Il Sentiero del Discepolo 2

pubblicato in: AltroBlog 0
Il Sentiero del Discepolo 2

di Annie Besant (parte seconda)

ANNIE BESANT

“IL SENTIERO DEL DISCEPOLO”

(Quattro discorsi tenuti ad Adyar nel 1895)

SOCIETÀ TEOSOFICA ITALIANA – R O M A 1957

– Parte seconda –

°°°

Consideriamo per un momento le quattro grandi caste, e vediamo a quale compito ciascuna di esse
fosse intesa. Il Bramano doveva insegnare affinché vi potesse essere una successione di sapienti
istruttori destinati a guidare l’evoluzione della razza. Egli doveva insegnare non per il denaro,
non per il potere, non per alcuna cosa che tornasse a profitto suo; doveva insegnare per compiere il
suo Dharma, doveva avere delle cognizioni per poterle a sua volta trasmettere agli altri. Così in
una nazione bene ordinata vi dovrebbero sempre essere degli insegnanti per istruire, per guidare e
consigliare con abnegazione e senza nessuno scopo egoistico; così nulla acquisirebbe il Bramano per
sé, ma tutto per gli altri. In questo modo egli adempirebbe il proprio Dharma e la sua anima
diverrebbe libera. Venne poi lo Yoga che era la disciplina intesa ad educare l’uomo attivo del mondo
nell’arte del governo e del comando, ad educare cioè la classe dominante, la Kshattriya, donde
sorgeva l’uomo che doveva governare. Perché? Non già perché del potere egli si valesse per i propri
godimenti, ma perché potesse esser resa giustizia, perché il povero si sentisse sicuro ed il ricco
non avesse la possibilità di tiranneggiare, perché probità e giustizia imparziale riuscissero a
prevalere nelle lotte della società umana. Poiché, in questo mondo di lotte, in questo mondo di ire
e di contrasti, in questo mondo dove sono degli uomini che cercano il proprio vantaggio anziché il
bene comune, essi hanno da imparare che deve esser resa giustizia, che se un uomo forte abusa della
sua forza, il giusto reggitore reprimerà l’abuso, che il debole non deve essere calpestato, non deve
essere oppresso.

Ed il dovere del re era di far giustizia fra uomo e uomo, in modo che tutti potessero guardare al
trono come alla fonte da cui sgorgava la giustizia divina. Questo è l’ideale del Re divino, del
divino Reggitore. Rama venne ad insegnarlo, Shri Krishna venne ad insegnarlo; ma gli uomini erano
così stolti che non profittarono dell’insegnamento. Lo Kshatriya usò della propria forza per
favorire sé ed opprimere gli altri, e ne prese per sé le ricchezze e ne impiegò le fatiche a proprio
vantaggio. Egli perdette l’ideale del divino Reggitore che incarnava la giustizia nel turbolento
mondo degli uomini. Ma era inteso che egli dovesse fare dì questo ideale lo scopo della sua
esistenza, ed il suo dovere era perciò di amministrare il paese per il bene della nazione e non per
il suo proprio piacere: E così dicasi del suo dovere come soldato. La nazione doveva continuare in
pace le sue funzioni. I poveri e gli innocui dovevano vivere sicuri, prosperi e felici con le loro
famiglie, il mercante proseguire in pace il suo commercio, tutte le varie funzioni della vita del
paese svolgersi senza pericolo, sicure da ogni aggressione.

E così allo Kshatriya, quando era chiamato a combattere, si insegnava a combattere come difensore
dei deboli e a dare volenterosamente la vita perché essi potessero vivere in pace. Egli doveva
combattere non per guadagno, non per conquistar territori, non per sete di potere o di dominio. Egli
doveva essere per la nazione come una muraglia di, ferro, contro la quale venissero ad infrangersi
gli attacchi nemici e dentro la quale tutti gli altri uomini potessero vivere in pace, felici e
sicuri. Per compiere lo Yoga nell’ambito dei doveri dello Kshattriya, egli avrebbe dovuto
considerarsi come l’agente del divino Legislatore, e fu per questo che Shri Krishna insegnò che Egli
era l’autore di tutto e che Arjuna altro non faceva che ripetere l’azione nel mondo degli uomini. E
quando un uomo riconosce in ogni sua azione il divino Attore, egli può allora compierla come un
dovere senza desiderio, e l’atto perde il potere di vincolare l’anima a questa terra.

Così dicasi del Vaishya il cui dovere era di accumulare ricchezze. Egli doveva farlo non per proprio
interesse ma per sostentare la nazione; doveva esser ricco perché qualsiasi attività che richiedesse
danaro, potesse averne a disposizione la quantità occorrente per un qualunque bisogno. Così dovevano
esservi dappertutto case pei poveri, asili pei viaggiatori, ospedali per gli uomini. e per le
bestie, templi per il culto e dappertutto quelle ricchezze che occorrevano per sostentare queste
diverse attività di una perfetta vita nazionale. E così il Dharma del Vaishya era di accumulare
ricchezze per il bene comune, non per proprio interesse. In questa guisa egli pure poteva seguire lo
Yoga e per mezzo del Karma-Yoga prepararsi ad una vita superiore. Così pure lo Shûdra doveva
adempiere il suo Dharma nello Stato. Il dovere che gli spettava consisteva nel formare il grande
braccio della nazione, che ad essa procurava l’occorrente e provvedeva a servire alle sue attività
esteriori. Il suo Yoga doveva consistere nel lieto disimpegno dei propri doveri, compiendoli con il
solo scopo di compierli, e non per una possibile ricompensa.

Gli uomini dapprima agiscono per interesse personale, progrediscono quindi solo con l’esperienza;
poi imparano ad agire per dovere e così cominciano a praticare lo Yoga nella loro vita giornaliera;
alla fine compiono le azioni come un lieto sacrificio per il quale nulla chiedono in cambio, ma
dedicano ogni loro facoltà al compimento dell’opera. Ed in questo modo l’unione si avvera.

Comprenderemo meglio che cosa si intenda per purificazione osservando i vari stadi dell’interesse
personale, del dovere compiuto come dovere, del dare ogni cosa come sacrificio volontario. Essi sono
gli stadi sulla via della purificazione. Ma come sarà ottenuta quella purificazione, che condurrà ai
gradi più alti, all’inizio di quel discepolato per cui ogni attività deve essere la preparazione?
Ogni parte dell’uomo deve essere purificata, tanto il corpo quanto la mente. Sulla purificazione del
corpo io non ho tempo di trattenermi, ma posso ricordarvi che, secondo gli insegnamenti della
Bhagavad Ghita, questa purificazione si compie con la moderazione e non con un ascetismo che sia una
tortura per il corpo e per Colui che vi dimora, come dice Shri Krishna.

Lo Yoga si compie con la temperata padronanza di sé, con la disciplina costante della natura
inferiore, con la scelta opportuna di alimenti puri, con la cura e la moderazione in tutte le
`attività fisiche; così mano mano si giunge a disciplinare e moderare il corpo finché esso sia
completamente ridotto sotto il dominio della volontà e del Sé. Perciò venne prescritta la vita di
famiglia, poiché, tranne qualche raro caso, gli uomini non erano atti alla dura vita del celibato.

Il Brahmacharya non era per tutti. Con la vita di famiglia venne insegnato agli uomini a moderare e
dominare le loro passioni sessuali, non già col sopprimerle (ciò che è impossibile alla maggior
parte degli uomini, e che, se inconsultamente tentato, conduce spesso ad una reazione la quale
precipita l’imprudente nel peggiore libertinaggio), non con uno sforzo isolato che tenti di
ucciderle e sradicarle ad un tratto, ma avvezzandoli a moderarle gradatamente, a praticare
l’abnegazione per la famiglia, che poco a poco riduce la natura inferiore alla temperanza, e le fa
prendere l’abitudine di sottomettersi alla natura superiore e alla volontà, di frenarsi nella sua
eccessiva attività e di rendersi assolutamente subordinata all’Uno. A questo punto entra in campo il
Karma-Yoga, per mezzo del quale l’uomo si purifica fisicamente e diviene atto a percorrere le vie
più elevate dello Yoga. E allora egli deve purificare tutte quante le passioni della natura
inferiore. Ad illustrazione di ciò, e perché possiate valervene nella vita, esaminiamo i casi di tre
passioni e vediamo come possano essere trattate nel Karma-Yoga così da essere convertite in qualità.

La collera è un’energia che scatta dall’uomo e fa il suo cammino. Nell’uomo non sviluppato, non
educato, appare come una passione che si manifesta sotto forme brutali, e che pur di superare gli
ostacoli, non si cura di quali mezzi si valga per sgombrarsi la strada da tutto ciò che si oppone
alla soddisfazione della sua volontà. In questa forma è un’energia indisciplinata e deleteria della
Natura, che colui il quale vuol praticare il Karma-Yoga deve sicuramente dominare.

Come riuscirà a dominare e trasformare questa passione? Per cominciare deve liberarsi dall’elemento
individuale. Se gli viene fatta un’offesa personale si avvezza a non più risentirsene. Questo è il
dovere che incombe a molti di voi. Qualcuno vi fa un torto, qualcuno commette contro di voi
un’ingiustizia: che cosa farete? Potete lasciarvi trasportare dalla collera e percuoterlo. Egli vi
ha truffato? Voi tentate di danneggiarlo a vostra volta e di avvantaggiarvi a sue spese. Egli vi ha
offeso? Voi cercate di ricambiargli l’offesa. Egli ha detto male di voi? E voi dite male di lui a
vostra volta e cercate di fargli del danno. E così la passione della collera imperversa, e non si
vede che distruzione in ciò che dovrebbe essere la società degli uomini. Come può essere purificata
questa passione? La risposta può darla uno qualunque dei grandi Maestri che insegnarono il
Karma-Yoga, che insegnarono come l’azione possa nella società umana essere utilizzata a vantaggio
dei fini voluti dal Sé. Potete ricordare come nel decalogo dei doveri che il Manù ha proposti, vi
sia il perdono delle ingiurie. Potete ricordare come Buddha abbia insegnato che “l’odio non cessa
mai con l’odio, cessa con l’amore”. Potete ricordare come il Maestro Cristiano seguisse la stessa
linea di pensiero quando diceva: “Non lasciatevi vincere dal male, ma vincete il male col bene”.

Questo è Karma-Yoga. Perdonate le ingiurie, rendete amore per odio, vincete il male col bene. In
questo modo voi eliminerete l’elemento personale; non vi sentirete più irritati per i torti che vi
saranno fatti; avrete purificato l’elemento personale, e in voi la collera non sarà più di questo
tipo inferiore. Però potrà sempre rimanere una forma più elevata di collera: vedete fare torto ad un
debole e vi adirate contro l’offensore; vedete maltrattare un animale e vi adirate contro la persona
che si mostra crudele; vedete un povero oppresso e vi adirate contro l’oppressore. Questa è una
collera impersonale, assai più nobile dell’altra, e necessaria nell’evoluzione umana; è cosa assai
più nobile e migliore adirarsi contro chi commette un torto, che passare con stolida indifferenza
perché non si ha compassione per le sofferenze che vengono inflitte.

Questa collera più alta ed impersonale è più nobile dell’indifferenza, ma non è ancora la più
elevata. Deve essere mutata a sua volta e mutata nella qualità che rende giustizia tanto al forte
quanto al debole, che compatisce egualmente chi fa un’offesa e chi la subisce, che vede come
l’offensore offende sé stesso ancor più della sua vittima, che si rattrista per lui non meno che per
la persona la quale soffre per causa sua, che abbraccia tutti, offensore ed offeso, in un solo
abbraccio di amore e di giustizia. L’uomo che ha così purificato la passione della collera, reprime
i torti perché è suo dovere reprimerli, ed è gentile verso l’offensore perché anche questi ha
bisogno di essere aiutato ed educato. Così, ciò che era collera, che reagiva ad un’offesa personale,
diventa una forma di giustizia che previene ogni male e salva e protegge egualmente il forte ed il
debole. Questa è la purificazione che si compie nel mondo dell’azione, questo è lo sforzo
quotidiano per mezzo del quale la natura inferiore viene purificata affinché si possa giungere
all’unione.

Prendiamo ora l’amore. Voi potete averlo nella forma brutale inferiore, la passione animale del tipo
più basso e più misero fra i due sessi, che non bada affatto al carattere della persona che ne è
l’oggetto, né alla bellezza delle qualità mentali e morali, ma si cura soltanto della bellezza
fisica, delle attrattive fisiche, del piacere fisico. Questa è passione nella sua forma più bassa.
Colui che la prova, pensa a sé e soltanto a sé. Dall’uomo che segue il Karma-Yoga questa passione
viene purificata in un amore, che si sacrifica per la persona amata; egli adempie ai doveri
familiari, si prende cura della moglie e dei figli, e fa quanto può per il loro bene sacrificando le
proprie inclinazioni, i propri comodi, le proprie soddisfazioni; egli lavora affinché la famiglia
possa star meglio, lavora perché i bisogni della famiglia possano essere soddisfatti; in lui l’amore
non cerca più soltanto il piacere, ma vuole aiutare le persone amate, ed assumere sopra di sé i mali
che le minacciano, affinché esse ne siano tutelate ed immuni. Seguendo il Karma-Yoga l’uomo purifica
il suo amore dagli elementi egoistici, e ciò che era una passione puramente animale per l’altro
sesso, diventa l’amore del marito, del padre, del fratello maggiore, del parente, che compie il
proprio dovere, che lavora affinché l’esistenza delle persone amate scorra più lieta e più felice.

E poi viene l’ultima fase, in cui l’amore, purificato da ogni sentimento egoistico, si estrinseca a
favore di tutti. Non soltanto nell’ambito ristretto della famiglia esso compie l’opera sua, ma in
chiunque incontri vede una persona da aiutare, in ogni affamato vede un fratello da nutrire, in ogni
derelitta vede una sorella da proteggere. L’uomo così purificato diventa per ogni essere abbandonato
un padre, un fratello, un aiuto, non perché ami personalmente, ma perché ama idealmente e perché
cerca di dare per amore e non per procurarsi la soddisfazione di essere riamato. L’amore più
elevato, l’amore che si sviluppa nel Karma-Yoga non domanda nulla in cambio di ciò che dà, non cerca
gratitudine, non domanda di essere riconosciuto. Vuol lavorare in incognito, preferisce l’opera
silenziosa ed anonima a quella che gli frutterebbe riconoscenza e lode. E la suprema purificazione
dell’amore avviene quando questo amore diventa assolutamente divino, quando diffonde la felicità
perché è nella sua natura di diffonderla ovunque, quando non chiede nulla per sé, ma cerca soltanto
la felicità altrui.

Così dicasi finalmente dell’ingordigia, della cupidigia. L’uomo cerca di guadagnare per godere,
desidera guadagnare per acquistare potenza, si affatica a guadagnare per sollevarsi al disopra degli
altri. Egli purifica questa prima forma di ingordigia e comincia a desiderare il guadagno perché la
famiglia possa star meglio, perché sia premunita contro le sofferenze, i bisogni, la fame; e si va
così spogliando del primitivo egoismo. Poi fa un altro passo innanzi. Desidera il potere per usarne
a fin di bene, per poter fare il bene in una sfera più vasta che non sia quella della famiglia e
della propria casa; e finalmente, come si è detto per l’amore, impara a dare senza chiedere nulla in
cambio. Impara a desiderare il sapere e la potenza, non per sé, ma solamente per diffonderli. E in
questo modo l’egoismo finisce per essere distrutto.

Non vi siete mai chiesti perché Colui al quale è dato il nome di Mahàdeva dimora in un rogo ardente?
È uno strano soggiorno, devono aver pensato gli uomini, per farne la dimora dell’Onnipotente. Strano
ambiente per Colui che è la purezza stessa. Quel che si nasconde sotto il simbolo del rogo ardente è
la vita umana; e in questo rogo ardente dove dimora Shiva tutte le cose inferiori della vita umana
sono consumate come dal fuoco. Se Egli non vi dimorasse, queste cose terrene rimarrebbero a
putrefarsi, a corrompersi, ad essere sorgente di pericoli, a spargere dovunque malattie ed
infezioni. Ma in quel rogo ardente dove Egli dimora, attraverso al quale passa da parte a parte il
Suo soffio infiammato, arde e si consuma tutto ciò che è egoistico, tutto ciò che è personale, tutto
ciò che appartiene alla natura inferiore, e lo Yoghi esce trionfante da queste fiamme rigeneratrici;
in lui non rimane più alcun elemento personale, perché il fuoco del Signore ha consumato, tutte le
passioni inferiori e non vi resta più nulla che possa spargere corruzione e malattie. Perciò egli è
chiamato il Distruttore, il Distruttore di ciò che è basso perché si possa compiere la
rigenerazione, poiché dal Suo Fuoco l’anima ebbe la sua prima origine, e da quel rogo ardente si
eleva il Sé purificato.

Così questi primi passi portano innanzi, portano innanzi fino ad essere un vero discepolo, portano
innanzi fino al Guru, portano innanzi fin verso il Tempio interiore, il Santo dei santi, dove
risiede il Guru dell’umanità. Questi sono i primi passi che dovete fare, questa la strada che dovete
percorrere. Voi vivete nel mondo e siete vincolati da legami mondani, vivete la vita sociale e
politica; eppure in fondo al vostro cuore voi desiderate il vero Yoga e la conoscenza che appartiene
alla vita permanente e non solo alla transitoria. Poiché nel vostro cuore, se vi scendete a fondo,
troverete tutti l’aspirazione di sapere qualche cosa di più, il desiderio di vivere più nobilmente
di quanto non facciate oggi. Voi potete in apparenza amare le cose del mondo e le amate con la
vostra natura inferiore; ma nel cuore di ogni vero Indù, che non sia assolutamente un rinnegato ed
un apostata per la sua religione ed il suo paese, vi è sempre un’intima aspirazione a qualche cosa
che oltrepassi le cose terrene, vi è sempre un debole desiderio, sia pur proveniente soltanto dalle
passate tradizioni, che l’India possa essere più nobile di quel che sia oggigiorno ed il suo popolo
più degno del suo passato. Ecco dunque la via che voi dovete cominciare a percorrere; non è grande
una nazione se i singoli individui non ne sono grandi. Non vi è popolo potente se i singoli
individui conducono una vita sordida, meschina, egoista. Voi dovete cominciare dal punto in cui
siete oggi, dalla vita che conducete, e seguendo le tracce che vi ho alla meglio disegnate, farete i
vostri primi passi verso il Sentiero.

Concluderò ricordandovi quale è la mèta di questo Sentiero, sebbene debba intrattenervene più a
lungo nei prossimi discorsi. La mèta cui conduce il Sentiero è l’Unione – il Karma-Yoga che stiamo
studiando è l’Unione per mezzo dell’Azione. Vi sono altri passi da fare, ma che cosa è “Unione”? Voi
ricordate come Shri Krishna descriveva l’uomo che, oltrepassati i guna, si era reso degno di gustare
il nettare dell’immortalità, ed era pronto a conoscere l’Altissimo, a venire in unione col Supremo.
Egli non vede altro agente che i guna, egli sa Ciò che sta oltre di loro. Egli vede agire i guna;
non li desidera quando sono assenti, non li respinge quando sono presenti. Egli è equilibrato fra
amici e nemici, equilibrato nella lode e nel biasimo; fidando in sé stesso, guarda tutte le cose con
occhio equanime, siano queste una zolla di terra, un pezzo d’oro, un amico, un nemico.

Egli è lo stesso per tutti perché ha dominato i guna e non si lascia più illudere dal loro giuoco.
Questa è la mèta cui tendiamo; questi sono i primi passi verso il Sentiero che conduce più oltre.
Finché questi non siano compiuti, non è possibile compierne altri; ma di mano in mano che questi
sono compiuti, si scorge il principio del vero Sentiero.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *