Il sonno della coscienza

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Il sonno della coscienza

Newton

01 marzo 2003

Cosa succede al cervello durante l’ anestesia ? E se per caso ci si sveglia all’ improvviso ? È
reale la sensazione di entrare in un tunnel ? E quali tecniche alternative e più ” dolci ” sono oggi
disponibili ?

Un buco nero. Un tunnel. Dove la coscienza svanisce e non si ha più il controllo del proprio corpo e
nemmeno di se stessi. Questa è l’ anestesia per chi la subisce. Una terra di nessuno popolata ancora
da mille paure: cosa succede al mio cervello quando mi addormentano ? E se mi sveglio
improvvisamente prima del tempo, mentre i chirurghi sono ancora all’ opera nel mio corpo ? Fino alla
domanda che tutti si fanno anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo: c’ è il rischio che non mi
risvegli più ?

Per i medici che abbiamo intervistato, questi timori assomigliano un po’ a quelli dell’ aereo. In
nessun caso il rischio è zero, ma in entrambi i casi molte preoccupazioni risultano infondate,
soprattutto alla luce dei progressi che l’ anestesia ha compiuto negli ultimi anni. Operazioni sotto
controllo: “addormentare un paziente”, dice Nino Stocchetti, professore associato di Anestesia e
Rianimazione all’ Università di Milano, “è un po’ come pilotare un aereo: si decolla, si vola, si
atterra. E non si può fare nessuna di queste operazioni senza gli strumenti che segnalano di volta
in volta cosa sta accadendo. Questa è l’ anestesia moderna, una tecnica fatta in buona parte di
monitoraggio”. Quando il paziente scivola nel sonno tutte le sue funzioni vitali sono affidate all’
anestesista. La persona dorme profondamente, non sente dolore, in alcuni casi, per esempio negli
interventi all’ addome, i suoi muscoli sono completamente rilassati. “In un certo senso”, spiega
Stocchetti, “noi ci “impossessiamo” delle funzioni del paziente. Possiamo dire che l’ anestesia è un
sistema per rendere il paziente in grado di non rispondere agli stimoli nocivi e massicci dell’
intervento chirurgico”. Per questo l’ anestesia comincia quando lo specialista scandaglia in
profondità la storia del paziente. È un passaggio fondamentale perché serve a conoscerne il
“potenziale biologico”, quanto è in forma o quanto invece è vulnerabile ad anestesia e chirurgia.
Questo, insieme al tipo di intervento, permette di quantificare con precisione i rischi.

E se mi sveglio durante l’ intervento?: una delle paure più diffuse tra chi deve sottoporsi a un’
operazione è di svegliarsi durante l’ intervento e provare dolore. Gli esperti però rassicurano:
esistono segnali inequivocabili che avvisano quando il sonno diventa meno profondo, permettendo ai
medici di correre ai ripari immediatamente. “Una piccola cannula inserita nell’ arteria”, spiega
Stocchetti, “registra la pressione mostrando in ogni istante sul monitor ciò che succede. Bastano un
leggero rialzo della pressione arteriosa e un aumento della frequenza cardiaca a segnalare che la
persona risponde al dolore, anche se non consapevolmente. Ciò indica che bisogna aumentare
leggermente le dosi dei farmaci”.

Dormire privi di coscienza: nel sonno naturale una parte del cervello resta vigile e la coscienza è
parzialmente attiva, tanto che si sogna e si reagisce all’ ambiente circostante, alle luci e ai
rumori. Nel sonno artificiale della sala operatoria, invece, anche la coscienza si addormenta. È
questa la differenza fondamentale fra le due situazioni. Spiega Carlo Caltagirone, direttore
scientifico della Fondazione Santa Lucia e docente di neurologia all’ Università Tor Vergata di
Roma: “Nell’ anestesia generale i farmaci agiscono abbassando l’ attività della corteccia cerebrale
(la “materia grigia”), che quindi viene in qualche modo alterata o comunque modificata.
Ed è la corteccia, la struttura che ci fa pensare, quella a cui di solito si fa riferimento parlando
di coscienza e quindi anche di consapevolezza e partecipazione all’ ambiente. Così percezioni e
sensazioni sono ridotte al minimo”. Naturalmente non tutto il cervello è fuori uso, dato che
continua a controllare parte delle funzioni vitali, “ma il paziente è sostanzialmente incosciente,
quindi privo di consapevolezza e di memoria di quanto avviene durante l’ anestesia”.

Restano brutti ricordi?: eppure, talvolta qualcuno sostiene di “ricordare” episodi avvenuti durante
questo sonno artificiale. Oppure, racconta di aver avvertito, al momento di addormentarsi, la
sensazione di cadere nel vuoto o l’ impressione di entrare in un tunnel. I medici confermano. “La
sensazione della coscienza che se ne va quando comincia a fare effetto l’ anestesia può essere
vissuta, o meglio rielaborata successivamente, proprio come un senso di caduta oppure di una luce
che si allontana”, spiega Caltagirone. “Per esempio, ciò accade quando al paziente vengono
raccontati episodi accaduti durante l’ anestesia. Poiché la memoria della persona ha una lacuna
nella successione degli avvenimenti, tenda a rielaborare le proprie informazioni e a riempire questi
vuoti, un po’ come si fa ricostruendo da svegli i propri sogni”.

Più concreta e reale è invece la possibilità, al risveglio, di essere coscienti ma sentire il corpo
paralizzato. “Questa situazione”, continua l’ esperto, “è sempre più rara ma può verificarsi se il
livello di anestetico è più basso di quello del farmaco usato per bloccare la muscolatura. Dopo
poco, però, anche questo effetto svanisce”. La paura di non risvegliarsi: ma la preoccupazione più
frequente è un’ altra: quella di non risvegliarsi più. Ogni tanto le cronache dei giornali riportano
casi simili, magari in seguito a interventi di poco conto come l’ asportazione delle tonsille.
“Bisogna sempre considerare che la chirurgia e l’ anestesia generale rappresentano profonde
perturbazioni per l’ organismo”, risponde Stocchetti. In particolare, durante l’ anestesia generale
il cervello funziona a basso regime: consuma poco ossigeno, viene irrorato meno dal sangue e l’
attività biochimica dei neuroni rallenta. Il rischio è dovuto proprio a un imprevisto, ulteriore
rallentamento di queste funzioni. Ma oggi le conseguenze gravi dovute all’ anestesia si sono ridotte
a uno due casi ogni 100mila interventi. “In effetti”, osserva Stocchetti, “le complicanze dovute
all’ errore umano sono possibili, ma poco frequenti.

Anche la qualità della strumentazione ha un ruolo. Si può anche essere bravi piloti, ma non si
riuscirà mai a portare un aereo nella nebbia senza il radar”. Sempre meno dolore: rispetto a pochi
anni fa, anche la fase successiva all’ uscita dalla sale operatoria è cambiata: ora si
chiama”risveglio protetto”. Oggi il medico fa in modo che l’ effetto analgesico prosegua per qualche
giorno, perché si è capito che il dolore post operatorio non è solo una sofferenza per il malato ma
può provocare danni all’ organismo stesso. “L’ intervento può causare dolore post operatorio, a
volte molto intenso, cui il malato risponde limitando i movimenti che risvegliano la sofferenza, in
particolare la tosse. Contro questa situazione, che può causare complicanze respiratorie e
polmoniti, si usano farmaci antidolorifici e allenamento preventivo, insegnando al malato a tossire
e respirare nel modo corretto per soffrire poi di meno. Nelle condizioni ideali, la sofferenza
postoperatoria deve essere vicina allo zero”. “Del resto”, continua Stocchetti, “ormai si possono
affrontare casi di ogni genere proprio grazie all’ anestesia: quarant’ anni fa sarebbe stato
impensabile operare un ultraottantenne, vent’ anni fa impossibile, oggi è normale”.

Sosta in area di parcheggio: ritornando al passato, fino a venti anni fa il paziente dopo l’
intervento veniva riportato subito in corsia, ancora mezzo addormentato. Ora che si è capito quanto
sia importante anche la fase del risveglio, sono state attrezzate in molti ospedali le recovery
room, stanze in cui il paziente viene sorvegliato finché non ha gradualmente recuperato la completa
autonomia per essere poi riportato in corsia. “Oggi l’ anestesista non finisce più il suo compito in
sala operatoria, ma continua a proteggere il malato in ogni fase della sua degenza”, spiega
Stocchetti. “Come lo accompagna nel sonno, così lo guida nel risveglio, tenendo sotto controllo
quelle variabili soggettive come la capacità del fegato di metabolizzare il farmaco e dei reni di
eliminarlo, spesso molto diverse da persona a persona”.

Una novità: l’ ipnosi: proteggere di più l’ individuo significa anche mettere in primo piano le sue
esigenze, al punto che là dove una volta si usava l’ anestesia generale, oggi questa viene evitata.
È il caso del parto cesareo, in cui fino ad alcuni anni fa si addormentava la mamma il minimo
indispensabile per tutelare il bambino. Ma in questo modo la madre rischiava comunque qualche
sofferenza. Oggi si usa l’ iniezione epidurale, che blocca solo la trasmissione del dolore
mantenendo cosciente la mamma. La vera novità degli ultimi anni è però l’ ipnosi, impiegata non solo
in sala parto ma anche per piccoli interventi come l’ asportazione di un neo, in gastroenterologia e
in odontoiatria. Dice Vincenzo Mastronardi, direttore scientifico del Centro italiano di ipnosi
clinica e sperimentale e docente di Psicopatologia forense all’ Università La Sapienza di Roma. La
mente depistata “Quando si soffre, per una ferita, le doglie o un mal di denti, determinati centri
nervosi del nostro cervello amplificano queste sensazioni.

Così, una particolare struttura cerebrale potenzia fino a 100 uno stimolo che in realtà vale
soltanto dieci. Le immagini e le sensazioni positive suscitate durante la seduta ipnotica permettono
al contrario di “depistare” la mente, tanto che uno stimolo doloroso di potenza dieci provoca una
risposta di intensità pari o, addirittura, zero”. “L’ ipnosi clinica rappresenta l’ interruttore che
fa spegnere alcune lampadine lasciandone accesa solo una. Questo è possibile”, prosegue Mastronardi,
“per il fenomeno del monoideismo: una sola idea in quel momento possiede la mente dell’ individuo”.
Così una donna in preda alle doglie non sente dolore, una persona può sottoporsi a una gastroscopia
senza anestesia o sopportare un intervento alla mascella senza problemi. “La comunicazione
ipnotica”, aggiunge l’ esperto, “agisce sull’ emisfero destro del cervello, che controlla le
emozioni, il piacere e la consapevolezza di appartenere a una persona, un gruppo. “In questo modo l’
individuo si sente amato, protetto, “carezzato” dalle parole dell’ ipnotista che, aiutandosi con
immagini e musica, focalizza l’ attenzione del paziente su qualcosa di diverso dal dolore”. Anche
questa è anestesia, un sonno artificiale un po’ particolare, a occhi aperti.(ha collaborato Laura
Bozzetto).

Tutte le tecniche antidolore: anestesia generale. Per addormentare profondamente il paziente si
usano farmaci ipnotici, che agiscono sul sistema nervoso centrale. Possono essere somministrati per
via inalatoria o endovenosa. Per rilassare i muscoli si utilizzano curari o miorilassanti, pertanto
il paziente non è più in grado di respirare da solo e viene aiutato artificialmente con un tubo
posizionato in trachea. Gli analgesici agiscono sul sistema nervoso centrale, bloccando la
trasmissione del dolore.

Anestesia loco regionale: il paziente rimane sveglio e l’ anestetico viene iniettato intorno alle
vie nervose situate nella zona del taglio, affinché non si provi dolore. Così il malato si riprende
più rapidamente e non soffre di effetti collaterali quali mal di gola, nausea, vomito. Nell’
anestesia locale viene fatta un’ iniezione direttamente intorno alla zona da operare, nella pelle o
intorno a un nervo. Si usa per l’ asportazione di nei e cisti sebacee o per piccole ernie. Nell’
anestesia spinale si inietta l’ anestetico nello spazio tra due vertebre, dove si trova il liquido
in cui è immerso il midollo spinale. È impiegata per interventi agli arti inferiori e al basso
addome e blocca la conduzione degli stimoli lungo i nervi togliendo sensibilità dall’ ombelico alla
punta dei piedi. Ha effetto immediato e dura poche ore. L’ anestesia epidurale è simile alla
precedente, solo che l’ anestetico è iniettato fuori dalla membrana che racchiude il midollo spinale
e il liquido che lo bagna. Questo tipo di anestesia toglie dolore e sensibilità ma lascia inalterata
la coscienza. Perciò è molto usato nei parti.

Musica e DVD per addormentarsi meglio: un lettore e una cuffia: così in un ospedale genovese si
aiutano i pazienti a sopportare meglio l’ anestesia e l’ intervento chirurgico. E la new age non c’
entra: il momento di maggior tensione per un paziente ? Quello in sala pre operatoria, concordano
gli esperti. Ecco perché Ecco perché circa otto mesi fa è partito a Genova un esperimento un po’
particolare: un DVD viene inserito in un lettore collegato a un visore a occhiali e fatto vedere,
con accompagnamento musicale, ai pazienti che devono essere sottoposti a interventi della durata di
un’ ora, un’ ora e mezzo. Ebbene i pazienti che guardano il video e ascoltano la musica non solo si
addormentano più facilmente, ma si svegliano anche più sereni e meno sofferenti, a dimostrazione di
come tensione e paura amplifichino negativamente gli effetti dell’ anestesia. Spiega Pier Luigi
Santi, direttore della cattedra di Chirurgia plastica presso l’ Istituto dei tumori di Genova: “Per
ora i risultati del nostro esperimento riguardano un numero limitato di pazienti, circa 25, ma sono
incoraggianti e intendiamo proseguire su questa strada”. “Nel video”, prosegue Santi, “mostriamo
immagini tratte dal film L’ uomo che sussurrava ai cavalli in cui si vede un bellissimo animale che
galoppa al rallentatore, la criniera al vento. Anche la musica richiama i suoni della natura e dato
che le cuffie non disturbano, la lasciamo accesa anche durante l’ intervento”.

Giongo Patrizia

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