati emergere ma che costituiscono la base del nostro modo di
vivere.
Penso sia opportuno fare una profonda pulizia dei contenuti mentali,
proprio per eliminare le cause della sofferenza.

Un discepolo chiese al maestro quali fossero le cause della
sofferenza. Il maestro rispose: “è la tua incapacità a restare seduto
in silenzio”. Con questa risposta voleva sottolineare l’importanza
della meditazione, l’importanza del silenzio mentale per far luce
sulle cause della sofferenza. Durante i primi giorni di questo ritiro
abbiamo fatto un certo tipo di lavoro che ci ha permesso di
tranquillizzare la mente. Questo lavoro preliminare ci permetterà
adesso di penetrare nelle cavità, nella miniera della mente. Per
immergerci in questo lavoro dobbiamo avere coraggio, forza e anche
capacità di astinenza. Sappiamo che, nelle profondità della miniera,
c’è un filone di luce. La luce è il metallo più prezioso e,
stranamente, come tutti i metalli, viene trovato nell’oscurità. Questa
miniera non è altro che la mente che conosciamo, è come un cunicolo,
una galleria in cui dobbiamo aprirci la strada rimuovendo a colpi di
piccone le ostruzioni, ossia i pensieri che ci impediscono di
avanzare.

Le ostruzioni sono gli stati mentali di rabbia, odio, avversione,
agitazione, sonnolenza, torpore, dubbio, desiderio e brama sensoriale.
Li avete sperimentati? Con il piccone ne abbiamo rimosso qualcuno, ma
probabilmente non siamo riusciti a eliminarli del tutto. In ogni caso
abbiamo avanzato lungo il percorso e, sostenuti dalla luce della
presenza mentale, o sati, e guidati dal ricordo costante che la nostra
missione non è altro che la volontà di procedere alla ricerca di
questa fonte di luce, abbiamo aperto un piccolo spiraglio.

è un’esplorazione che non parte dalla superficie per scendere in
profondità ma che, piuttosto, parte dalle viscere stesse della terra
alla ricerca di una via d’uscita da questo mondo tenebroso, da questo
offuscamento, questo oscuramento. Ci muoviamo dall’interno della terra
al suo esterno servendoci della luce della presenza mentale. Più
procediamo senza perdere la fiducia e la speranza, più vediamo
spiragli e più incominciamo ad assaporare la libertà. Così, quella che
all’inizio era semplice fiducia o speranza, si trasforma in certezza,
perché tutti, nel corso della pratica, viviamo momenti di grande
limpidezza. Sono i momenti in cui la natura ultima della mente si
rivela qui e ora, al di là delle limitazioni e delle ostruzioni. Sono
piccoli assaggi che costituiscono le vere basi dello sviluppo
spirituale. Basta un pizzico di libertà per farci dimenticare le
distrazioni. Quando sperimentiamo direttamente, dentro di noi, gli
effetti della pratica, non abbiamo più bisogno di giustificazioni,
convinzioni o sostegni.

Mi viene in mente un episodio della vita del Buddha. Subito dopo
l’illuminazione, un viandante incontrò il Buddha e, vedendone
l’aspetto particolarmente sereno e la grande luminosità, si fermò per
chiedergli chi fosse. Pensava che fosse una divinità, ma il Buddha
rispose: “No, non sono un dio. Sono l’illuminato, il Buddha”. Il
viandante non capì. Disse: “Buon per te”, e continuò per la sua
strada. Si dice che proprio questo incontro inducesse il Buddha a
servirsi degli abili mezzi e a esporre le quattro nobili verità nel
parco delle gazzelle di Sarnath, mettendo in moto la ruota del Dhamma.

L’episodio interessa anche noi perché, come il viandante, vincolati da
tutti i nostri legami e attaccamenti, non abbiamo la presenza mentale
che ci fa riconoscere in noi il seme del risveglio, la potenzialità
dell’illuminazione. I vincoli e i legami ci fanno vivere nel passato e
ci proiettano nel futuro con tutte le nostre paure.
Il risveglio è apertura. Nel momento del risveglio si apre la suprema
visione profonda. La difficoltà, come abbiamo già detto, sta
nell’aprire gli occhi, e non nel vedere in sé. Non siamo così malati,
la nostra mente è fondamentalmente sana e nella sua natura essenziale
è luminosità senza limite. Non ce ne rendiamo conto perché non abbiamo
fiducia e, soprattutto, perché abbiamo paura della libertà, perché
immaginiamo che la libertà sia qualcosa di totalmente diverso.
Spesso mi viene rivolta la domanda: “Per intraprendere un cammino
spirituale, devo gettare via tutto quello che possiedo?”. Ecco la
paura: abbandonare ciò a cui teniamo. è possibile comunque rapportarci
alle cose in modo più funzionale e più pratico, conservare ciò che ci
serve e fare a meno del superfluo. Siamo capaci di fare un po’ di
pulizia?

Scendiamo in cantina e togliamo il superfluo. Certo, richiederà un po’
di lavoro, perché è molto più facile usare la cantina per buttarci
dentro di tutto e chiudere la porta, ma, se avremo fatto un po’ di
pulizia, avremo più spazio, avremo acquisito la capacità di non
accumulare. Questo è il segreto. è inutile fare cure dimagranti se
continuiamo a mangiare come bufali.

A questo proposito c’è una storia divertente. Un turista americano in
Cina prende un taxi e si accorge che per strada non ci sono auto, ma
solo biciclette. “Che strano”, commenta. “Qui vanno tutti in
bicicletta”. E il tassista: “Perché, nel vostro paese come fate?”.
“Nel nostro paese, sono anni che non andiamo più in bicicletta”. “E
non la usate mai?”. “Oh sì” risponde l’americano, “la usiamo in
soggiorno per dimagrire”.

Sono i controsensi dell’era moderna. La nostra ricchezza è diventata
un sovraccarico, quando sarebbe assai utile se fossimo capaci di
aprire le mani e condividerla con gli altri, facendo progetti
portatori di luce. Per quanto riguarda l’ecologia della mente, il
Buddhismo ci presenta un insegnamento molto, molto valido. Sappiamo
infatti che gli squilibri sono creati dalla brama, dallo sfruttamento
degli uomini e delle risorse naturali.

Applicando la consapevolezza del respiro stiamo apprezzando la
possibilità di respirare grazie alle condizioni di questo pianeta,
condizioni che sono ideali per la nostra vita. Ma questo stesso
pianeta è soggetto alla transitorietà, e la vita su di esso è il
risultato del modo in cui le generazioni precedenti hanno vissuto.
Ormai in molte città è difficile respirare e, ancor più, meditare.
Rifletteteci. Se è difficile la semplice funzione fisiologica del
respirare, sicuramente le condizioni di vita risulteranno talmente
distorte da creare forti stress, grossi conflitti. Purtroppo, e dico
purtroppo, la meditazione è per gli eletti. Se siete qui è grazie alla
virtù del vostro kamma .. Forse la vostra virtù è mascherata da
sofferenza, ma è la presa di coscienza della nostra sofferenza e la
consapevolezza dell’insoddisfazione che ci ha portato al lavoro
spirituale.

Siamo tutti soggetti al kamma del passato, è una forza dirompente che
crea dentro di noi un senso di disagio, di malessere, ma non è un
malessere incurabile. Stiamo imparando a usare gli strumenti per
intervenire, e spetta a ciascuno di noi procedere nel lavoro, fare
piccoli passi di luce per essere luce noi stessi.

POMAIA, giugno 1993

(Tratto dal libro di Achaan Thanavaro Verso la Luce, Ubaldini Editore)

Mario Thanavaro è un qualificato maestro di meditazione vipassana. Si
è formato nella Scuola Theravada secondo la tradizione dei Maestri
della Foresta di Achaan Chah e Achaan Sumedho.

Nel 1990 ha fondato il monastero Santacittarama (Il giardino del cuore
sereno) di cui è stato abate per 6 anni. Negli ultimi 30 anni ha
incontrato e ricevuto preziosi insegnamenti da molti Maestri, tra i
quali: S.S. il Dalai Lama, S.S. il Karmapa, il Ven. Kirti
TsenshabRinpoche, Krishnamurti, Namkai Norbu e il maestro mahayana
Hsuan Hua.

Ha ricoperto la carica di presidente dell’Unione Buddista Italiana
(U.B.I) e di Vicepresidente della Fondazione Maitreya.Tornato alla
stato laicale dopo 18 anni di vita monastica,oggi è presidente
dell’Associazione Amrita, Luce Infinita.

Come amico e guida spirituale assiste coloro che camminano sul
sentiero del Risveglio e nel contempo cercano di essere d’aiuto agli
altri.

E’ autore di diversi libri tra i quali: “Non creare altra sofferenza”,
“Verso la Luce”, “Da cuore a cuore”, “Uno sguardo dall’arcobaleno” e
“Meditiamo insieme” editi da Ubaldini.Per Promolibri Magnanelli ha
pubblicato:”La via del pellegrino – Visita ai luoghi sacri del Buddha”

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