di Swami Ritajananda
(Riedizione della conferenza di Swami Ritajananda, apparsa nel n° 61 di Vedanta, del 1° trimestre 1981. Swami Ritajananda (1906-1994) e’ stato Presidente del Centro Vedantico Ramakrishna dal 1962 al 1994)
In India esiste una preghiera molto nota, che viene indirizzata al Signore Dakshinamurti. In essa si trova una descrizione del maestro e del suo modo di insegnare. Egli era giovane ed i suoi discepoli persone molto anziane. Il maestro non accennava ad una sola parola. Ma, tutti i dubbi dei suoi discepoli venivano dissipati. Porgeva l’insegnamento senza pronunciare una sola parola. Quest’oggi, tuttavia, non sara’ cosi. Trascorreremo assieme il pomeriggio, parlando. Personalmente, non mi considero un maestro capace di insegnare senza usare dei termini – come faceva lui – e, d’altra parte, voi stessi potreste non essere abbastanza evoluti per riuscire a comprendere solo attraverso il silenzio.
Viviamo in un mondo, nel quale un grande valore viene dato alla parola. Amiamo parlare con i nostri amici. Molte persone, oggi, sono venute qui con il preciso scopo di incontrarne delle altre e per parlare. Il linguaggio rappresenta una grande utilita’, per noi che abbiamo tante cose da dirci. Chi possiede il dono del dire e, in piu’, riesce a pensare in modo giusto, ebbene, costui avra’ molto maggior successo di coloro che non posseggono le sue capacita’. Io conosco un giovane che parla inglese, francese, spagnolo, portoghese e greco; ma, e’ senza appigli: Quando si esprime, anche nella sua lingua, la gente riesce ad afferrare solo alcuni dei concetti che egli propone; il resto viene perso. Personalmente, gli ho consigliato di frequentare una scuola ove gli potessero insegnare a parlare; poiche’, ne avrebbe tratto una grande utilita’. Gli ho detto:” Avete avuto la possibilità di apprendere tante cose dai libri, ma siete incapace di esporre alla gente tutto cio’ che sapete.” Si deve essere capaci di pensare e di parlare; le due qualita’ sono necessarie.
La vita sarebbe sprovvista di senso se noi non potessimo esprimerci. Dobbiamo essere bravi sia nel parlare, che nel riflettere. Le due cose vanno in parallelo. Un uomo abile utilizza queste due facolta’ per fare impressione su coloro che incontra. Il valore di un uomo dipende dal modo in cui egli gestisce le parole per farsi apprezzare. Ma, nello stesso tempo, ci sono degli individui cattivi che sanno esprimersi tanto bene da potere attrarre a se’ tutti coloro che mancano di giudizio. E coloro che li seguono divengono dei nemici della societa’. Non bisogna, di conseguenza, mai accettare senza riflettere le parole degli incantevoli dicitori.
Non dobbiamo dimenticare che la nostra vita e’ una manifestazione dell’energia che possediamo. Questo concetto e’ sempre presente nel mio spirito; e’ divenuto, per me, come un’ossessione. Tutto quanto ho appreso dalle parole di Vivekananda e di altri grandi maestri spirituali mi ha dato la certezza che ognuno di noi e’ capace di riuscita solo grazie alla forza che esiste in lui. E noi dobbiamo essere abili nell’ utilizzare quest’energia enorme – la Shakti, come dicono gli Hindu’ – per il nostro bene e quello del prossimo. La parola e’ uno dei mezzi per manifestare questa forza. Non dobbiamo sciuparla, ma utilizzarla a ragion veduta.
Potreste ribattere che il soggetto del nostro incontro e’ il silenzio, mentre io affronto, invece, l’importanza della parola. E’ vero; ma, perche’ mai il silenzio e’ così importante? Non ho, sinora, mai avuto il piacere di parlarne. Quando mi trovavo nella societa’, restavo quasi sempre silenzioso; e, quando vissi alcuni anni con uno Swami, anche in quell’occasione conservai sempre il mio mutismo. Cio’ lo disturbava. Si dice che vi sono tre tipi di persone che non aprono mai bocca: il muto, l’idiota ed il saggio. Il saggio possiede il controllo delle sue parole. Ed allora, quando vivevo nel bel mezzo della societa’, e non trovavo nulla da dire perche’ quei soggetti mi sembravano senza interesse, me ne stavo tranquillo, lasciando i miei amici alle loro discussioni.
Il valore del silenzio viene insegnato da ogni religione nota. Possiamo constatarlo nelle Upanishad, nelle parole del Budda, negli insegnamenti della Bhagavad Gita, nelle parole di San Giovanni della Croce ed in altri casi. Vi si constata che la pratica del silenzio e’ indispensabile al nostro sviluppo spirituale. Usate, quindi, moderatamente, l’energia di cui trattiamo – e solo quando e’ cosa utile, non continuamente. Osserviamo, in proposito, delle persone che parlano lungo l’intera giornata, senza sforzarsi di comprendere cio’ che dicono. E succede, addirittura, che non se ne riesca piu’ a sopportare le continue ciarle.
Se ci fermiamo a riflettere su ogni cosa che diciamo, potremo accorgerci che le nostre parole non hanno, poi, un grande significato. Vediamo, in tal caso, manifestarsi una sorta di nervosismo; ci sforziamo soprattutto di discutere su non importa cosa; su quanto abbiamo letto, su quanto abbiamo ascoltato, e, qui, si manifesta un fenomeno molto importante: l'”io”. Contate un po’ il numero degli “io” che avete potuto pronunciare durante una conversazione; degli “io”, “io”, “io” senza fine. Ci si ritrova, sovente, cosi’, in un circolo nel quale l'”io” vuole esprimersi, mentre non ha, in effetti, che poche cose da dire.
I grandi maestri affermano che e’ male cercare di parlare tanto; che cio’ arreca uno squilibrio nella nostra esistenza; che e’ un ostacolo alla nostra quiete spirituale. Sri Krishna dice nella Bhagavad Gita:” Io sono il Silenzio”
San Giovanni della Croce aggiunge:
Il Padre ha detto una sola parola, e questa parola e’ suo figlio. E parlava sempre di lui in un silenzio senza fine. E, in questo silenzio, l’anima ascolta
Dio parla; pero’, voi non siete preparati ad ascoltarlo. Fate troppo rumore. Dovete cambiare. Dovete interrompere il flusso delle vostre parole, affinche’ il silenzio possa scendere sino a voi. Solo in quel momento li’, potrete comprendere. Ecco, la disciplina della yoga.
Le parole sono importanti per la vita mondana; ma, per quella spirituale e’, invece, il silenzio che conta, a vantaggio di coloro che vogliono sprofondare in essi stessi, per scoprire quanto vi si cela, per scorgere un orizzonte diverso da quello che vede il se’ immerso nel mondo. Non e’ certamente un obbligo lanciarsi nella ricerca che stiamo indicando. Se vi soddisfa veramente quanto questo mondo vi offre, viveteci tanto a lungo quanto vorrete, ed in rapporto all’amore che gli portate. Ma, un bel giorno, vi chiederete:”A che serve tutto cio’?” L’insoddisfazione che si trova nella vita, il desiderio di capire vi esortano a proseguire piu’ in avanti. I grandi santi, i grandi maestri insegnano che non troverete la felicita’ nella vita ordinaria; la felicita’ viene da un’altra direzione. Nasce da noi stessi.
Riceverete l’insegnamento quando lo richiederete. Coloro che hanno ricevuto tali consigli lasciano, sovente, il mondo e si rifugiano in un eremo, per viverci in solitudine; cosi’, infine, scoprono la pace di ogni gioia, scoprono il significato di Dio e quali sono le sue parole.
Vorrei, ora, raccontarvi una piccola storia, che risale a circa due, o trecento anni fa. Un economo era impiegato in un palazzo, in India. Mori’, ed il figlio, molto giovane, dovette subentrare al suo lavoro. Era un giovane intelligente, ben istruito, attratto dalla vita spirituale. Aveva studiato la lingua del proprio paese – il tamil – ed anche il sanscrito. Si era ben preparato per la ricerca spirituale. Pur obbligato a lavorare nel palazzo, trascorreva ogni giorno al tempio, vi pregava e, quindi, ritornava nella dimora. Erano nate, nei suoi riguardi, delle difficolta’ nel palazzo perche’ la regina si era innamorata di lui. Egli non cercava attaccamenti di quel genere; cio’ lo turbava e costituiva la ragione per la quale egli trascorreva lunghe ore nel tempio.
Un giorno, scorse, nell’angolo del tempio, assiso nella postura del padmasana, un maestro, assorbito nella meditazione. Era la prima volta che notava quella persona. Si senti’ pieno di curiosita’, mentre, tra l’altro, provava un forte desiderio di ricevere un consiglio spirituale. Si sedette, di conseguenza, davanti a quello. Le ore trascorsero: mezzanotte, l’una, le due, le tre. Dopo circa quattro ore, il santo apri’ gli occhi. Vide un giovane seduto davanti a lui, e se ne stupi’:
“Figlio mio, perche’ ti trovi qui? – gli domando’. “Maestro, vorrei ricevere un vostro consiglio spirituale.” Resta tranquillo” – fu la sola risposta.
Non posso dirvi cosa il giovane comprese, ma, piu’ tardi egli scrivera’ un grande libro che, sfortunatamente, nessuno tradusse, ne’ in inglese, ne’ in francese. Vi si legge questo consiglio dato dal maestro di cui parliamo:” Stai tranquillo.” Egli avrebbe potuto comprendere tutto attraverso tali semplici parole. Eppure, domando’ al maestro di aiutarlo ancora. Costui lo guardo’ e gli disse:
“Non e’ il momento. Tu hai ancora qualche dovere da compiere. Devi sposarti e dare un figlio alla tua famiglia. Ti verro’ a cercare allora.”
Il maestro arriva sempre, quando il discepolo e’ pronto. E voi non chiedete da dove egli sia venuto, ne’ indagate le qualita’ che possiede. Non ponete domande, e non cercate altro. Voi sentite che e’ il vostro maestro. Il giovane, di conseguenza, scelse il suo maestro e costui lo accetto’.
Sua moglie mori’ qualche tempo dopo e i parenti vennero a cercare il bambino per allevarlo. Di conseguenza, il maestro torno’ a lui:
“Vieni con me, figlio mio; hai finalmente assolto ogni tuo dovere nel mondo.”
E partirono assieme.
Non posso dirvi cosa gli accadde, ne’ quale fosse la natura dell’insegnamento che egli ricevette; ma, posso assicurarvi che trascorse parecchi anni nel silenzio. Nessuno scrisse la biografia di questo grande santo, chiamato Tayu Manava. Non conosciamo nulla della sua vita, ma ci rimane il suo grande libro, nel quale ci dona un insegnamento straordinario. Egli cita una spiritualita’ che trascende il mondo dei nomi e delle forme. Si esprime come faceva Sri Ramakrishna: Brahman e’ saguna e nirguna; cioe’, Brahman e’ Dio con forma e Dio senza forma: l’Assoluto. Manava ha composto numerosi poemi ben noti nel sud dell’India. E tutto e’ provenuto da un semplice consiglio:” Sta tranquillo”.
Avete sentito parlare di Trailinga Swami, che visse a Benares. Sri Ramakrishna lo incontro’, come pure la Santa Madre, e come numerose altre persone. Era un grande yoghi; forse, unico. Si diceva che avesse vissuto oltre i 250 anni. Era di una taglia fisica molto forte. Nessuno l’ha inteso parlare. Eppure, egli sapeva tutto, e la sua saggezza era grande. La sua spiritualita’ impressionava. Praticava il silenzio. Il silenzio può divenire un mezzo.
Nel libro di Tayu Manava si impara che il suo maestro gli aveva detto soltanto:” Sta tranquillo “. Ogni insegnamento e’ condensato in queste due parole. Noi amiamo parlare, e la parola e’ la cosa piu’ facile da frenare. Le Scritture ci richiedono la gestione di noi stessi; il controllo del mentale. La prima disciplina insegnata dai maestri come Tayu Manava per acquistare la padronanza della mente e’ di controllare le parole. Spinti dall’ego, noi sentiamo il desiderio di parlare. Parlare della nostra vita, parlare di cio’ che oggi stiamo facendo, e di cio’ che faremo domani. Sempre “io”, “io”. Oppure, ci occupiamo dei difetti altrui. Il ciarlare, lo stabilire la propria superiorita’: tutti questi pensieri sono nefasti per la vita spirituale. Innanzitutto, bisogna apprendere a guidare le proprie parole. Ecco, la ragione per cui il silenzio viene considerato come una grande disciplina spirituale.
Sri Ramakrishna diceva spesso che i capi famiglia, coloro che vivono nel mondo, era bene si discostassero da cio’, di tanto in tanto. Quando non potrete parlare con nessuno, il vostro cervello diverra’ molto attivo; voi riuscirete a pensare facilmente e troverete la soluzione dei vostri problemi.
Vorrei aggiungere questo. Il Buddismo ha assunto una grande influenza nel Tibet. La vita di Milarepa mi ha fatto sempre una forte impressione. Era un individuo straordinario. Parlava del silenzio. Il maestro esamina accuratamente il ragazzo che ha scelto, gli fa subire diverse prove e lo accetta se ne resta soddisfatto. Gli chiede di costruire una piccola caverna, interamente sigillata, da cui non puo’ uscire. Il ragazzo non dispone che di una lampada. E’ una disciplina molto dura. Certuni ne muoiono; altri divengono folli, perche’ non riescono a sopportare la solitudine. Ma, coloro che sanno organizzare la propria vita, che riescono a comprendere il proprio spirito, costoro possono riuscire. Milarepa e’ divenuto un grande maestro spirituale. E parla della sua esperienza e del valore del silenzio, che viene ad aiutarci.
Come dobbiamo comportarci, di conseguenza? Ecco, allora, un esempio ben noto della vita del Mahatma Gandhi. Egli non era un maestro spirituale come possiamo comprenderlo. Era un maestro, a modo suo. Ogni lunedi’ rappresentava, per lui, il giorno del silenzio. In quella giornata egli non parlava affatto. “Lo faccio per il mio bene” – diceva – ” perche’, durante tutto il tempo che utilizzo a parlare, rifletto poco. Quando smetto di parlare, mi e’ più facile riflettere a quanto dico, a cio’ che intendo fare. E, quando prego, posso anche dimenticare il mondo”.
Se peniamo a meditare, gli e’ perche’ parliamo troppo. Se io parlo per l’intera giornata, con degli amici, su ogni sorta di argomentazioni, quando mi siedo per meditare, tutto cio’ che ho detto, tutto cio’ che ho ascoltato ritorna a scorrere davanti a me come il film in un cinematografo. Ecco la ragione per cui il ricercatore spirituale deve, a volte, andare a vivere da solo, in una caverna, per ritrovarsi nel pieno silenzio.
All’inizio, sicuramente, incontrera’ delle difficolta’; ma, poco a poco, tutto si estingue, ed egli puo’ cominciare a meditare. Il silenzio che, allora, scopre e’ indispensabile per la sua ricerca. E’ come per l’oceano, le cui tempeste sono prodotte dai venti. Chi ricerca la spiritualità si distacca sempre piu’ dalla vita esteriore. Non giungo ad affermare che un simile individuo non parlera’ più. Parlera’ ancora, come afferma Sri Aurobindo. Aurobindo ha trascorso l’intera vita in silenzio. Non disse mai di avere tagliato le sue relazioni con il mondo; diceva solo di non esserne coinvolto.
Se resto troppo identificato con il mondo, la mia ricerca spirituale richiedera’ diversi anni – forse, diverse vite; difatti, devo essere completamente distaccato per entrare nella via. Quando, pero’, la mente diviene tranquilla si manifesta un’altra dimensione. Non siamo piu’ come eravamo prima. Raggiungiamo un altro livello. Come diceva san Giovanni della Croce, noi giungiamo a sentire le parole di Dio. Tutto diviene chiaro. Le nostre azioni assumono una dimensione differente; non sono piu’ nostre, le azioni. Io parlo, e voi mi ascoltate. Li’, non esistono degli “io” che parlano e degli “io” che ascoltano. I grandi maestri non affermano mai:”Io faccio qualcosa”. E noi ritroviamo il medesimo concetto nella Bhagavad Gita. Per i saggi le azioni sono compiute attraverso i sensi; il legame tra il se’ ed i sensi viene tagliato. Il saggio non si riconosce come un testimone di cio’ che accade attorno a lui. E voi resterete sempre sorpresi di vederlo cosi’ felice, sempre contento, mentre si esprime con una facilita’ del tutto straordinaria. Nulla riesce a disturbarlo. Si produce un radicale cambiamento quando un individuo raggiunge una diversa dimensione nella vita. Ecco, cosa noi intendiamo come vita spirituale.
Se noi conquistiamo questo silenzio, evitando le conversazioni inutili, riflettendo molto, ricordandoci costantemente dell’ideale scelto, la nostra vita cambiera’. E per questo scopo possiamo utilizzare tutto cio’ che ci si presenta, qualunque sia il nostro modo di vivere.
A questo punto potrete domandarmi:” Debbo, dunque, abbandonare il mio modo di vita attuale ed entrare in una caverna, divenendo un eremita?” No, non intendo dire questo, poiche’ bisogna subire una preparazione molto lunga prima di sopportare la vita eremitica. Dovete, semplicemente, praticare il silenzio nella vita ordinaria, nell’ambiente che rappresenta la vostra attuale quotidianita’; tacere quando vi rendete conto che non avete nulla da dire. Se vi viene il desiderio, prendetevi un attimo di riflessione. Domandatevi se e’ veramente necessario farlo. Non parlerete, allora, se non dopo avere riflettuto; ma, a quel punto, forse tacerete. Ecco, un modo per cominciare a controllare la vostra mente. Il primo passo verso il dominio della mente e’ di evitare ogni conversazione inutile.
Con il controllo della parola giunge quello della mente. Quando una persona comincia a vivere da sola in una caverna, non cerca di sapere cio’ che succede fuori; non si incuriosce per i rumori della strada; non ha alcun desiderio di gustare alimenti vari. Tutti i suoi sensi debbono venire dominati. Se riceve un’esperienza spirituale, puo’ ben pensare di essere benedetta. Ed e’ benedetta perche’ nulla puo’ piu’ attirarla. Vive gia’ in un’altra dimensione; l’attuale vostra realta’ le sembra poca cosa in paragone alla sua, ed essa puo’ utilizzare l’intera propria energia senza dovere ricercare i divertimenti, i piaceri. Essa e’ felice senza essere costretta a seguire i piaceri del mondo.
Con il controllo della parola giunge quello della mente. Tramite il controllo della mente si raggiunge lo scopo. Ci viene raccomandato di associarci a persone che vivono una vita spirituale. Vedendole, parlando con esse, la nostra aspirazione si fa sempre più chiara; la vita spirituale ci attira di piu’ in piu’, mentre diminuisce il nostro attaccamento per la vita materiale. Quando un uomo si e’ completamente distaccato, non sara’ mai piu’ imprigionato da questa vita. Quando si e’ liberi dall’illusione la padronanza della verita’ diviene più stabile. E quando si e’ ben saldi in essa, si raggiunge lo stato di jivan mukta: lo stato di liberazione in questa medesima vita.
E’ l’ideale del silenzio, secondo Sri Aurobindo. Un mentale tranquillo non significa che esso sia senza pensieri, che la sua attivita’ risulti sospesa; ma, tutte queste funzioni resteranno alla superficie. Percepirete sempre di essere lo spirito, e non un individuo umano. Vi trasformate in testimone; la vita ordinaria cessa di avere qualunque presa su di voi. Potete osservare, giudicare e respingere quanto vi sembra senza valore, mentre conserverete quel che vi sembra buono. Ecco, la vera coscienza, e la vera esperienza spirituale.
Sri Aurobindo parla anche del grande valore del silenzio. Non si tratta di un mezzo negativo, e neppure di un ostacolo. Anche se il piu’ alto ideale spirituale e’ la comunione con Dio, il controllo delle parole e quello della mente sono molto utili nella vita ordinaria. E se continuerete a persistere in questa pratica, raggiungendo una grande maestria in essa, sarete capaci di controllare il mentale e di ottenere lo scopo della vita.
Ramana Maharshi non ha mai tenuto conferenze; ma, restava sempre silenzioso come il grande maestro Dakshinamurti. Le persone si sentivano sempre bene in sua presenza. Vi trovavano la pace dello spirito. Ed egli non la faceva regnare con la parola, ma con la sua stessa tranquillita’. Era come l’oceano, nel quale si disperde il rapido fiume. Questo, provavano tutti coloro che andavano a visitarlo.
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