Il viaggio di Carlos Castaneda

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Il viaggio di Carlos Castaneda

autore sconosciuto

Carlos Castaneda è un antropologo peruviano scomparso di recente che negli anni 60, interessato allo
studio dell’uso delle piante medicinali fra gli indios del Messico, si recò in questo paese e lì
conobbe un indio yaqui del Messico settentrionale, don Juan Matus. Questi esercitava un’arte
ancestrale, nota ai nostri giorni come stregoneria, che si ritiene sia una forma primitiva di
scienza medica e psicologica, ma che di fatto è una tradizione di praticanti estremamente
autodisciplinati e di pratiche estremamente raffinate.

Mentre i primi due libri scritti da Castaneda descrivano prevalentemente le sue esperienze “diverse”
con l’uso delle cosiddette “piante di potere”, cioè la Datura inoxia, nota anche come l’erba del
diavolo, la Lophophora williamsii nota come peyote, e un fungo allucinogeno del genere Psilocybe,
nel terzo volume si trascende quel tipo di esperienza, dalla quale Castaneda decide risolutamente di
distaccarsi, e l’autore descrive minuziosamente il suo lungo e affascinante tirocinio di apprendista
stregone.

Infatti Castaneda, che all’inizio pensava di utilizzare Juan Matus come informatore della matrice
culturale della stregoneria, continuando a lungo a considerarsi solo un antropologo, alla fine,
sotto l’influenza della potente personalità dell’indio, si sentì irrimediabilmente costretto a
diventarne un adepto. Il suo lavoro di antropologo si trasformò in quello di un autobiografo, in
quanto, dal momento in cui sentì operare in se’ questo cambiamento come risultato dell’adozione di
un insieme concatenato di idee e di pratiche aliene, si sentì anche spinto a riferire tutto quanto
gli stava accadendo. In altre parole il sistema di credenze che voleva studiare lo fagocitò. Da quel
momento divenne allievo di don Juan e di un altro indio mazateco del Messico centrale, don Genaro
Flores, che lo iniziarono ai loro segreti.

I libri di Castaneda non contengono conoscenza, ne parlano, ma non lo sono in se stessi. Per
raggiungere la conoscenza bisogna mettere in pratica ciò che essi suggeriscono. La “stregoneria” qui
descritta non è ciò che noi crediamo nel contesto del nostro mondo quotidiano, cioè l’uso sull’uomo
di poteri che travalicano l’umano, o l’evocazione degli spiriti con incantesimi, amuleti o rituali
che creino effetti soprannaturali.

Per don Juan la stregoneria era l’atto di incarnare alcune speciali premesse teoriche e pratiche
sulla natura, e il ruolo della percezione nel plasmare l’universo intorno a noi. Si avvicina per un
certo verso allo sciamanesimo, anche se ha una caratteristica unica e inconfondibile.

In “Viaggio a Ixtland”, Castaneda riferisce le lezioni, i presagi, gli esercizi per il corpo e per
la mente, le ardue prove, le semplici e tuttavia misteriose dimostrazioni, le straordinarie visioni
ed esperienze con cui i suoi maestri lo prepararono al compito di percepire le cose come sono,
invece di descriverle con le parole, le convenzioni e gli standard dei luoghi comuni e del
linguaggio stereotipato. Questo è il primo presupposto della stregoneria. Per don Juan Matus il
mondo non è fatto di oggetti, ma è fatto di campi di energia che egli chiama “le emanazioni
dell’aquila”. Tali emanazioni sono raggruppate in grandi grappoli o fasce(48) nelle quali formano
mondi indipendenti tra loro. All’interno di una di queste bande c’è una fascia particolare, la banda
dell’uomo, che determina gli stretti limiti delle percezioni conosciute come la coscienza normale,
il “tonal”, il lato destro. Le emanazioni che si trovano al di là della banda dell’umanità
costituiscono l’ignoto propriamente detto e non vengono mai allineate dalla gente comune. Sono
chiamate il “nagual”, la realtà separata, il lato sinistro. Il fattore che determina quali
emanazioni saranno selezionate o allineate è chiamato “punto di unione” , che è una proprietà della
consapevolezza di selezionare le emanazioni atte a produrre la percezione simultanea di tutti gli
elementi che costituiscono il mondo oggetto della percezione. Il tipo di allineamento, quindi di
percezioni, è dato dalla “posizione del punto di unione”.

Per uno stregone il mondo della vita quotidiana non è quindi reale come lo crediamo, ma è solo una
descrizione che ci è stata inculcata fin dal momento della nostra nascita. Infatti chiunque venga in
contatto con un bambino è un maestro che gli descrive incessantemente il mondo, fino al momento in
cui il bambino è capace di percepire il mondo come gli è stato descritto. Da quel momento il bambino
è un membro del mondo, e conosce la descrizione del mondo, descrizione che si convalida quando,
conformandosi a quella descrizione, diventa capace di trarre tutte le appropriate interpretazioni
percettive. Da quel momento, la realtà della sua vita consiste in un interminabile flusso di
interpretazioni percettive.

La premessa di base della stregoneria e la affermazione che don Juan faceva di continuo al suo
riluttante novizio, era che egli gli stava insegnando a “vedere” in quanto opposto al semplice
guardare, e che “fermare il mondo” era il primo passo per poter arrivare a “vedere”. “Fermare il
mondo” è l’insieme di certi stati di consapevolezza in cui la realtà della vita quotidiana è
alterata perché il flusso di interpretazione, che d’ordinario scorre ininterrottamente, è stato
fermato da una serie di circostanze estranee a quel flusso. “Vedere” si può definire rispondere alle
sollecitazioni percettive di un mondo esterno alla descrizione che abbiamo imparato a chiamare
realtà.

“Viaggio a Ixtlan” è dedicata proprio alla costruzione della capacità percettiva del mondo diversa
dalla descrizione, che don Juan fece al suo apprendista, all’inizio del loro sodalizio, attraverso
tecniche descritte con precisione nei primi 17 capitoli del libro.

Per don Juan il mondo non è costituito da oggetti, così come li vediamo, ma da campi d’energia.

Anche noi uomini siamo campi di energia o “uova luminose”, ma pochi solo arrivano a comprendere e a
vedere questo perché, quantunque ogni persona possieda dell’energia, nella vita della gente comune
questa è già completamente utilizzata nelle azioni abituali, determinate per ognuno dal proprio
passato.

Questo è già evidente nella difficoltà che incontriamo quando vogliamo dare un cambiamento alla
nostra vita; tanto meno abbiamo energia disponibile per abbordare l’ignoto.

Quindi, l’inizio del cammino della conoscenza, che è anche la strada del guerriero, è quello del
giusto e adeguato uso dell’energia.

Tutto quanto un essere vivente fa e tutto quanto gli accade, è determinato dal suo livello di
energia disponibile, o potere personale.

La porta di cui dispone ogni essere umano per ottenere energia “libera” o potere personale, è il
risparmio dell’energia che normalmente impiega nelle azioni della sua vita quotidiana.

“Viaggio a Ixtlan” è proprio dedicato all’insegnamento dei metodi basilari per l’incremento di
energia che ci permettono di entrare nel mondo del guerriero, destrutturando l’ego individuale del
guerriero e quindi della sua visione ordinaria del mondo: questi metodi sono chiamati “i non fare
dell’io personale”.

Uno dei primi e basilari insegnamenti è quello della “cancellazione della storia personale”, atto
che ci libera dall’ostacolo dei pensieri altrui. Si può iniziare solo desiderando di abbandonarla,
quindi con un atto di volontà, poi si può procedere armoniosamente a tagliarla via.

“Non capisci?” chiese don Juan a Castaneda. “Tu devi rinnovare la tua storia personale raccontando
ai genitori, ai parenti e agli amici tutto ciò che fai. “Il tuo problema è che devi spiegare tutto a
tutti, in modo coatto, e al tempo stesso vuoi conservare la tua freschezza e la novità di ciò che
fai. Perciò, non potendo conservare il tuo entusiasmo dopo aver spiegato tutto quello che hai fatto,
mentisci per poter tirare avanti e diventi inaffidabile”.

D’altra parte, se tu non avessi storia personale, non ci sarebbe bisogno di spiegazioni; nessuno
sarebbe in collera o deluso per i tuoi atti. E soprattutto nessuno ti inchioderebbe con i suoi
pensieri”.

“A poco a poco devi creare attorno a te una nebbia; devi cancellare tutto ciò che ti circonda finché
non si possa dare più nulla per scontato, finché più nulla è certo o reale. Ora il tuo problema è
che sei troppo reale. I tuoi sforzi sono troppo reali; i tuoi umori sono troppo reali. Non dar tanto
per scontate le cose. Devi incominciare a cancellare te stesso”. Per riuscirci, spiega don Juan,
“Non rivelare tutto quello che fai veramente”.

“Abbandona tutti quelli che ti conoscono bene, perché una volta che ti conoscono tu sei una cosa
data per scontata e da quel momento in avanti non sarai più capace di rompere i legami dei loro
pensieri”.

“Crea intorno a te una nebbia e d’ora in avanti devi semplicemente mostrare alla gente solo ciò che
ti importa mostrare, ma senza mai dire esattamente come l’hai fatto”.

A questo punto Castaneda chiese se cancellare la storia personale non fosse un modo per accrescere
il senso di insicurezza.

“Quando nulla è certo- risponde don Juan- rimaniamo sul chi vive, perennemente attivi. E’ più
eccitante non sapere dietro a quale cespuglio si nasconde il coniglio piuttosto che comportarci come
se sapessimo tutto”.

La perdita della presunzione o dell’importanza personale è un altro atto di partenza per non perdere
energia.

“Finché penserai di essere la cosa più importante del mondo non potrai apprezzare veramente il mondo
intorno a te. Sei come un cavallo coi paraocchi, tutto quello che vedi è te stesso distinto da tutto
il resto”.

“Sei molto violento, ti prendi troppo sul serio”.

“Sei così maledettamente importante che ti senti in diritto di irritarti di tutto”.

E’ a causa dell’importanza personale che viviamo sempre esauriti, perché è da lì che sfugge la
nostra energia. A causa dell’importanza personale crediamo sempre che i nostri problemi siano i più
gravi o le nostre opinioni siano le sole corrette: siamo il centro dell’universo. L’importanza
personale è il tono e lo scettro del dittatore personale di ognuno di noi: l’ego.

In realtà tutte le emozioni inutili e le abitudini debilitanti che portano a una diminuzione della
nostra energia, come il rancore, la gloria, l’invidia, l’autocommiserazione, la depressione,
eccetera, sono possibili solo a causa del fatto che ci sentiamo importanti.

E’ per questo che la lotta contro l’importanza personale è forse la più difficile tra quelle che un
guerriero deve affrontare. E superarla è una delle vittorie più portentose.

Quali sono i metodi per riuscirci? Sono diversi, tra questi la ricapitolazione, il “non fare”, il
parlare con alberi e piante, l’usare la morte come consigliere.

Don Juan suggerisce a Castaneda che per smettere di prendersi troppo sul serio dovrebbe parlare a
voce alta con le piante, cosa che all’apprendista sembra ridicola.

“Avanti, parla alla pianticella” . “Dille che non ti senti più importante”. “parla fino a perdere
tutto il tuo senso di importanza. Parla finché ti riuscirà di farlo in presenza di altri”.

Si può parlare con qualche piantina a portata di mano di ciò che ci sta accadendo, chiederle che per
favore ci aiuti, perchè l’importanza personale è realmente un fardello molto pesante. Parlare agli
alberi è una cosa molto simile, benché, data l’enorme empatia degli alberi verso gli esseri umani,
conversare con loro può aprire possibilità ancora maggiori. Abbracciare un albero e raccontargli i
nostri problemi- sempre ad alta voce- ci può fare scoprire un vero amico, che ci capisce e ci
risponde, oltre a metterci in uno stato di pace. Possiamo contraccambiare l’aiuto con un gesto di
amicizia, portandogli un pò d’acqua, qualche concime naturale, o semplicemente regalandogli una
canzone. L’albero ne sarà molto felice.

La morte è la nostra eterna compagna.

“E’ sempre alla nostra sinistra, a un passo di distanza”. “Ti osserverà sempre fino al giorno in cui
ti toccherà”.

“Come ci si può sentire tanto importanti quando sappiamo che la morte ci dà la caccia?”. “La cosa da
fare quando sei impaziente è voltarti a sinistra e chiedere consiglio alla tua morte. Ti sbarazzi di
un’enorme quantità di meschinità se la tua morte ti fa un gesto, o se ne cogli una breve visione, o
se soltanto hai la sensazione che la tua compagna è lì che ti sorveglia”.

“La morte è il solo saggio consigliere che abbiamo. Ogni volta che senti, come a te capita sempre,
che tutto va male e che stai per essere annientato, voltati verso la tua morte e chiedile se è vero.
La tua morte ti dirà che hai torto; che nulla conta veramente al di fuori del suo tocco. La tua
morte ti dirà: “Non ti ho ancora toccato”.

Questa tecnica è particolarmente utile nei momenti in cui l’importanza personale, in qualcuna delle
sue varianti, si sta impossessando di noi. Quando ci stiamo compatendo, quando sentiamo che stiamo
perdendo qualcosa di grande valore, quando sentiamo che ci offendono, quando proviamo rancore o
desiderio di vendetta, quando ci stiamo aggrappando a qualcosa che in realtà abbiamo già perso,
quando siamo meschini e ci neghiamo all’amore, quando abbiamo paura o non abbiamo il coraggio di
agire come in fondo vorremmo. In momenti come questi, bisogna prendersi un istante per guardare gli
occhi bui della morte e chiederle che ci consigli. Abbiamo bisogno del controllo necessario per
esaminare i fatti alla luce della nostra morte che aspetta, considerando la situazione come se fosse
il nostro ultimo atto prima di morire. Fino a che la morte elimina la meschinità e la paura. Finché
la morte mette ogni cosa al suo posto, nella giusta prospettiva. Solo allora potremo vedere che,
paragonate alla morte, anche le situazioni più tremende del mondo quotidiano, in realtà sono
insignificanti. Siamo vivi, e la morte ci aspetta. Questa è l’unica cosa che davvero importa. Il
resto sono sciocchezze. “Usa la tua morte. Concentra la tua attenzione sul legame tra te e la tua
morte, senza rimorso, tristezza o inquietudine. Metti a fuoco la tua attenzione sul fatto che non
hai tempo e lascia che i tuoi atti scorrano in conseguenza. Lascia che ciascuno dei tuoi atti sia la
tua ultima battaglia sulla terra. Solo a queste condizioni i tuoi atti avranno il loro legittimo
potere”. La sola cosa che conta è l’azione, agire invece di parlare.

“Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo, ma deve prendersi la
responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa e poi deve
andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi”,

“In un mondo in cui la morte è il cacciatore, amico mio, non c’è tempo per rimpianti o dubbi. C’è
solo tempo per le decisioni”.

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