di Roberto VACCA – L’OROLOGIO 2002-6
Si può dimostrare che Dio esiste – con la matematica? Sostenne di sì il matematico inglese George
Boole. Nel 1854 nel suo libro “Le leggi del pensiero” pubblicò una prova basata sull’algebra della
logica da lui inventata (e usata da mezzo secolo per progettare i circuiti dei computer). Non
riporto qui la prova che è un po’ lunga. Stranamente l’ho discussa in un mio romanzo (“Dio e il
Computer”). Cito solo le due possibili tesi considerate da Boole. La prima è “L’universo è sempre
esistito”. La seconda: “L’universo ha cominciato a esistere in un certo momento del passato – ed è
stato creato da un altro essere.”
Parrebbe impossibile concepire una terza tesi. Invece la teoria della gravitazione e
l’elettrodinamica quantistica, considerate congiuntamente, suggeriscono proprio una terza
possibilità. Non vi spaventate. La questione è complicatissima, ma qui ve la semplifico al massimo.
Se qualche fisico leggesse queste righe, si scandalizzerebbe, trovandole imprecise e approssimative.
Avrebbe ragione e chiedo perdono: in chiusura, però, suggerisco un’altra fonte da cui trarre
considerazioni più rigorose – anche se non più comprensibili da profani.
Siamo abituati da sempre a considerare il nostro mondo come esistente in 3 dimensioni geometriche:
altezza, larghezza e profondità. Per chi ha studiato un po’ di geometria, possiamo parlare di 3 assi
perpendicolari fra loro: x, y e z. Poi c’è la quarta dimensione costituita dal tempo. Ne ho già
parlato a proposito del concetto di cronotopo. Be’: chi ha studiato bene la elettrodinamica
quantistica ci suggerisce autorevolmente che il mondo si può considerare costituito sempre da 4
dimensioni, solo 2 delle quali, però, sono spaziali – geometriche. Le altre 2 sono dimensioni
temporali, ma non sono reali: sono immaginarie.
Attenti qui! Non sto usando il termine “immaginario” nel senso usuale nel linguaggio comune, di “non
reale” o “concepito fantasticando”. Lo uso nel senso matematico in cui certi numeri, detti
complessi, sono composti di 2 parti. La prima parte è un numero reale a (positivo o negativo) come
quelli che usiamo normalmente. La seconda parte b , che si somma alla prima, è costituita da un
altro numero (positivo o negativo) che, però, è moltiplicato per la radice quadrata di -1, e si
chiama “parte immaginaria”. La radice quadrata di -1 la chiamiamo “i” o “unità immaginaria”. Quindi
possiamo scrivere: i . i = i2 = -1 e anche (-1 = i. Un generico numero complesso si scrive a + i b.
Per sommare due numeri complessi, si sommano separatamente la parte reale e quella immaginaria. Per
moltiplicarli, si usano le regole dell’algebra, tenendo conto del fatto che ogni volta che
moltiplichiamo i per i otteniamo -1.
Facciamo un esempio:
(3 + 2i) (2 – 4i) = 6 – 12i + 4i + 8 = 14 – 8i (per controllare che è giusto basta l’algebra della
scuola media).
E perchè sono rilevanti qui i numeri complessi? Ma perchè servono per definire la distanza fra due
punti nello spazio-tempo che siano separati da una lunghezza reale (in metri) e da un tempi
immaginario (in i-secondi). Questa visione del mondo è stata concepita da fisici professionisti seri
e implica che il tempo reale in cui crediamo di esistere e di cui parliamo tradizionalmente, è,
forse, un’illusione. Il tempo vero sarebbe quello a due dimensioni immaginarie.
Questa ipotesi avrebbe una conseguenza radicale. Non avrebbe più senso parlare di un inizio del
tempo, nè di alcun punto singolare come quello corrispondente all’evento iniziale del Big Bang
avvenuto circa 15 miliardi di anni fa e che taluno identifica con la creazione del mondo. L’universo
ci apparirebbe come sempre esistito, senza discontinuità, confermando la prima fra le due tesi di
Boole.
E’ accertato, però, che l’universo si sta espandendo.
Lascia un commento