IL SENTIERO DELLO YOGA

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IL SENTIERO DELLO YOGA

di Rohini Devi

Lo yoga è la scienza che da millenni è riuscita ad analizzare e a definire, meglio di ogni altra, la
mente umana, scoprendone i meccanismi psicologici più profondi e complessi e riuscendo a spiegare,
attraverso un’analisi sempre precisa, il comportamento e le reazioni dell’individuo in ogni
situazione specifica della vita.

La mente dell’uomo presenta due aspetti opposti e contrastanti: da una parte è attirata verso la
ricerca della propria natura divina, spinta in questa direzione da un innato bisogno spirituale che
prima o poi affiora nel naturale processo evolutivo. Sotto questo profilo, la mente diventa il mezzo
unico, lo strumento indispensabile che l’uomo possiede per compiere un progresso spirituale. Allo
stesso tempo, essa rappresenta l’ostacolo più forte da smontare per percorrere il cammino dello
yoga, in quanto, per sua natura, è anche fortemente attirata verso tutto ciò che è apparente e
illusorio.

Anzi, secondo la concezione che considera maya, l’illusoria realtà empirica contrapposta al
Brahman, l’unica vera realtà, la mente stessa è illusoria: il suo contenuto, i pensieri, i desideri,
i sogni sono solo apparenti. Allo stesso tempo però la mente, da un punto di vista relativo, esiste,
ha un forte potere e ha una precisa struttura: manas, la mente ordinaria, buddhi, l’intelletto
superiore che ha la facoltà di discernere, ahamkara, l’ego che determina l’individualità e citta, la
mente inconscia dove vengono immagazzinate tutte le impressioni, frutto delle percezioni sensoriali,
le memorie legate alle esperienze accumulate nel corso delle innumerevoli esistenze.

I grandi maestri, fin dall’antichità, hanno fatto luce sulla struttura mentale dell’individuo per
offrire i mezzi di reintegrazione, mettendo in evidenza gli ostacoli maggiori che si incontrano
sulla strada yogica, che nascono non dall’esterno, bensì all’interno dell’uomo. Il desiderio viene
visto come il freno più forte, che impedisce all’uomo di staccarsi dalle cose mondane, di uscire dal
vortice dell’esistenza, ed è considerato come la causa incessante di tutte le vritti della mente.

Negli Yogasutra, cinque diversi tipi di vritti sono classificati e definiti molto chiaramente da
Patanjali.

La parola vritti è tradotta come “modificazione, movimento, attività, onda”, intendendo con questo
termine le diverse condizioni della mente quando è distolta dalla sua natura reale e si identifica
negli oggetti che percepisce, assumendone la forma.

L’insegnamento degli yogi, dei saggi, delle sacre scritture, indica 1’avidya, l’ignoranza, il non
conoscere la vera natura divina dell’uomo, come la causa unica che genera il desiderio il quale, a
sua volta, produce attaccamento.

Il desiderio crea disturbo, compare nella mente conscia e, finché non viene soddisfatto, crea
tensione e sofferenza; al suo appagamento segue una breve tranquillità fino al sorgere di un altro
nuovo desiderio.

Anche quando la mente sembra apparentemente in uno stato di quiete, i desideri sono presenti
nell’inconscio: a livello latente, pronti a riaffiorare.

L’azione di purificazione, che chi intraprende la strada spirituale deve affrontare, ha lo scopo
appunto di liberare la mente, eliminando le cause di disturbo per permettere alle energie spirituali
più sottili di fluire.

Analizzare la propria natura con atteggiamento critico porta a intravedere gli attaccamenti agli
oggetti e alle persone che ci circondano da cui ci si sente naturalmente attratti. L’attaccamento
crea una catalizzazione dei pensieri così forte che non consente alla mente, che ne resta
completamente assorbita, di spaziare oltre e produce l’alternanza di piacere, quando si gode
dell’oggetto del desiderio (raga) e di dolore quando questo viene a mancare (soka).

Attrazione e repulsione (raga e dvesa) costituiscono la coppia di opposti che lega l’individuo
agli oggetti sensoriali, condizionandone fortemente la vita.

Di solito l’uomo, dominato da questa alternanza, è attratto con intensità da oggetti e persone,
verso i quali, trascorso il momento di coinvolgimento e passione, nutre per lo più sentimenti di
insofferenza e di rifiuto.

Non sempre, a causa dell’ego, si riescono a riconoscere i propri attaccamenti ed è per questo che
l’azione del Maestro è così importante, perché mette a nudo la psiche tendenze più nascoste a
emergere, quelle tendenze che da soli non si riuscirebbero a scoprire e, ancora meno, a superare.

La lotta contro gli attaccamenti è lunga e difficile in quanto, anche quando si riesce con uno
sforzo enorme a eliminarne uno, in realtà si cambia solamente l’oggetto dell’attaccamento perché,
poco dopo, la mente sposta l’attenzione su un altro oggetto e si ricrea e si ripete lo stesso
meccanismo.

Nel momento in cui si decide di dare alla propria vita uno scopo spirituale ed evolutivo, ha
inizio la battaglia interiore contro le tendenze negative, battaglia che deve essere affrontata con
forza e decisione anche quando ciò crea sofferenza: questa è la sadhana necessaria per superare
l’ego. Solitamente, purtroppo, si tende a essere indulgenti con se stessi, a trovare facili e comode
giustificazioni e, quando ci si dimostra così deboli, sono ancora la mente e l’ego che trionfano.

La mente comune è completamente assorbita nel movimento incessante dei desideri che può esaurirsi
solo quando si smuove la loro radice. Ciò si ottiene quando si comprende che in realtà niente ci
appartiene e che, per il naturale movimento della vita. ciò che possediamo oggi non è detto che
l’avremo anche domani, che tutto ciò che ci circonda è effimero e che la vera realtà è un’altra,
celata sotto le sovrapposizioni della maya.

E’ sempre il potere della maya che ci rende inconsapevoli dei continui mutamenti che si verificano
in noi e intorno a noi.

L’attaccamento a se stessi, che si esprime con atteggiamenti negativi di orgoglio e di
presunzione, di desiderio di affermazione di sè, di rafforzamento della propria identità e con il
bisogno di gratificazione, costituisce un notevole ostacolo. Come anche l’attaccamento al corpo
fisico che si rileva con la paura delle malattie, della vecchiaia e della morte. Persino gli
attaccamenti apparentemente più banali incidono profondamente sul nostro inconscio, rafforzano il
nostro ego, influenzano anche le vite successive, creando la nascita di nuovi samskara che
determineranno nuove incarnazioni.

Anche il coinvolgimento emotivo, sentimentale, affettivo, su cui si fondano i rapporti
interpersonali, crea piacere e felicità, ma pure dolore e sofferenza, quando non si è in grado di
essere impersonali e alla base c’è desiderio e senso del possesso.

Uno dei metodi yoga per superare tali ostacoli consiste nello sviluppare tendenze positive per
sostituire quelle negative, meditare sull’opposto di ogni impulso per render più debole la forza che

alimenta gli aspetti più bassi della nostra natura. “Quando la mente è turbata da pensieri
scorretti, la ponderazione costante sugli opposti costituisce il rimedio”. (YS. I. 33) Questo
richiede una grande forza di volontà del sadhaka e una forte applicazione, ma è l’unico mezzo
efficace per sconfiggere pensieri, abitudini, tendenze negative: la concentrazione sui loro opposti
fa sorgere attitudini positive che, sviluppandosi, tolgono intensità alle tendenze indesiderate.

E’ necessario spostare l’attenzione dagli oggetti esterni verso se stessi, raccogliersi sulla
propria reale identità, ricercare una gioia interiore, molto più stabile rispetto alla felicità che
deriva dall’esterno, soggetta a inevitabile alternanza con il dolore, data l’instabilità delle
situazioni che la vita offre.

La disciplina yoga permette di modificare il contenuto della mente, rendendola capace di percepire
un’altra realtà oltre quella sensoriale e di diventare strumento di conoscenza.

Il saggio Vasista, nei suoi insegnamenti al principe Rama, spiega che per realizzare l’Assoluto è
indispensabile liberare la mente, sviluppare lo stato di contentamento, santosha, creando la calma e
la pace mentale. Rammenta inoltre al suo discepolo che l’affollarsi dei desideri serve solo a
riempire la mente con la vanità della loro natura che è la causa di tutte le afflizioni.

Un atteggiamento corretto è quello di vivere il momento presente, senza attaccamento al passato,
alle cose che non esistono più se non come impressioni nella memoria e senza aspettative verso ciò
che deve ancora avvenire: il futuro che si svolgerà, per effetto karmico, in base alle azioni
presenti, ma che potrà avere uno svolgimento imprevedibile perchè molte e complesse sono le cause
che concorrono a determinarlo.

Anche chi intraprende la strada spirituale, pur lasciandosi alle spalle tante abitudini e
strutture mentali negative, si ritrova a dover affrontare ancora attaccamenti, senz’altro più
positivi, che possono essere di aiuto, di stimolo per la crescita evolutiva: l’attaccamento al
Maestro, a un luogo sacro, alla propria sadhana. Ma anche questi attaccamenti producono
condizionamenti, aspettative, conflitti e sofferenze finchè non si riesce a superare il senso di
separazione, frutto della maya che crea le differenze. Solo sviluppando la sensibilità e l’apertura
mentale, ci si può sentire in unione con ogni essere e forma vivente e intravedere Dio in ogni cosa,
in quanto la manifestazione è contenuta nella coscienza stessa, è una sua espressione. Prima di
raggiungere la soppressione dei desideri, traguardo molto avanzato, è giusto lasciare spazio a dei
desideri puri, più elevati, come il desiderio di realizzazione che è un desiderio sattvico perchè dà
la giusta spinta al sadhaka per canalizzare tutte le sue energie verso un’unica direzione.

Solo lo yogi, l’essere evoluto, può essere definito veramente libero dal desiderio e
dall’attaccamento; la sua azione è detta perciò niskamakarma, cioè azione esente da desiderio e che
non produce altro karma. Ciò avviene perchè egli possiede viveka, la facoltà di discriminare ciò che
è giusto da ciò che non lo è, ha rinunciato al mondo, ha realizzato il vairagya che è il completo
distacco e l’assenza di qualsiasi attrazione dagli oggetti che producono piacere.

“La consapevolezza della padronanza perfetta dei desideri, nel caso di chi abbia cessato di
anelare agli oggetti visibili e non visibili, è il vairagya.” (YS.1. 15.)

La via della liberazione che nasce dal distacco dal mondo porta lo yogi verso il bene e la
conoscenza ed è la via evolutiva, contraria alla via involutiva dell’ignoranza spirituale e
dell’identificazione nel mondo.

Nello Yogavasista, si racconta che un giorno il Dio Siva di fronte a un sovrano, afflitto dalle
sofferenze e dalle passioni umane, pronunciò queste parole: “E’ detto essere il più grande
nell’azione colui il quale compie le azioni così come si presentano, senza mostrare piacere o
desiderio di fruizione. E’ detto eseguire bene la sua parte colui che non è toccato emotivamente da
persona o cosa alcuna, ma guarda a ogni oggetto come un testimone “.

Lo yoga offre i più validi mezzi per operare la trasformazione della mente, ma ciò può avvenire solo
se l’evoluzione spirituale diventa il più importante scopo della vita, superiore a ogni altro
interesse e se a esso vengono dedicate tutte le energie. In questo, il guru è esempio costante, con
il suo agire impersonale e distaccato, rivolto verso un’unica direzione, la coscienza divina di cui
egli è il veicolo. Non è possibile nello yoga, come in tutte le altre tradizioni mistiche, alcun
progresso senza la guida di un Maestro che, per mezzo della sua conoscenza, può guidare il discepolo
sulla strada spirituale indicandogli i mezzi più idonei ed efficaci. Solo in questo caso, la mente
potrà veramente essere liberata facendo emergere la vera natura divina.

Così ancora si esprime il saggio Vasista “Avvicinati al Maestro o Rama, con fede e reverenza,
ascolta ogni giorno la santa verità dalla sua viva voce, servendolo con tutte le tue facoltà.

Un giorno riceverai per suo tramite la verità divina e sarai libero “.

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