KUNDALINI YOGA by Swami Sivananda
Traduzione dalla 6 edizione a cura di Aumprakash & Roma
1971 by The Divine Life Trust Society 1981 by Editrice Vidyananda.
KUNDALINI
La parola Kundalini è familiare a tutti gli studenti di yoga, essendo nota come il potere, sotto
forma di un serpente avvolto a spirale, residente nel muladhara chakra, il primo dei sette chakra;
gli altri sei chakra sono, nell’ordine: svadhishthana, manipura, anahata, vishuddha, ajna e
sahasrara.
Tutte le sadhana sotto forma di japa, meditazione, kirtan e preghiera, come pure ogni sviluppo delle
virtù, e l’osservanza di austerità come verità, non-violenza e continenza sono intese, nella
migliore delle ipotesi, solo per ridestare il Potere del Serpente e farlo passare in successione
attraverso tutti i chakra, dal svadhishthana al sahasrara. Quest’ultimo è chiamato anche loto dai
mille petali, sede di Sadavisa o Parabrahman o dell’Assoluto, separata dal quale giace la Kundalini
o Shakti nel muladhara, e per unirsi al quale la Kundalini passa per tutti i chakra, come spiegato
prima, conferendo la liberazione all’aspirante che pratica assiduamente lo yoga (o la tecnica di
unire Lei al suo Signore) e ottiene successo nel suo sforzo.
Nelle persone del mondo, date al godimento dei piaceri sensuali e sessuali, il potere di Kundalini è
addormentato per mancanza di qualsiasi stimolo, sotto forma di pratiche spirituali, poiché solo il
potere generato da queste pratiche ridesta il Potere del Serpente, e non un qualsiasi altro potere
derivato dal possesso di ricchezze e abbondanze mondane. Quando l’aspirante pratica seriamente tutte
le discipline come prescritto negli Shastra, e secondo l’istruzione del precettore, nel quale la
Kundalini dev’essere già desta e aver raggiunto la sua dimora o Sadasiva – solo acquisendo questa
benedetta realizzazione una persona viene intitolata ad agire come guru o precettore spirituale, a
guidare e ad aiutare anche gli altri a conseguire lo stesso fine – allora i veli o strati che
avviluppano Kundalini cominciano ad aprirsi e infine sono fatti a pezzi, e il Potere del Serpente è
spinto o per così dire guidato verso l’alto.
Visioni sovrasensibili appaiono davanti all’occhio mentale dell’aspirante, nuovi mondi con
meraviglie e fascini indescrivibili si rivelano davanti allo yogi. Piani dopo piani svelano la loro
esistenza e grandiosità al praticante. Lo yogi ottiene conoscenza, potere e beatitudine divina in
grado crescente, quando Kundalini attraversa chakra dopo chakra, facendoli fiorire in tutta la loro
gloria – mentre prima del tocco di Kundalini non esprimevano i loro poteri – emanando la loro
fragranza e luce divina) e rivela i fenomeni e i segreti divini che stanno nascosti dall’occhio
delle persone mondane, che rifiutano di crederne la stessa esistenza.
Quando Kundalini ascende un chakra, o centro yogico, anche lo yogi ascende un gradino, o piolo,
nella scala yogica; egli legge una pagina in più, quella seguente, nel libro divino; più Kundalini
si muove verso l’alto, più anche lo yogi avanza in relazione verso la meta o perfezione spirituale.
Quando Kundalini raggiunge il sesto centro o ajna chakra, lo yogi ottiene la visione di Dio
Personale o saguna Brahman; e quando il Potere del Serpente raggiunge l’ultimo centro sul capo, il
sahasrara chakra o loto dai mille petali, lo yogi perde la sua individualità nell’oceano di
Sat-Chit-Ananda o Esistenza-Conoscenza-Beatitudine Assoluta e diviene uno con il Signore o Anima
suprema. Egli non è più un uomo comune, e nemmeno un semplice yogi, ma un saggio pienamente
illuminato, avendo conquistato l’eterno e illimitato regno divino; un eroe, avendo vinto la
battaglia contro l’illusione; un mukta o liberato, avendo attraversato l’oceano dell’ignoranza o
l’esistenza trasmigratoria; e un superuomo, avendo l’autorità e la capacità di salvare le altre
anime che lottano nel mondo relativo.
Le Scritture acclamano lui e la sua realizzazione nel modo più grande e glorificante possibile. Gli
esseri celesti lo invidiano, inclusa la Trinità, cioè Brahma, Vishnu e Shiva.
KUNDALINI E SADHANA TANTRICA
Il kundalini yoga appartiene invero alla sadhana tantrica, che dà una descrizione dettagliata del
Potere del Serpente e dei chakra, come menzionato prima. La Madre Divina, l’aspetto attivo
dell’Esistenza-Conoscenza-Beatitudine Assoluta, risiede nel corpo di uomini e donne nella forma di
Kundalini, e tutta la sadhana tantrica ha lo scopo di ridestarLa e farLa unire con il Signore
Sadasiva nel sahasrara, come descritto all’inizio. Nella sadhana tantrica, i metodi adottati per
conseguire questo fine sono il japa del nome della Madre, la preghiera e vari altri rituali.
KUNDALINI E HATHA YOGA
Anche l’hatha yoga costruisce la sua filosofia attorno a Kundalini, ma i metodi adottati sono
differenti da quelli della sadhana tantrica. L’hatha yoga cerca di risvegliare Kundalini mediante la
disciplina del corpo fisico, la purificazione delle nadi e il controllo del prana. Attraverso una
serie di posizioni fisiche, chiamate asana, esso tonifica l’intero sistema nervoso e lo porta sotto
il controllo cosciente dello yogi; tramite bandha e mudra controlla il prana, ne regola i movimenti
e perfino lo blocca e lo sigilla, impedendogli di muoversi; per mezzo di kriya purifica gli organi
interni del corpo fisico, e infine mediante il pranayama porta la stessa mente sotto il controllo
dello yogi. Kundalini è fatta ascendere verso il sahasrara attraverso questi metodi combinati.
KUNDALINI E RAJA YOGA
Il raja yoga non menziona niente di Kundalini, ma propone un sentiero ancora più alto e sottile,
filosofico e razionale, e chiede all’aspirante di controllare la mente, di ritirare tutti i sensi e
d’immergersi in meditazione. Diversamente dall’hatha yoga, che è meccanico e mistico, il raja yoga
insegna una tecnica con otto passi, appellandosi al cuore e all’intelletto degli aspiranti. Sostiene
lo sviluppo morale ed etico con yama e niyama, promuove lo sviluppo intellettuale e culturale con
svadhyaya, o studio delle sacre scritture, soddisfa l’aspetto emotivo e devozionale della natura
umana, ingiungendo di abbandonarsi alla volontà del Creatore, ha un elemento di misticismo
includendo il pranayama come uno degli otto passi, e infine prepara l’aspirante alla meditazione
ininterrotta sull’Assoluto mediante un penultimo passo di concentrazione. Né nella filosofia, né
nella prescrizione dei metodi il raja yoga fa menzione di Kundalini, ma pone la mente umana e il
chitta come gli obiettivi da distruggere, giacché fanno dimenticare all’anima individuale la sua
vera natura e le causano nascita e morte, e tutti i guai dell’esistenza fenomenica.
KUNDALINI E VEDANTA
Ma quando passiamo al vedanta, non vi è questione di Kundalini né di qualsiasi tipo di metodi
mistici o meccanici. È tutta ricerca e speculazione filosofica. Secondo il vedanta la sola cosa che
dev’essere distrutta è l’ignoranza circa la propria vera natura, e quest’ignoranza non può essere
distrutta, né dallo studio, né dal pranayama, né dall’azione, né da un certo numero di torsioni e
torture fisiche, ma solo conoscendo la propria vera natura, che è Sat-Chit-Ananda o
Esistenza-Conoscenza-Beatitudine. L’uomo è sempre divino, libero e uno con lo Spirito supremo, che
egli dimentica, identificandosi con la materia, la quale è un’apparenza illusoria e una
sovrapposizione sullo Spirito. Liberazione è libertà dall’ignoranza, e all’aspirante viene
consigliato costantemente di dissociarsi da tutte le limitazioni e d’identificarsi con
l’onnipervadente, non-duale, beato, pacifico e omogeneo Spirito o Brahman. Quando la meditazione
viene intensificata, l’aspirante perde la sua individualità nell’oceano dell’Esistenza ,o piuttosto
l’individualità è assorbita completamente. Come una goccia d’acqua sulla padella è immediatamente
assorbita e svanisce alla percezione, così la coscienza individuale è sorbita dalla Coscienza
Universale e assorbita in Essa. Secondo il vedanta non ci può essere vera liberazione in uno stato
di molteplicità; lo stato di completa Unità è la meta a cui aspirare, verso cui soltanto l’intera
creazione si sta lentamente muovendo.
INTRODUZIONE
ESSENZA DEL KUNDALINI YOGA
La parola YOGA viene dalla radice yuj che significa unire, e nel suo senso spirituale è quel
processo mediante il quale lo spirito umano è immerso o portato in intima e cosciente comunione con
lo Spirito Divino, secondo che la natura dello spirito umano si consideri separato da (dvaita,
visishtadvaita) o uno (advaita) con lo Spirito Divino. Poiché nel vedanta è affermata quest’ultima
proposizione, lo yoga è quel processo per cui l’identità dei due (jivatman e Paramatman) – identità
che in effetti esiste sempre – è realizzata dallo yogi. È realizzata perché lo Spirito ha allora
penetrato il velo di maya, che come mente e materia oscura questa conoscenza. Il mezzo col quale si
raggiunge ciò è il processo yoga, che libera il jiva da maya.
Perciò la Gheranda Samhita dice: « Non c’è legame simile in forza a maya, e nessun potere più grande
per distruggere questo legame che lo yoga ». Dal punto di vista advaita o monistico, lo yoga nel
senso di un’unione finale è inapplicabile, poiché l’unione implica un dualismo tra lo spirito umano
e il Divino. In questo caso, denota il processo piuttosto che il risultato.
Quando i due sono considerati distinti, yoga può applicarsi ad entrambi. Una persona che pratica
yoga è chiamata yogi. Non tutti sono in grado di provare lo yoga; solo pochissimi lo sono. In
questa, o in altre vite, uno dev’essere passato per il servizio disinteressato e le osservanze
ritualistiche senza attaccamento alle azioni o ai loro frutti, e per l’adorazione devozionale
(upasana), e deve averne ottenuto il frutto, cioè una mente pura (chittasuddhi).
Questo non significa semplicemente una mente libera dall’impurità sessuale. Il conseguimento di
questa e altre qualità è l’A B C della sadhana. Una persona può avere la mente pura in questo senso,
e tuttavia essere completamente incapace di yoga. Chittasuddhi non consiste semplicemente nella
purezza morale di ogni tipo, ma in conoscenza, distacco, capacità per il puro funzionamento
intellettuale, attenzione, meditazione e cosi via. Quando, mediante il karma yoga e l’upasana, la
mente è portata a questo punto e quando, nel caso del jnana yoga, c’è non attaccamento e distacco
dal mondo e dai suoi desideri, allora il sentiero yoga è aperto alla realizzazione della Verità
ultima. Invero, pochissime persone sono idonee allo yoga nella sua forma più alta. La maggioranza
deve cercare l’avanzamento lungo il sentiero del karma yoga e della devozione.
Secondo una scuola di pensiero, ci sono quattro forme principali di yoga, cioè: mantra yoga, hatha
yoga, laya yoga e raja yoga; il kundalini yoga è in realtà laya yoga. C’è un’altra classificazione:
jnana yoga, raja yoga, laya yoga, hatha yoga e mantra yoga. Questa è basata sull’idea che vi sono
cinque aspetti della vita spirituale: – dharma, kriya, bhava, jnana e yoga; il mantra yoga viene
considerato di due tipi, a seconda che viene seguito lungo il sentiero del kriya o del bhava. Ci
sono sette sadhana di yoga, cioè: sat-karma, asana, mudra, pratyahara, pranayama, dhyana e samadhi;
che sono: pulizia del corpo, posizioni a sedere a fini yogici, l’astrazione dei sensi dai loro
oggetti, controllo del respiro, meditazione ed estasi, che è di due tipi – imperfetta (savikalpa) in
cui il dualismo non è completamente superato, e perfetta (nirvikalpa) che è completa esperienza
monistica, la realizzazione della Verità del Mahavakya AHAM BRAHMASMI, una conoscenza nel senso di
realizzazione che, si deve osservare, non produce la liberazione (moksha) ma è la stessa
liberazione. Il samadhi del laya yoga è detto savikalpa samadhi e quello del completo raja yoga è
detto nirvikalpa samadhi. I primi quattro processi sono fisici, gli ultimi tre mentali e
sovramentali. Con questi sette processi si guadagnano rispettivamente certe qualità, cioè: purezza
(sodhana), fermezza e forza (dridhata), coraggio morale (sthirata), uniformità (dhairya), leggerezza
(laghava), realizzazione (pratyaksha) e il distacco che porta alla Liberazione (nirliptattva).
Quanto è conosciuto come yoga dagli otto passi (ashtanga yoga) contiene cinque delle suindicate
sadhana (asana, pranayama, pratyahara, dhyana e samadhi) più altre tre, e cioè: yama o autocontrollo
per mezzo di castità, moderazione, non violenza (ahimsa), e altre virtù; niyama o osservanze
religiose, carità e così via, e devozione al Signore (Ishvara-pranidhana); e dharana, il fissare
l’organo interno sul suo oggetto, secondo la pratica yoga.
L’uomo è un microcosmo (kshudra brahmanda). Qualunque cosa esiste nell’universo esterno esiste in
lui. Tutti i tattva e i mondi sono dentro di lui e così pure il supremo Shiva-Shakti. Il corpo può
essere diviso in due parti principali, e cioè la testa e il tronco da un lato, e le gambe
dall’altro. Nell’uomo il centro del corpo è tra questi due, alla base della spina dorsale, dove
cominciano le gambe. Sostenente il tronco e lungo tutto il corpo c’è la colonna spinale. Questa è
l’asse del corpo, come il monte Meru è l’asse della terra. Perciò la colonna spinale dell’uomo è
chiamata merudanda. Le gambe e i piedi sono grossolani e mostrano meno segni di coscienza che non il
tronco con la sua materia spinale bianca e grigia; in questo senso lo stesso tronco è immensamente
subordinato alla testa contenente l’organo della mente, o cervello fisico, con la sua materia bianca
e grigia. Le posizioni della materia bianca e grigia nella testa e nella colonna spinale sono
rispettivamente capovolte. Il corpo e le gambe sotto il centro sono i sette mondi inferiori
sostenuti dalle Shakti o Poteri dell’universo. Dal centro in su, la coscienza si manifesta più
liberamente mediante i centri spinali e cerebrali.
Qui ci sono le sette regioni superiori (o loka), un termine che significa ‘cosa è visto’ (lokyante),
cioè sperimentato, e sono quindi i frutti del karma sotto forma di una particolare nascita. Queste
regioni, e cioè: bhuh, bhuvah, svah, tapa, jana, maha e satya loka corrispondono ai sei centri;
cinque nel tronco, il sesto nel centro cerebrale inferiore, e il settimo nella parte più alta del
cervello o satyaloka, dimora del supremo Shiva-Shakti.
I sei centri sono: il muladhara o radice-supporto situato alla base della colonna spinale a metà del
perineo, tra la radice dei genitali e l’ano; sopra di esso, nella regione dei genitali, dell’addome,
del cuore, del petto e della gola, e nella fronte tra i due occhi, si trovano rispettivamente
svadhishthana, manipura, anahata, vishuddha e ajna chakra.
Questi sono i centri principali, sebbene alcuni testi parlino di altri ancora, come il lalana, manas
e soma chakra. La settima regione oltre i chakra è il cervello superiore, il centro supremo della
manifestazione della coscienza nel corpo e quindi dimora del supremo Shiva- Shakti. Quando si dice
che ne è la ‘ dimora ‘, non significa che il Supremo è localizzato nel senso del nostro ‘ essere
posto ‘, cioè è lì e non altrove! Il Supremo non è mai localizzato, mentre lo sono le sue
manifestazioni. È ovunque, sia dentro che fuori del corpo, ma si dice che è nel sahasrara perché è
qui che viene realizzato il supremo Shiva-Shakti. E deve essere così perché la coscienza è
realizzata entrando e passando attraverso la manifestazione superiore della mente, il sattvamayi
buddhi, sopra e oltre la quale è Chit e le stesse Chidrupini Shakti.
Dal loro aspetto tattva Shiva-Shakti si evolve la mente [nelle sue forme di buddhi, ahamkara, manas
e i sensi (indriya) associativi], il cui centro è sopra l’ajna chakra e sotto il sahasrara.
Dall’ahamkara procedono i tanmatra, o elementi sottili, che evolvono le cinque forme di materia
sensibile (bhuta), e cioè: akasa (etere), vayu (aria), agni (fuoco), apah (acqua) e prithvi (terra).
La traduzione data non implica che i bhuta sono simili agli elementi di aria, fuoco, acqua e terra.
I termini indicano diversi tipi di materia, dall’etereo al solido. Così prithvi o terra è qualsiasi
materia nello stato prithvi, e cioè che può essere sentito dall’indriya dell’olfatto. Mente e
materia pervadono l’intero corpo. Ma ci sono dei centri in esso in cui sono predominanti. Così ajna
è il centro della mente, e i cinque chakra più in basso sono i centri dei cinque bhuta; vishuddha
dell’akasa, anahata del vayu, manipura di agni, svadhishthana di apah e muladhara di prithvi.
In breve, l’uomo come microcosmo è lo Spirito onnipervadente (che molto puramente si manifesta nel
sahasrara) condotto dalla Shakti nelle forme di mente e materia, i cui centri sono rispettivamente
il sesto e i cinque chakra seguenti.
I sei chakra sono stati identificati con i seguenti plessi, a cominciare dal più basso, il
muladhara: il plesso sacrococcigeo, il plesso sacrale, il plesso solare (che forma la grande unione
delle catene simpatiche destra e sinistra ida e pingala con l’asse cerebro-spinale. Connesso a
questo è il plesso lombare. Quindi, segue il plesso cardiaco (anahata), il plesso laringeo e ultimo
l’ajna o cervelletto con i suoi due lobi. Sopra questo c’è il manas-chakra o cervello mediano, e
infine il sahasrara o cervello superiore. Gli stessi sei chakra sono centri vitali all’interno della
colonna spinale, nella materia bianca e grigia. Comunque, essi possono e probabilmente influenzano e
governano il tratto grossolano esterno alla spina dorsale nella regione corporea laterale e
coestensiva con quella sezione della colonna spinale in cui è situato ogni particolare centro. I
chakra sono centri di Shakti come forza vitale. In altre parole, sono centri di pranashakti
manifestati nel corpo vivente dal pranavayu, e le divinità che vi presiedono sono nomi della
Coscienza Universale che si manifesta nella forma di questi centri.
I chakra non sono percepibili dai sensi grossolani. Anche se fossero percepibili nel corpo vivente
che aiutano a organizzare, scompaiono con la disintegrazione dell’organismo nella morte. Solo perché
l’autopsia del corpo non rivela questi chakra nella colonna spinale, alcune persone pensano che essi
non esistono affatto e sono mera invenzione di un cervello fertile.
Quest’attitudine ci ricorda di un medico che dichiarò di aver compiuto molte autopsie senza aver mai
scoperto un’anima!
I petali dei loti variano, essendo rispettivamente 4, 6, 10, 12, 16 e 2 a partire da muladhara e
finendo con ajna. Sono cinquanta in tutto, come le lettere dell’alfabeto che sono nei petali; cioè,
i matrika (lettere) sono associati con i tattva, poiché entrambi sono prodotti dello stesso processo
creativo cosmico che si manifesta come funzione fisiologica o psicologica. È da notare che il numero
dei petali è quello delle lettere, tralasciando ksha o la seconda la, e che queste 50 moltiplicate
per 20 sono nei mille petali del sahasrara, un numero che è indicativo di infinità.
Ma perché, si può chiedere, i petali variano di numero? Perché, per esempio, sono 4 nel muladhara e
6 nello svadhishthana? La risposta è che il numero dei petali in ciascun chakra è determinato dal
numero e posizione delle nadi o nervi-yoga attorno a quel chakra. Così, quattro nadi che circondano
e passano attraverso i movimenti vitali del muladhara chakra gli danno l’apparenza di un loto di
quattro petali, i quali sono perciò raffigurazioni fatte dalle posizioni delle nadi in ogni centro
particolare. Queste nadi non sono quelle conosciute dai medici; queste ultime sono grossolani nervi
fisici. Ma quelle di cui si parla qui sono chiamate yoga-nadi e sono canali sottili (vivara) lungo
cui scorrono le correnti praniche. Il termine nadi viene dalla radice nad che significa movimento.
Il corpo è pieno d’innumerevoli nadi. Se fossero visibili all’occhio, il corpo presenterebbe
l’aspetto di una complicatissima carta di correnti oceaniche. Superficialmente l’acqua sembra una e
la stessa, ma l’esame dimostra che essa si sta muovendo con diversi gradi di forza in tutte le
direzioni. Tutti questi loti esistono nella colonna spinale.
Il merudanda è la colonna vertebrale. L’anatomia occidentale la divide in cinque parti; e si deve
notare, in corroborazione della teoria qui esposta, che queste corrispondono con le regioni in cui
sono situati i cinque chakra. Il sistema spinale centrale comprende il cervello o encefalo contenuto
dentro il cranio (in cui sono il lalana, ajna, manas e soma chakra e il sahasrara); come pure il
midollo spinale, che si estende dal confine superiore dell’atlante, sotto il cervelletto, e
discendente fino alla seconda vertebra lombare, dove si rastrema in un punto chiamato filum
terminalis. Dentro la colonna spinale c’è il midollo, un composto di materia cerebrale bianca e
grigia, in cui si trovano i cinque chakra inferiori. È da notare che il filum terminalis era
considerato anticamente un mero cordone fibroso, un veicolo inadeguato, si poteva pensare, per il
muladhara chakra e la Kundalini Shakti. Recenti ricerche al microscopio hanno tuttavia svelato
l’esistenza di materia grigia altamente sensibile nel filum terminalis, che rappresenta la posizione
del muladhara. Secondo la scienza occidentale, il midollo spinale non è semplicemente un conduttore
tra la periferia e i centri della sensazione e della volontà, ma è anche un centro indipendente o un
gruppo di centri. La sushumna è una nadi nel centro della colonna spinale; la sua base è chiamata
Brahma-dvara o porta di Brahman
Per quanto riguarda le relazioni fisiologiche dei chakra, tutto quello che si può dire con qualche
grado di certezza è che i quattro al di sopra del muladhara hanno relazione con la funzione
genito-escretoria, digestiva, cardiaca e respiratoria; e che i due centri superiori, l’ajna (con i
chakra associati) e il sahasrara denotano varie forme dell’attività cerebrale, terminando nel riposo
della Pura Coscienza guadagnato tramite lo yoga. Le nadi di ciascun lato, ida e pingala, sono i
midolli simpatici sinistro e destro che attraversano la colonna centrale da un lato all’altro. Con
la sushumna, esse formano ad ajna un triplice nodo chiamato triveni, che si dice sia il punto nel
midollo allungato dove si uniscono e da dove traggono origine i midolli simpatici. Queste nadi,
assieme all’ajna a due lobi e alla sushumna, formano la figura del caduceo del dio Mercurio, che
alcuni dicono rappresenti.
Com’è che il risveglio di Kundalini Shakti e la sua unione con Shiva produce lo stato di unione
estatica (samadhi) e l’esperienza spirituale che si dichiara?
In primo luogo, ci sono due linee principali di yoga, cioè dhyana o bhavana-yoga e kundalini yoga; e
c’è una differenza marcata tra i due. Il primo tipo di yoga è quello in cui l’estasi (samadhi) si
ottiene per mezzo di processi intellettivi (kriya-jnana) di meditazione e simili, con l’aiuto, può
darsi, di processi ausiliari di mantra o hatha yoga (diversi dal risveglio di Kundalini), e con il
distacco dal mondo; il secondo sta a parte come quella porzione dell’hatha yoga in cui, malgrado i
processi intellettivi non sono negati, la Shakti creativa e sostenente l’intero corpo è
effettivamente e veramente unita con la Coscienza del Signore. Lo yogi fa che Lei lo introduca al
Suo Signore, e gode la beatitudine dell’unione tramite Lei. Sebbene è lui che la desta, è Lei che dà
la conoscenza o jnana, poiché Lei stessa è jnana. Il dhyana yogi ottiene quella conoscenza dello
stato supremo che i suoi poteri di meditazione possono dargli, e non conosce il godimento
dell’unione con Shiva attraverso il fondamentale potere corporeo. Le due forme di yoga differiscono
sia come metodo che come risultato. L’hatha yogi considera il suo yoga e i suoi frutti come i
migliori; il jnana yogi può pensare similmente del suo.
Kundalini è cosi famosa che molti cercano di conoscerLa. Avendo studiato la teoria di questo yoga,
uno può chiedere: « Si può fare a meno di esso? ». La risposta è: « Dipende da quello che cercate ».
Se volete destare la Kundalini Shakti, godere la beatitudine dell’unione di Shiva e Shakti tramite
Lei e ottenere i poteri (siddhi) che ne derivano, è ovvio che questo fine può essere conseguito solo
dal kundalini yoga. In questo caso, ci si espone ad alcuni rischi. Ma se si cerca la Liberazione,
senza desiderare l’unione tramite Kundalini, allora questo yoga non è necessario, poiché la
Liberazione può essere ottenuta dal puro jnana yoga mediante il distacco, l’esercizio e quindi il
quietamento della mente, senza destare affatto il potere corporeo centrale. Invece di avviarsi nel e
dal mondo per unirsi a Shiva, per ottenere questo risultato il jnana yogi si distacca dal mondo.
Uno è il sentiero del godimento e l’altro dell’ascetismo.
Il samadhi può ugualmente essere ottenuto sul sentiero della devozione (bhakti) che su quello della
conoscenza. Invero, la devozione suprema (para bhakti) non è differente dalla conoscenza.
Entrambe sono Realizzazione. Ma mentre la Liberazione (mukti) è ottenibile con ambo i metodi, ci
sono altre notevoli differenze tra i due. Un dhyana yogi non deve trascurare il suo corpo, poiché sa
di essere mente e materia, e che l’una reagisce sull’altra. La noncuranza o la mera mortificazione
del corpo è più atta a produrre un’immaginazione disordinata che una vera esperienza spirituale.
Comunque, egli non è interessato al corpo nel senso in cui lo è l’hatha yogi. È possibile essere un
dhyana yogi coronato dal successo e tuttavia essere debole nel corpo e nella salute, malato e di
vita breve. Il suo corpo, e non lui, determina quando deve morire. Egli non può morire di sua
volontà. Quando è in samadhi, Kundalini Shakti è ancora addormentata nel muladhara, e nel suo caso
non si osserva nessuno dei sintomi fisici e la beatitudine psichica o i poteri (siddhi) che si
descrivono accompagnano il Suo risveglio.
L’estasi che egli chiama ‘Liberazione mentre ancora vivente’ (jivanmukti) non è uno stato come
quello della vera Liberazione. Egli può essere ancora soggetto a un corpo sofferente da cui si
libera solo alla morte, semmai è liberato. La sua estasi ha la natura di una meditazione che passa
nel Vuoto (bhavana-samadhi), causato attraverso la negazione di ogni forma-pensiero (chitta-vritti)
e il distacco dal mondo – un processo comparativamente negativo, nel quale non prende parte l’atto
positivo di sollevare il potere centrale del corpo. Con il suo sforzo, la mente (che è un prodotto
di Kundalini come Prakriti Shakti), assieme ai suoi desideri mondani, viene calmata così che il velo
prodotto dal funzionamento mentale è rimosso dalla Coscienza. Nel laya yoga, la stessa Kundalini,
quando risvegliata dallo yogi (poiché tale risveglio è suo atto e parte), consegue per lui
l’illuminazione.
Ma perché, si può chiedere, uno deve tormentare il corpo e il suo potere centrale, e ancor più
perché si è alle prese con rischi e difficoltà non comuni? La risposta è già stata data. C’è
compiutezza e certezza di Realizzazione tramite l’agenzia del Potere che è la Conoscenza stessa
(jnanarupa Shakti), un’acquisizione intermedia di poteri (siddhi), e un godimento intermedio e
finale.
(continua)
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