di Annie Besant (parte terza)
ANNIE BESANT
“IL SENTIERO DEL DISCEPOLO” (Quattro discorsi tenuti ad Adyar nel 1895)
SOCIETÀ TEOSOFICA ITALIANA – R O M A 1957 – Parte terza –
°°°
I REQUISITI DEL DISCEPOLO
DOMINIO DELLA MENTE – MEDITAZIONE – FORMAZIONE DEL CARATTERE
Prima d’entrare nell’argomento speciale che ora dobbiamo trattare, cioè in quello dei requisiti che
si richiedono dal discepolo, mi occorre richiamare la vostra attenzione sulla questione della
rinascita e sul modo con cui un uomo può giungere a comprendere ciò che si intende per discepolato e
scegliere deliberatamente questo stato come scopo della sua vita. Ricorderete ciò che ho detto nel
delineare i diversi stadi dell’azione: come l’uomo cominci ad agire per soddisfare la propria natura
inferiore cercando sempre il compenso, e come poi con la pratica del Karma-Yoga impari ad agire non
per l’interesse personale, ma per il dovere di compiere l’azione identificandosi così con la legge e
prendendo consciamente parte alla grande opera del mondo.
Quindi ho accennato ad un altro stadio più elevato nel quale il sacrificio è fatto non solo come un
dovere, ma per la gioia di dare tutto ciò che si possiede. È chiaro che quando uno aspira a questo
stadio, quando agisce non solo perché deve agire, ma perché desidera dare tutto ciò che egli è e
tutto ciò che egli ha in servizio dell’Essere Supremo, allora è possibile a quell’uomo di spezzare
quelli che si chiamano i vincoli del desiderio e di liberarsi così dalle rinascite. Poiché ciò che
attira l’uomo a rinascere nel mondo è il desiderio, desiderio di godere di quelle cose che ivi può
godere, desiderio di effettuare quelle cose che ivi può effettuare.
Chiunque si propone qualche mira terrena, chiunque fa scopo della sua vita un oggetto terreno, è
evidentemente vincolato dal desiderio. E finché desidera ciò che la terra può dargli, egli dovrà
ritornar sulla terra; finché una gioia o un oggetto che appartengano alla vita transitoria – la vita
fisica sulla terra – hanno il potere di attrarlo, avranno anche il potere di vincolarlo. In altre
parole, ogni, attrazione è ciò che vincola l’anima, e la riporta là dove il desiderio può essere
soddisfatto.
L’uomo è così divino nella sua natura, così in sé stesso simile a Dio, che anche questa sua energia,
che noi chiamiamo desiderio, ha in sé medesima la facoltà di appagarsi. Ciò che egli desidera
ottiene, ciò che egli desidera la natura gli dà a suo tempo; così che l’uomo, come è stato detto
spesse volte, è padrone del proprio destino, e qualunque cosa egli chieda dall’universo, l’universo
gli darà. I suoi desideri saranno naturalmente soddisfatti in quella parte dell’universo alla quale
i desideri stessi appartengono. Così, se egli desidera le cose terrene, dovrà ritornare sulla terra
perché quel desiderio possa essere compiuto. E così ancora l’uomo è obbligato a rinascere per
qualunque di quei desideri che trovino la loro soddisfazione nei mondi temporanei e transitori che
sono al di là dalla morte.
Questi mondi transitori posti al di là dalla soglia della morte, riconducono tutti, come noi
sappiamo, a rinascere quaggiù; così che, se i desideri di un uomo sono fissi sulle gioie di Svarga,
se egli ambisce di avere i compensi della sua vita terrena su qualche altro mondo pur esso
transitorio, supponendo che egli respinga le gioie terrene col deliberato proposito di conseguire le
gioie di Svarga, quelle gioie saranno il compenso delle sue fatiche e tale compenso gli sarà dato a
tempo debito.
Ma siccome Svarga è anch’esso passeggero, siccome Svarga è anch’esso transitorio, quell’uomo avrà
preso per sua quella strada che è stata chiamata la strada della Luna, la strada che conduce alla
rinascita – ricorderete essere scritto che “la luna è la porta di Svarga” – e poscia da Svarga
l’anima ritornerà nel mondo terrestre degli uomini. In questo modo il desiderio, sia che debba
essere compiuto quaggiù o in qualche altro mondo anch’esso transitorio, vincola l’anima a rinascere,
ed è perciò che è scritto poter l’anima conseguire la liberazione solo quando “saranno spezzati i
vincoli del cuore”.
Ora una liberazione pura e semplice (per una sola era) può essere raggiunta con la semplice
distruzione del desiderio. Senza nessuna azione particolarmente sublime, senza toccare nessun
gradino, molto elevato dell’evoluzione dell’anima, senza sviluppare tutte le divine possibilità che
stanno chiuse nell’umana coscienza, senza giungere a quelle grandi altezze ove stanno i Maestri e
gli Aiutanti del genere umano, l’uomo può conquistare, se lo desidera, una liberazione che è
fondamentalmente egoistica; liberazione che lo solleva bensì fuori del mondo dei cambiamenti, che
spezza bensì i legami che lo vincolano ai mondi di vita e di morte, ma che anche non aiuta.in alcun
modo i suoi fratelli, non ne infrange i ceppi né li fa liberi; questa liberazione è più per il
singolo che per tutti, e per essa l’uomo esce dall’umanità abbandonandola a lottare sola sulla
propria via.
Io so, che molti uomini non hanno nella vita pensiero più alto di questo, che ve ne sono molti i
quali cercano semplicemente la liberazione senza curarsi degli altri, paghi di poter essi sfuggire.
Questo, dico, non è davvero difficile da ottenere. Basta riconoscere la transitorietà delle cose
terrene, il nessun. valore di quegli oggetti di ambizione ai quali naturalmente un mondano dedica
tutte le sue giornate. Ma dopotutto, questa liberazione è soltanto temporanea, forse per un
manvantara; dopo di questo si ritorna. Così che mentre l’anima si libera da questo mondo e lo lascia
svincolata dall’attrazione di questa terra, in un ciclo futuro essa dovrà ritornarvi per fare un
altro passo verso ciò che é il destino realmente più divino dell’uomo: l’evoluzione dell’umana
coscienza nell’Onniscienza, la quale deve essere impiegata ad educare, aiutare, guidare i mondi
dell’avvenire.
Lascio dunque questo argomento per rivolgermi a quelle anime più sagge e più generose le quali, col
voler spezzare le catene del desiderio, non aspirano a sfuggire egoisticamente alle difficoltà della
vita terrena, ma lo fanno per poter seguire quella via più alta e più nobile che è detta il Sentiero
del Discepolo, per seguire i Grandi che hanno reso all’umanità possibile il percorrerla. Esse
cercano di scoprire quei Maestri che accettano come discepoli coloro i quali si preparano al
noviziato, non per liberare semplicemente sé stessi, non per sfuggire semplicemente alle
tribolazioni, ma per diventare gli aiutanti, i maestri, i salvatori dell’umanità, per restituire al
mondo intiero ciò che individualmente hanno ricevuto dai Maestri che li hanno preceduti sulla via.
Di questo stato si fa menzione in tutti i grandi Libri Sacri del mondo. Il Guru, che può essere
trovato e che insegna agli uomini, è uno degli ideali di tutte le anime più elevate e più sviluppate
che in questo mondo esteriore hanno cercato di realizzare il mondo divino. Prendete un Libro Sacro
qualsiasi, e vedrete come vi sia espresso questo pensiero. Prendete le Upanishad l’una dopo l’altra,
e vedrete come è menzionato il Guru e come l’attenzione dell’aspirante discepolo sia diretta a
cercarlo e trovarlo. Questo è quanto desidero esporvi oggi, i requisiti del discepolato; ciò che
deve esser fatto prima che questo stato sia possibile; ciò che deve esser compiuto prima che la
ricerca del Guru possa avere una qualche probabilità di successo. Ciò che deve farsi nel mondo,
nella vita ordinaria degli uomini, utilizzando questa vita come una scuola, per impararvi le lezioni
preparatorie, per rendere l’uomo atto ad arrivare ai piedi dei grandi Maestri che gli daranno la
vera rinascita quella rinascita che è simboleggiata in tutte le religioni exoteriche dall’una o
dall’altra cerimonia esterna, sacra meno per sé stessa che per quello di cui è simbolo.
Nell’Induismo troverete l’espressione “nato due volte” la quale significa che l’uomo non è nato solo
da un padre e da una madre terreni, ma è passato per quella vera seconda nascita che all’anima è
data dal Guru.
Questo è simboleggiato, – e disgraziatamente ora in troppi casi soltanto simboleggiato –
dall’iniziazione data dal Guru della famiglia o dal padre al figlio quando questi diventa ciò che
nel mondo esteriore si chiama l’uomo nato due volte. Ma nei tempi antichi, ed anche nei moderni, vi
era e vi è una reale e vera Iniziazione che è l’origine di quella cerimonia esterna; vi è una reale,
una vera Iniziazione che non è semplicemente iniziazione in una casta exoterica ma in una nascita
realmente divina, che è data da un possente GURU, che viene dal GRANDE INIZIATORE, dall’Unico
Iniziatore dell’umanità. Noi leggiamo di queste Iniziazioni nel passato, noi sappiamo che esistono
al presente. Tutta la storia fa testimonianza della loro realtà.
Nell’India vi sono dei templi sotto i quali si trovano i luoghi delle antiche Iniziazioni, luoghi
sconosciuti ora al popolo, luoghi nascosti all’occhio umano, ma che, non perciò esistono meno, non
sono meno accessibili a coloro che provano di esser degni di entrarvi. E non soltanto nell’India si
possono trovare di questi luoghi. L’antico Egitto ebbe anch’esso le sue cripte di Iniziazione ed in
alcuni pochi casi delle poderose piramidi sorgono sopra gli antichi luoghi, oggi nascosti alla vista
degli uomini. Le ultime iniziazioni che ebbero luogo in Egitto, quelle delle quali ci parlano le
storie della Grecia e dell’Egitto stesso, e nelle quali avrete sentito dire essere stato accolto
questo o quell’altro grande filosofo, avvennero negli edifici esteriori conosciuti dal popolo, che
celavano i veri templi dell’Iniziazione. L’entrata in questi templi non diveniva possibile per
semplici conoscenze esteriori, ma sotto certe condizioni che hanno esistito dalla più remota
antichità e che, come allora, esistono ancora oggidì; poiché tutta la storia, come attesta la realtà
dell’Iniziazione, così pure attesta la realtà degli Iniziati.
A capo di ogni grande religione stanno degli Uomini che sono più che uomini ordinari, Uomini che
hanno dato le Sacre Scritture alle genti, Uomini che hanno dato le basi delle fedi exoteriche,
Uomini che nella storia superano d’assai i Loro simili per la sapienza spirituale che Li divinizzò,
per la Loro visione spirituale, e per la testimonianza di ciò che vedevano.
Una caratteristica cui spesso abbiamo accennato a proposito di tutti questi grandi Maestri, è che
Essi non discutono, ma proclamano; non disputano, ma affermano. Non pervengono alle loro conclusioni
per un processo logico, ma per intuizione spirituale. Essi parlano con autorità, con un’autorità che
è giustificata dalla stessa loro parola; ed i cuori degli uomini riconoscono la verità dei loro
insegnamenti, anche quando questa si innalza tanto che l’intelletto non è capace di seguirla.
Poiché nel cuore di ogni uomo vi è quel principio spirituale a cui ogni divino Maestro fa appello, e
che risponde alla verità dell’affermazione spirituale quand’anche l’occhio dell’intelletto non sia
abbastanza acuto per discernere la realtà di ciò che vede lo Spirito. Questi grandi Guru dunque,
appaiono nella storia come i più grandi Maestri, e così pure quelli che noi vediamo emergere come i
più profondi filosofi, sono gli Iniziati, divenuti più che uomini; e questi Iniziati esistono oggi
come sono sempre esistiti. Come potrebbe la morte toccare Costoro che hanno superato la vita e la
morte e sono i Signori di tutta la natura inferiore? Essi hanno trasceso lo stadio umano nel corso
dei millenni passati, alcuni attraverso la nostra umanità ed alcuni attraverso altre umanità
anteriori alla nostra. Alcuni di Essi vennero da altri mondi, da altri pianeti quando la nostra
umanità era bambina, altri sorsero quando questa umanità aveva seguito abbastanza a lungo il
sentiero dell’evoluzione per produrre Iniziati propri, Guru della stessa nostra razza, per aiutare
il progresso dell’umanità alla quale Essi medesimi appartengono.
Quando il sentiero è stato seguito sino a questa mèta, non è più possibile che la morte abbia potere
sopra questi Uomini, e che Essi, essendo stati, non debbano più continuare ad essere; il solo fatto
che Li troviamo nella storia è garanzia della Loro presente esistenza; questo dovrebbe bastare per
dimostrare che Essi esistono, senza le testimonianze crescenti di anno in anno di coloro che Li
hanno trovati, che Li conoscono, che ne ricevono gli insegnamenti, che si istruiscono ai Loro piedi.
Poiché nel nostro tempo e nei nostri giorni ad uno ad uno gli uomini trovano l’antico sentiero,
stretto e sottile come il filo di un rasoio, che conduce alla porta, oltre la quale comincia il
Sentiero del discepolo; e come trovano questa via, e ne sono testimoni, l’uno dopo l’altro nei tempi
moderni si succedono a proclamare la verità delle antiche scritture, ed entrando su quel sentiero
possono seguirlo a tappa a tappa.
Ma per il momento noi dobbiamo occuparci di trovare quali requisiti sono necessari prima di poter
entrare in questo Sentiero. Ora, il primo di questi requisiti è tale che deve essere portato ad
un’altezza assai considerevole prima che lo stato di discepolo sia in qualunque senso possibile. È
quello che si chiama dominio della mente, ed il mio primo compito ora è di spiegarvi in modo ben
preciso ciò che significa dominio della mente, ciò che sia la mente che deve essere dominata e chi
sia colui che la domina. Poiché voi dovete ricordare che per la maggior parte delle persone la mente
rappresenta l’uomo. Quando questi parla di “sé stesso” egli intende in realtà la sua mente.
Dicendo “Io” egli identifica questo “Io” con la mente, con l’intelligenza cosciente che sa; e quando
dice “Io penso, io sento, io so” voi non troverete, se cercate bene addentro il significato di
queste parole, che egli vada oltre i limiti della propria coscienza delle ore di veglia. Questo è
ciò che l'”Io” significa per la maggior parte. Certamente chi ha studiato con cura trova che tale
“Io” è illusorio; ma, mentre lo ammette come proposizione intellettuale, non lo ammette praticamente
nella vita. Può ammetterlo come filosofo, ma non lo vive come uomo del mondo.
E affinché noi possiamo comprendere in modo chiaro che cosa sia questo dominio della mente e come
possiamo metterlo in pratica, fermiamoci un istante su ciò che noi chiamiamo padronanza di sé quando
consideriamo l’uomo mondano, e vedremo quanto inadeguata essa sia in paragone di quell’altra
padronanza di sé, che è uno dei requisiti del discepolo. Dicendo che un uomo è padrone di sé, noi
intendiamo dire che la sua mente è più forte delle sue passioni; che se si mette a confronto la
natura inferiore (passioni ed emozioni) da una parte, e la natura intellettuale (mente, volontà,
facoltà di ragionare e giudizio) dall’altra, questa è più forte di quella; che l’uomo è capace, in
un momento di tentazione ed all’invito delle passioni, di rispondere: “No, non voglio cedere, non
voglio lasciarmi trasportare dalla passione, non voglio lasciarmi trascinare dai sensi: questi sensi
sono semplicemente i cavalli che tirano il mio carro, io sono il cocchiere e non voglio permetter
loro di scorrazzare a capriccio”; allora si dice che l’uomo è padrone di sé.
Questo è il senso ordinario di tale espressione, e ricordate che l’essere padrone di sé è cosa
ammirevole. È uno stadio per il quale tutti devono passare. Ma occorre ancora molto, moltissimo di
più. Quando parliamo di forte e di debole volontà, noi intendiamo per lo più che dotato di una forte
volontà sia l’uomo il quale, di fronte alle circostanze ordinarie di tentazioni e di difficoltà,
sappia scegliere la sua strada con retto giudizio e regolarsi secondo l’esperienza del passato; e
allora diciamo che quell’uomo ha una forte volontà: egli non è in balia delle circostanze, non è
zimbello d’ogni impulso, non è come nave alla mercé delle correnti o sballottata dai venti. Egli è
piuttosto come nave diretta da un nocchiero che sa il suo dovere, che utilizza le correnti ed i
venti per condurla dove vuole, che si serve del timone della volontà per mantenere la nave nella
rotta da lui stesso prefissata. Ed è vero che questa differenza fra volontà forte e debole è un
indizio di sviluppo dell’individualità; di mano in mano che l’uomo cresce, che l’individualità si
sviluppa, questa facoltà di dirigersi, che è dentro di noi, è una delle più chiare prove dello
sviluppo.
Ricordo che Helena P. Blavatsky in uno dei suoi scritti sull’individualità, disse che si può
riconoscere la presenza della individualità nell’uomo e l’assenza sua negli animali inferiori
osservando il modo con cui l’uomo e gli animali inferiori agiscono in certe circostanze. Se prendete
una quantità di animali selvaggi e li ponete in circostanze consimili, troverete che agiscono tutti
generalmente allo stesso modo. La loro azione è determinata dalle circostanze in cui si trovano;
nessuno di essi tenta di modificare le circostanze, valendosi dell’una contro le altre in modo da
seguire la strada prescelta; agiscono tutti nello stesso modo. Se voi conoscete la natura
dell’animale e le circostanze, potete giudicare l’azione dell’intera classe dall’azione di uno o due
dei suoi componenti.
Ora ciò dimostra chiaramente l’assenza di individualità. Ma se voi prendete ,un certo numero di
uomini, voi non potete determinare in precedenza che essi agiranno tutti nella stessa guisa, poiché
a seconda del diverso sviluppo individuale le azioni saranno varie pur essendo uguali le
circostanze. Un individuo è differente dall’altro, ha una volontà sua propria, e perciò agisce e
sceglie differentemente; l’uomo di debole volontà ha meno individualità, è meno sviluppato, non è
molto avanti sulla via dell’evoluzione.
Ora, supponendo abbia raggiunto quella qualità, l’uomo potrà fare un nuovo passo oltre il semplice
dominio della natura inferiore da parte di quella superiore; e potrà incominciare a rendersi conto
che il pensiero è un potere creatore. Ciò, però, richiederà qualche speciale cognizione di
filosofia. Se, per esempio, avrà studiate le grandi opere degli Indù, egli potrà aver acquisito una
definita nozione intellettuale di questa facoltà creatrice che è il pensiero; ma, al tempo stesso,
avrà pure imparato che, al di sopra di ciò che egli chiama la mente, vi è qualche altra cosa. Poiché
il fatto che il pensiero è un potere creatore, che l’uomo può generare un pensiero per mezzo della
mente, che egli può influenzare ed educare questa sua mente e quella degli altri mediante una tale
facoltà creatrice, dimostra che oltre la mente deve pur esistere qualche cosa che si distingue da
essa e che di essa si serve come di uno strumento. E qui lo studioso, che cerca di comprendere sé
stesso, comincia ad accorgersi di aver a che fare con una mente difficilissima da dominare, che i
pensieri sembrano scaturire spontaneamente senza ch’egli abbia libertà di scelta, per cui egli si
trova assillato da idee che desidererebbe assai diverse.
Gli vengono alla mente fantasticherie d’ogni sorta che vorrebbe scacciare; ma si sente impotente,
incapace di liberarsene. Si trova costretto a rimuginare dei pensieri che dominano la sua mente e
che non sono affatto sottoposti al suo comando od alla sua autorità. E comincia ad osservare questi
pensieri ed a chiedersi: donde vengono? Come agiscono? Come possono essere dominati? E a poco a poco
impara che molti dei suoi pensieri hanno origine nella mente di altri uomini, e che secondo la
direzione del suo proprio pensare egli attira a sé dal mondo mentale esteriore i pensieri degli
altri; che a sua volta, egli influenza la mente altrui coi pensieri da lui prodotti, e comincia a
comprendere che questa responsabilità è assai più grande di quanto avesse mai sognato.
Egli soleva credere che solo col parlare potesse agire sulla mente altrui, che solo con l’esempio
delle sue azioni potesse influire sulle azioni altrui; ma via via che acquisisce maggiori
cognizioni, comincia a comprendere che vi è un potere invisibile il quale esce dalla mente dell’uomo
pensante e agisce sulla mente delle altre persone. La scienza moderna ce ne dice qualche cosa e
viene alle stesse conclusioni; da molti dei suoi esperimenti la scienza moderna ha imparato che il
pensiero può essere trasmesso da cervello a cervello senza l’intermediario della parola parlata o
del segno scritto, e che nel pensiero vi è qualche cosa .di palpabile, di osservabile, simile ad una
vibrazione che fa vibrare altre cose, quand’anche non venga formulata una parola, non venga emessa
nessuna frase articolata. La scienza ha scoperto che il pensiero può essere trasmesso in silenzio da
uomo a uomo, che senza comunicazioni esterne (o, come dice il professor Lodge, senza nessun mezzo
materiale di comunicazione, impiegando la parola “materiale” nel senso fisico) è possibile ad una
mente di influenzarne un’altra.
Se così è, noi ci influenziamo tutti reciprocamente per mezzo del pensiero senza parlare né agire.
Poiché il pensiero che noi abbiamo generato va ad agire sulla mente degli altri uomini e i pensieri
degli altri vengono a noi ad influenzare la nostra. Incominciamo così a persuaderci che per la
maggior parte degli uomini il vero pensare è cosa rarissima nella vita loro e che quando noi
crediamo di pensare, in genere non facciamo che accogliere pensieri altrui. Infatti la mente degli
uomini è assai simile ad una casa, ad un albergo dove i viaggiatori di passaggio dimorano per una
notte. Il pensiero entra ed esce. L’uomo contribuisce ben poco al pensiero che riceve: lo raccoglie,
lo ospita, e poi quello se ne và. Ma ciò che si dovrebbe fare sarebbe di pensare deliberatamente,
con uno scopo ben determinato.
Perché dovrebbe aver tanto valore questa padronanza di mente, questa padronanza del pensiero, questo
fermare il pensiero proprio, questo rifiuto di accogliere i pensieri altrui? Perché deve essere
questo un requisito per il discepolo? Perché quando un uomo diventa discepolo i suoi pensieri
acquistano maggior potere; perché quando un uomo diventa discepolo la sua individualità cresce, si
sviluppa, si fa più potente, ed ogni suo pensiero acquista maggiore vitalità, aumenta di energia e
di influenza sul mondo esteriore degli uomini. Con un pensiero l’uomo può uccidere; con un pensiero
l’uomo può influenzare una moltitudine; con un pensiero l’uomo può creare un’illusione visibile che
potrà ingannare altri uomini e traviarli. Siccome il pensiero è tanto più potente quanto più
l’individuo cresce e si sviluppa, siccome la condizione di discepolo significa un rapido sviluppo ed
accrescimento di individualità, tanto che l’uomo può compiere in poche vite quello che altrimenti
richiederebbe migliaia e migliaia di anni per essere compiuto, così è necessario che egli prima di
acquisire queste elevate facoltà, impari a dominare i propri pensieri, a correggere tutto quanto vi
ha in essi di male, a non dare ascolto se non a ciò che è puro, benefico ed utile.
La padronanza della mente per parte del Sé è posta dunque come condizione per il discepolo, poiché,
prima che un uomo abbia quell’aumento di potenza del pensiero che viene dall’insegnamento del Guru,
egli deve aver acquisito la padronanza sullo strumento dal quale i pensieri sono prodotti, in modo
da poter fare ciò che determina di fare e non produrre nulla senza il proprio pieno consenso.
So che qualcuno solleverà qui delle obiezioni. Mi si dirà: che cosa è questo individuo che va sempre
sviluppandosi? Che cosa è questo individuo che sviluppa volontà e padronanza sulla mente, e che, voi
dite, non è la mente, ma qualche cosa di più grande? Prendiamo dal mondo esterno un esempio che vi
aiuti a comprendere come venga a formarsi e come progredisca l’individuo. Supponete di essere
entrati in un ambiente saturo di vapore acqueo, ma così caldo che il vapore vi rimanga invisibile;
non vi è nulla, direste, tranne che aria. Voi sapete però benissimo che, se un poco di quell’aria
così carica di vapore fosse rinchiusa in un vaso e lentamente raffreddata, apparirebbe una nebbia,
lieve dapprima, poi sempre più densa finché col continuo raffreddamento dell’aria verrebbe a
formarsi una goccia d’acqua là dove prima non si vedeva nulla.
Ora questa immagine fisica può servire ad illustrare, per quanto grossolanamente, la formazione
dell’individuo. Da quell’Invisibile, che è l’Uno da cui tutto procede, si condensa ed appare, per
così dire, una debole nube che si fa visibile, che, separandosi dal vapore invisibile che le sta
dintorno, si condensa sempre più finché diventa la goccia individuale che noi riconosciamo come
un’unità. Da ciò che è il Tutto nasce il separato e distinto, veramente uno in natura e identico in
essenza col Tutto, ma distinto da Esso per le sue condizioni, e con individualità sua propria.
E l’anima individuale dell’uomo è una di queste individualizzazioni provenienti dall’Unico Sé, la
quale cresce via via con l’esperienza: Cresce ed aumenta e si sviluppa col rinascere di vita in
vita, innumerevoli volte. E ciò che noi chiamiamo mente è appunto una parziale emanazione di questo
individuo nel mondo della materia. Come l’ameba per nutrirsi protende una porzione del suo corpo,
avvolge una particella di sostanza nutritiva e di nuovo ritira nel corpo la parte protesa per
assimilare l’alimento da essa raccolto, così l’individuo posto nel mondo – mondo fisico- spinge
fuori una piccola parte del proprio Sé per raccogliere esperienza come suo nutrimento, e la ritira
di nuovo al momento di ciò che chiamiamo la morte, assimilando l’esperienza acquisita per
alimentarne il proprio progresso. E il tentacolo proteso nel mondo fisico è la mente, parte
dell’individuo, dell’anima; la coscienza, che è voi stessi, è più grande della vostra mente, la
coscienza, che è voi stessi, è più grande di ciò che voi riconoscete come intelletto. Tutto il
vostro passato, con tutta l’esperienza che avete accumulata, è ammassato nella coscienza; tutte le
cognizioni acquisite sono nella coscienza, che è realmente voi. Nascendo, voi protendete una piccola
parte di voi stessi per raccogliere nuove esperienze ed accrescere ancor più questa coscienza;
l’anima le prende per il suo sviluppo, ed in ciascuna vita con più vasta coscienza cerca di
influenzare quella porzione protesa di sé. Ciò che noi chiamiamo la voce della coscienza non è altro
che questo più grande Sé il quale parla al sé inferiore e cerca di illuminarne l’ignoranza con
quella sapienza che di vita in vita è andato acquisendo.
Ma noi sappiamo che vi é una difficoltà a proposito di questo nostro sé inferiore, la mente.
Ricordate ciò che Arjuna disse a Shrî Krishna parlando di questo dominio sul Manas inferiore che
stiamo studiando? “Manas è veramente irrequieto”, diceva al suo divino Maestro, “o Krishna; esso è
impetuoso, forte, difficile da frenare; io lo credo tanto difficile da frenare quanto il vento”. Ed
è vero; chiunque tenta di domare la mente sa quanto sia vero. Chiunque tenta di padroneggiare il
Manas sa quanto irrequieto, impetuoso e forte esso sia, e come difficile da frenare. Ma ricordate
voi ciò che il Signore rispose ad Arjuna? “Senza dubbio, o potente, Manas è difficile da frenare ed
irrequieto, ma si può frenarlo con la pratica costante e con l’indifferenza”.
Non vi è altra via. Pratica costante: nessuno può farla per voi; nessun Maestro può compierla per
voi. E finché non avrete cominciato ad occuparvene, non vi sarà possibile trovare il Guru. È inutile
piangere e desiderare, se non fate i passi che sono prescritti dalle note parole di tutti i grandi
Maestri per condurvi ai loro piedi. Vi è un eccelso Maestro, un Avatara, che stabilisce ciò che deve
esser fatto, asserendo che lo si può fare. E quando un Avatara dice che ciò può esser fatto, intende
dire che può essere fatto dall’uomo che lo vuole; poiché Egli conosce le facoltà di coloro che vede,
e che Egli come Ente Supremo, ha messo in questo mondo. Quando Egli con la Sua divina parola ci
afferma che la vittoria è possibile, oseremmo noi negarlo, dando in certo qual modo una smentita al
Dio che parla?
Ma come pervenirvi? “Con la pratica costante”, dice il Signore; vale a dire che nella vostra vita
giornaliera, qualunque essa sia, nella vita affaccendata degli uomini, voi dovrete cominciare ad
avvezzare questa vostra mente irrequieta ad assoggettarsi alla vostra volontà. Tentate per un
momento di pensare con fermezza: troverete che i vostri pensieri volano via lontano. Che cosa dovete
fare? Ricondurli al punto in cui desiderate fissarli. Scegliete un soggetto e quindi pensatelo in
modo definito e continuato. Ricordate che voi avete un immenso vantaggio in questa educazione della
mente; avete le antiche tradizioni indù, avete l’eredità fisica plasmata secondo queste tradizioni,
e la vostra educazione da giovani che avrebbe dovuto abituarvi a questo dominio della mente.
Il vincere l’irrequietezza della mente è assai più difficile ad un Occidentale di quanto non
dovrebbe essere per voi, perché in Occidente non è stata insegnata la padronanza della mente; questa
non fa assolutamente parte della loro educazione religiosa, e gli uomini vi sono inclini a vagare da
un soggetto all’altro. L’abitudine – per citare un esempio volgare – di leggere costantemente
giornali, forse tre o quattro al giorno, è una delle cose che rendono difficilissima la padronanza
della mente. Voi passate da un soggetto all’altro; una quantità di telegrammi trasporta la vostra
mente, come in un vortice, in Inghilterra, in Francia, in Spagna, nella Kamchatka; nella Nuova
Zelanda, in America; quando avete letto quella parte trovate un altro genere di notizie: rapporti di
fatti di gente ben nota, resoconti di spettacoli teatrali, cronache giudiziarie, e poi regate,
corse, descrizioni di esercizi sportivi od atletici e così via. Conoscete tutti lo svariato
contenuto dei giornali.
Gli uomini non sanno il male che fanno a sé stessi con lo sciupare le energie della mente, come le
sciupano ogni giorno, in queste materie volgari e di nessuna importanza. Voi troverete, lo so, in
Inghilterra delle persone che leggono una mezza dozzina di giornali ogni giorno; questo è qualcosa
di peggio che sperperare le facoltà della mente, poiché con questo sperpero continuato di giorno in
giorno voi ne acquisite l’abitudine e perdete la possibilità di concentrare i pensieri sopra una
sola idea. Si aggiunga la perdita di un tempo che potrebbe essere dedicato a materie più elevate.
Non intendo dire che, come uomini nel mondo, voi non dobbiate conoscere ciò che accade nel mondo, ma
è più che sufficiente leggere un solo giornale che tratti delle più importanti materie del mondo
esterno, e leggerlo tranquillamente per alcuni minuti; sapendo come leggerlo, ciò basta per tenersi
al corrente delle cose esteriori.
Al fine di combattere questa moderna tendenza di sperperare i pensieri, dovreste prendere
l’abitudine giornaliera di pensare consecutivamente e di concentrare per qualche tempo l’attenzione
sopra un solo soggetto. Una seria pratica per allenare la mente sarà quella di leggere ogni giorno
un brano di qualche libro che tratti di profonde questioni della vita, dell’eterno piuttosto che del
transitorio. Fissate bene la mente mentre leggete; non le permettete di distrarsi, di divagare. Se
divaga richiamatela, riconducetela alla stessa idea, ed in questo modo voi la rafforzerete,
comincerete a frenarla e con una pratica costante imparerete a dominarla e a farle seguire la strada
da voi desiderata. Questa qualità è di grande vantaggio anche nelle cose mondane.
Col far ciò non vi preparate soltanto per la vita superiore che si apre dinanzi a voi, ma anche per
le cose comuni, nelle quali, con la concentrazione, otterrete i maggiori successi. L’uomo che sa
pensare in modo ordinato chiaro e preciso è quello che anche nel mondo inferiore saprà trovare la
propria strada. Vi accorgerete così che questa pratica costante nell’educare la mente è utile tanto
nelle cose materiali quanto in quelle spirituali. Ed allora imparerete, a poco a poco, quel dominio
della mente che è una delle condizioni imposte al discepolo. Mentre educate in tal modo la mente,
farete forse un altro passo – la meditazione. La meditazione è il deliberato e formale addestramento
della mente alla concentrazione ed alla fissità di pensiero. Voi dovete praticarla ogni giorno,
perché così facendo siete aiutati da ciò che si chiama l’automatismo del corpo e della mente. Ciò
che si fa ogni giorno diventa un’abitudine.
Ciò che si fa ogni giorno, dopo qualche tempo, si compie senza sforzo, ciò che è difficile in
principio, diventa facile con la pratica. Ora, la meditazione può essere in parte devozionale ed in
parte intellettuale, e l’uomo saggio che si prepara a diventare un discepolo mediterà in ambedue le
maniere. Egli concentrerà la sua mente, fisserà il suo pensiero sul divino ideale, sul Maestro che,
sconosciuto al presente, egli spera sempre di trovare alla fine; e tenendo dinanzi a sé questo
perfetto ideale, egli vi fisserà la sua mente inferiore nell’ora della meditazione, ed aspirerà
verso quello con pensiero fisso ed irremovibile.
Man mano che la mente si sviluppa, ciò diventerà più facile; mentre tiene questo ideale fisso
dinanzi alla sua mente in meditazione, l’uomo comincerà a rifletterlo, a svilupparsi un poco a sua
somiglianza. Questa è una delle facoltà creatrici della mente – l’uomo diventa ciò su cui riflesse;
e se riflette giornalmente sul perfetto ideale dell’umanità, comincerà ad avvicinarsi egli stesso a
quel perfetto ideale. Allora egli a poco a poco si accorgerà che, fissando in modo saldo la mente su
questo ideale, facendone l’oggetto delle sue aspirazioni e bramando di venirne in contatto, durante
questo tempo della meditazione la mente inferiore si farà calma e tranquilla, mentre il mondo
esterno sparirà dalla sua coscienza e la coscienza più profonda sorgerà, per così dire, dal suo
intimo – la coscienza superiore, quella dell’individuo che comprende e conosce ciò che egli è.
…
Lascia un commento