Il terreno di mezzo della presenza mentale 2F

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Il terreno di mezzo della presenza mentale 2F

– ovvero mantenere la mente tra il mi-piace e il non-mi-piace –

(di AJAHN VIMALO)

Da discorsi tenuti a Settefrati il 22 e il 27 luglio 2007

(seconda parte e fine)

In alcuni contesti spirituali si parla di un’esperienza che viene
chiamata “uno-con” (“at-one”). Io penso che in realtà — e questa è
solo una mia teoria, badate bene — quando hai un’esperienza di questo
tipo, quello che 1″essere-uno-con’ (` at-one-ness’) effettivamente è,
non è un essere repentinamente diventati uno cosa sola con tutto, ma
di fatto un vedere sulla superficie della propria mente ciò che si
trova all’esterno. Stai concretamente intuendo la tua stessa
consapevolezza. Perché si abbia davvero presenza mentale, il senso del
sé deve necessariamente cedere il passo. Questo è il motivo per cui
fino a quando uno non arriva realmente alla presenza mentale, o a
intuirla, c’è la tendenza a portare con sè molte idee su cosa sia la
presenza mentale piuttosto che essere nella presenza mentale. Quando
questa viene intuita, allora la pratica si sposta nel cuore. Fino ad
allora gran parte della nostra pratica si trova qui su, nella testa,
nella speculazione, nelle idee, invischiata negli impedimenti, ma
quando scivola all’interno del proprio `cuore’, è come entrare in
un’altra dimensione. Questo si può schematizzare dicendo che è come se
prima stessimo cercando un po’ di spazio nella nostra vita: dopo,
stiamo a osservare la vita nel `nostro’ spazio. Non significa che sei
un essere illuminato.

È il maturare della presenza mentale, la comprensione della presenza
mentale. Oppure, potrei dire, è la vacuità della mente, in quanto stai
facendo spazio perché ogni cosa si manifesti e ti dica qualcosa
riguardo alla Verità. Si tratta di avere la fede di continuare a
portare la mente su questo punto tra il piacere e il dis-piacere. Uso
molto l’aspetto visuale perché la vista tende a essere il più forte
dei nostri sensi, e anche perché… sono un tipo artistico! Comunque,
quando entri in questa modalità di guardare alle cose, questo si
applica a tutti i tuoi sensi, per cui senti nello stesso modo, e così
via. Perché è la mente che vede, non gli occhi, è la mente che non sta
errando nell’ignoranza, ma si sta muovendo verso l’equanimità, e poi
ancora avanti, fino alla piena comprensione, sati-sampajafifia.

Nel passo che ho intenzione di leggere alla fine del ritiro c’è un
verso che dice: “La Via non è né facile né difficile, ma coloro che
hanno visioni limitate sono timorosi e irresoluti, e quanto più si
affrettano, tanto più lenti avanzano.”.13 Quello che spesso avviene è
che si riesce a mantenere questo spazio neutro che è ‘al di fuori del
facile’ e ‘al di fuori del difficile’, ma che questo spazio non ci
sembra molto interessante, può addirittura sembrarci noioso, perché la
natura della mente è quella di ‘volere’, non la semplice osservazione
del ‘volere’, il che deriva dalle nostre vecchie abitudini,
l’abitudine di essere un essere umano. Tuttavia, restare in questo
stato ha di per sé un incredibile potere di riflettere, vedere e
comprendere. Possiamo iniziare a osservare a partire da quella
posizione, e la natura delle cose vi è riflessa come in uno specchio.
Questo stato incomincia a riflettere il modo in cui sono le cose.
Incomincia a contemplare anicca, l’impermanenza, e le altre
caratteristiche dell’esistenza, che in questo stato possono essere
riflesse.

Spesso noi meditiamo e passiamo così tanto tempo guardando alle cose
con un’idea, o un’attitudine, di acquisizione, che ci perdiamo nel
particolare, senza neppure riuscire a vedere il desiderio di ottenere
che inibisce la visione stessa, mentre di fatto anicca si dispiega
continuamente, e uno può osservare tanto movimenti rapidi quando
movimenti molto raffinati. E questo, secondo la mia comprensione,
incomincia a far sorgere la Retta visione dell’Ottuplice sentiero, ma
non è la visione riguardante un insieme di idee o di pareri su
quest’argomento, o su dei concetti: è la visione che attraversa
proprio la tua percezione. La nostra percezione comincia tutta a
cambiare. Quello che credevamo di essere non è più vero.

D’altro canto, è come acquisire il senso del gusto per un buon vino.
Ci sono vini buoni e vini meno buoni. Alcuni vini sono molto
raffinati, e quindi ci vuole un po’ di tempo per farsi una sensibilità
per apprezzarli. E la sensibilità si sviluppa grazie al fatto che
incominciano a notare le imperfezioni che sono presenti negli altri
vini. Come con il mi-piace e non-mi-piace. Lo stato di mezzo è così.
Così raffinato che non puoi afferrarlo o guardarlo. L’unico modo per
sapere che è lì è attraverso la tua esperienza.

Rilassandosi in esso. Tu sai di essere consapevole di me solo perché
io sono un oggetto della vista: tu mi vedi, e così conosci, c’è una
consapevolezza di me, ma non puoi separare la consapevolezza da questo
nello stesso modo in cui separi altre cose. E puoi essere consapevole
delle cose solo nella misura in cui diventi consapevole di qualche
altra cosa, o dello spazio. E quando sei consapevole dello spazio, tu
sei lo spazio. Dunque hai molti modi validi con cui poter usare la tua
attenzione: essere in pace. Persino a Roma puoi essere in pace.
Semplicemente sposti la tua attenzione attraverso il traffico. Con
quella consapevolezza, puoi diventare anche consapevole del fatto che
questo stare in pace sta lì, dentro e oltre i suoni, per così dire,
perciò anche se ti trovi nel bel mezzo di Roma e si stanno tutti
urlando addosso, come a Londra, puoi ancora essere in pace, perché in
quella situazione c’è ancora presenza mentale. Noi siamo questa
presenza mentale, nel momento in cui ci fermiamo e ci allontaniamo dal
mi-piace e non-mi-piace. Lontano da ciò che non siamo. In fin dei
conti, noi non siamo neppure quella consapevolezza.

Ho letto di un esperimento che aveva a che fare con le leggi della
termodinamica, e vorrei aggiungere che ne so molto poco in materia. A
ogni modo, nell’ambito della termodinamica, noi umani ricadiamo in
quello che è definito un “sistema aperto”. Assumiamo aria, cibo, cibo
sensoriale, idee, impressioni, e così via. Successivamente dissipiamo
tutto questo input. Si dissipa attraverso l’azione, il parlare e in
svariati altri modi. Si brucia ogni cosa. Questo è tutto connesso con
la cosiddetta “teoria del caos”. Hanno fatto quest’esperimento con una
goccia d’acqua, alla quale viene collegato un elettrodo, allo scopo di
farla entrare in vibrazione. Quando si fa questo, quando si immette
elettricità, sulla superficie dell’acqua si forma una sorta di disegno
tetraedrico. L’acqua inizia a vibrare. Man mano che viene aggiunta
all’acqua ulteriore energia, la molecola diventa instabile.

A un certo punto sembra come se la molecola sia in procinto di
rompersi o di esplodere. Allora quello che succede — e questa è la
parte interessante — è che all’improvviso assume un disegno più
complesso per poter essere in grado di reggere la vibrazione più
elevata. Questo è quello che in natura viene chiamato, credo, “punto
di biforcazione”, come avviene nel caso della cellula, come quando ci
formiamo all’interno dell’utero. Una cellula assorbe i nutrimenti, le
varie sostanze, e poi, una volta che tutto questo diventa ‘troppo’, si
divide e così via, evolvendosi in un livello superiore di evoluzione,
come accade con il seme, potremmo dire. Io sono convinto, come credeva
pure l’autore dell’articolo su quest’esperimento, che la mente
funzioni in maniera simile Normalmente assimiliamo tutte queste cose
attraverso i nostri sensi e poi le dissipiamo con la distrazione, ma
quando adottiamo una certa restrizione, in virtù di siici, o veniamo a
un ritiro di meditazione, o semplicemente intraprendiamo una pratica
spirituale, riduciamo l’entropia, dando alla mente la possibilità di
evolversi. Stiamo cioè mantenendo la mente insieme con il Citta,
soprattutto nel contesto del Nobile silenzio, visto che al di fuori
del contesto del ritiro si dissipa tanta energia con il parlare. È
proprio per questo che rimarco l’importanza del Nobile silenzio, che
inietta forza a questo modo di vedere. A un certo momento, uno
potrebbe pensare: “Oh mio dio, devo scappare via, devo fare
qualcosa!”…

Questo è quanto avviene all’esterno, costantemente, e ha la
distrazione come risultato. Tutto ciò è parte della legge
dell’entropia: la nostra energia se ne va nelle distrazioni, ma quando
riesci a contenere questo fuoriuscire nella distrazione, stai mettendo
la tua mente in questa posizione da dove può evolversi, come la goccia
d’acqua. Incomincia a incrinarsi al di là dei vecchi modi di vedere, i
vecchi modi di percepire il mondo. Evolvendosi passo dopo passo. O, in
alcuni casi, gran balzo dopo gran balzo. Il normale sistema entropico
è stato messo nella posizione perché ciò accadesse. Quando ho letto
quest’articolo, mi è sembrato proprio che combaciasse con la mia
esperienza.

Nel Dhammapada si parla dell’attenzione accurata (heedfulness) come
del “Sentiero verso il Senza-morte”.” L’attenzione accurata è presenza
mentale (mindfulness), ed è questa la mente che si sta emancipando,
libera dagli stati non salutari. Ecco perché coltivare la calma, ed
essere in pace, è una cosa molto buona, nonostante sia una fatica
alquanto ardua. D’altro canto, quando continuiamo a lavorare così, a
un livello sottostante stiamo anche sviluppando i fattori del
risveglio. Pensiamo che dobbiamo sviluppare tale o talaltro fattore:
il retto sforzo, l’investigazione del Dhamma, la gioia, eccetera.15
Abbiamo un’idea di sforzo, dobbiamo forzare tutti questi diversi
aspetti. Leggiamo che dobbiamo svilupparli, ma quando semplicemente
continuiamo a lasciare andare il mi-piace e non-mi-piace e lasciamo
essere il terreno di mezzo, quella sorta di terreno naturale, è
proprio allora che, al di sotto del livello di ciò che pensiamo di
avere bisogno di fare, i fattori mentali si stanno equilibrando. Ci
stiamo biforcando, per così dire. In questo modo i fattori possono
svilupparsi.16 L’Ottuplice sentiero si sta sviluppando, e tu non devi
starci a pensare. E quando i nostri fattori mentali sono in
equilibrio, allora cose come il retto sforzo appaiono come non-sforzo,
dato che il retto sforzo è una mente che sta in equilibrio. Ce l’hai,
ossia, dovrei dire, sai quand’è lì. Quando hai presenza mentale,
l’investigazione del Dhamma incomincia a essere parte della tua vita.
La gioia comincia spontaneamente a entrare nella tua vita.

L’attenzione è qualcosa che sorge da sé con il lasciare andare.
Riportiamo la mente sempre indietro: in altre parole, nuda attenzione,
laddove il piacere e dis-piacere sorgono. Intuita nel cuore. Diviene
un rifugio, un rifugio grande. La sua espressione naturale è la gioia.
Ecco perché nel Dhammapada viene detto che chi comprende questo
gioisce nell’attenzione accurata.17 Ho letto questo verso del
Dhammapada proprio poco prima di scendere qui per il discorso, e poi
c’è un altro verso, poco più avanti, in cui si dice che questo ti
porta nel regno degli ‘Arya’, i `nobili’18 — la qual cosa
sottintenderebbe che sei un realizzato, ma io sto parlando soltanto
dell’essere presenti… il semplice essere presenti andrebbe già
abbastanza bene!

Voglio fare un altro esempio riguardo sulla presenza mentale. Quando
vivevo in Sri Lanka -in realtà non si tratta di un esempio in senso
stretto, ma di una scena alla quale ho assistito che per me è
significativa riguardo al tema della presenza mentale — c’era un
monaco che si era seduto e che aveva urtato lievemente contro la sua
ciotola delle elemosine facendole fare un rumore secco al contatto con
il tavolo. A quel punto un altro monaco si era voltato e si era messo
a commentare: “Tut tut… no sati”, che è una cosa incredibilmente
arrogante, certamente non è ‘inglese’!

Questo monaco dimostrò di avere una scarsa comprensione della presenza
mentale — se dico questo si presume che io ne abbia, e questa potrebbe
essere la mia, di presunzione, ma a ogni modo… Il monaco che aveva
dato un colpo alla sua ciotola potrebbe tranquillamente avere avuto
una mente completamente libera da stati mentali non salutari. Perché
se qualcuno fa urtare un pochino la propria ciotola contro il bordo di
un tavolo, non significa che sia necessariamente privo di presenza
mentale, laddove quel monaco che pensa di essere brillante e che si
mette a fare “tut tut…”, potrebbe starlo ben facendo a partire da
uno stato ipercritico della mente, perso nell’avversione, pensando di
avere presenza mentale, mentre invece non ne ha. Ecco, questo è un
caso in cui si fa un bel pasticcio tra il proprio `yoniso’ e il
proprio `manasikEtra’ .

Questo è il motivo per cui è molto importante, qualunque cosa
facciamo, prestare attenzione alla mente che è liberata dall’avidità e
dall’odio. Farlo ne val bene la pena, per compassione verso sé stessi
e verso gli altri. Ciò non vuol dire che quando andate a pranzo e vi
servite il vostro cibo dovete pensare: “Oddio, quel monaco non
m’avrebbe mai dovuto dire che io non dovrei avere nessuna avidità e
non dovrei volere un altro pezzo di… torta!”… È piuttosto una
sorta di distacco quello che si verifica, e tu puoi continuare a
prenderti le cose che ti piacciono, ma questo avviene da un luogo che
conosce quello che sta succedendo, il conoscitore e ciò che è
conosciuto. Molte cose arrivano nella nostra vita. Cose buone e cose
cattive. Ma non ci aggrappiamo. Le cose buone vengono e possiamo
godercele in una certa misura, se sono cose salutari. Ma quando si
disintegrano e scompaiono, non le bramiamo disperatamente.

Abbiamo la malattia che arriva. Le cose cattive che arrivano. Le
tolleriamo con una pazienza che è resistente (with a patience which is
enduring), e cerchiamo di farvi fronte usando l’equanimità. Allora
soffriamo solo con il corpo, perché la mente ha acquisito determinati
strumenti per confrontarvisi. È sempre questo essere nel mezzo — è
molto importante. Pare una cosa molto piccola, ma è vasta. Fino a
quando non hai davvero un senso di come sia questo essere nel mezzo, è
solo questione di avere fede nell’osservare soltanto, osservare,
osservare. Fino a quando non inizi ad avere veramente fede in questo.
Ovviamente io questa piena fede non ce l’ho, altrimenti sarei un
arahant. Solo un arahant, che ha visto attraverso ogni cosa, è
presente al cento per cento.

Vorrei aggiungere ancora un’altra cosa, e poi mi fermerò! Di fatto, è
una cosa che nell’esperienza effettiva è semplicissima, ma quando la
si va a spiegare — per metterne in luce tutte le qualità, di che cosa
si tratta — può essere assai complessa, perché quanto più la
comprendiamo, tanto più vediamo che può racchiudere la potenzialità di
rivelare tutti gli insegnamenti del Signore Buddha. Un insegnante in
Sri Lanka disse qualcosa di veramente splendido che io ripeto sempre e
che spiegò più o meno così: “Di mattina il sole di mattina splende
attraverso una goccia di rugiada, e tu cogli la luce del sole
attraverso quella goccia di rugiada. Questa luce è come la luce di
questo modo d’essere mediano (this middle way of being). Questa
presenza mentale è la luce che fluisce attraverso la goccia di
rugiada, a ritroso, fino al nibbàna. È per questo che è chiamata la
Via per il Senza-morte.

Così, non puoi afferrarla, non puoi afferrare la presenza mentale.
Puoi solo essere (mentalmente) presente, perché il nibbàna è al di là
dell’aggrapparsi, il nibbàna non ha affatto qualità. Non puoi ghermire
il nibbàna. Perciò il Sentiero che conduce al nibbàna deve
necessariamente essere qualcosa che in un certo senso imiti il
nibbàna, deve essere qualcosa che abbia l’aspetto di un nonnulla, che
sembri non avere qualità, e questo è proprio quello che questo terreno
di mezzo, questa presenza mentale è, ché non puoi afferrarla. Sembra
non avere qualità, sembra un nonnulla, ma può riflettere e conoscere
ogni cosa — anche se sei nella più nera, nerissima delle grotte…

C’è un breve passo nei sutta, che altri potrebbero interpretare
diversamente, e che effettivamente è inserito in un brano più lungo.
Mi pare che dica: “La sensazione piacevole è piacevole in virtù della
presenza e dolorosa in virtù del cambiamento. La sensazione né
piacevole né spiacevole è piacevole in virtù della conoscenza e
spiacevole in mancanza di conoscenza”.19 Una prospettiva su cui
rifletto a questo proposito è che lo stato neutrale, né doloroso né
piacevole, è piacevole se di tale stato si ha la conoscenza, la
conoscenza, cioè, rispetto alle cose di cui ho parlato finora (la
presenza mentale, il terreno di mezzo), ma doloroso se uno quella
conoscenza non ce l’ha.

Questo parla da sé. Cito questo passo perché per me indica
l’inclinarsi verso la neutralità anziché verso gli altri due aspetti,
quando noi vediamo il `dis-agio’ all’interno di questi ultimi.
Ovviamente, a un altro livello, alla fine dobbiamo andare al di là di
tutti e tre questi stati: il piacere, il dolore, e il né piacere né
dolore. Lo stato neutrale non è il fine né la fine, uno non è uscito
fuori dal mondo, per così dire, e deve ancora penetrare attraverso
l’illusione. Solamente che ci porta in una posizione migliore per
sentire il mezzo (to sense the middle). Questo stato neutrale è come
l’inizio della via d’uscita, uno non è fuori dalla situazione, ma
questo è quello che ci può condurre all’equanimità e alla piena
comprensione di come le cose sono realmente.

La pace reale è pace e basta, e si ottiene solo per mezzo della
comprensione. Non si ottiene solo sforzandosi di costruire un
ulteriore stato mentale. Il Buddha era in grado di danzare attraverso
tutti i più sublimi stati mentali, no? Ma la pace reale per il Buddha
era vedere le cose esattamente così come sono. E allora lui comprese
al di là di tutti gli stati… Mi fermo qui. E grazie a voi per la
vostra pazienza.

TRASCRITTO, TRADOTTO E CURATO DA GIULIANA MARTINI

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