IL TEMPO DEL CERVELLO

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IL TEMPO DEL CERVELLO

di Paolo Manzelli

Università di Firenze – LRE@chim1.unifi.it

Rispose S. Agostino a colui che gli chiese “cosa è il Tempo?”:

“Sinceramente se nessuno mi fa tale domanda sono sicuro di sapere cosa sia il tempo, se però
qualcuno me lo domanda non so cosa rispondergli”.

Certamente come intuì S.Agostino la nostra natura sa cosa sia il Tempo dato che esso sembra essere
prestabilito per molte manifestazioni biologiche come la nascita dei bambini e quella di ciascuna
specie animale ed altri numerosi fenomeni naturali che sono ciclici rispetto al tempo.

Forse a partire da tali osservazioni Agostiniane oggi possiamo meglio precisare la natura del tempo
proponendoci una ricerca finalizzata a dissipare preconcetti e luoghi comuni che bloccano il
progresso cognitivo della scienza.

Con tali propositi il LRE, iniziando ad affrontare una ricerca cognitiva sulla tematica relativa
alla natura del tempo, ha considerato la necessità di individuare i limiti concettuali della
scienza, superati i quali, sarà possibile dare un nuovo significato scientifico al passare
irreversibile del tempo.

Le nostre concezioni meccaniche hanno fatto sì che la scienza tradizionalmente consideri il tempo
come “reversibile”, quest’ultima approssimazione cognitiva, è evidentemente falsa, a meno che non si
ritenga che il tempo sia solo un fatto soggettivo ed illusorio, in tal caso la risposta di San
Agostino rimane l’unica risposta sensata.

Se invece si ritiene che tutto sia in trasformazione evolutiva, allora il significato reale del
tempo si può ricercare proprio superando la separazione dualistica tra soggetto ed oggetto
reimpostata da Cartesio alle origini della scienza moderna.

Si ricorda che René Descartes nel suo libro edito nel 1637 sul tema: “Discours de la Methode”
distinse la realtà materiale (res extensa) dalla realtà cognitiva (res-cogitans); il punto di unione
tra pensiero e realtà visiva fu indicativamente collocato da Cartesio nella zona cerebrale dove è
situata la “ipofisi”. Tale area sub-talamica fu detta già dall’antichità, “Occhio del Cervello”,
proprio in quanto si sapeva che tale zona cerebrale, se danneggiata, produce alterazioni della
regolazione di alcune funzioni vitali, quali il sonno, la fame ed altri fenomeni di correlazione
mente/corpo.

Oggi si riconosce che tale area cerebrale è responsabile di produrre neuro-trasmettitori e
neuro-ormoni, peptidi che catalizzano i metabolismi cellulari sia neuronali che fisiologici, come la
Melatonina e la Somatostatina, attualmente ben noti per gli effetti che sembrano avere nella cura
del cancro proposta del Prof. Di Bella di Modena.

Oggi si discute molto sulla azione di tali peptidi per la loro capacità ad agire sui cicli di
sviluppo cellulare ritardando la crescita delle cellule cancerogene.

Sappiamo infatti che tali neuro-ormoni possono interagire con la produzione dell’enzima Telomerasi.
Durante la riproduzione delle cellule, nella apertura e chiusura dei cromosomi del DNA, vengono
eliminate gradualmente alcune parti terminali protettive della cromatina (Acido Desossi
ribo-Nucleico) dette Telomeri.

La Telomerasi è un enzima ricostruttore della erosione dei Telomeri che agisce in modo proporzionale
al numero di suddivisioni cellulari, così che la caduta dei Telomeri, che avviene ad ogni apertura e
chiusura dei geni ereditari, e la relativa concentrazione maggiore o minore della Telomerasi
agiscono come un sistema segna-tempo della riproduzione biologica delle cellule.

Si è constatato che la diminuzione della concentrazione dell’enzima Telomerasi determina
invecchiamento fisiologico, mentre una azione di inibizione neuro-ormonale della Melatonina e della
Somatostatina, sembra agire selettivamente su fenomeni di normalizzazione o disattivazione degli
orologi biologici, quali quello determinato dal sistema di controllo, Telomeri/Telomerasi.

Ancora non abbiamo capito a pieno la complessa azione/retroazione di tali sistemi biologici
segna-tempo e delle loro relazioni di regolazione neuro-ormonali, comunque proprio per migliorare le
nostre conoscenze sul significato del tempo-biologico, dato che non esiste in natura un organo
temporale specifico, ma una complessa regolazione biologica del tempo, ci sembra opportuno concepire
un superamento della logica meccanicista Cartesiana, ancora comunemente acquisita nell’ambito della
educazione scientifica, proprio in quanto essa generando credibilità sulla reversibilità temporale
della fisica-meccanica, funziona da deterrente concettuale rispetto alla necessità di un moderno
sviluppo creativo capace di ampliare le nostre conoscenze di comprensione dei fenomeni di sviluppo
temporale e della evoluzione biologica.

La linearità del tempo nella successione , come è concepito dalla
fisica-classica, è ingannevole proprio in quanto conduce a concepire il tempo come un mistero.

Risulta quindi evidente la necessità della costruzione di un “nuovo paradigma cognitivo” capace di
significare la bio-temporalità, nella quale l’uomo vive come parte integrante della trama biologica
della natura.

Albert Einstein già ha posto una pietra miliare relativa al superamento della classica separazione
della scienza Newtoniana dove spazio e tempo sono stati considerati entità assolute non
relativizzabili dicendo: “se combini il tempo con lo spazio in modo tale che niente possa viaggiare
più velocemente della luce allora la massa è uguale alla energia; ovverosia la massa di qualsiasi
particella che si muove con velocità prossima a quella della luce, tende a zero”.

Pertanto per Einstein le interazioni tra Energia/Materia incurvano e/o deformano la struttura del
quadrivettore spazio-temporale e cioè agiscono nel determinare trasformazioni tra spazio e tempo.

Le trasformate spazio/tempo, su cui si fonda la relatività di Einstein, sono effetto della posizione
dell’osservatore rispetto alla velocità costante della luce nel vuoto. Ad esempio un osservatore su
mercurio vedrà la luce del sole alcuni minuti prima di un uomo sulla terra; quindi in relazione al
presente dell’osservazione della luce sulla terra, per il primo osservatore ciò costituisce un
evento passato, mentre per chi fosse sbarcato su Marte, tale percezione della luce sarebbe un evento
futuro.

Queste riflessioni di Einstein espresse nell’ambito della cosiddetta “Teoria della Relatività
Ristretta (1905)” hanno condotto ad un indubbio passo avanti la scienza contemporanea, ma hanno
ancora lasciato insoluto il problema della simmetria dello spazio/tempo tra passato e futuro poiché
gli osservatori sui diversi pianeti possono cambiare, rendendo reversibili a piacimento, le loro
posizioni reciproche; ciò conduce ancora a ignorare la freccia irreversibile del tempo.

Il Premio Nobel per la Chimica (1977) Ilya Prigogine ha sottolineato che l’anello mancante per la
comprensione della irreversibilità del tempo va ricercato nel fatto che in natura non esiste una
unica scala temporale. Le considerazioni di Prigogine si possono così riassumere: stante il fatto
che il tempo di un orologio è valutabile facendo solo ricorso ad un altro orologio, e cioè che
nessun orologio di per se può misurare il tempo reale, bisogna ammettere che (+t ) cioè il tempo
misurato da un primo processo fisico utilizzato come orologio nella misura di un evento e (- t)
misurato per l’evento inverso da un secondo processo, non siano identici, altresì la misura
dell’intervallo di tempo si azzererebbe annullando l’orientamento irreversibile della freccia del
tempo; di conseguenza in natura i sistemi biologici “segna-tempo” non controllerebbero il loro
divenire evolutivo.

La conclusione del LRE sul problema del significato della “irreversibilità del tempo” segue la
constatazione che risultando necessaria l’esistenza di una asimmetria della misura del tempo,
proprio al fine di ottenere informazione sul tempo, diviene necessario spostare prioritariamente
l’attenzione sul significato dell’informazione in natura ed in particolare diviene essenziale
cercare di capire la elaborazione di informazione operata dal nostro cervello, al fine di definire
il problema dell’evoluzione irreversibile del tempo.

Il cervello è infatti l’organo di ricezione ed elaborazione della informazione che ormai dobbiamo
prendere in considerazione per capire il ruolo fisico della percezione dell’osservatore nella
determinazione del tempo.

Fino ad oggi abbiamo pensato che la percezione fosse una sorta di replica pressoché simultanea di
ciò che osserviamo.

Quanto sopra è errato e pertanto genera incomprensione sulla significazione del tempo quale
conseguenza della concezione cartesiana che separa nettamente l’oggetto osservato dal soggetto
osservatore.

Infatti tale separazione arbitraria tra soggetto vedente ed oggetto veduto, conduce a non prendersi
cura minimamente del fatto che, ad es. nella percezione visiva noi riceviamo informazione dalla
radiazione luminosa e che trasformiamo in dati di intensità e frequenza luminosa, registrati da una
reazione fotochimica che avviene sulla retina, mutandoli in sensazioni che sono il frutto di una
complessa elaborazione cerebrale, la quale ci rende capaci di generare immagini statiche ed in
movimento, proprio per il fatto che il primo fattore di analisi degli eventi esterni consiste nella
capacità cerebrale di collocarli e significarli nello spazio/tempo.

Tramite tale complessa elaborazione della informazione il cervello non replica immagini fotografiche
del mondo esterno, ma elabora i dati percettivi realizzando un visione del presente quale confronto
tra dati mnemonici e anticipazioni dell’andamento degli eventi.

Se non fossimo dotati di capacità anticipativa degli eventi, saremmo colpiti da ogni tegola che ci
cade addosso. La capacità di previsione consegue al fatto che il cervello, con i suoi miliardi di
neuroni può essere considerato in guisa di una “macchina probabilistica”, che confronta
sistematicamente dati conosciuti con pre-cognizioni anticipative: pertanto ciò che consideriamo
presente è frutto di una combinazione tra passato mnemonico e l’immaginario cognitivo che elabora il
pronostico del proseguire dell’evento osservato.

Per comprendere le nostre capacità cerebrali di previsione è facile sperimentare come una serie di
lampadine accese in successione con un intertempo di pochi millisecondi generino un movimento
continuo di un unico segnale luminoso in movimento; tale risultato continuativo si verifica anche
per gli altri sistemi sensoriali dei quali siamo dotati, ad esempio nel tatto, una serie di
colpetti, spazialmente intervallati con un periodo costante lungo l’avambraccio ed interrotti prima
di arrivare al gomito, generano la sensazione che un ultimo segnale abbia già raggiunto tale
collocazione finale in vero non ancora toccata.

Simili esperimenti possono convincerci del fatto che ciò che percepiamo e vediamo è la
rappresentazione sensoriale ed iconografica della probabilità delle nostre possibili interazioni con
l’ambiente esterno.

Quanto affermiamo sopra era stato già approssimativamente intuito da Platone, il quale considerò
l’occhio non tanto come una trappola di “eidolà ” (forme senza sostanza emanate dagli oggetti
esterni), come ritennero gli “Atomisti” e neppure come un faro di raggi dell’anima, come volevano i
“Pitagorici”, ma come una interfaccia attiva tra le forme imperfette del mondo esterno e gli
archetipi ideali.

Se pertanto rileggiamo gli insegnamenti Platonici e consideriamo l’insieme occhio-cervello come un
sistema probabilistico di interpolazione tra dati percettivi e di previsione futura degli eventi,
allora la successione del tempo, anziché essere lineare, risulta avere due componenti: quella
relativa al passato della memoria (t) e quella relativa all’immaginario della previsione (T); le due
coordinate temporali rappresentano la condizione binaria (t.,T) per cui il tempo può divenire una
informazione proprio in quanto in tal modo viene considerato come asimmetrico, ed orientato verso il
futuro.

Da tali considerazioni il LRE ha proposto le linee direttrici per realizzare un nuovo paradigma
cognitivo (detto Paradigma delle relazioni Energia/Informazione/Materia) che include la elaborazione
di informazione del cervello; quest’ultimo viene considerato come elemento oggettivo che completa la
globalità del fenomeno osservato/osservatore.

Le riflessioni qui riportate sul tempo del cervello ne sono state la premessa.

Terni, 18 marzo 1998

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