Il Vangelo del Buddha 1
Paul Carus
IL VANGELO DEL BUDDHA
Estratto da INTERNET- www.sacred-texts.com/
A cura del CENTRO NIRVANA – Roma
“IL VANGELO” del BUDDHA
di Paul Carus (The Open Court Publishing Company, Chicago) [1894]
(Tratto da INTERNET – www.sacred-texts.com/bud/index.htm)
§§§
PREFAZIONE
Questo libretto non avrebbe bisogno di nessuna prefazione per coloro che
hanno familiarità con i testi sacri del Buddismo, che è stato reso
accessibile al mondo Occidentale dall’infaticabile ed industrioso zelo di
studiosi come Beal, Bigandet, Buehler, Burnouf, Childers, Alexander Xoma,
Rhys Davids, Dutoit, Eitel, Fausboell, Foucaux, Francke, Edmund Hardy,
Spence Hardy, Hodgson, Charles R. Lanmann, F. Max MueUer, Karl Eugen
Neumann, 01denberg, Pischel, Schiefner, Senart, Seidenstuecker, Bhikkhu
Nyanatiloka, D. M. Strong, Henri Clarke Warren, Wasselijew, Weber, Windisch,
Wintemitz, ecc.
Per coloro che non hanno familiarità col soggetto, si può dichiarare che la
maggior parte dei suoi contenuti deriva dall’antico Canone Buddista. I più
importanti passaggi delle traduzioni sono stati letteralmente copiati dai
testi originali. Alcuni sono stati tradotti un pò liberamente per renderli
più comprensibili alla presente generazione; altri sono stati riordinati; ed
altri ancora sono stati un po’ abbreviati. Oltre ai tre capitoli
introduttivi ed ai tre finali, solo pochi altri sono delle aggiunte
puramente originali che, tuttavia, non sono né meri abbellimenti letterari
né deviazioni dalle dottrine buddiste. Ovunque il compilatore ha ammesso una
qualche modernizzazione, egli lo ha fatto con la dovuta considerazione e
sempre nello spirito di un legittimo sviluppo. Aggiunte e modifiche
contengono nient’altro che idee con cui, da qualche parte, si possono
scoprire i prototipi fra le tradizioni del Buddismo, e sono state introdotte
come chiarimenti dei suoi principali princìpi.
La prova più evidente che questo libro caratterizza lo spirito del Buddismo
si può trovare nel corretto benvenuto che esso ha ricevuto in tutto il mondo
Buddista. Esso è stato anche ufficialmente presentato nelle scuole e nei
templi Buddisti del Giappone e di Ceylon. Subito dopo l’arrivo della prima
edizione del 1894, il Rev. Shaku Soyen, un eminente abate Buddista di
Kamakura in Giappone, ne fece fare una traduzione in Giapponese da Teitaro
Suzuki, e poco dopo ne fu fatta una in Cinese da Mr. O’Hara di Otzu,
ingegnoso editore di un periodico Buddista, che sfortunatamente nel
frattempo aveva incontrato una prematura morte. Nel 1895 la Open Court
Publishing Company pubblicò un’edizione Tedesca a cura di E. F. L.
Gauss, a cui fece seguito una traduzione in Francese del Dott. L. Milloue,
ammini-stratore del Museo Guimet, di Parigi. Il Dott. Federigo Rodriguez ha
tradotto il libro in Spagnolo e Felix Orth in Olandese. E’ stato poi
accordato il diritto di tradurre il libro in Russo, Ceco, Italiano, ed anche
in Siamese ed altre lingue Orientali, ma di quest’ultime gli editori hanno
avuto soltanto una versione in lingua Urdu, un dialetto dell’India
Orientale.
Il Buddismo, come il Cristianesimo, è diviso in numerose sètte, e non di
rado la maggior parte di queste sètte si aggrappa ai loro dogmi settari come
se fossero le caratteristiche principali e indispensabili della loro
religione. Il presente libro non segue nessuna delle dottrine settarie, ma
prende una posizione ideale in cui come su un terreno comune possono stare
tutti i veri Buddisti. Così la principale e origi-nale caratteristica di
questo Vangelo di Buddha è il suo adattamento in una forma sistematica e
armoniosa. Considerando la gran massa dei vari dettagli del Canone Buddista,
esso deve comunque venir considerato una semplice compilazione, e lo scopo
del compilatore è stato quello di trattare il suo materiale nello stesso
modo in cui egli ritiene che l’autore del Quarto Vangelo del Nuovo
Testamento avesse utilizzato i resoconti della vita di Gesù di Nazareth.
Egli si è avventurato nel presentare i dati della vita del Buddha alla luce
della loro importanza religiosa e filosofica ed ha eliminato la maggior
parte degli adornamenti apocrifi, in special modo quelli in cui abbondano le
tradizioni Settentrionali, benché egli non ritenesse saggio contrarre la
forma che preserva le meraviglie che appaiono nelle antiche registrazioni,
allorché la sua morale sembrò giustificarne la menzione; egli eliminò
soltanto l’esuberanza di quelle deliziose meraviglie che si correlavano con
le cose più incredibili, apparentemente messe lì per impressionare, mentre
in effetti potevano solamente stancare (I miracoli hanno smesso di essere un
test religioso; eppure la credenza nei poteri miracolosi del Maestro è
ancora testimone del santo timore riverenziale dei primi discepoli e
riflette il loro religioso entusiasmo).
Affinché l’idea fondamentale delle dottrine del Buddha non venga
malinterpretata, il lettore è messo in guardia nel prendere il termine “sé”
nel senso con cui il Buddha lo usa. Il “sé” traduce il termine ‘atman’ che
perfino nel Canone Buddista può essere, ed è stato capito, in un senso in
cui il Buddha non avrebbe mai fatto nessuna obiezione. Il Buddha nega
l’esistenza di un “sé” come era stato capito comunemente ai suoi tempi; egli
non nega la mentalità dell’uomo, la sua costituzione spirituale,
l’importanza della sua personalità, in una parola: la sua anima. Ma nega la
misteriosa ego-entità, l’atman, nel senso di una qualche sorta di
anima-nomade, che da alcune scuole era ritenuto risiedesse dietro o all’interno
del corpo umano e dell’attività psichica, come un distinto ‘essere’, una
sorta di ‘cosa-in-sé’, ed un agente metafisico assunto come un’anima eterna.
Il Buddismo è monistico. Esso ritiene che l’anima dell’uomo quando muore non
consista di queste due cose, cioè il ‘sé’ (atman) e la mente o pensieri
(manas), ma
che vi sia una sola realtà, la nostra mente-pensieri (manas), ed è questo
manas che costituisce lo spirito. I pensieri dell’uomo, in qualche modo,
sono il ‘suo sé’, e questi non sono l’atman, e nessun “sé” supplementare e
separato vi sta dietro.
Di conseguenza, la traduzione di atman con “anima”, che implicherebbe il
fatto che il Buddha avesse negato l’esistenza dell’anima, è estremamente
fuorviante. Buddisti rappresentativi, di scuole e paesi diversi, riconoscono
la correttezza della visione qui espressa, e noi enfatizziamo specialmente
l’assenso dei Buddisti delle Scuole Meridionali, perché loro hanno
preservato più fedelmente la tradizione e sono stati molto puntigliosi
nell’asserzione dei punti dottrinali.
“Il Buddista”, Organo della Chiesa Meridionale di Buddismo, scrive in una
revisione de Il Vangelo di Buddha:
“La caratteristica preminente dell’opera è la sua presa di un soggetto così
difficile e l’enunciazione chiara della dottrina del più sconcertante
problema dell’atman, come insegnato nel Buddismo. Così come abbiamo
esaminato noi la questione del/’ atman dai testi del Canone Meridionale, la
visione presa dal Dott. Paul Carus è accurata, e noi riteniamo giusto
pensare che essa non è contraria alla dottrina del Buddismo Settentrionale.
“
Questa superstizione dell’atman, così comune non solo in India, ma in tutto
il mondo, corrisponde all’abituale ‘egotismo’ dell’uomo nella vita pratica.
Entrambi sono illusioni che scaturiscono dalla stessa radice che è la vanità
della mondanità che incita l’uomo a credere che lo scopo della vita risieda
nel suo ‘sé’. Il Buddha propose di eliminare completamente ogni pensiero di
se-stesso, così che non porti più frutti. Quindi, il Nirvana è uno stato
ideale in cui l’anima di un uomo, dopo essere stata purificata da ogni
egoismo, odio e concupiscenza, è divenuta la dimora della verità,
insegnandogli a diffidare degli allettamenti del piacere ed a confinare
tutte le sue energie nel fare attenzione ai doveri della vita.
La dottrina del Buddha non è negativista. Investigare sulla natura dello
spirito del-l’uomo dimostra che, benché non vi sia alcun atman o
‘ego-entità’, la vera ‘essenza’ dell’uomo consiste nel suo karma, i suoi
atti o azioni, che rimane intatto alla morte e continua a vivere. Così,
negando l’esistenza di ciò che appare come la nostra anima e per la cui
distruzione alla morte noi tremiamo, il Buddha invero apre all’umanità la
porta dell’immortalità (poiché la esprime egli-stesso); e qui vi sono le
basi della sua morale nonché del conforto, come pure l’entusiasmo che offre
la sua religione. Chiunque non veda l’aspetto positivo del Buddismo, non
sarà in grado di capire come essa possa esercitare una simile potente
influenza su milioni e milioni di persone.
Il presente libro non è destinato a contribuire alla soluzione di problemi
storici. Il compilatore ha studiato il suo soggetto nelle migliori
circostanze che poteva, ma qui egli non intende offrire una produzione
scientifica. Né questo libro vuol essere un tentativo di rendere popolari le
scritture religiose Buddiste, né di presentarle in
una qualche forma poetica. Se questo “Vangelo del Buddha” potrà aiutare le
persone a comprendere meglio il Buddismo, e se nel suo semplice stile potrà
entusiasmare il lettore con la grandiosità poetica della personalità del
Buddha, questi effetti dovranno essere considerati come collaterali; il suo
scopo principale resta ben più profondo. Il presente libro è stato scritto
per permettere al lettore di pensare ai problemi religiosi di oggi. Esso è
il quadro di un leader religioso del passato, con l’idea di farlo vivere nel
presente e divenire un fattore di formazione del futuro.
È un fatto straordinario che due delle più grandi religioni del mondo,
Cristianesimo e Buddismo, presentino così molte impressionanti coincidenze
nella base filosofica
come pure nelle loro implicazioni etiche di fede, sebbene i loro metodi di
renderle in dogmi sistematici siano radicalmente diversi; ed è difficile
capire il perché queste concordanze abbiano dovuto provocare tanta
animosità, invece di creare sentimenti di amicizia e di buona-volontà.
Perché i Cristiani non dovrebbero dire ciò che dice il Prof. F. Max Mueller:
“Se in certe opere Buddiste io trovo dottrine identiche al Cristianesimo,
anziché essere spaventato, mi sento assai contento, perché certamente la
verità non è meno vera, quando è creduta dalla maggior parte della razza
umana. “
Il problema principale sorge da una errata concezione del Cristianesimo. Ci
sono molti Cristiani che presumono che solo il Cristianesimo sia in possesso
della verità e che l’uomo non potrebbe, nel naturale modo della sua
evoluzione morale, aver ottenuto quella più nobile concezione di vita che
unisce la pratica di una buonavolontà universale sia verso gli amici che i
nemici. Questa visione ristretta del Cristianesimo è semplicemente confutata
proprio dall’esistenza del Buddismo. Non dovremmo forse anche aggiungere che
la presunta lamentevole esclusività che prevale in molte chiese Cristiane,
non è basata sugli insegnamenti Scritturali, ma su errate metafisiche?
Tutte le essenziali verità morali del Cristianesimo, in special modo il
principio di amore universale, cioè lo sradicamento dell’odio è secondo la
nostra opinione profondamente radicato nella natura delle cose e non è, come
spesso si presume, in contraddizione con l’ordine cosmico del mondo.
Inoltre, alcune dottrine sulla costituzione dell’esistenza sono state
formulate dalla chiesa con certi simboli, e poiché questi simboli contengono
contraddizioni ed entrano in conflitto con la scienza, le classi colte si
sono via via allontanate dalla religione. Ora, il Buddismo è una religione
che non parla di una qualche rivelazione soprannaturale, e proclama dottrine
che non richiedono altro argomento che il “venire a vedere”. Il Buddha basa
la sua religione solamente sulla verità dimostrabile, sulla conoscenza della
natura delle cose da parte dell’uomo. Così, noi confidiamo che un paragone
del Cristianesimo con il Buddismo sarà di grande aiuto per distinguere in
entrambe le religioni l’essenziale dal fortuito, l’eterno dal transitorio,
la verità dalla allegoria, in cui essa ha trovato la sua espressione
simbolica. Noi siamo ansiosi di presentare una necessità che si discrimini
tra il simbolo ed il suo significato, tra il dogma e la religione, tra le
teorie metafisiche e le asserzioni di fatto, e infine tra le formule
artificiali e la verità eterna. E questo è lo spirito con cui noi proponiamo
questo libro al pubblico, con la speranza che esso possa aiutare a
sviluppare nel Cristianesimo, non meno che nel Buddismo, la religione della
verità cosmica.
La forza, come la debolezza del Buddismo originario, risiede nel suo
carattere filosofico che rese idoneo il pensatore, ma non le masse, a capire
la dispensazione della legge morale che pervade il mondo. Così, il Buddismo
originario è stato chiamato dai Buddisti stessi la piccola navicella della
salvezza, o Hinayana; perché esso è comparabile ad una piccola barca su cui
un uomo può attraversare il fiume della mondanità, per poter approdare alla
riva del Nirvana.
Seguendo lo spirito di una propaganda da missionari, così naturale per
uomini religiosi che siano seri nelle loro convinzioni, i successivi
Buddisti, resero popolari le dottrine del Buddha e le resero accessibili
alle moltitudini. E vero che essi ammisero molte nozioni mitiche ed anche
fantastiche, tuttavia riuscirono a portare la sua verità morale a casa di
persone che potevano capire, anche se in un modo incompleto, il significato
filosofico della religione del Buddha. Essi costruirono una più grande nave
di salvezza, il Mahayana, come essi lo chiamarono, in cui le genti potessero
trovare dimora ed essere portate in salvo. Anche se il Mahayana ha
indiscutibilmente i suoi limiti, non deve essere condannato tout-court,
perché il suo scopo è assai utile. Senza considerarlo la tappa finale dello
sviluppo religioso delle nazioni in cui oggi prevale, dobbiamo concedere che
esso fu il risultato di un adattamento alle loro condizioni e ha contribuito
molto ad istruirle. Il Mahayana è un passo avanti nel modo in cui una
filosofia si trasforma in una religione, e fa sì che dottrine, pur predicate
ed espresse negativamente, si trasformino in proposte positive.
Lungi dal rifiutare il religioso zelo che nel Buddismo generò il Mahayana,
ancor meno possiamo unirci al coro di quelli che denunciano il Cristianesimo
in base ai suoi dogmi ed ingredienti mitologici. Il Cristianesimo certamente
ha avuto ed ancora ha una grande missione nell’evoluzione dell’umanità. Esso
è riuscito a impregnare con una religione di carità e misericordia le
nazioni più potenti del mondo, alle cui necessità spirituali si è
specialmente adattato. Ed estende le benedizioni di buonavolontà
universale, col minimo possibile di antagonismo e naturale egoismo, che non
si è fortemente sviluppato nei popoli Occidentali. Il Cristianesimo è la
religione dell’amore reso facile. Questo è il suo vantaggio che, tuttavia,
non è privo di inconvenienti. Il Cristianesimo insegna la carità senza però
disperdere l’illusione dell’ego; e in questo senso, può superare anche il
Mahayana; dato che alle necessità delle moltitudini esso è ancor più adatto
della grande nave che fu adatta a portare quelli che vi si imbarcano; Il
Cristianesimo è paragonabile ad un grande ponte, un Mahasetu, su cui anche
un bambino che non ha ancora la comprensione della sua vera natura può
attraversare il fiume dell’egoismo e della vanità mondana.
Un parallelo delle molte impressionanti concordanze tra Cristianesimo e
Buddismo potrebbe dimostrarsi fatale alle concezioni settarie di entrambi le
religioni, ma alla fine potrà aiutare a maturare la nostra intuizione nel
loro vero significato. Esso potrà rivelare una fede più nobile che aspira ad
essere la religione cosmica della verità universale. Vogliamo sperare che
questo Vangelo del Buddha possa servire sia ai Buddisti che ai Cristiani,
come aiuto per penetrare ulteriormente nello spirito della loro fede, come
pure per vedere la sua piena altezza, lunghezza e larghezza. Al di sopra di
ogni Hinayana, Mahayana e Mahasetu, c’è la Religione della Verità.
Paul Carus- LaSalle, Illinois, Stati Uniti. 1894
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IL DISCEPOLO PARLA
Siate contenti delle liete notizie! Il nostro Signore Buddha ha trovato la
radice di ogni male; egli ci ha mostrato la Via della salvezza. Il Buddha
disperde le illusioni della nostra mente e ci riscatta dal terrore della
morte.
Il nostro Signore Buddha reca conforto alle persone stanche e piene di
dolore; restaura la pace in coloro che sono affranti sotto il peso della
vita. Egli dona il coraggio ai deboli, allorchè essi diventano disposti ad
aprirsi alla speranza ed alla fiducia in sé. Voi che soffrite per le
tribolazioni della vita, voi che dovete lottare e sopportare, voi che
desiderate una vita di verità, allietatevi con le buone notizie! C’è il
balsamo per chi è ferito, e c’è il pane per chi ha fame. C’è acqua per chi
ha sete, e c’è speranza per chi è disperato. C’è luce per coloro che sono
nell’oscurità, e ci sono inesauribili benedizioni per i giusti.
Guarite le vostre piaghe, voi che siete feriti, e riempitevi di cibo, voi
che siete affamati. Riposatevi, voi che siete stanchi, ed estinguete la
vostra sete, o voi che l’avete. Ammiri la luce, chi siede nell’oscurità; e
sia pieno di buon umore, chi si sente abbandonato. Abbia fiducia nella
verità, chi ama la verità, perché il regno della rettitudine è fondato su
questa terra. L’oscurità dell’errore è dispersa dalla luce della verità. Noi
possiamo vedere la nostra Via e tenere passi fermi e certi. Il nostro
Signore Buddha ha rivelato la verità. La verità guarisce le nostre malattie
e ci riscatta dalla perdizione; la verità ci fortifica nella vita e nella
morte; soltanto la verità può vincere i malanni dell’errore. Siate lieti per
le buone notizie!
(Conclusione) SAMSARA E NIRVANA
Guardatevi intorno e contemplate la vita! Tutto è transitorio e niente dura.
Ci sono nascita e morte, crescita e decadimento; c’è l’unione e la
separazione. La gloria del mondo è come un fiore: è in piena fioritura al
mattino e si affievolisce pian piano al calore del giorno.
Dovunque voi guardiate, c’è un correre ed un lottare, ed una ansiosa ricerca
del piacere. C’è un cercar di sfuggire il panico da dolore e morte, e
ardenti sono le fiamme del desiderio che brucia. Il mondo è una Fiera delle
Vanità, pieno di mutamenti e trasformazioni. Tutto è Samsara, la turbinosa
Ruota dell’Esistenza.
Ma non c’è niente di permanente nel mondo? Nel tumulto universale, non c’è
alcun luogo di riposo dove il nostro cuore agitato possa trovare la pace?
Non c’è niente di eterno? Oh, se noi potessimo avere la cessazione dall’ansia,
e se i nostri ardenti desideri fossero estinti! Quando diverrà tranquilla e
composta la mente?
Il nostro Signore Buddha fu addolorato dalle sofferenze della vita. Egli
potè vedere la vanità della felicità mondana e cercò la salvezza nella sola
cosa che non potrà mai affievolirsi o perire, ma esisterà per sempre.
O voi che bramate ardentemente la vita, dovete imparare che l’immortalità è
nascosta nella transitorietà. Voi che desiderate la felicità senza
rammaricarvi nel rimorso, cercate di condurre una vita di rettitudine. Voi
che desiderate ricchezza, cercate di ottenere tesori che sono eterni. La
verità è ricchezza, e la vera felicità è una vita nella verità.
Tutti coloro che si uniscono dovranno di nuovo sciogliersi, ma le verità che
come leggi di natura determinano tutte le unioni e separazioni, quelle sì
durano per sempre. I corpi precipitano nella polvere, ma le verità della
mente non saranno mai distrutte.
La verità non conosce né nascita né morte; non ha nessun inizio e nessuna
fine. Benvenuta sia la verità. La verità è la parte immortale della mente.
Stabilite perciò la verità nella vostra mente, perché la verità è l’immagine
dell’eterno; essa ritrae l’immutabile; rivela l’eterno; la verità dà ai
mortali il vantaggio dell’immortalità.
Il Buddha ha proclamato la verità; lasciate che la verità del Buddha dimori
nei vostri cuori. Estinguete in voi stessi ogni desiderio che sia contro la
verità del Buddha, e nella perfezione della vostra crescita spirituale
diventerete simili a lui. Ciò che nel vostro cuore non può o non vuole
svilupparsi nel Buddha dovrà perire, perchè è non-reale ed è mera illusione;
quella è la fonte del vostro errore; è la causa del vostro disagio.
Voi otterrete l’immortalità riempiendo la vostra mente con la verità.
Perciò, cercate di divenire vasi appropriati per ricevere le parole del
Maestro. Purificatevi dal male e santificate le vostre vite. Non c’è nessun
altro modo di giungere alla verità.
Imparate a distinguere tra il ‘sé’ e la Verità. Il ‘Sé’ è la causa
dell’egoismo e la fonte del male; la verità tende al ‘non-sé’; è universale
e porta alla giustizia e alla rettitudine. Il ‘sé’, che a quelli che amano
loro stessi sembra come il loro essere, non è eterno, imperituro, durevole.
Non cercate il vostro ‘sé’, ma cercate la verità.
Se noi liberiamo le nostre anime dal nostro piccolo ‘sé’, non desiderando
alcun male agli altri, e diventando puri e chiari come un diamante di
cristallo che riflette la luce della verità, ecco che un radiante quadro
apparirà in noi rispecchiando le cose come esse sono, senza la mescolanza di
desideri ardenti, senza la distorsione di erronea illusione e senza
l’agitazione di attaccamenti e ansie.
Eppure voi amate il sé e non abbandonerete l’amor proprio. Quindi se pure è
così, ma poi, in realtà, voi dovreste imparare a distinguere tra il falso sé
ed il vero ‘Sé’. L’ego con tutto il suo egotismo è il falso sé. Esso è
un’illusione irreale ed una deteriorabile formazione. Soltanto colui che
identifica il suo vero Sé con la verità raggiungerà il Nirvana; e colui che
è entrato nel Nirvana ha raggiunto la Buddhità; egli ha acquisito il sommo
bene; è divenuto eterno ed immortale.
Tutte le cose composte verranno di nuovo dissolte, i mondi saranno distrutti
e le nostre individualità disperse; ma solo le parole del Buddha resteranno
per sempre.
L’estinzione del ‘sé’ è la salvezza; l’annientamento del ‘sé’ è la sola
condizione per l’Illuminazione; l’eliminazione del ‘sé’ è il Nirvana. Felice
è colui che ha smesso di vivere per il piacere e riposa nella verità. Invero
la sua calma e la tranquillità di mente sono la beatitudine suprema.
Prendiamo dunque il nostro rifugio nel Buddha, perché egli ha trovato
l’eterno nel transitorio. Prendiamo il nostro rifugio in ciò che è
l’immutabile nei mutamenti dell’esistenza. Prendiamo il nostro rifugio nella
verità stabilita dall’Illuminazione del Buddha (il Dharma). Prendiamo il
nostro rifugio nella comunità di quelli che cercano la verità e si sforzano
di vivere nella verità (il Sangha).
LA VERITÀ CHE REDIME
Tutte le cose del mondo, ed i suoi abitanti, sono soggetti a cambiamento.
Essi sono combinazioni di elementi che esistevano già prima, e tutte le
creature viventi sono ciò che è stato creato dalle loro azioni passate;
perché la legge di causa e di effetto è uniforme e senza eccezioni.
Ma nelle cose che cambiano c’è una legge costante, e quando la legge è vista
vi è la verità. La verità giace nascosta nel Samsara, come quel qualcosa che
pur nel suo mutare, è permanente. La verità desidera apparire; la verità si
sforza di conoscersi; la verità brama di divenire consapevole.
C’è verità nella pietra, perché la pietra è qui; e nessun potere al mondo,
né dio, né uomini, né nessun demone, possono distruggere la sua esistenza.
Ma la pietra non ha coscienza. C’è verità nella pianta, e la sua vita si può
espandere; la pianta cresce e fiorisce, e genera frutti. La sua bellezza è
meravigliosa, ma essa non ha coscienza. C’è verità in un animale; esso si
muove all’intorno e percepisce i suoi dintorni; distingue ed impara a
scegliere. In lui vi è coscienza, ma non è ancora la coscienza della Verità.
È solamente una piccola coscienza di sé.
La coscienza di sé offusca gli occhi della mente e gli nasconde la verità.
Essa è l’origine dell’errore, è la fonte dell’illusione, è il germe della
malvagità. Il ‘sé’ genera l’egoismo. Non vi è nessun male che non fluisca
dal sé. Non c’è nessuna cosa sbagliata se non ciò che è fatto asserendo il
proprio ‘sé’. Il ‘sé’ è l’inizio di ogni odio, dell’iniquità e la calunnia,
dell’impudenza e l’indecenza, del furto e delle rapine, delle oppressioni e
spargimenti di sangue. Il ‘sé’ è Mara, il tentatore, il malvagio, il
creatore del male. Il ‘sé’ adesca con i piaceri. Il ‘sé’ promette il
paradiso delle fate. Il ‘sé’ è il velo di Maya, l’incantatore. Ma i piaceri
del ‘sé’ non sono reali, i suoi paradisi sono un labirinto di strade verso
la miseria, e la sua evanescente bellezza accende le fiamme di desideri che
non possono essere mai soddisfatti.
Chi ci libererà dal potere del ‘sé’? Chi ci salverà dalla miseria? Chi ci
riporterà ad una vita di beatitudine?
C’è dolore nel mondo Samsarico; ci sono molti disagi e dolore. Ma più grande
di ogni dolore è la beatitudine della verità. La verità dà la pace alla
mente bramosa; essa sottomette l’errore; estingue le fiamme dei desideri;
conduce al Nirvana. Benedetto è colui che ha trovato la pace del Nirvana.
Egli sarà a suo agio nelle lotte e tribolazioni della vita; sarà aldisopra
di ogni cambiamento; aldisopra di nascita e morte; egli non resterà soggetto
agli influssi negativi della vita.
Benedetto è colui che ha trovato l’illuminazione. Egli vincerà, anche se può
essere ferito; sarà glorioso e felice, anche se può soffrire; sarà potente e
forte, anche se può stancarsi sotto il carico del suo lavoro; egli sarà
immortale, anche se morirà. L’essenza del suo essere è purezza e bontà.
Benedetto è colui che ha raggiunto il sacro Stato di Buddha, perché egli è
adatto a lavorare per la salvezza dei suoi amici, gli esseri. La verità ha
preso dimora in lui. La perfetta saggezza illuminerà la sua comprensione, e
la rettitudine incarnerà lo scopo di tutte le sue azioni. La verità è un
potere vivente perchè è invincibile, indistruttibile e positiva! Fate
operare la verità nella vostra mente, e diffondetela tra l’umanità, perché
solo la verità è ciò che redime dal male e dalla sofferenza. Il Buddha ha
trovato la verità e la verità è stata proclamata dal Buddha! Benedetto sia
il Buddha!
L’ILLUMINAZIONE
C’era in Kapilavatthu un re Shakya, forte di mentalità e riverito da tutti
gli uomini, un discendente degli ‘Okkaka’, che si faceva chiamare Gotama, ed
il suo nome era Suddhodana, o Puro-Riso. Sua moglie Mayadevi era bella come
il giglio d’acqua – e pura nella mente come il fiore-di-loto. Come una
Regina del Cielo, lei visse sulla terra, non corrotta dal desiderio, e
totalmente immacolata.
Il Re, suo marito, la onorò nella sua santità, e lo spirito della verità,
glorioso e forte nella sua saggezza come un elefante bianco, discese su di
lei. Quando lei seppe che l’ora della maternità era vicina, chiese al re di
mandarla a casa sua dai suoi genitori; e Suddhodana, ansioso per sua moglie
e il bambino che lei portava, accordò volentieri alla sua richiesta.
A Lumbini, vi è un bel boschetto, e quando Mayadevi passò attraverso di esso
gli alberi erano pieni di fiori fragranti e molti uccelli stavano
gorgheggiando sui loro rami. La Regina, desiderando di andare a spasso
attraverso gli ombrosi vialetti, lasciò il suo baldacchino dorato e, quando
giunse al gigante albero di Sala, nel mezzo del boschetto, sentì che la sua
ora era venuta. Lei si sorresse ad un ramo. I suoi attendenti appesero una
tenda davanti a lei e si ritirarono. Quando le arrivò il dolore del
travaglio, quattro angeli puri-di-mente del grande Brahma sostennero una
rete dorata per ricevere il bambino che uscì dal lato destro di lei, come il
sole che sorge brillante e perfetto.
Gli angeli di Brahma presero il bambino e mettendolo davanti alla madre
dissero: “Allietati, O Regina, da Te è nato un figlio potente!”.
Ai suoi piedi c’era una anziana donna che implorava il cielo di benedire il
bambino. Tutti i mondi furono avvampati da una forte luce. I ciechi
riottennero la vista, con il desiderio di vedere la prossima gloria del
Signore; i sordo-muti parlarono tra di loro dei buoni auspici che indicavano
che vi era stata la nascita del Buddha. Le persone curve ritornarono
diritte; gli zoppi camminarono. Tutti i prigionieri furono liberati dalle
loro catene ed i fuochi di tutti gli inferni furono estinti.
Non c’era nessuna nube nel cielo e i ruscelli inquinati ridivennero puri e
chiari, mentre musica celestiale attraversava l’aria e gli angeli si
allietavano di gioia e gaiezza. Con imparziale gioia altruistica, essi erano
lieti per il bene della legge, perché era l’ora di ottenere la liberazione
per la creazione, sommersa nell’oceano del dolore. Le urla delle bestie
feroci furono fatte tacere; tutti gli esseri malevoli ottennero un cuore
amorevole, e la pace regnò sulla terra. Solo il perfido Mara, ne fu
addolorato e non si allietò.
I re Naga, desiderando mostrare sinceramente il loro rispetto per l’eccellentissima
legge, poiché essi avevano già onorato i precedenti Buddha, andarono allora
a salutare il Gran Bodhisattva. Essi cosparsero di fronte a lui fiori di
mandarino, allietandosi con gioia sincera per porgere il loro religioso
omaggio.
Il Re-padre, valutando il significato di questi segnali, ora era pieno di
gioia ed ora dolentemente angosciato. La Regina-madre, vedendo il suo bimbo
e la commozio-ne che la sua nascita aveva creato, sentì nel suo timoroso
cuore i tormenti del dubbio.
Ora, in un boschetto vicino Lumbini, vi era a quel tempo un Rishi, di nome
Asita, che conduceva una vita da eremita. Lui era un bramano di dignitoso
aspetto, famoso non solo per la sua saggezza ed erudizione, ma anche per la
sua abilità nell’interpretazione dei segni. Così, il re lo invitò a vedere
il bambino reale.
Il veggente, vedendo il principe, pianse e sospirò profondamente. E quando
il re vide le lacrime di Asita si allarmò e chiese: “Perché mai la vista di
mio figlio ha provocato dolore in te?”
Ma il cuore di Asita presto si allietò, e, sapendo che la mente del re era
rimasta perplessa, si indirizzò a lui, dicendo: “Il re dovrebbe sentire
grande gioia, come quando c’è la luna piena, perché egli ha generato un
figlio meravigliosamente nobile. Io non adoro Brahma, ma io adoro questo
bambino; e gli dèi nei templi discenderanno dai loro luoghi di onore per
adorarlo. Bandisca quindi il Re ogni ansia e dubbio. Gli auspici spirituali
manifestati indicano che il bambino ora nato porterà la liberazione al mondo
intero”.
“Tenendo a mente che io stesso sono vecchio, in base a ciò io non sono
riuscito a trattenere le lacrime; perché ora la mia fine sta venendo ed io
non potrò vedere la gloria di questo bambino. Perché questo tuo figlio
dominerà il mondo. Perché lui girerà la ruota dell’impero. Egli, o sarà un
Re dei re che governerà tutti i paesi della terra, oppure diventerà un
Buddha. Egli è nato per il bene di tutto ciò che è vivente. Il suo puro
insegnamento sarà come la spiaggia che accoglie il naufrago. Il suo potere
di meditazione sarà come un fresco laghetto; e tutte le creature che sono
riarse con la siccità della concupiscenza potranno liberamente bere in esso.
Egli farà sorgere la nube della sua misericordia sul fuoco della bramosia,
così che la pioggia della legge (Dharma) possa estinguerlo. Egli aprirà i
pesanti cancelli dello sconforto e dell’abbattimento, e darà liberazione a
tutte le creature prese in trappola nelle maglie auto-intrecciate della
follia e dell’ignoranza. Il Re della Legge è arrivato per liberare dalla
schiavitù tutti i poveri, i miseri, gli indifesi”.
Quando i reali genitori sentirono le parole di Asita, si rallegrarono nei
loro cuori e chiamarono il loro neonato infante Siddhartha, cioè “Colui che
ha realizzato il suo scopo”.
E la regina disse a sua sorella, Prajapati: “Una madre che ha partorito un
futuro Buddha non partorirà mai più un altro bambino. Io presto lascerò
questo mondo, il Re mio marito, e Siddhartha, il mio bambino. Quando io sarò
andata, sia tu una madre per lui.” E Prajapati pianse e promise.
Quando la Regina lasciò la vita, Prajapati prese con sé il giovane
Siddhartha e lo allevò. E come la luce della luna che aumenta poco a poco,
così il bambino reale giorno dopo giorno crebbe nella mente e nel corpo;
veridicità ed amore presero dimora nel suo cuore. Quando fu passato un anno
dalla morte di Mayadevi, il re Suddhodana fece di Prajapati la sua regina, e
ci non fu mai più una matrigna migliore di lei.
I VINCOLI DELLA VITA
Quando Siddhartha arrivò alla gioventù, suo padre desiderò vederlo sposato,
e così spedì ordini a tutto il suo parentado, comandandolo di portare le
loro figlie principesse cosicché il principe potesse selezionare una di esse
come sua moglie.
Ma il parentado rispose: “Il principe è giovane e delicato; non ha ancora
imparato nessuna scienza. Lui non sarebbe in grado di mantenere nostra
figlia, e se vi fosse una guerra egli non sarebbe capace di affrontare il
nemico.”
In effetti, il principe nella sua natura non era forte, ma malinconico.
Amava stare sotto il grande albero-jambu nel giardino di suo padre, e,
osservando i metodi del mondo, si dette alla meditazione. Così il principe
disse a suo padre: “Invitiamo il nostro parentado affinché essi possano
vedermi e possano mettere alla prova la mia forza.” E suo padre fece come
suo figlio aveva proposto.
Quando il parentado venne, e la gente della città di Kapilavatthu si era
radunata per esaminare la prodezza e l’erudizione del principe, egli si
dimostrò virile in tutti gli esercizi sia di corpo che di mente, e non vi fu
concorrente fra la gioventù e gli uomini dell’India che poteva superarlo in
qualche prova, fisica o mentale. Egli rispose a tutte le domande dei saggi;
ma quando lui a sua volta li interrogò, anche i più saggi fra loro furono
fatti tacere.
Poi Siddhartha si scelse una moglie. Lui selezionò la sua cugina Yasodhara,
la gentile figlia del re di Koli. Dal loro matrimonio nacque un figlio che
fu chiamato Rahula, che significa “vincolo” o “legame”, e il Re Suddhodana,
felice che un erede fosse nato a suo figlio, disse: “Il principe che ha
generato un figlio, l’amerà come io amo il principe. Questo sarà un forte
vincolo per legare agli interessi del mondo il cuore di Siddhartha, ed il
regno dei Shakya rimarrà sotto lo scettro dei miei discendenti”.
Con scopi non-egoistici, ma in considerazione del suo bambino e di tutto il
popolo, il principe Siddhartha attese ai suoi doveri religiosi, bagnando il
suo corpo nel santo Gange e purificando il suo cuore nelle acque della
Legge. Così come gli uomini desiderano dare felicità ai loro bambini, così
egli desiderava donare la pace al mondo.
LE TRE SVENTURE
Il palazzo che il re aveva dato al principe era risplendente con tutti i
lussi dell’India; dato che il re era ansioso di vedere suo figlio felice.
Tutte le visioni di dolore, ogni sofferenza, ed ogni conoscenza di disagi
furono tenuti lontano da Siddhartha, perché il re desiderava che nessun
problema doveva accostarglisi; egli non doveva sapere che nel mondo c’era il
male.
Ma come l’elefante incatenato che desidera ardentemente la selvaggia libertà
della giungla, così il principe era ansioso di conoscere il mondo, e perciò
chiese al re, suo padre, il permesso per poterlo fare. Suddhodana fece
approntare un carro ornato di gioielli con quattro grandiosi cavalli, e
ordinò che le strade dove sarebbe passato suo figlio fossero tutte adornate
con fiori e festoni.
Tutte le case della città furono decorate con tende e bandiere, e molti
spettatori si sistemarono su entrambi i lati delle vie, aspettando con
impazienza di veder passare l’erede al trono. Così Siddhartha arrivò con
Channa, il suo auriga, ed attraversò le strade della città, in un territorio
irrorato da bei ruscelletti e pieno di gradevoli alberi fioriti.
Ad un tratto, sul margine della via, essi incontrarono un vecchio che
camminava curvo, con un volto grinzoso e lo sguardo sofferente, e così il
principe chiese all’auriga: “Chi è costui? La sua testa è bianca, i suoi
occhi sono offuscati, ed il suo corpo è appassito. Può a malapena sostenersi
con un bastone!”
L’auriga, benché imbarazzato, osò proprio dirgli la verità. Perciò gli
disse: “Questi sono i sintomi della vecchiaia. Questo stesso uomo una volta
era un lattante, e poi un giovane spensierato; ma ora, che sono passati
tanti anni, la sua bellezza è sfiorita e la sua forza vitale è scemata.”
Siddhartha fu fortemente colpito dalle parole dell’auriga, e lui sospirò
pensando al dolore della vecchiaia. “Che gioia o piacere possono avere gli
uomini”, disse a se-stesso, “se poi sanno che presto devono appassirsi e
languire in questo modo!”
E, mentre stavano continuando il cammino, ecco che un uomo ammalato apparve
sul lato della strada, pieno di affanno, col corpo sfigurato, agitandosi e
gemendo per il dolore. Il principe chiese al suo auriga: “Che genere di uomo
è questo?”
E l’auriga rispose: “Questo uomo è ammalato. I quattro elementi del suo
corpo sono confusi e in disordine. Noi siamo tutti soggetti a tali
condizioni: il povero ed il ricco, l’ignorante ed il saggio, tutti gli
esseri che hanno un corpo sono sottoposti alla stessa calamità”. E
Siddhartha fu ancora più commosso. Tutti i piaceri gli apparvero inutili, ed
egli aborrì le cosiddette gioie della vita.
L’auriga spronò i cavalli per sfuggire da quella cupa visione, quando all’improvviso
furono fermati nella loro corsa. Stavano passando quattro persone che
portavano un cadavere; ed il principe, rabbrividendo alla vista di un corpo
esanime, chiese all’auriga: “Cos’è che stanno portando? Ci sono banderuole e
ghirlande di fiori; ma gli uomini che le seguono sono sommersi di dolore! “
L’auriga rispose: “Questo è un uomo morto: il suo corpo è rigido; la sua
vita è andata; i suoi pensieri ci sono ancora; la sua famiglia e gli amici
che l’amarono ora portano il cadavere alla tomba.” Ed il principe era pieno
di timore riverenziale e terrore: “È questo l’unico uomo morto” chiese,
“oppure il mondo contiene altri esempi?”
Con il cuore oppresso l’auriga rispose: “In tutto il mondo avviene la stessa
cosa. Colui che comincia la vita deve finirla. Non c’è scampo dalla morte.”
Col fiato sospeso e balbettando il principe esclamò: “O uomini del mondo!
Come è fatale la vostra illusione! Inevitabilmente il vostro corpo si
sbriciolerà in polvere, eppure voi vivete così distrattamente, così
spensierati”. L’auriga, osservando la profonda impressione che queste tristi
visioni avevano fatto sul principe, rigirò i suoi cavalli e ritornò verso la
città.
Quando passarono dal palazzo della nobiltà, Kisa Gotami, una giovane
principessa e nipote del re, vide Siddhartha in tutta la sua virilità e
bellezza e, osservando la pensosità della sua espressione, disse: “Felice il
padre che ti ha generato, felice la madre che ti ha allattato, felice la
moglie che chiama marito questo così glorioso signore.”
Il principe, nel sentire questo saluto, disse: “Felici sono coloro che hanno
trovato la liberazione. Desiderando invero la pace della mente, io cercherò
la beatitudine del Nirvana.”
Kisa Gotami allora chiese: “Come si ottiene il Nirvana?” Il principe fece
una pausa, ed a lui, la cui mente era estranea al male, venne questa
risposta: “Quando il fuoco della concupiscenza è estinto, allora il Nirvana
è raggiunto; quando i fuochi di odio ed illusione sono finiti, allora il
Nirvana è ottenuto; quando i problemi della mente, che sorgono dalla cieca
credulità, e tutti gli altri mali sono eliminati, allora il Nirvana è
ottenuto!”
Siddhartha le diede la sua collana di perle preziose per ricompensare la
saggezza che lei gli aveva ispirato, ed essendo ritornati a casa prese a
disdegnare i tesori del suo palazzo.
Sua moglie dandogli il benvenuto lo implorò di dirle la causa del suo
dolore. Lui le disse: “Io vedo dappertutto l’impressione del cambiamento;
perciò, il mio cuore è oppresso. Gli uomini diventano vecchi, si ammalano, e
muoiono. Ciò è abbastanza per togliere l’aroma ed il piacere della vita.”
Il re, suo padre, sentendo che il principe si era alienato dal piacere, fu
fortemente sopraffatto dal dolore e fu come se una spada avesse trafitto il
suo cuore.
LA RINUNCIA DEL BODHISATTVA
Era notte. Il principe non riusciva a riposare sul suo molle cuscino; egli
si alzò ed andò fuori nel giardino. “Ahimè!” gemette, “tutto il mondo è
pieno di oscurità ed ignoranza; non c’è nessuno che sappia come guarire i
mali dell’esistenza”. Egli, colmo di dolore, si mise a piangere.
Siddhartha si sedette ai piedi del grande albero-jambu e si mise a pensare,
riflet-tendo sulla vita e la morte, e sull’angoscia della malattia e della
vecchiaia. Alla fine, concentrando la sua mente, divenne libero dalla
confusione. Tutti gli infimi desideri svanirono dal suo cuore e una perfetta
tranquillità venne su di lui.
In questo stato di estasi lui vide col suo occhio mentale tutto il dolore e
le miserie del mondo; vide le pene del piacere e l’inevitabile certezza
della morte volteggiare su ogni essere; eppure gli uomini non sono
risvegliati alla verità. Ed una profonda compassione prese a stringere il
suo cuore.
Mentre il principe stava ponderando sul problema del male sotto l’albero di
jambu, con l’occhio della sua mente vide un’alta figura dignitosa dotata di
calma maestà, e gli chiese: “Da dove vieni, tu, e che cosa vuoi?”.
In replica la visione disse: “Io sono un samana. Angosciato dal pensiero
della vecchiaia, malattia, e morte, io ho lasciato la mia casa per cercare
il sentiero della salvezza. Tutte le cose velocemente decadono; solamente la
verità resiste per sempre. Tutto cambia, e non c’è permanenza; eppure le
parole del Buddha sono immutabili. Io desidero ardentemente la felicità che
non finisce; il tesoro che non perirà mai; la vita che non conosce nessun
inizio e nessuna fine. Perciò, io ho distrutto ogni pensiero mondano. Io mi
sono ritirato a vivere in solitudine in una valletta non frequentata; e,
elemosinando il cibo, io mi dedico all’unica cosa che sia indispensabile.
Siddhartha chiese: “Può mai essere ottenuta la pace in questo mondo pieno di
agitazione? Io sono colpito dalla vacuità del piacere e sono stato
disgustato dalla concupiscenza. Tutto mi opprime, e l’esistenza stessa mi
sembra intollerabile.”
Il samana rispose: “Dove c’è calore, c’è anche la possibilità del freddo; le
creature soggette al dolore possiedono la facoltà del piacere; l’origine del
male indica che può essere sviluppato il bene. Perché queste cose sono
correlate. Così dove c’è molta sofferenza, ci sarà molta beatitudine, se
solo hai occhi aperti per vederla. Proprio come un uomo che è caduto in un
mucchio di spazzatura dovrebbe cercare lì vicino un grande lago d’acqua
pieno di fiori di loto: così anche tu cerca il grande lago immortale del
Nirvana per toglier via le contaminazioni del male. Se tu non cerchi il
lago, la colpa non è del lago. Cosippure, quando c’è una strada benedetta
che conduce l’uomo che è stabile dal male alla salvezza del Nirvana, se la
strada non è percorsa, la colpa non è della strada, ma della persona. E
quando un uomo che è oppresso da malattia, essendovi un medico che può
guarirlo, non si giova dell’aiuto del medico, la colpa non è del medico.
Cosippure, quando un uomo oppresso dalla malattia del fare errori non cerca
la guida spirituale per l’illuminazione, non vi è alcuna colpa da parte
della guida che distrugge il male”.
Il principe ascoltò le nobili parole del suo visitatore e disse: “Tu hai
portato buone notizie, perché ora io so che il mio scopo sarà realizzato.
Mio padre mi consiglia di godere della vita ed intraprendere i doveri
mondani, che porteranno onore a me ed alla nostra casata. Lui dice che io
sono ancora troppo giovane, che il mio cuore pulsa troppo pienamente per
poter fare una vita religiosa.”
La venerabile figura scosse la testa e rispose: “Tu dovresti sapere che
nessuna età può essere inadeguata per cercare di fare una vita religiosa.”
Un brivido di gioia passò attraverso il cuore di Siddhartha. “Ora è tempo di
cercare la religione”, disse; “è giunto il tempo di sciogliere tutti i
vincoli che mi impedirono di raggiungere la perfetta Illuminazione; ora è
giunto il tempo di lasciare la casa e, conducendo una vita da mendicante,
trovare il sentiero della liberazione.”
Il messaggero celeste ascoltò con la sua approvazione la decisione di
Siddhartha. “Ora”, egli aggiunse, “è davvero giunto per te il tempo di
cercare la religione. Vai, o Siddhartha, e realizza il tuo scopo. Perché tu
sei il Bodhisattva, il Buddha-eletto; e tu sei destinato ad illuminare il
mondo. Perché tu sei il Tathagata, il grande Maestro, e tu realizzerai ogni
rettitudine e sarai il Dharmaraja, il Re della verità. Tu sei il Bhagavat,
il Beato, perché tu sei il chiamato per divenire il Redentore e il Salvatore
del mondo. Realizza dunque la perfezione della Verità. Anche se sul tuo capo
cadesse un fulmine, tu non produrresti mai agli allettamenti che ingannano
gli uomini distogliendoli dal sentiero della verità. Come il sole segue il
suo proprio corso in ogni stagione, e non ne segue mai un altro, così se tu
non abbandoni il corretto sentiero della rettitudine, tu diventerai un
Buddha. Persevera nella tua ricerca e troverai ciò che stai cercando.
Persegui fermamente il tuo scopo e potrai ottenere il premio. Lotta
sinceramente e lo conquisterai. La benedizione di tutte le divinità, di
tutti i santi, di tutti coloro che cercano la luce è con te, e la saggezza
paradisiaca guida i tuoi passi. Tu sarai il Buddha, nostro Signore e
Maestro; tu illuminerai il mondo e salverai l’umanità dalla perdizione”.
Avendo così parlato, la visione svanì, ed il cuore di Siddhartha fu riempito
di pace. Egli disse fra sé e sé: “Io mi sono svegliato alla verità e sono
risoluto a realizzare il mio scopo. Io troncherò tutti i legami che mi
vincolano al mondo, ed uscirò dalla mia casa per cercare la Via della
salvezza. I Buddha sono esseri le cui parole non possono essere lasciate
inascoltate: non c’è allontanamento dalla verità nel loro parlare. Perché
come la caduta di una pietra gettata in aria, come la morte di un mortale,
come l’aurora che spunta all’alba, come il ruggito del leone quando lascia
la sua tana, come il parto di un bambino per una donna, come tutte queste
cose sono sicure e certe, così la parola dei Buddha è sicura e non può
fallire. Perciò è certo che io diverrò un Buddha.”
Il principe ritornò nella camera da letto di sua moglie a dare un ultimo
sguardo di addio a coloro che aveva amato così intensamente, più di tutti i
tesori della terra. Ebbe ancora una volta il desiderio di prendere l’infante
nelle sue braccia e baciarlo con un bacio d’addio. Ma il bambino stava
rannicchiato nelle braccia di sua madre, ed il principe non poteva
sollevarlo senza svegliare entrambi. Così Siddhartha stette, osservando la
sua bella moglie ed il suo adorato figlio, ed il suo cuore si riempì di
dolore. Il dolore della divisione lo sopraffece potentemente. Anche se la
sua mente era così tanto determinata, che nulla di bene o di male avrebbe
potuto scuotere la sua decisione, le lacrime fluirono libere dai suoi occhi,
e controllare il loro flusso era oltre il suo potere. Ma il principe, pur
con il cuore lacerato, se ne andò via sopprimendo i suoi sentimenti ma non
estinguendo la sua memoria.
Il Bodhisattva montò sul suo nobile destriero Kanthaka, e mentre stava
lasciando il palazzo, Mara che stava sulla porta lo fermò: “Non partire, o
mio Signore”, egli disse, “Fra sette giorni apparirà la ruota dell’impero, e
farà di te il sovrano dei quattro continenti e delle duemila isole
adiacenti. Perciò, resta, o mio Signore”.
Il Bodhisattva rispose: “Beh, io so che la ruota dell’impero mi apparirà; ma
non è la sovranità che io desidero. Io diverrò un Buddha e farò in modo che
tutto il mondo gridi per la gioia.”
Così Siddhartha, il principe, rinunciato al potere ed ai piaceri mondani
abbandonò il suo regno, troncò tutti i legami, e se ne andò vagando senza
una casa. Poi, egli cavalcò nella notte silenziosa, accompagnato solamente
da Channa, il suo fedele auriga. L’oscurità si posò sulla terra, ma le
stelle splendettero brillantissime nei cieli.
RE BIMBISARA
Siddhartha si era tagliato i lunghi capelli ondulati ed aveva scambiato il
suo manto reale con un grezzo vestito color della terra. Avendo rispedito
l’auriga Channa a casa, insieme col nobile destriero Kanthaka, con un
messaggio per il Re Suddho-dana, che il principe aveva lasciato il mondo, il
Bodhisattva si mise in cammino lungo la strada maestra con nella mano una
ciotola da mendicante.
Eppure la maestà della sua mente era malcelata sotto la povertà del suo
aspetto. Il suo portamento eretto tradiva la sua nascita reale ed i suoi
occhi irradiavano un fervido zelo per la verità. La bellezza della sua
gioventù era trasfigurata di santità e circondava la sua testa come un
alone. Tutte le persone che ebbero questa insolita visione lo guardavano con
meraviglia. Quelli che erano in cammino si fermavano e si rigiravano per
guardare ancora; e non ci fu nessuno che non gli rese omaggio.
Essendo entrato nella città di Rajagraha, il principe andò di casa in casa
silenzio-samente aspettando che le persone gli offrissero del cibo. Dovunque
il Benedetto andasse, le persone gli diedero ciò che esse avevano; si
prostravano di fronte a lui in umiltà ed erano colme di gratitudine quando
lui acconsentiva di avvicinarsi alle loro case. Giovani e vecchi si
commuovevano e dicevano: “Questo è un nobile muni.! Avvicinarsi a lui dà
beatitudine. Che grande gioia per noi!”
E il Re Bimbisara, venendo a sapere la commozione della città, chiese la
causa di ciò, e quando seppe le notizie, spedì uno dei suoi attendenti ad
osservare lo straniero. Avendo sentito che il muni doveva essere un Sakya di
nobile famiglia, e che si era ritirato sulla riva di un fiume che scorreva
nel bosco per mangiare il cibo nella sua ciotola, il re fu mosso nel suo
cuore; egli indossò il suo manto reale, si mise la sua corona d’oro in testa
ed uscì insieme ai suoi saggi consiglieri anziani, per incontrare il suo
misterioso ospite.
Il re trovò il muni della stirpe Sakya seduto sotto un albero. Contemplando
la calma della sua faccia e la gentilezza del suo comportamento, Bimbisara
lo salutò con riverenza e disse: “O Samana, le tue mani sono idonee per
tenere le redini di un impero e non per tenere la ciotola di un mendicante.
Io sono dispiaciuto di vederti sprecare la tua gioventù. Credendo che tu sia
di discendenza reale, io ti invito ad unirti a me nel governo del mio paese
e condividere il mio potere regale.
Il desiderio per il potere è appropriato per una mente nobile, e la
ricchezza non dovrebbe essere disprezzata. Diventare ricco e lasciare la
religione non è un vero guadagno. Ma colui che li possiede tutti e tre,
potere, ricchezza, e religione, e se li gode con discrezione e saggezza, io
chiamerei lui un grande maestro”.
Il grande Sakyamuni alzò gli occhi e rispose: “Tu sei famoso, O Re, per
essere liberale e religioso, e le tue parole sono saggie. Un tipo di uomo
che fa buon uso della ricchezza si dice giustamente che possieda un gran
tesoro; ma l’avaro che ammassa la sua ricchezza non ne avrà profitto. La
carità è ricca perché ritorna; la carità è la più grande ricchezza, perché
sebbene fa donare, non porta pentimento.
“Io ho eliminato tutti i legami perché cerco la liberazione. Come sarebbe
possibile per me ritornare al mondo? Colui che cerca la verità religiosa,
che è il più elevato di tutti i tesori, deve lasciarsi dietro tutto ciò che
lo concerne o trarre via da tutto la sua attenzione, ed essere teso su quell’unica
meta. Egli deve liberare la sua anima dalla bramosia e dalla concupiscenza,
ed anche dal desiderio per il potere.
“Se si indulge nella concupiscenza anche solo un pò, la bramosia crescerà
come un bambino. Se si maneggia il potere mondano, si sarà oberati da
preoccupazioni. Il frutto della santità è meglio della sovranità sulla
terra, meglio che vivere in cielo, meglio che comandare su tutti i mondi. Il
Bodhisattva che ha riconosciuto la natura illusoria della ricchezza non
prenderà più veleno come cibo. Un pesce che è sfuggito alla pesca desidererà
ancora l’amo, o un uccello scappato amerà la rete? Un coniglio liberato
dalla bocca del serpente vorrà ritornare ad essere divorato? Un uomo che si
è scottato la mano con una torcia, riprenderà la torcia dopo che lui l’aveva
lasciata cadere in terra? Un cieco che ha recuperato la vista desidererà di
nuovo rovinare i suoi occhi?
“L’ammalato che soffre con la febbre cerca una medicina rinfrescante.
Potremmo mai consigliarlo di bere qualcosa che faccia aumentare la febbre?
Potremmo mai estinguere un fuoco gettando combustibile su di esso?
“Io ti prego di non compatirmi. Piuttosto compatisci quelli che sono
oppressi con le incombenze della regalità e le preoccupazioni di una grossa
ricchezza. Loro se le godono tremando d’angoscia e paura, perché sono
continuamente minacciati dalla perrdita di quei vantaggi sul cui possesso
hanno messo i loro cuori, e quando essi muoiono non potranno portarsi dietro
né il loro oro né il diadema regale.
“Il mio cuore non agogna per nessun profitto volgare, così io ho lasciato la
mia eredità regale e ho preferito essere libero dai carichi della vita.
Perciò, non tentare di impigliarmi in nuove relazioni e doveri, non
impedirmi di completare il lavoro che ho cominciato. Mi dispiace lasciarti.
Ma io mi recherò dai saggi che potranno insegnarmi la religione e così potrò
trovare il sentiero per poter sfuggire il male.
“Possa il tuo paese godere di pace e prosperità, e possa la saggezza
spargersi sui tuoi domini come la luce del sole a mezzogiorno. Possa il tuo
potere regale essere forte e possa la rettitudine essere lo scettro in mano
tua”.
Il re, congiungendo le sue mani con riverenza, si prosternò di fronte a
Sakyamuni e disse: “Possa tu ottenere ciò che stai cercando, e quando tu lo
hai l’ottenuto, ritorna, ti prego, e ricevimi come tuo discepolo!”. Il
Bodhisattva si separò dal re in amicizia e buona grazia, e nel suo cuore si
propose di accordare la sua richiesta.
LA RICERCA DEL BODHISATTVA
Alara ed Uddaka erano rinomati come insegnanti fra i Brahmani, ed in quel
tempo non c’era nessuno che li superava nell’erudizione e nella conoscenza
filosofica. Il Bodhisattva andò da loro e si sedette ai loro piedi. Egli
ascoltò le loro dottrine sull’atman, o sé, che è l’ego della mente e l’agente
di tutte le azioni. Egli imparò le loro visioni sulla trasmigrazione dell’anima
e sulla legge del karma; come le anime dei cattivi uomini dovevano soffrire
essendo rinate in uomini di bassa casta, in animali o negli inferni, mentre
quelli che si erano purificati con libagioni, con sacrifici e con l’auto-mortificazione
diventavano Re, Brahmani, o deva, come pure potevano elevarsi sempre più in
alto nei livelli di esistenza. Egli studiò le loro magie, gli incantesimi,
le offerte ed i metodi con cui essi avevano raggiunto la liberazione
dell’ego dall’esistenza materiale negli stati di estasi.
Alara disse: “Qual è il sé che percepisce le azioni delle cinque radici
della mente, cioè la vista, il tatto, l’odorato, il gusto, e l’udito? Cos’è
ciò che è attivo nelle due modalità del moto, nelle mani e nei piedi? Il
problema dell’anima appare nelle espressioni ‘Io dico’, ‘Io so e
percepisco’, ‘Io vengo’, e ‘Io vado’ o ‘Io starò qui’. La vostra anima non è
il vostro corpo; non è la vostra vista, né i vostri orecchi, non il vostro
naso, non il tatto, né la lingua, né esso è la vostra mente. L’Io è quello
che sente il contatto nel vostro corpo. L’Io è colui che sente l’odore nel
naso, l’assaggiatore nella lingua, il veggente nell’occhio, l’uditore
nell’orecchio, ed il pensatore nella mente. L’Io muove le vostre mani ed i
vostri piedi. L’Io è la vostra anima. Dubitare nell’esistenza dell’anima è
irreligioso, e se non si discerne questa verità non c’è nessuna via di
salvezza. La speculazione profonda coinvolgerà facilmente la mente; essa
porta confusione e miscredenza; ma una purificazione dell’anima porta alla
via di fuga. La vera liberazione è raggiunta allontanandosi dalla folla e
conducendo la vita di un eremita, dipendendo completamente dalle elemosine
per il sostentamento e cibo. Mettendo via ogni desiderio e chiaramente
riconoscendo la non-esistenza della materia, noi giungiamo ad un stato di
vuoto perfetto. Qui noi troviamo la condizione della vita non-materiale.
Come l’erba munja quando è liberata dal suo baccello corneo, come una spada
quando è estratta dal suo fodero, o come l’uccello selvatico scappato dalla
sua prigione, così l’ego che si libera da tutti i limiti, trova la perfetta
liberazione. Questa è la vera liberazione, ma solamente quelli che avranno
una fede profonda impareranno.”
Il Bodhisattva non trovò soddisfacenti questi insegnamenti. Lui rispose: “Le
persone sono in schiavitù, perché non hanno ancora rimosso l’idea dell’ego.
Le cose e la loro qualità sono diverse nel nostro pensiero, ma non nella
realtà. Nel nostro pensiero il calore è diverso dal fuoco, ma in realtà non
si può rimuovere il calore dal fuoco. Tu dici che si può rimuovere le
qualità e si può lasciare la cosa, ma se tu porti la tua teoria all’estremo,
troverai che non è così.
“L’uomo non è forse un organismo composto di molti aggregati? Non siamo noi
un composto di vari attributi? L’uomo consiste di forma materiale, di
sensazione, di pensiero, di tendenze e, in ultimo, di comprensione. Ciò che
gli uomini chiamano l’ego, quando essi dicono ‘Io sono’, non è un’entità che
sta dietro agli attributi; origina dalla loro co-operazione. C’è la mente;
ci sono sensazioni e pensiero, e c’è la verità; e la verità è la mente
quando cammina nel sentiero della rettitudine. Ma non c’è un’ ego-anima
separata, aldifuori o dietro al pensiero dell’uomo. Colui che crede che
l’ego sia un essere distinto non ha una corretta concezione. La stessa
ricerca di un atman è sbagliata; è un approccio sbagliato e vi condurrà in
una direzione falsa.
“Quanta confusione di pensiero viene dal nostro interesse per il ‘sé’, e
dalla nostra vanità quando si pensa ‘Io sono così grande’, o ‘Io ho fatto
questo meraviglioso atto?’ Il pensiero del vostro ego sta tra la vostra
natura razionale e la verità; lo si bandisca, e poi si vedranno le cose così
come esse sono. Chi pensa correttamente si libererà dell’ignoranza ed
acquisirà la saggezza. Le idee ‘Io sono’ e ‘Io sarò’ o ‘Io non sarò’ non
arrivano ad un chiaro pensatore.
“Inoltre, se il nostro ego rimane, come possiamo ottenere la vera
liberazione? Se l’ego dovrà rinascere in qualcuno dei tre mondi, sia esso l’inferno,
la terra o anche in cielo, noi rincontreremo ancora e ancora lo stesso
inevitabile destino di dolore. Noi rimarremo concatenati alla ruota
dell’individualità e saremo implicati nel male e nell’egoismo. Ogni unione è
soggetta alla separazione, e noi non potremo mai sfuggire la nascita, la
malattia, la vecchiaia, e la morte. Questa è forse una fuga liberatoria
finale?”
Uddaka disse: “Considera l’unità delle cose. Le cose non sono le loro parti,
eppure esse esistono. Le membra e gli organi del tuo corpo non sono il tuo
ego, ma il tuo ego possiede tutte queste parti. Cos’è, per esempio, il
Gange? Forse che la sabbia è il Gange? O l’acqua è il Gange? Il Gange è la
riva di destra? O il Gange è la riva sinistra? Oppure il Gange è la riva più
lontana? Il Gange è un possente fiume e possiede tutte queste qualità.
Esattamente così è il nostro ego.”
Ma il Bodhisattva rispose: “Non è così, signore! Se noi rimuoviamo l’acqua,
la sabbia, la riva di qua, quella di là, e le rive più lontane, dove
possiamo più trovare il Gange? Allo stesso modo, io osservo le attività dell’uomo
nella loro armoniosa unione, ma non c’è alcuna base per un ego aldifuori
delle sue parti.”
Tuttavia, il saggio bramano insistè sull’esistenza dell’ego, dicendo: “L’ego
è ciò che agisce nei nostri atti. Come può esservi karma senza un sé come
suo agente? Non vediamo forse intorno a noi gli effetti del karma? Cosa fa
sì che gli uomini siano diversi in carattere, ceto, possedimenti, destino? È
il loro karma, e il karma include meriti e demeriti. La trasmigrazione
stessa dell’anima è soggetta al suo karma. Noi ereditiamo dalle precedenti
esistenze gli effetti negativi delle nostre cattive azioni e gli effetti
positivi dei nostri buoni atti. Se non fosse così, come potremmo essere
diversi? ‘
Il Tathagata meditò profondamente sui problemi della trasmigrazione e del
karma, e trovò la verità che soggiace in essi. Così, poi disse: “La dottrina
del karma è innegabile, ma la teoria dell’ego non ha fondamento. Come tutto
in natura, la vita dell’uomo è soggetta alla legge di causa ed effetto. Il
presente raccoglie quello che il passato ha seminato, ed il futuro è il
prodotto del presente. Ma non c’è nessuna evidenza dell’esistenza di
un’ego-essere immutabile, di un sé che rimane sempre lo stesso ed emigra da
un corpo all’altro. Si, c’è la rinascita, ma non c’è affatto la
trasmigrazione.
“Questa mia individualità non è forse una mera combinazione, materiale come
pure mentale? Non è forse composta di qualità che sono venute ad essere a
causa di un’evoluzione graduale? In questo organismo, le cinque radici dei
sensi che percepiscono provengono da antenati archetipi che compirono queste
funzioni. Le idee che io penso, in parte vennero a me da altri che le
pensarono, ed in parte sorgono da combinazioni di idee nella mia propria
mente. Quelli che hanno usato gli stessi organi di senso, e hanno pensato le
stesse idee, prima che fui composto io in questa mia individualità, sono le
mie esistenze precedenti; loro sono i miei antenati, tanto quanto il mio ‘Io’
di ieri è il padre dell’Io di oggi, ed il karma dei miei atti passati ha
effetto sul destino della mia esistenza presente.
“Ammesso che vi sia un atman che compie le azioni dei sensi, allora se la
porta della vista fosse lacerata, e l’occhio strappato fuori, l’atman
dovrebbe essere capace di sbirciare attraverso la più grande apertura e
vedere le forme dei suoi dintorni meglio e più chiaramente di prima.
Dovrebbe essere capace di sentire meglio i suoni se gli orecchi fossero
strappati via; meglio gli odori se il naso fosse tagliato via; assaggiare
meglio se la lingua fosse tutta estratta; e poi dovrebbe sentirsi bene anche
se il corpo fosse distrutto.
“Io osservo la conservazione e la trasmissione del carattere; Io percepisco
la verità del karma, ma non vedo nessun atman di cui la tua dottrina crea l’agente
dei tuoi atti. C’è la rinascita, ma non la trasmigrazione di un sé. Perché
questo atman, questo sé, questo ego, quando si dice ‘Io dico’ o ‘Io voglio’
è un’illusione. Se questo sé fosse una realtà, come potrebbe esservi una
fuga dall’egoismo? Il terrore dell’inferno sarebbe infinito, e nessuna
liberazione potrebbe mai essere accordata. I mali dell’esistenza non
sarebbero dovuti alla nostra ignoranza e al nostro agire-sbagliato, ma
costituirebbero la vera natura del nostro essere.”
Poi il Bodhisattva andò dai preti che facevano sacrifici nei templi. Ma la
mente gentile del Sakyamuni fu offesa dalla crudeltà non necessaria compiuta
sugli altari degli dèi. Egli disse: “Solamente l’ignoranza può permettere
che questi uomini preparino riunioni ed enormi feste per fare sacrifici.
Sarebbe meglio riverire la verità che non tentare di placare gli dèi
versando sangue. Che amore può mai avere un uomo che crede che la
distruzione della vita possa fare ammenda per le sue cattive azioni? Un male
nuovo può mai espiare i mali vecchi? E può mai la macellazione di una
vittima innocente purificare gli atti malvagi dell’umanità? Questo è
praticare la religione con la negligenza di una condotta morale. Dunque,
purificate i vostri cuori e cessate di uccidere; questa è la vera religione.
I rituali non hanno efficacia; le preghiere sono ripetizioni inutili e vane;
e gli incantesimi non hanno il potere di risparmiarvi. Ma l’abbandonare
bramosia e concupiscenza, il divenire liberi dalle cattive passioni e il
rinunciare ad ogni odio e malevolenza, questi sì che sono il corretto
sacrificio e la vera adorazione.”
URUVELA, LUOGO DI MORTIFICAZIONE
Il Bodhisattva andò poi alla ricerca di un sistema migliore ed arrivò ad una
casetta di cinque bhikkhu nella giungla di Uruvela; e quando il Benedetto
vide il modo di vivere di quei cinque uomini, con i loro sensi virtuosamente
sotto controllo, le loro passioni soggiogate, e praticando l’austera
autodisciplina, egli ammirò molto la loro serietà e si unì a loro. Con santo
zelo ed un cuore forte, Sakyamuni si dette al pensiero meditativo e ad una
rigida mortificazione del corpo. Se i cinque bhikkhu erano severi, Sakyamuni
fu ancora più severo, e così essi lo riverirono, benché più giovane, come
loro maestro.
Così il Bodhisattva per sei anni continuò pazientemente a torturarsi,
sopprimendo le necessità naturali. Egli addestrò il suo corpo ed esercitò la
sua mente nei modi di vita della più rigida ascesi. Alla fine, ogni giorno
mangiava soltanto un chicco di canapa, cercando di superare l’oceano della
nascita e morte e di arrivare alla riva della liberazione.
E quando il Bodhisattva si era sfamato, ecco che si avvicinò Mara, il
Maligno, che gli disse: “Tu sei emaciato dai digiuni, e la morte è vicina.
Cosa ha di buono il tuo esercizio? Degnati di vivere, e sii in grado di fare
un buon lavoro”. Ma Sakyamuni replicò: “O tu, amico degli indolenti, tu
malvagio; per quale scopo sei venuto? Lascia che la mia carne si consumi, se
poi la mia mente diviene più tranquilla e l’attenzione è più costante. Che
vita c’è in questo mondo? Per me è meglio una morte in battaglia piuttosto
che dover vivere vinto.”
E Mara si ritirò, dicendo: “Per sette anni io ho seguito da vicino il
Benedetto, ma non ho nessun difetto nel Tathagata.”
Il Bodhisattva era magro ed emaciato, e il suo corpo era come un albero
avvizzito; ma la fama della sua santità si sparse nei paesi circostanti, e
le persone venivano da grandi distanze per vederlo e ricevere la sua
benedizione. Tuttavia, il Beato non era soddisfatto. Non trovando la vera
saggezza che cercava, lui arrivò perciò alla conclusione che la
mortificazione non avrebbe estinto il desiderio, e neanche la contemplazione
estatica avrebbe permesso l’illuminazione.
Sedutosi ai piedi di un albero-jambu, egli considerò lo stato della sua
mente ed il frutto della sua mortificazione. Il suo corpo era divenuto più
debole, eppure i suoi digiuni non l’avevano fatto avanzare nella ricerca per
la salvezza, e perciò quando vide che quello non era il sentiero corretto,
egli si propose di abbandonarlo. Così andò a bagnarsi nel fiume Neranjara, e
quando cercò di uscire dall’acqua, egli si rese conto di non farcela a causa
della sua debolezza. Allora scorgendo il ramo di un albero e facendo presa
su di esso, riuscì a sollevarsi e uscì dal fiume. Ma mentre faceva ritorno
alla sua dimora, lui barcollò e cadde giù come morto.
C’era un capo-mandriano che viveva vicino al boschetto, la cui figlia
maggiore si chiamava Nanda; e a Nanda accadde di passare nel boschetto dove
il Benedetto era svenuto, e inchinandosi davanti a lui gli offrì riso e
latte e lui accettò il regalo. Quando egli si fu rifocillato di riso e latte
e le sue membra furono rinfrescate, la sua mente divenne di nuovo chiara,
egli fu abbastanza forte per avere la suprema illuminazione.
Dopo questo avvenimento, il Bodhisattva prese di nuovo del cibo. I suoi
discepoli, essendo stati presenti alla scena, ed osservando il cambiamento
nel suo modo di vivere furono colti da sospetto. Essi temettero che lo zelo
religioso di Siddhartha si fosse indebolito e che colui che essi avevano
riverito finora come loro Maestro fosse divenuto dimentico del suo scopo più
alto.
Quando il Bodhisattva vide che i bhikkhu lo abbandonavano, si sentì
dispiaciuto per la loro mancanza di fiducia, e fu consapevole della
solitudine della sua vita. Sopprimendo il suo dolore, egli andò vagando da
solo, e i suoi discepoli dissero, “Siddhartha ci lascia per cercare una
dimora più piacevole.”
MARA, IL MALIGNO
Il Beato diresse i suoi passi verso quel benedetto Albero-Bodhi sotto la cui
ombra egli realizzò il fine della sua ricerca. Appena si mise in cammino, la
terra fu scossa ed una luce brillante trasfigurò il mondo. Quando si
sedette, i cieli echeggiarono con gioia e tutti gli esseri viventi furono
riempiti di buon umore. Soltanto Mara, signore dei cinque desideri,
portatore di morte e nemico della verità, ne fu addolorato e non si allietò.
Con le sue tre figlie, Tanha, Raga ed Arati, le tentatrici, e col suo
seguito di demoni malvagi, egli si recò nel luogo dove sedeva il grande
Samana. Ma Sakyamuni non lo considerò affatto. Infuriato, Mara emise minacce
che dovevano ispirare paura e sollevò un turbine così che i cieli furono
oscurati e l’oceano ruggì e tremò. Ma il Benedetto che stava sotto l’albero-Bodhi
rimase calmo e tranquillo e non si spaventò. L’Illuminato sapeva che nessun
danno poteva succedergli.
Le tre figlie di Mara tentarono in tutti i modi il Bodhisattva, ma lui non
diede loro retta, e quando Mara vide che esse non potevano far accendere il
desiderio nel cuore del vittorioso samana, ordinò che tutti i cattivi
spiriti al suo comando lo attaccassero per intimidire il grande muni. Ma il
Benedetto li guardò come se uno guardasse i giochi innocui dei bambini.
Tutto il feroce odio dei cattivi spiriti non fu di alcun profitto. Le fiamme
dell’inferno divennero brezze salubri di profumo, ed i fulmini adirati
furono cambiati in petali di fior-di-loto.
Quando Mara vide questo, fuggì via col suo esercito dall’albero-Bodhi,
mentre dal cielo cadeva una pioggia di fiori paradisiaci, e si sentirono le
voci di spiriti buoni: “Guardate il Grande Muni! Il suo cuore è immobile e
senza odio. L’esercito di Mara il Maligno non ha prevalso contro di Lui.
Egli è puro e saggio, amorevole e pieno di misericordia. Come i raggi del
sole illuminano l’oscurità del mondo, così colui che persevera nella sua
ricerca troverà la verità e la verità lo illuminerà.”
L’ILLUMINAZIONE
Il Bodhisattva, avendo messo Mara in fuga, si dette alla meditazione. Tutti
i disagi del mondo, i mali prodotti dalle cattive azioni e le sofferenze che
ne derivano, passarono davanti al suo occhio mentale, e lui così pensò:
“Certamente se le creature viventi potessero vedere i risultati di tutte le
loro cattive azioni, se ne allontanerebbero via con disgusto. Ma l’egoismo
le acceca, ed esse si aggrappano ai loro disgustosi desideri. Gli esseri
bramano il piacere per se stessi e perciò provocano il dolore agli altri;
quando la morte distrugge la loro individualità, essi non trovano pace; la
loro sete per l’esistenza persiste ed il loro egoismo riappare nelle nuove
nascite. Così continuano a muoversi in circolo e non possono trovare scampo
dall’inferno delle loro proprie azioni. E come i loro piaceri sono vuoti,
così sono vani i loro sforzi! Vuoti come un albero cavo e senza contenuti
come una bolla di sapone. Il mondo è pieno di mali e dolore, perché è pieno
di concupiscenza. Gli esseri umani sbandano perché pensano che l’inganno sia
migliore della verità. Piuttosto che la verità, essi preferiscono seguire l’errore
che è piacevole all’inizio, ma alla fine causa ansietà, tribolazione, e
miseria”.
Ed il Bodhisattva cominciò ad esporre il Dharma. Il Dharma è la verità. Il
Dharma è la sacra legge. Il Dharma è religione. Solo il Dharma può liberarci
dall’errore, dal male e dal dolore.
Ponderando sull’origine di nascita e morte, l’Illuminato riconobbe che
l’ignoranza era la radice di ogni male; e questi sono i legami nello
sviluppo della vita, chiamati i dodici nidana: All’inizio c’è un’ esistenza
cieca e senza conoscenza; ed in questo mare di ignoranza vi sono formazioni
stimolanti ed organizzanti. Da queste formazioni stimolanti ed organizzanti,
sorge la consapevolezza di sé o i sentimenti. I sentimenti danno origine ad
organismi che vivono come esseri individuali. Questi organismi sviluppano i
sei campi, cioè i cinque sensi e la mente. Questi sei campi entrano in
contatto con le cose. Il contatto genera la sensazione. La sensazione crea
la sete di essere individualizzati. La sete di essere crea una divisone
dalle cose. La divisione produce lo sviluppo e la continuazione del ‘sé’. Il
‘Sé’ si riproduce nella nuova rinascita. Le rinascite del ‘sé’ sono la causa
della sofferenza, vecchiaia, malattia, e morte. E queste producono angoscia,
ansia, e disperazione.
La causa di ogni dolore stà proprio in ogni inizio; essa è nascosta
nell’ignoranza dalla quale sorge la vita. Rimuovete l’ignoranza e
distruggerete i desideri sbagliati che nascono dall’ignoranza; distrutti
questi desideri, verrà prosciugata la errata percezione che sorge da essi.
Distrutta la percezione sbagliata, vi sarà la fine dell’errore di voler
essere individualizzati. Distrutto l’errore di voler essere indivi-
dualizzati, scompariranno le illusioni dei sei campi. Distrutte le
illusioni, il contatto con le cose cesserà di generare equivoci. Distrutto l’equivoco,
avrete eliminato la sete. Distrutta la sete, sarete finalmente liberi da
ogni falsa separazione. Rimossa la separazione, verrà distrutto l’egoismo
del ‘sé’. Se l’egoismo del ‘sé’ è distrutto non vi sarà più nascita,
vecchiaia, malattia, e morte, e così si eliminerà ogni tipo di sofferenza.
L’Illuminato vide le Quattro Nobili Verità che indicano il sentiero che
conduce al Nirvana o l’estinzione del ‘sé’: La prima nobile verità è
l’esistenza del dolore. La seconda nobile verità è la causa della
sofferenza. La terza nobile verità è la cessazione del dolore. La quarta
nobile verità è l’Ottuplice Sentiero che conduce alla cessazione del dolore.
Questo è il Dharma. Questa è la verità. Questa è religione. E l’Illuminato
dichiarò questa strofa:
“Attraverso molte nascite io cercai invano
Il Costruttore di questa Casa del Dolore.
Ora, Costruttore, alla fine sei stato individuato,
E da questa Casa io finalmente sono liberato;
Io distruggerò tutte le travi, il tetto ed il muro,
E dimorerò nella Pace che c’è al di là di tutto!”.
C’è il ‘sé’ e c’è la verità. Dove è il ‘sé’, non è la verità. Dove è la
verità, non c’è il ‘sé’. Il ‘sé’ è l’errore fugace del samsara; è la
separatezza individuale e quel tipo di egoismo che genera invidia ed odio.
Il ‘sé’ è l’ardente brama per il piacere e la concupiscenza verso la vanità.
La verità è la comprensione corretta delle cose; è il permanente ed eterno,
il vero in ogni esistenza, la beatitudine della rettitudine.
L’esistenza del ‘sé’ è un’illusione, e non c’è niente di sbagliato in questo
mondo, nessun vizio, nessun male, se non i flussi provenienti dall’asserire
il proprio sé. Il conseguimento della verità è possibile solamente quando il
‘sé’ è riconosciuto come un’illusione. La rettitudine si può praticare
solamente quando noi abbiamo liberato la nostra mente dalle passioni
dell’ego. La pace perfetta può dimorare solamente dove ogni vanità è
scomparsa.
Benedetto è colui che ha compreso il Dharma. Benedetto è colui che non reca
più danno ai suoi simili. Benedetto è colui che supera il male ed è libero
da passione. Colui che ha vinto ogni egoismo e vanità è arrivato alla
suprema beatitudine. Egli è divenuto il Buddha, il Perfetto.
I PRIMI CONVERTITI
Il Benedetto rimase in solitudine sette volte sette giorni, godendosi la
beatitudine dell’emancipazione. Nel frattempo, Tapussa e Bhallika, due
mercanti che stavano viaggiando sulla vicina strada, quando videro il grande
samana, maestoso e pieno di pace, si avvicinarono rispettosamente e gli
offrirono le loro torte di riso e miele. Questo era il primo cibo che
l’Illuminato mangiava dopo aver ottenuto lo stato di Buddha. Ed il Buddha,
indirizzandoli, indicò loro il Sentiero della salvezza. I due mercanti,
vedendo la santità del conquistatore di Mara, si prostrarono in riverenza e
dissero: “Noi prendiamo il nostro rifugio, o Signore, nel Beato e nel
Dharma”. Così Tapussa e Bhallika furono i primi che divennero seguaci del
Buddha e loro erano discepoli laici.
LA RICHIESTA DI BRAHMA
Il Benedetto, che aveva ottenuto la Buddhità rimanendo sotto l’albero del
pastore di Nigrodha sulle rive del fiume Neranjara, pronunciò questa solenne
espressione:
“Chi segue la chiamata della verità immutabile,
E’ sicuro come il sentiero in questo bosco!
Ed è benedetto, per essere gentile e buono,
E per come pratica il riserbo in tutte le cose!
Ed è leggero, poiché è libero da passione,
E poiché lascia andare tutte le gioie sensuali!
Eppure la sua beatitudine più grande sarà
Quando avrà represso l’orgoglio del suo ‘Io’!”
“Io ho riconosciuto la verità più profonda che è sublime e dona la pace, ma
è difficile da comprendere; poiché la maggior parte degli uomini si muove in
una sfera di interessi mondani e trova la loro delizia nei desideri mondani.
Gli esseri comuni, cioè i mondani, non capiranno la dottrina, perché essi
provano la felicità soltanto nel proprio ‘sé’, e la beatitudine che c’è in
una resa completa alla verità non è comprensibile ad essi. Essi chiameranno
rassegnazione ciò che per la mente illuminata è la gioia più pura. Essi
vedranno come annichilimento lo stato in cui colui che si è perfezionato vi
trova l’immortalità. Essi considerano come morte la condizione in cui il
conquistatore del ‘sé’ sa che è la vita eterna. La verità rimane nascosta
per chi è nella schiavitù dell’odio e del desiderio. Il Nirvana rimane
misterioso e incomprensibile alla persona volgare la cui mente è oscurata
dagli interessi mondani. Se io predico la dottrina e l’umanità non la
comprende, ciò mi comporta soltanto fatica e preoccupazione”.
Mara, il Malvagio, nel sentire le parole del Buddha Beato, si avvicinò e gli
disse: “Salute a Te, o Santo. Tu hai raggiunto la beatitudine più alta, ed è
ora che Tu entri nel Nirvana finale”.
Allora Brahma Sahampati discese dai Cieli e, avendo venerato il Benedetto,
disse: “Ahimè! il mondo dovrà perire, se il Beato, il Tathagata, dovesse
decidere di non insegnare il Dharma. Sii misericordioso verso quelli che
lottano; abbi compassione per i sofferenti; compatisci le creature che sono
disperatamente impigliate nella trappola del dolore. Vi sono esseri che sono
quasi liberi dalla polvere della mondanità. Se essi non sentono predicare la
dottrina, saranno persi. Ma se essi la sentono, vi crederanno e si
salveranno!”
Il Benedetto, pieno di compassione, con l’occhio del Buddha reputò tutti gli
esseri senzienti, e vide fra loro esseri le cui menti erano solo appena
ricoperte dalla polvere della mondanità e che erano facilmente ben
disponibili a farsi istruire. Egli vide che alcuni erano consapevoli dei
pericoli della concupiscenza e del male. Ed il Benedetto disse a Brahma
Sahampati: “Spalancata sia la porta dell’immortalità a tutti quelli che
hanno orecchie per sentire. Essi potranno ricevere il Dharma con fede.”
Allora il Benedetto si rivolse a Mara, dicendo: “Io non passerò nel Nirvana
finale, O Malvagio, finchè vi saranno non solo fratelli e sorelle di un
Ordine, ma anche discepoli laici di entrambi i sessi, che non siano
diventati veri ascoltatori saggi, ben addestrati, pronti e colti, versati
nelle scritture, che adempiano tutti i doveri maggiori e minori, retti nella
vita, che camminino secondo i precetti – finché essi, avendo così imparato
la dottrina, non saranno capaci di dare informazioni agli altri
coinvolgendoli, predicando, rendendola nota, stabilendola, offrendola,
spiegandola minutamente, e chiarendola – fino a che essi, quando altri
avviano vane dottrine, non saranno in grado di vincerli e confutarli, e così
diffondere all’esterno la verità taumaturgica. Io non morirò fino a quando
la religione pura della verità non sarà divenuta riuscita, prospera, assai
estesa, e resa popolare in tutta la sua piena estensione -in una parola,
finché non sarà stato proclamato il bene fra gli uomini!”
Allora Brahma Sahampati capì che il Benedetto aveva accordato alla sua
richiesta e avrebbe predicato la dottrina.
FONDARE IL REGNO – UPAKA VEDE IL BUDDHA
Ora il Benedetto pensò: “A chi predicherò prima la dottrina? I miei vecchi
maestri sono morti. Essi avrebbero ricevuto con gioia la buona notizia. Ma i
miei cinque discepoli sono ancora vivi. Io andrò da loro, e ad essi
proclamerò prima il vangelo di liberazione”.
In quel periodo, i cinque bhikkhu risiedevano nel Parco dei Cervi a Benares,
ed il Benedetto si alzò e viaggiò verso la loro dimora, non pensando alla
loro scortesia nell’averlo abbandonato quella volta, quando aveva avuto
maggiormente bisogno del loro aiuto e comprensione, ma memore solo dei
servizi che essi gli avevano tributato, e compatendoli per l’austerità che
praticavano invano.
Upaka, un giovane bramano Jaina, vecchia conoscenza di Siddhartha, vide che
il Benedetto era in viaggio per Benares e, stupito dalla maestà e dalla
gioia sublime del suo aspetto, gli disse: “La tua espressione, amico mio, è
proprio serena; i tuoi occhi sono brillanti ed indicano purezza e
beatitudine.”
Il Buddha Beato rispose: “Dall’estinzione del ‘sé’, io ho ottenuto la
liberazione. Il mio corpo è stato reso casto, la mia mente è libera dal
desiderio, e la verità più profonda ha preso dimora nel mio cuore. Io ho
ottenuto il Nirvana, e questa è la ragione per cui la mia espressione è
serena ed i miei occhi sono brillanti. Io ora desidero fondare il regno
della verità quì sulla terra, dare luce a tutti coloro che sono avvolti nell’oscurità
ed aprire la porta dello stato senza-morte”.
Upaka rispose: “Allora, amico, tu stai dichiarando di essere Jina, il
conquistatore del mondo, l’ unico assoluto e l’unico santo!”.
Il Benedetto disse: “Jina sono tutti quelli che hanno conquistato il proprio
sé e le passioni del ‘sé’; sono Vittoriosi solo coloro che controllano le
loro menti e si astengono dal male. Per questo, Upaka, io sono il Jina.”
Upaka scosse la testa. “Venerabile Gotama” lui disse, “questa è la tua
Via!”, e prendendo un’altra strada, lui andò via.
IL SERMONE A BENARES
Nel vedere l’arrivo del loro vecchio maestro, i cinque bhikku si misero
d’accordo fra di essi di non salutarlo, né indirizzarsi a lui come un
maestro, ma chiamandolo solo con il suo nome. “Perché”, così essi dissero,
“lui ha rotto il suo voto e ha abbandonato la santità. Lui non è un bhikkhu,
ma Gotama, e Gotama è diventato un uomo che vive nell’abbondanza ed appaga i
piaceri della sua mondanità.” Ma quando il Benedetto si avvicinò in maniera
dignitosa, essi involontariamente si alzarono dai loro posti e lo
salutarono, nonostante la loro decisione. Anche se poi lo chiamarono con il
suo nome e lo apostrofarono come “amico Gotama.”
Allorché ebbero così ricevuto il Benedetto, egli disse: “Non chiamate il
Tathagata con il suo nome, né apostrofatelo come ‘amico’, perché egli è il
Buddha, il Santo. Il Buddha guarda con un cuore ugualmente gentile tutti gli
esseri viventi, e perciò essi lo chiamano ‘Padre’. Mancare di rispetto ad un
padre è sbagliato; ed è male disprezzarlo”. Il Buddha continuò: “Il
Tathagata non cerca salvezza nell’austerità, ma per la stessa ragione, egli
non si appaga in piaceri mondani, né vive in una qualche abbondanza. Il
Tathagata ha trovato il sentiero di mezzo”.
“Vi sono due estremi, o bhikkhu, che gli uomini che hanno rinunciato al
mondo non devono seguire – da una parte, l’abituale pratica dell’auto-indulgenza
che è indegna, vana e adeguata solamente per la mente mondana e dall’altra
parte, la abituale pratica dell’auto-mortificazione, che è dolorosa, inutile
e senza profitto”.
“Né astenendosi da carne e pesce, né andando in giro nudi, né radendosi la
testa, né portando i capelli lunghi e intrecciati, né vestendo una grezza
tunica, né coprendosi di fango, né facendo sacrifici ad Agni, potrà
purificare un uomo che non è libero dall’illusione. Leggere i Veda, fare
offerte ai preti o sacrifici agli dèi, o l’auto-mortificazione con caldo o
freddo, e altre penitenze simili, che sono state compiute allo scopo di
ottenere l’immortalità, tutti questi non purificano l’uomo che non è libero
dall’illusione. Rabbia, ubriachezza, ostinatezza, fanatismo, falsità,
invidia, auto-elogio, sminuire gli altri, arroganza, e intenzioni malvagie,
costituisce la sporcizia; non certo il mangiare carne”.
“O bhikkhu, dal Tathagata è stato scoperto un sentiero mediano che evita i
due estremi – esso è un sentiero che apre gli occhi e dà comprensione, che
conduce alla pace della mente, alla saggezza più alta, alla piena
Illuminazione, al Nirvana! Cos’è, o bhikkhu, questo sentiero mediano
scoperto dal Tathagata, che evita questi due estremi, – questo sentiero che
apre gli occhi e dà comprensione, che conduce alla pace della mente, alla
saggezza più alta, alla piena Illuminazione, al Nirvana? O bhikkhu, lasciate
che io ve lo insegni, il sentiero mediano che tiene a distanza entrambi gli
estremi. Soffrendo, il devoto emaciato produce nella sua mente confusione e
pensieri malati. La mortificazione non contribuisce nemmeno alla conoscenza
mondana; tanto meno ad un trionfo sui sensi!”
“Colui che riempie la sua lampada con acqua non disperderà l’oscurità, e
colui che tenta di accendere un fuoco con legno marcio non ci riuscirà. E
come può uno essere libero dal proprio sé conducendo una vita disgraziata,
se nemmeno riesce ad estinguere il fuoco della concupiscenza, se ancora
agogna ai piaceri mondani o paradisiaci? Ma colui in cui il ‘sé’ si è
estinto, egli è libero da concupiscenza; egli non desidererà più piaceri né
mondani né paradisiaci, e la soddisfazione delle sue necessità naturali non
lo contaminerà. Però, gli si consenta di essere moderato, gli si permetta di
mangiare e bere secondo i bisogni del suo corpo”.
“La sensualità è snervante; l’uomo auto-indulgente è schiavo delle sue
passioni, e la ricerca del piacere è degradante e volgare. Ma soddisfare le
necessità della vita non è un male. Tenere il corpo in buona salute è un
dovere, perché altrimenti noi non saremmo in grado di stabilizzare la luce
della saggezza, e mantenere forte e chiara la nostra mente. L’acqua circonda
il fiore del loto, ma non bagna i suoi petali. Questo è il sentiero mediano,
o bhikkhu, che mantiene a distanza entrambi gli estremi”. Ed il Benedetto
gentilmente parlò ai suoi discepoli, compatendoli per i loro errori e,
indicando l’inutilità dei loro sforzi, sciolse il gelo della malevolenza che
aveva raffreddato i loro cuori con il gentile calore della sua persuasione.
Così, il Benedetto fece in modo che ora la ruota della legge rotolasse
meglio, e cominciando a predicare ai cinque bhikkhu, aprì loro la porta
dell’immortalità, mostrando la beatitudine del Nirvana.
Il Buddha disse: “I raggi della ruota sono le regole della pura condotta: la
giustizia è l’uniformità della loro lunghezza; la saggezza è la camera d’aria;
la modestia e la riflessione sono i mozzi in cui è fissato l’immobile asse
della verità. Colui che della sofferenza riconosce l’esistenza, la sua
causa, il suo rimedio e la sua cessazione, ha approfondito le quattro nobili
verità. Egli camminerà nel corretto sentiero.
“Le corrette visioni saranno la torcia che illumina la sua strada. Le
corrette aspira-zioni saranno la sua guida. La corretta parola sarà la sua
dimora lungo la strada. Il suo portamento sarà diritto, perché è il corretto
comportamento. Il sano ristoro sarà il corretto modo di mantenere il suo
sostentamento. Il corretto sforzo sarà il suo stesso incedere e camminare:
Il corretto pensare sarà il suo respirare; e la corretta contemplazione gli
darà la pace che seguirà le sue tracce.
“Ora, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo alla sofferenza: la
nascita è accompagnata da dolore, invecchiare è doloroso, la malattia è
dolorosa, la morte è dolorosa. L’unione con lo sgradevole è dolorosa,
dolorosa è la separazione dal piacevole; e anche ogni desiderio
insoddisfatto, è doloroso. In breve, le condizioni fisiche che si generano
dall’attaccamento sono dolorose. Quindi, bhikkhu, questa è la nobile verità
riguardo alla sofferenza.
“Ora, bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo all’origine della
sofferenza: Essa, invero, è quell’ardente bramosia che causa il rinnovo di
esistenza, accompagnata da godimento sensuale, che cerca la soddisfazione
ora qui, ora là, la brama per la gratificazione delle passioni, la brama per
una vita futura, e la brama per la felicità in questa vita. Quindi, bhikkhu,
questa è la nobile verità riguardo all’origine della sofferenza.
“Ora, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo la distruzione della
sofferenza: Essa, invero, è la distruzione di questa sete in cui non rimane
nessuna passione; è il mettere da parte, l’essere liberi dal dimorare mai
più in questa sete. Quindi, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo
alla distruzione della sofferenza.
“Ora, o bhikkhu, questa è la nobile verità riguardo alla Via che conduce
alla distruzione del dolore. Invero, esso è questo nobile ottuplice
sentiero; cioè: Retta Visione, Retta aspirazione; Retta Parola; Retto
Comportamento; Retto Modo di Sostentarsi; Retto Sforzo; Retto Pensare; e
Retta Contemplazione. Quindi questa, o bhikkhu, è la nobile verità riguardo
alla distruzione del dolore.
“Attraverso la pratica della bontà, io ho raggiunto la liberazione di cuore,
e così io mi sono assicurato di non ritornare mai più nelle nuove rinascite.
Io ho raggiunto il Nirvana, qui ed ora”.
Quando il Beato ebbe così sistemata la ruota del reale carro della Verità
per farla ben rotolare, un’estasi fece fremere tutti gli universi. I deva
lasciarono le loro dimore celesti per venire ad ascoltare la dolcezza della
verità; i santi che si erano separati dalla vita si accalcarono intorno al
grande insegnante per ricevere la lieta novella; perfino gli animali della
terra sentirono la beatitudine che c’era nelle parole del Tathagata: e tutte
le creature, le schiere di esseri senzienti, dèi, uomini, e animali,
ascoltando il messaggio di liberazione, lo ricevettero e lo capirono nella
loro propria lingua.
E quando la dottrina fu proposta, il più vecchio fra i cinque bhikkhu, il
venerabile Kondanna comprese la verità col suo occhio della mente, e disse:
“Invero, nostro Signore Buddha, tu hai trovato la verità!” Poi anche gli
altri bhikkhu, si unirono a lui ed esclamarono: “Invero, tu sei il Buddha,
tu hai trovato la verità!”
E i deva, i santi e tutti i buon spiriti delle generazioni passate, che
avevano ascoltato il sermone del Tathagata, ricevettero gioiosamente la
dottrina e tutti gridarono:
“Invero, il Beato ha fondato il Regno della rettitudine. Il Benedetto ha
commosso la terra; Egli ha permesso che la ruota della Verità possa
rotolare, come mai più nessuno nell’universo, sia esso dio o uomo, potrà
essere in grado di girare di nuovo. Il Regno della Verità sarà predicato in
tutta la terra; si espanderà e la rettitudine, la buona-volontà, e la pace,
regneranno fra l’umanità.”
IL SANGHA, O LA COMUNITÀ
Avendo indicato ai cinque bhikkhu la verità, il Buddha disse: “Un uomo che
sta da solo, dopo aver deciso di rispettare la verità, può essere debole e
può scivolare di nuovo nei suoi vecchi modi. Perciò, se si sta insieme, ci
si assisterà l’un l’altro, e ci si fortificherà sforzandosi l’un l’altro.
Siate come dei fratelli; uniti nell’amore, uniti nella santità, ed uniti nel
vostro zelo per la verità. Diffondete la verità e predicate la dottrina in
tutti i paesi del mondo, così che alla fine tutte le creature viventi siano
cittadine del regno della rettitudine. Questa è la santa fratellanza; questa
è la chiesa, la congregazione dei santi del Buddha; questo è il Sangha che
stabilisce una comunione fra tutti quelli che hanno preso il loro rifugio
nel Buddha.”
Kondanna fu il primo discepolo del Buddha che aveva capito totalmente la
dottrina del Beato, e il Tathagata vedendo nel suo cuore disse: “Veramente,
Kondanna ha capito la verità.” Perciò il venerabile Kondanna fu chiamato
“Annata-Kondanna” che significa, “Kondanna, che ha compreso la dottrina.”
Dopodiché il venerabile Kondanna parlò al Buddha e disse: “Signore,
permettici di ricevere l’ordinazione dal Benedetto”. E il Buddha disse:
“Venite, o bhikkhu! Benedetta sia la dottrina. Siate accorti nel condurre
una vita santa per l’estinzione della sofferenza.”
Poi Kondanna e gli altri bhikkhu declamarono per tre volte questi solenni
voti:
“Al Buddha io guarderò con fede: Egli, il Perfetto è santo e supremo. Il
Buddha porta a noi istruzione, saggezza, e salvezza; Egli è il Benedetto,
che conosce la legge dell’essere; Egli è il Signore del mondo, che aggioga
gli uomini come buoi, il Maestro di dèi ed umani, il Buddha Supremo. Perciò,
io avrò fede nel Buddha.
“Al Dharma io guarderò con fede: ben-predicata dal Supremo è la dottrina del
Dharma. Essa è stata rivelata così come è divenuta visibile; il Dharma è
aldilà del tempo e spazio. Il Dharma non è basato su dicerie, esso significa
‘Vieni e vedi’; la dottrina del buon vivere è riconosciuta dai saggi nei
loro propri cuori. Perciò, io avrò fede nella dottrina del Dharma.
“Al Sangha io guarderò con fede; il Sangha del Buddha, ovvero la comunità
dei discepoli, ci istruisce su come condurre una vita di rettitudine; il
Sangha del Buddha ci insegna come esercitare onestà e giustizia; il Sangha
del Buddha ci mostra come praticare la verità. Esso è una fratellanza che
vive nella gentilezza e nella carità, ed i loro santi sono degni di
riverenza. La comunità dei discepoli del Buddha è fondata come una santa
fratellanza in cui uomini si legano insieme per insegnare a comportarsi con
rettitudine e a fare il bene. Perciò, io avrò fede nella comunità del
Sangha”.
Il Vangelo del Beato crebbe di giorno in giorno, e molta gente venne ad
ascoltarlo ed a richiedere l’ordinazione per condurre da allora una vita
santa per estinguere la sofferenza. E il Beato, vedendo che era impossibile
ammettere tutti coloro che volevano sentire la verità e ricevere
l’ordinazione, dal totale dei suoi discepoli ne scelse alcuni per andare a
predicare il Dharma, dicendo loro:
“Il Dharma e le regole del Vinaya, proclamati dal Tathagata, risplendono
quando sono esposti, e non quando sono celati. Ma non lasciate che questa
dottrina, così eccellente e così piena di verità, cada nelle mani di chi è
indegno di essa, laddove sia disprezzata e contestata, trattata
vergognosamente, ridicolizzata e censurata. Io ora vi accordo, o bhikkhu,
questo permesso. D’ora innanzi, conferite nei diversi paesi l’ordinazione a
quelli che sono ansiosi di riceverla, quando li trovate degni.
“Ora andate, o bhikkhu, per il beneficio dei molti, per il benessere dell’umanità,
pieni di compassione per il mondo. Predicate la dottrina che è gloriosa
all’inizio, gloriosa nel mezzo, e gloriosa alla fine, nello spirito come
pure nella lettera. Ci sono esseri i cui occhi sono appena coperti con la
polvere, ma se ad essi non è predicata la dottrina, non possono raggiungere
la salvezza. Proclamate loro una vita di santità. Essi capiranno la dottrina
e l’accetteranno.”
E così, quando il tempo era buono, divenne un costume stabilito per i monaci
di andar fuori a predicare il Dharma, ma nella stagione piovosa essi
tornavano di nuovo insieme e si riunivano al loro Maestro, per ascoltare le
esortazioni del Tathagata.
YASA, IL GIOVANE DI BENARES
A quel tempo c’era in Benares un nobile giovane, di nome Yasa, figlio di un
ricco mercante. Turbato nella sua mente a causa delle sofferenze del mondo,
egli di notte si alzò dal letto e segretamente scappò dal Beato. Il Beato
vide da lontano Yasa che stava arrivando. Yasa si avvicinò ed esclamò:
“Ahimè, che angoscia! Che tribolazioni!”
Il Beato disse a Yasa: “Qui non c’è nessuna angoscia; nessuna tribolazione.
Vieni da me ed io ti insegnerò la verità, e la verità disperderà i tuoi
dolori.”
Quando Yasa, il giovane nobile, sentì che lì non vi era né angoscia, né
tribolazioni, né dolore, il suo cuore ne fu confortato. Egli si recò nel
luogo dove stava il Beato, e si sedette vicino a lui. Allora il Beato
predicò sulla carità e la moralità. Lui spiegò la vanità del pensiero “io
sono”; i pericoli del desiderio, e la necessità di evitare il male nella
vita per camminare sul sentiero della liberazione.
Invece del disgusto verso il mondo, Yasa sentì il rinfrescante flusso della
saggezza santa e, avendo ottenuto il puro ed immacolato occhio della verità,
guardò la sua persona, riccamente adornata con perle e pietre preziose, ed
il suo cuore ne ebbe vergogna.
Il Tathagata, conoscendo i suoi pensieri intimi, disse: “Anche una persona
ornata con gioielli ha un cuore che può sopraffarre i sensi. La forma
esteriore non è una religione né colpisce la mente. Così il corpo di un
samana può essere abbigliato da asceta, e magari la sua mente è immersa
nella mondanità. Un uomo che dimora solitario nei boschi e però desidera
ancora le vanità mondane, è un mondano, mentre un uomo vestito con indumenti
mondani può far volare in alto il suo cuore con pensieri celestiali. Non c’è
nessuna distinzione tra il laico e l’eremita, allorché entrambi hanno
bandito il pensiero del ‘sé'”.
Vedendo che Yasa era pronto per entrare sul sentiero, il Beato subito gli
disse: “Seguimi!” E Yasa si unì al Sangha, ed avendo indossato la tonaca da
bhikkhu, ricevette l’ordinazione.
Mentre il Beato e Yasa stavano discutendo sulla dottrina, il padre di Yasa
passò di lì alla ricerca di suo figlio; e nel passare, lui chiese al Beato:
“Prego, Signore, hai visto Yasa, mio figlio?”
Il Buddha disse al padre di Yasa: “Entra pure, signore, tu potrai vedere tuo
figlio”; ed il padre di Yasa divenne pieno di gioia ed entrò. Lui si sedette
vicino al figlio, ma i suoi occhi erano tesi e non lo riconobbe; ed il
Signore cominciò a predicare. Ed il padre di Yasa, comprendendo la dottrina
del Beato, disse: “Gloriosa è la verità, o Signore! Il Buddha, il Santo, il
nostro Maestro rimette a posto ciò che è stato rovesciato; egli rivela
quello che è stato nascosto; egli indica la strada al vagabondo che è si è
perso; accende una lampada nell’oscurità, così che tutti coloro che hanno
occhi per vedere possono discernere le cose che li circondano. Io prendo
rifugio nel Buddha, il nostro Signore: Io prendo rifugio nel Dharma, la
dottrina da lui rivelata: Io prendo rifugio nel Sangha, la fratellanza che
lui ha fondato. Possa il Beato ricevermi da oggi, e finché dura la mia vita,
come un discepolo laico che ha preso rifugio in lui.” Il padre di Yasa fu la
prima persona che divenne il primo discepolo laico del Buddha, pronunciando
la triplice formula della presa di rifugio.
Quando il ricco mercante ebbe preso rifugio nel Buddha, i suoi occhi si
aprirono e vide suo figlio che sedeva al suo fianco nella tunica da bhikkhu.
“Yasa, figlio mio”, egli disse, “tua madre è affranta di dolore e si lamenta
continuamente. Ritorna a casa e riporta tua madre alla vita.”
Allora Yasa guardò il Benedetto, il quale disse: “Yasa dovrebbe ritornare al
mondo e godere i piaceri di una vita mondana come faceva prima?”. Il padre
di Yasa rispose: “Se mio figlio Yasa trova vantaggio nello stare con te, gli
permetterò di restare. Lui è stato liberato dalla schiavitù della
mondanità.”
Allorché il Beato ebbe consolato i loro cuori con parole di verità e
rettitudine, il padre di Yasa disse: “O Signore, può il Beato acconsentire
di prendere il suo pasto insieme con me e con Yasa, come suo compagno?” Il
Beato, avendo donato le sue vesti, prese la sua ciotola delle elemosine ed
andò con Yasa alla casa del ricco mercante. Quando loro furono arrivati là,
la madre ed anche la prima moglie di Yasa salutarono il Beato e si sedettero
vicino a lui.
Poi il Beato predicò, e le donne avendo capito la sua dottrina, esclamarono:
“Gloriosa è la verità, o Signore! Noi prendiamo rifugio nel Buddha, nostro
Signore. Noi prendiamo rifugio nel Dharma, la dottrina da lui rivelata. Noi
prendiamo rifugio nel Sangha, la fratellanza che è stata fondata da lui.
Possa il Beato riceverci da oggi in avanti, finché dura la nostra vita, come
discepoli laici che hanno preso rifugio in lui.” La madre e la moglie di
Yasa, il nobile giovane di Benares, furono le prime donne che divennero
discepoli laici e presero il loro rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel
Sangha.
Ora, c’erano quattro amici di Yasa che appartenevano alle famiglie ricche di
Benares. I loro nomi erano Vimala, Subahu, Punnaji, e Gavampati. Quando gli
amici di Yasa sentirono che Yasa si era tagliato i capelli ed aveva
indossato la tunica da bhikkhu per rinunciare al mondo ed andare in giro
come un senza-casa, pensarono: “Di sicuro, quella che è una nobile rinuncia
del mondo non può essere una dottrina comune!”.
E così essi andarono a trovare Yasa, e Yasa li indirizzò dal Beato, dicendo:
“Possa il Beato impartire esortazione ed istruzione a questi miei quattro
amici”. Ed il Beato predicò loro, e gli amici di Yasa accettarono la
dottrina e presero rifugio nel Buddha, nel Dharma, e nel Sangha.
KASSAPA, L’ADORATORE DEL FUOCO
A quel tempo vivevano in Uruvela i Jatila, bramani eremiti coi capelli
intrecciati che adoravano il fuoco e tenevano un drago che emanava fiamme; e
Kassapa era il loro capo. Kassapa era famoso in tutta l’India, ed il suo
nome era onorato come uno degli uomini più saggi sulla terra ed un’autorità
nella religione. Allora il Beato andò da Kassapa di Uruvela, il Jatila, e
disse: “Lasciami passare una notte nella stanza dove tenete il vostro fuoco
sacro.”
Kassapa, vedendo il Benedetto nella sua maestà e bellezza, pensò di lui:
“Questo è un grande muni ed un nobile Maestro. Se dovesse stare tutta la
notte nella sala dove è tenuto il fuoco sacro, il serpente lo morderà e lui
morrà.” Perciò disse: “Io non ho obiezioni sul fatto che tu passi la notte
nella sala dove è tenuto il fuoco sacro, ma là ci vive il serpente e lui ti
ucciderà. A me dispiacerebbe molto vederti morire.”
Ma il Buddha insistè, e Kassapa lo ammise nella sala dove era tenuto il
fuoco sacro. Ed il Beato si sedette con il corpo eretto, circondandosi di
attenzione. Di notte venne il dragone, eruttando il suo bruciante veleno con
fiammate rabbiose, e riempendo l’aria con un odor di vapore ardente, ma non
riuscì a fargli nessun danno, ed il fuoco si consumò, mentre l’onorato nel
Mondo rimase composto. Ed il demonio velenoso si adirò così tanto che morì
nella sua rabbia. Quando Kassapa vide la luce che proveniva dalla stanza
disse: “Ahimè, che disastro! Invero, l’aura del grande Gotama Sakyamuni è
bella, ma il serpente lo distruggerà.”
La mattina dopo, il Beato mostrò a Kassapa il corpo morto del demonio,
dicendo: “Il suo fuoco è stato vinto dal mio fuoco.” E Kassapa pensò di lui.
“Sakyamuni è davvero un grande samana e possiede alti poteri, ma lui non è
santo come me.”
In quei giorni vi era una festa, e Kassapa pensò: “Qui verrà gente da tutte
le parti del paese e vedranno il grande Sakyamuni. Quando lui parlerà, essi
crederanno in lui e mi abbandoneranno.” E così ebbe invidia. Quando il
giorno della festa arrivò, il Beato si ritirò e non venne da Kassapa. E
Kassapa andò dal Buddha la mattina seguente e disse: “Perché il grande
Sakyamuni non venne?”
Il Tathagata rispose: “Non hai tu pensato, O Kassapa, che sarebbe meglio che
io non fossi venuto alla festa?” Kassapa ne fu stupito e pensò: “Sakyamuni è
grande davvero; lui può leggere i miei pensieri più segreti, ma lui non è
santo come me.”
Il Beato disse ancora a Kassapa: “Tu vedi la verità, ma non la accetti a
causa dell’invidia che dimora nel tuo cuore. L’invidia è forse santità?
L’invidia è l’ultimo residuo di ‘sé’ che è rimasto nella tua mente. Tu non
sei santo, o Kassapa; tu non sei ancora entrato nel sentiero”. E Kassapa
infine abbandonò la sua resistenza. La sua invidia scomparve, e,
prostrandosi davanti al Benedetto, gli disse: “Signore, Maestro, permettimi
di ricevere l’ordinazione dalle tue mani”.
Ed il Beato disse: “Tu, Kassapa, sei il capo dei Jatila. Vai, dunque, e
prima informa loro della tua intenzione, e lascia che essi facciano come
pensavi di fare tu”. Allora Kassapa andò dai Jatila e disse loro: “Io sono
desideroso di condurre una vita religiosa sotto la direzione del grande
Sakyamuni che è il Buddha Illuminato. Voi fate pure come meglio credete.”
I Jatila risposero: “Anche noi abbiamo concepito una profonda devozione per
il grande Sakyamuni, e se tu vuoi unirti al suo Sangha, noi faremo
altrettanto.” Ora, i Jatila di Uruvela gettarono nel fiume i loro paramenti
di adorazione del fuoco ed andarono tutti dal Beato.
Nadi Kassapa e Gaya Kassapa, fratelli del grande Kassapa Uruvela, uomini
potenti e capitribù, stavano dimorando lungo il fiume, quando videro passare
sul fiume gli strumenti usati nell’adorazione del fuoco e dissero: “Dev’essere
accaduto qualcosa a nostro fratello”. E arrivarono con la loro gente ad
Uruvela. Sentendo poi quello che era accaduto, anch’essi andarono dal
Buddha.
Il Beato, vedendo che i Jatila di Nadi e di Gaya, che avevano praticato
austerità severe e adoravano il fuoco, ora erano venuti da lui, fece un
sermone sul fuoco, e disse: “O Jatila, tutto quanto sta bruciando. L’occhio
sta bruciando, tutti i sensi ed i pensieri stanno bruciando. Essi bruciano
col fuoco della concupiscenza. C’è la rabbia, c’è l’odio, c’è l’ignoranza, e
finché il fuoco trova cose così infiammabili con le quali può alimentarsi,
più a lungo brucierà e più ci saranno nascita e morte, vecchiaia, pene,
angoscia, sofferenza, disperazione, e dolore. Un discepolo del Dharma, ciò
considerando, vedrà le quattro nobili verità e percorrerà l’ottuplice
sentiero della santità. Egli diverrà accorto del suo occhio, accorto di
tutti i suoi sensi, accorto dei suoi pensieri. Egli si libererà dalle
passioni e dall’egoismo, e così diverrà libero e otterrà lo stato benedetto
del Nirvana.”
Ed i Jatila si allietarono e presero rifugio nel Buddha, Dharma, e Sangha.
…
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