Il vero Cristianesimo e il vero Induismo

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Il vero Cristianesimo e il vero Induismo

dai “Ricordi di Yogananda” di Swami Kriyananda

Il vero Cristianesimo e il vero Induismo

Una donna che faceva parte della mia congregazione alla chiesa di
Hollywood raccontò come aveva conosciuto il Maestro.

Un mattino stava pregando nella sua casa, quando all’improvviso aveva udito
una voce che dichiarava con forza: «Cristo verrà oggi!».

Era domenica. Più tardi, quella stessa mattina, un’amica la portò alla
chiesa SRF di Hollywood, dove sentì parlare Paramhansa Yogananda.

Una parte importante della missione del Maestro sulla Terra era quella di
mostrare l’unità fondamentale degli insegnamenti di Gesù Cristo e di
Krishna, nonché di presentare gli insegnamenti più profondi alla base di
quelle religioni. Egli ci disse molte volte che era stato Gesù stesso,
insieme a Krishna nella sua attuale incarnazione ccome Babaji, a dare il
via a questa missione attraverso di lui. Spiegò, intoltre, che Gesù Cristo
si era materializzato davanti a Babaji sull’Hiimalaya e gli aveva detto:

«Che cosa è accaduto alla mia Chiesa? Stanno ancora facendo opere buone, ma
hanno dimenticato l’importanza della comunione (diretta, interiore, con
Dio. Mandiamo un nostro emissario in Occidlente, per promulgare nuovamente
il mio messaggio originale».

È importante comprendere che nessun glande profeta dina mai: «Solo la mia
via è quella giusta», a meno che con ciò egjlù imoti intenda dire: «La via
che vi indico è l’unico vero sentiero per ogni uomo, a prescindere dalla
sua religione», spiegando poi che ciò si riferisce al sentiero interiore
verso Dio, che si trova già nell’intimo di ogni essere umano: l’autostrada
della spina dorsale, l’unico luogo in cui l ego può essere offerto in alto
nell’unione con il Sé Eterno. I veri maestri, in altre parole, parlano
di princìpi, non di personalità.
Gesù Cristo non è venuto sulla Terra per dire alle
persone quanto era grande lui. È venuto per mostrare quanto sono grandi
loro stesse, a livello potenziale, nella loro anima. Il suo messaggio
fondamentale era: «Ciò che ho fatto io, potete farlo anche voi. Ciò che
sono io, potete diventarlo anche voi».

«Dio» soleva dire Yogananda «non crea mai delle manifestazioni uniche di Se
Stesso, etichettandole come “DIO”. Tutte le Sue dirette manifestazioni
umane sono dei figli divinamente risvegliati, che hanno attraversato
l’intera gamma delle infinite incarnazioni. Hanno sofferto loro stessi le
pene dell’illusione. Loro stessi, grazie a sforzi intrepidi e costanti,
hanno conseguito la vittoria finale nell’unione con Dio. Sono tutti,
ugualmente, un’unica cosa con “l’unigenito Figlio di Dio”, la coscienza
eristica, proprio come lo era Gesù».

Sarebbe, ovviamente, impossibile per me presentare in questo contesto tutti
gli insegnamenti di Yogananda relativi a Cristo. Devo fare del mio meglio,
tuttavia, per sintetizzarli nelle pagine di un breve capitolo, poiché
questo aspetto della sua missione era fondamentale per tutto ciò che egli
compì in questa vita. Yogananda non si limitò a indirizzare verso Dio la
mente e il cuore di innumerevoli migliaia di persone, ma lo fece anche
all’interno di una tradizione nella quale aveva avuto il compito di
infondere nuova vita.

Verso la fine della sua vita, egli rivolse a Gesù questa preghiera:
«Signore, ho dato loro i tuoi insegnamenti? Non ho voluto introdurre in
essi nulla di estraneo». Ci raccontò cosa successe allora:

«Vidi una luce meravigliosa e Gesù Cristo apparve sopra di me. Il Sacro
Graal passò dalle sue labbra alle mie, e udii la sua voce che diceva: “La
coppa dalla quale bevo, è la stessa dalla quale bevi tu”». In seguito, la
responsabile editoriale del Maestro (Laurie) ritenne irriverente citare
quelle parole. Nell’ Autobiografia gli lasciò dire soltanto: «… parole
meravigliose di rassicurazione, di natura così personale che io le serbo
nel mio cuore». Il Maestro, tuttavia, ce le ripeteva di frequente. Non vedo
quindi la necessità di un tale inutile scrupolo.

Vorrei dunque elencare, il più sinteticamente possibile, gli insegnamenti
di Gesù sui quali Yogananda si concentrava in principal modo.

1. Egli diceva che il nostro primo dovere nella vita è amare Dio e che,
risvegliando in noi il divino amore, dovremmo amare tutti gli esseri nel
Suo nome. Il nostro prossimo – diceva, sempre riferendosi alle parole di
Gesù – è colui che si trova in sintonia con noi, chiunque egli sia. A
costui dovremmo dare di più, perché si è dimostrato in grado di ricevere di
più. In altre parole, non sprecare energia nel dare troppo a coloro che non
sono ricettivi. («Non gettate le vostre perle davanti ai porci».)
Concèntrati specialmente sulle persone che sono aperte a ciò che hai da
dare.

2. Cerca per primo Dio, e ti sarà dato anche tutto il resto di cui avrai
bisogno.

3. Non accontentarti di appagamenti minori: diventa perfetto nel tuo Sé,
così come Dio è perfetto.

4. Non è sufficiente pregare Dio. Dobbiamo anche ascoltare la Sua risposta,
nella profonda meditazione.

5. Le «chiavi del Regno» di cui parlò Gesù sono le tecniche di meditazione
che aiutano l’individuo a prepararsi alla divina illuminazione.

6. Il credere non dimostra nulla. Solo la fede conta. Per secoli le persone
hanno creduto che la Terra fosse piatta, ma quella convinzione non l’ha
resa tale. Io posso credere che tu sia mio amico, ma solo dopo che la
nostra amicizia sarà stata messa alla prova dall’esperienza nel corso degli
anni, potrò dire di avere veramente fede in te.

7. Il destino dell’uomo non è di vivere per l’eternità in un corpo
limitante. Il regno di Dio si trova nell’intimo di noi stessi. Il vero
destino dell’uomo è di realizzare la propria unità con l’Infinito.

8. I veri insegnamenti di Cristo non potranno mai essere confinati entro le
mura di un’istituzione. Chiunque, in qualunque luogo, segua il suo
comandamento di vivere per Dio e di amarLo con tutto il cuore, è suo
seguace tanto quanto coloro che si dichiarano cristiani.

9. Possiamo trovare Dio solo attraverso la coscienza eristica, che pervade
tutta la Creazione.

10. «Vivere per Dio è martirio». Questo era uno dei detti preferiti del mio
guru. Le prove, la sofferenza, l’opposizione, le incomprensioni, sì, anche
la persecuzione: tutte queste cose accompagnano il sentiero spirituale,
poiché Dio vuole essere completamente sicuro del nostro amore. Se,
tuttavia, affrontiamo ogni prova non con un atteggiamento di sopportazione,
ma di spontanea e gioiosa accettazione, Dio non ci abbandonerà mai. Alla
fine, il devoto scopre infallibilmente che le prove divine gli hanno sempre
indicato la via verso la suprema felicità della sua anima nel Signore.

11. Dobbiamo perdonare chiunque cerchi di ferirci, perché tutti gli uomini,
nel profondo del loro cuore, desiderano soltanto la beatitudine. Tutto ciò
che fanno, sia esso saggio o sciocco, gentile o scortese, generoso o
egoista, ha lo “scopo recondito” di sperimentare la beatitudine. Se
qualcuno cerca di ferire un’altra persona, si tratta soltanto di quel
desiderio che affiora in modo distorto. A prescindere da come vieni
trattato, quindi, accettalo con gratitudine. Consideralo una benedizione di
Dio, che ti viene mandata per liberarti dalla schiavitù dell’ego.

12. Non essere mai passivo nella tua dedizione. Perfino Gesù scacciò i
cambiavalute dal tempio, quindi consacrati sempre, senza timore, alla
verità. Non possiamo essere responsabili delle azioni degli altri, ma
possiamo e dobbiamo accettare la responsabilità delle nostre azioni di
fronte a Dio.

13. Dovremmo considerare come veri membri della nostra famiglia
soprattutto coloro che amano Dio.

14. Dovremmo attraversare la vita gioiosamente, sapendo che Dio ci ama.
Perfino la sofferenza dovrebbe essere abbracciata con gioia come una
benedizione di Dio che ha lo scopo di purificarci da ogni illusione.
L’immagine popolare di Gesù come «un uomo di sofferenza, che ben conosceva
il dolore» è molto lontana dal vero. Gesù ci ha mostrato come, amando Dio,
possiamo elevarci per sempre al di sopra di ogni pena.

15. Non dovremmo mai accettare il pensiero di essere peccatori, tranne,
forse, come una giocosa espressione di umiltà. Definirsi peccatori
significa identificarsi con il peccato. Il peg-gior peccato di fronte a
Dio, quindi, è affermare in tutta serietà: «Sono un peccatore». Dire: «Ho
sbagliato» è diverso. Questa ammissione è necessaria, se si desidera
cambiare. Ma dire: «Ho sbagliato perché sbagliare fa parte della mia
natura» significa concedere a se stessi tutte le scuse necessarie per
continuare a sbagliare. In realtà, dire: «Sono un peccatore» significa
giustificare la propria peccaminosità!

Gli insegnamenti di Krishna espressi nella tìhagavad Gita sono, punto per
punto, gli stessi di Gesù. Il cosiddetto “culto degli idoli” degli indiani
è, in realtà, soltanto un “culto degli ideali ‘. Gli insegnamenti di
Krishna e quelli di Gesù sono identici in ogni loro elemento essenziale.
L’unica differenza è che Krishna sottolinea l’importanza di raggiungere la
libertà attraverso l’azione priva di desiderio. Il suo insegnamento può
essere compreso a molti livelli: ciò che egli ha detto sulla giusta azione
permette anche di concentrarsi completamente su quello che si sta facendo,
e costituisce quindi una buona lezione per ottenere il successo nella vita.
Gesù, invece, sottolineò soprattutto la necessità della devozione. Il suo
popolo era troppo preoccupato di comprendere la Legge di Mosè in tutte le
sue ramificazioni. L’insistenza sul fatto che Dio era Uno, inoltre, aveva
portato gli ebrei a escludere gli altri invece di includere tutti, poiché
non riuscivano a comprendere (bisogna ricordare che ciò accadeva nel
periodo più profondo del Kali Yuga, l’epoca oscura) che ogni cosa,
letteralmente ogni cosa, era, è, e sempre sarà una parte di Dio.

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