IL SENSO D’INFERIORITA’
Di Marco Ferrini
Il senso d’inferiorità non è qualcosa di per sé patologico o patologico a priori, è infatti qualcosa
che ci coglie spesso quando ci mettiamo a contemplare un abisso o una vetta montana o lo splendore
del sole. Noi non siamo in grado di paragonarci a queste manifestazioni, così come non possiamo
paragonare le nostre prestazioni fisiche alla potenza di un elefante, di un toro o alla velocità di
una gazzella. Ciò che diviene patologica è la competizione che può suscitare da questo senso di
inferiorità. Esso porta seco una serie di comportamenti coatti, reattivi automatici quali la
coazione a diventare narcisisti o la coazione a diventare inibiti e depressi. Nel primo caso
s’ingenera, per compensazione, una sorta di sindrome di superiorità o delirio di potere ed il
tentativo conseguente di voler primeggiare o stabilire il dominio sugli altri, diventando critici
verso persone che vivono meglio, che sono più capaci o più produttive o oggetto di maggiori
attenzioni, che sono più amate o semplicemente più apprezzate. Nel secondo caso il senso di
inferiorità crea un’inibizione tale per cui la persona diviene progressivamente più introvertita,
fino quasi ad annullarsi. Se nel primo caso le relazioni sono compromesse a causa del comportamento
tiranneggiante ed impositivo assunto dall’attore della sindrome di superiorità, nel secondo sono
compromesse per l’isolamento in cui cade l’attore completamente inibito dal complesso di
inferiorità.
Qual è l’atteggiamento sano, salutare per evitare queste due posizioni estreme? Il coraggio della
imperfezione. Tendere alla perfezione senza pretendere di essere giunti, camminare sul sentiero
della perfezione senza mai darsi le arie di averla raggiunta, alimentando in noi una sana visione di
nuove tappe da raggiungere, di nuovi livelli, di nuove realizzazioni, in modo da essere coscienti
che la perfezione è sì una realtà ideale, ma nel momento in cui la si persegue dà i suoi frutti. È
quindi evidente come il senso dinferiorità sia esplicativo della sopraccitata dinamica di
proiezione del conflitto: infatti, a causa di conflitti irrisolti si produce il senso di
inferiorità, che innesca un senso di competizione, talvolta forsennata, lacerante e distruttiva, la
quale porta ad entrare in conflitto con chiunque divenga l’oggetto di questa competizione e questo
meccanismo, non può che produrre molta sofferenza.
Noi possiamo infatti apprezzare qualcuno che canta meglio di noi, che suona meglio di noi, che corre
meglio di noi, che danza meglio di noi, che dipinge meglio di noi, possiamo incontrare centinaia di
persone che sanno fare centinaia di cose meglio di noi ed evitare il senso di inferiorità perché noi
riconosciamo il senso inferiorità, noi riconosciamo di essere inferiori ad A, B, o C, o D. Come si
può dunque evitare che questo naturale sentire degeneri poi in un complesso? La soluzione principale
risiede nella scoperta di chi si è veramente, dei propri talenti e qualità, riscoprendo la propria
ricchezza intrinseca ed altresì la propria unicità. Ciascun individuo è infatti identico solo a se
stesso, è una realtà a sé, ha talenti propri ed è capace di essere soddisfatto in sé a prescindere
dai talenti degli altri. Diventare sé stessi significa dismettere tutte le maschere sarvopadhi
vinirmuktam (Caitanya Caritamrita Madhya Lila XIX.170).
Tratto da Io e gli altri nel gioco della vita, Corso serale di 3 lezioni tenute presso l’Aula
Magna Fondazione Studi Bhaktivedanta, 20/27 Novembre e 4 Dicembre 2008.
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