Il suono e la musica come terapia

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Il suono e la musica come terapia

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Il suono come risorsa terapeutica efficace e altamente personalizzata nei disturbi e nei danni
neurologici, nell’autismo,

nel disagio psicologico e sociale.

Redazione – Scienza e Conoscenza – 08/01/2021

Articolo tratto da Scienza e Conoscenza n. 74

Intervista a Lucia e Michele Cavallari a cura di Marianna Gualazzi

La musica non è altro che aritmetica inconscia” lo diceva il neurologo statunitense Oliver Sacks che
per tutta la vita si è confrontato con il mistero e il fascino di alcuni disturbi neurologici. Di
questo sono convinti anche Lucia e Michele Cavallari, inventori dell’omonimo Metodo, che hanno il
merito di aver portato, tra i primi in Italia, la terapia del suono negli ospedali, con risultati
sorprendenti in tantissime condizioni patologiche.

Per concordare quest’intervista mi sento, prima via mail e poi al telefono, con Lucia Cavallari:
quello che mi colpisce è la sua capacità di intercettare, interpretare e portare alla luce anche il
non detto, il silenzio, l’appena accennato. E mi ritrovo a parlare con una persona che è come se mi
conoscesse da sempre. La cosa straordinaria di Lucia e Michele Cavallari è proprio questa: la
meravigliosa capacità di ascolto di un’anima, unita a una professionalità straordinaria. Sono certa
che quest’intervista vi farà emozionare.

Il vostro percorso professionale unisce musica e medicina: da dove siete partiti e dove siete
arrivati?

Dopo la laurea e gli studi del percorso musicale accademico, abbiamo unito il nostro grande amore
per la musica al desiderio di fare qualcosa per gli altri. Ci siamo specializzati quindi in
musicoterapia. Tuttavia, il particolare interesse per il suono – quale elemento essenziale e
primario della musica – ci ha indotti ad ampliare le nozioni apprese in campo musicoterapico e ad
approfondire alcuni aspetti specifici del fenomeno sonoro-musicale.

Possiamo dire che la musicoterapia è l’ambito in cui ci siamo formati, per poi necessariamente
allontanarci e far confluire i risultati delle nostre ricerche in una nuova forma di approccio
terapeutico. Oggi, il lavoro che esercitiamo si basa essenzialmente sull’utilizzo del suono, prima
ancora che della musica, perciò preferiamo definirlo suonoterapia o, più semplicemente, terapia del
suono.

Avendo lavorato a lungo in diverse strutture specializzate nella neuroriabilitazione, abbiamo
approfondito lo studio delle lesioni cerebrali – congenite o acquisite – e delle possibilità di
recupero che l’uso del suono racchiude. Ci siamo dedicati perciò al tema privilegiato delle nostre
ricerche – il rapporto fra stimolo sonoro e risposta cerebrale – cercando e trovando riscontro anche
nella pratica clinica.

Parallelamente, abbiamo impostato la terapia di molte altre patologie e situazioni di disagio, con
questa stessa ottica. Il suono resta, tuttora, il perno di ogni nostra scelta terapeutica.

Potreste darci una definizione di terapia del suono? Ovvero quali sono le basi scientifiche che
avallano la musica e il suono come strumenti di diagnosi e terapia?

Il suono ha portati universali ed è proponibile in qualsiasi situazione e per qualsiasi disagio. È
duttile, ma conserva intatte le sue innumerevoli implicazioni. Ha una sua concretezza fisica,
sonora, ma parla anche il linguaggio dell’inconscio. Nel momento in cui diventa proposta
terapeutica, è ancora carico del suo potere di vibrazione acustica, di stimolazione cerebrale, di
potenziamento della capacità di concentrazione, di recupero della memoria, di attivazione della
motricità, di stimoLo vitale, di incidenza psicologica e, non ultimo, di comunicazione.

IL LAVORO CHE ESERCITIAMO SI BASA ESSENZIALMENTE

SULL’UTILIZZO DEL SUONO, PRIMA ANCORA CHE DELLA MUSICA

Certo, occorre che il terapeuta possieda una grande capacità di ascolto. Un’attenzione e un intuito
che devono essere supportati da competenze tecniche specifiche. Un esercizio e un allenamento da
rinnovare in continuazione, perché ogni persona è diversa e diverso sarà il codice di risposta che
la sua patologia la induce ad adottare. Ogni volta che un paziente reagisce e ci “risponde”,
abbattendo grazie al suono le barriere del suo isolamento, ci permette di partecipare al grande
miracolo della comunicazione umana.

E allora il nostro lavoro ci appare come il più bello del mondo.

A vostro avviso, si dovrebbe ulteriormente favorire l’integrazione della musica e del suono in
ambito ospedaliero? Quali i reparti in cui secondo voi sarebbe più necessaria?

Dobbiamo distinguere fra la proposta di musica e l’utilizzo della musica e del suono a fini
terapeutici. Sono entrambi preziosi – e quindi decisamente da incrementare – ma hanno scopi ed
effetti diversi. Come abbiamo visto, l’utilizzo del suono costituisce una vera e propria terapia, ma
anche l’esecuzione musicale può aiutare tanto.

Oggi si parla molto di “umanizzazione degli ospedali” e la musica alleggerisce, rinfranca, distrae,
favorisce l’esplorazione di dimensioni emotive profonde. Occorre però molta attenzione.

Non si può intervenire senza tenere in considerazione le persone a cui ci si rivolge: le loro
patologie, i risvolti psicologici di tali patologie, le dinamiche di quel particolare reparto e, di
conseguenza, l’impatto che i brani proposti presumibilmente avranno. C’è bisogno di competenze
terapeutiche anche in questo. Nei letti di ospedale le persone sono fragili, indifese e molto più
vulnerabili.

Esistono quindi criteri e regole specifici anche in una semplice proposta di musica da ascoltare.
[continua…]

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO SU SCIENZA E CONOSCENZA N. 74

Scienza e Conoscenza n. 74 – Ottobre/Dicembre 2020 >> bit.ly/35LVm0D

Rivista Nuove scienze, Medicina Integrata

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