Illuminazione, prima, durante e dopo

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Illuminazione, prima, durante e dopo

(di Rani)

Ogni ricercatore vuole l’illuminazione. Gran parte delle persone la sente
come uno stato di continua beatitudine e unità e crede che una volta
raggiunto questo, la vita sarà per sempre facile e semplice, a causa di
quest’eterna espansione nell’oltre.

Mentre è vero che esiste quello che si definisce «l’esperienza
dell’illuminazione»
che possiede tutte queste caratteristiche, la vera vita illuminata è
qualcosa di molto diverso. La beatitudine non è l’esperienza emozionale che
conosciamo attraverso l’ego. E’ al di là di questa.

La verità è rivelata per così dire in tempi supplementari, pezzo per pezzo,
in relazione alla nostra graduale presa di coscienza di che cosa siamo e
alla perdita della nostra identità legata all’ego. Alcune parti del processo
sono garantite: dobbiamo per primo riconoscere che siamo al di là del
corpo-mente fino al momento in cui accade un cambiamento di prospettiva, di
situazione, però in seguito dobbiamo precipitare e scendere dal picco
dell’illuminazione.
Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che ogni esperienza si decolora
anche dopo qualche anno, che possiamo di nuovo perdere la chiarezza e che
l’identificazione
con la mente può ritornare. Nulla è permanente e per raggiungere vette più
alte dobbiamo passare da diverse vallate.

L’insuccesso è una parte essenziale del sentiero. Quando otteniamo un
successo spirituale, il nostro ego cresce in proporzione, quando abbiamo un
insuccesso, esso diminuisce ed è triturato.

L’esperienza dell’illuminazione è la fine della ricerca, ma sicuramente
l’inizio
del cammino. (O come dico spesso la ricerca si muove dalla dimensione
orizzontale a quella verticale.) Spesso è necessaria la perdita
dell’esperienza
per essere veramente impegnati nella disciplina della vita spirituale.

Ciò che rimane è che siamo confrontati costantemente con le nostre mancanze,
paure, attaccamenti e disperazioni.

Dobbiamo aprirci e aprirci in profondità nel dolore e nella paura, perché ci
cuocia, ci spezzi e ci polverizzi, in modo che possiamo sparire come sè
separato.

Se non abbiamo la giusta comprensione, il giusto contesto, le vallate sono
difficili da percorrere. Quanto segue è il mio proprio percorso in questo
processo. Possa essere di aiuto ad altri viaggiatori in cammino.

Negli anni novanta la vita sembrava quella che avevo voluto. Almeno
esternamente. Vivevo in India in una zona molto bella fuori città. Ero un
membro rispettato dell’ashram di cui facevo parte. Amavo il lavoro che
facevo come terapeuta, la relazione affettiva in cui mi trovavo era
bellissima, allegra e gratificante. Almeno è quanto raccontavo a me stessa.
La casa che avevamo costruito era splendida: avevamo collaboratori
domestici, gatti, cani e pesci nella vasca ecc.

Vivevamo la vita felice dei neo-sannyasin. La meditazione giornaliera era
piacevole; potevo adagiarmi nel conforto di sapere come abbandonare la mente
ed esperimentare la beatitudine. Avevo trovato un rifugio dal dolore. Cosa
potevo chiedere di più?

Mi dicevo che ero appagata, negando il fatto che mi sentivo inferiore al mio
compagno perché partecipavo con meno denaro, che ero profondamente insicura
sulle mie capacità di terapeuta e vari altri fatti minori.

In fondo il diniego era diventato quasi un modo di vivere e posso vedere
retrospettivamente che lo sapevo da sempre in modo vago, ma era troppo
pericoloso ammetterlo a me stessa. La compensazione era un’arte in cui ero
molto abile sin dalla tenera infanzia.

Poi un bel giorno il mio amante mi lasciò. Profondo fu il buco in cui caddi;
mi sembrava anche che ogni volta che vi cadevo, diventava sempre più
profondo.

Determinata a finirla una volta per tutte (l’ego pensa sempre in termini di
soluzioni permanenti) mi buttai a capofitto in questo abisso per circa un
anno, facendo un’intensa terapia, finché scoprii il gruppo di consapevolezza
intensiva. In questo gruppo ti chiedi il koan: «Chi sono io?» dal mattino
presto fino a tarda sera. I risultati furono sorprendenti.

Durante l’anno successivo participai ad ognuno di questi gruppi di tre o
sette giorni. Di solito mi ci volevano 24 ore di intensa lotta prima di
esplodere in un’altra dimensione, nel regno dell’unità, della chiarezza e
della pace. Divenni una drogata di questi stati trascendenti perché mi
sollevavano immediatamente lontano dal mio dolore irrisolto. Imparai come
«ottenerlo». I koan esplosivi divennero la mia specialità.

Per qualche tempo questi stati duravano finché frequentavo il gruppo, ma poi
cominciai a notare che questi stati rimanevano. La chiarezza non mi lasciava
più e la pace era più o meno sempre presente. In altre parole avevo
accumulato una gran quantità di energia (shakti).

Vennero poi grosse rivelazioni e squarci di intuizioni. Ero finalmente
libera da ogni mia sofferenza! Mi ricordo anche di frasi immediatamente
respinte del tipo:«Ora non dovrò più preoccuparmi per i soldi, ho tutto quel
che desidero». «Ora non devo più agitarmi riguardo al sesso e alle relazioni
perché sono al di là di tutto questo!»

L’ego era sempre accanto in agguato e in un certo modo lo sapevo, ma ero
troppo ignorante dei veri meccanismi della mente, per realizzare quello che
significava. Mi dicevo che ero libera dall’ego poiché ne ero consapevole.

Consultai quello che Osho descrive al riguardo, per capire la mia
situazione, ma non trovai molto. Forse non sapevo come formulare la domanda
perché credevo di essere già illuminata, ma comunque non trovai nulla di
veramente utile.

Mi sentivo molto sola e pensai che era quello che egli voleva dire quando
affermava che alla fine sei solo e così decisi di fidarmi della mia
esperienza. Per qualche tempo incontrai una donna che sosteneva di essere
illuminata e che mi aiutò a chiarire qualche dubbio. Per di più mi diede
tutte le conferme su quanto stavo cercando! (Questo è esattamente quello che
la mente vuole: conferme, e così inconsciamente cerchiamo qualcuno che ce le
possa dare)

Comunque l’esperienza dominante era la gioia e la pace. La trasformazione
era evidente e profonda. Volevo immediatamente comunicarla a chi la volesse
ascoltare. Vi era in me il senso genuino ed ingenuo di aiutare gli altri a
liberarsi dal dolore. Per quanto potessi vedere, l’intenzione era pulita ed
innocente. Non sapevo che finché c’è un ego l’intenzione non è mai pura al
100%.

Qualcuno poi descrisse la gente che dichiara prematuramente la loro
illuminazione, come bambine che si vestono con gli abiti della madre e
mettono i tacchi alti facendo finta di essere adulte. Ora, guardando
indietro vedo che era quello, in fondo. Ero una bambina con un sacchetto di
caramelle che volevo distribuire.
Ed anche se gli amici mi evitavano come la peste, qualcuno cominciava a
presentarsi per ascoltare quanto avevo da dire. Molti ricercatori oggi (come
io prima) vogliono solo una cosa: trovare una scorciatoia per liberarsi in
fretta dalla sofferenza, ed io ne avevo di scorciatoie da proporre!

Naturalmente mi mostravano rispetto e riverenza: generavo una quantità
d’energia
cosmica; nella stanza chiunque poteva sentirla e la persona a cui rivolgevo
la parola o lo sguardo, si trovava per un pò in uno stato al di là della
mente. Anch’io mi sentivo volar via. Ero ammirata e riverita. E in fondo mi
sentivo degna di questo amore.

L’orgoglio cominciò ad insinuarsi. Dopo tutto una persona che era stata
tanto umiliata (io) ce l’aveva fatta ed era diventata qualcuno. Vedevo
l’orgoglio,
ma dicevo che dal momento che lo notavo, non aveva importanza. Tutto
avveniva nell’UNO e quindi era temporaneo.

La mia fama crebbe, sempre più gente veniva ai satsang e aveva delle
esperienze di risveglio. Era la prova che ero nel giusto ed il mio ego si
gonfiava un pò di più.
Ogni tanto la vecchia insicurezza bussava alla mia porta, ma non volevo
aprire. Non volevo riconoscere che esisteva ancora.

Devi capire la grande sottigliezza della situazione. Senti che hai trasceso
la sofferenza, che era il motivo della tua ricerca. Realizzare però che non
è vero, non è facile. L’ego lo combatte. L’anima ha un impronta di
protezione dell’ego che ha secoli di vita. Non cede così facilmente.

Per molti anni nel nostro cammino, tutto ciò che desideriamo è di essere
liberi dalla sofferenza. Solo più tardi la nostra intenzione diventa
abbastanza pura per desiderare solo quello che è, per quanto sia penoso e
scomodo.

Così mi sentivo molto espansa, perché il risveglio era forte e potevo
incanalare enormi quantità di energia, ma non sapevo che erano temporanee e
colorate dall’ego. Tutto il tempo il mio ego si allargava al di là delle più
incredibili fantasie, senza che me ne accorgessi. Divenne sempre più
trasparente, accorto e spirituale, raccontava a se stesso che non era
nessuno e che non c’era nemmeno!! Riusciva veramente bene nell’intento di
prendere in giro perfino se stesso.

L’ego è molto abile. Dal momento che condividevo con i miei studenti ogni
trabocchetto, pensavo di esserne libera. E non vedevo che il fatto di
condividere le esperienze non era sufficiente ad abbattere l’ego. E’
necessaria un’assoluta dedizione e la volontà di essere vigile
costantemente. Credevo che il fatto di condividere era di per sè essere
onesto e vigile. E in un certo modo era anche vero.

L’esperienza dell’illuminazione è sempre un misto di intenzione chiara ed
onesta e di un ego affamato di potere. Se non abbiamo un maestro vivente al
momento del risveglio, siamo nei pasticci. In quei momenti non possiamo
viaggiare da soli; precisamente perché possiamo vedere a mala pena l’ego da
soli.

La mia fama cresceva e viaggiavo per tutto il pianeta senza sosta, pensando
di fare qualcosa di molto valido per l’umanità. Ora vedo che era di nuovo la
vecchia storia antica: avevo bisogno di aiutare tutti quelli che soffrivano
altrimenti non avevo il diritto di vivere.

Dopo due anni di questa vita ero esausta. Il corpo era affranto e fui
sconvolta scoprendo che il primo pensiero che mi venne, quando il dottore mi
disse che dovevo riposare, fu: «Chi mi amerà adesso?»

In un certo modo fu l’inizio della caduta. Naturalmente, onesta com’ero,
condividevo tutto questo con gli studenti durante il satsang, mostrando loro
quanto ego accompagna l’esperienza del risveglio. Condivisi la mia
sofferenza ed i miei errori, ma trovai con meraviglia che non molti volevano
ascoltare la verità a meno che non fosse beatificante.

Durante i quattro anni del mio insegnamento, trovai pochi disposti ad
ascoltare la verità. Molti vengono ai satsang per trovare delle scorciatoie
o per adorare qualcuno. Non molti vogliono ascoltare quel che riguarda il
diligente lavoro di purificazione della mente e la guarigione delle nostre
ferite.

Infatti durante i nuovi satsang, come li chiamo, circolano numerose
storielle sul lavoro su se stessi. La bellezza ed anche la difficoltà dei
nostri tempi è che per la conoscenza spirituale ed i suoi segreti basta solo
cliccare con un mouse. Tutti gli scritti sono pubblici. In passato questo
non era possibile, l’informazione veniva data a seconda dell’avanzamento e
della pratica spirituale del discepolo/studente.

Ora non dobbiamo praticare la meditazione o fare qualche lavoro per ricevere
l’insegnamento e quindi il pericolo è che l’assorbiamo solo
intellettualmente. Nel frattempo trovai una nuova relazione affettiva (con
proteste iniziali da parte mia) e questo fu per me un altro modo di
verificare la realtà delle cose.

Presi un anno sabbatico e affrontai molte vecchie sofferenze legate
all’infanzia
e alla solitudine attuale. Prima i miei vecchi amici mi avevano disprezzato,
ma ero stata accolta a braccia aperte dalla comunità del neo-satsang, ora
però la comunità del satsang mi aveva respinta.

Non avrei dovuto provar dolore ed essere onesta su questo. Alla fine
tuttavia, fui capace di accettarlo e viverlo senza ulteriori manipolazioni.
Passai qualche mese in silenzio e sentii di nuovo il bisogno di meditare.
(naturalmente negli anni in cui non ero nessuno, non c’era nessuno che
meditava). Eppure durante tutto il tempo assaporai la beatitudine e la pace
di essere in unità con tutto.

Poi venne il colpo duro. Alla mia migliore amica e partner fu diagnosticato
il cancro. Per qualche mese ci siamo fatte coraggio dicendo che era ok, che
non sentivamo nè paura nè sofferenza, che morire era altrettanto buono
quanto vivere e che ciò che viene se ne va un giorno. Poi siamo crollate
entrambe. Passai le ultime settimane al suo fianco curandola, finché morì
tra le mie braccia.

Questo fatto mi fece a pezzi. C’era troppo dolore. Ero sopraffatta,
consumata, senza aiuto e non pretesi più nulla, nemmeno di poter offrire la
benché minima scorciatoia o miracolo. Naturalmente venne sempre meno gente.
Mi resi conto lentamente che rimaneva solo un pugno di cercatori sinceri ai
quali potevo offrire solo la mia amicizia, una limitata esperienza e un pò
di saggezza.

Realizzai che avevo bisogno di una guida. Cercai dappertutto tra le antiche
e moderne saggezze, finché trovai il mio nuovo maestro Aziz. I suoi colpi
duri alla zen erano dolorosi e non li apprezzavo, ma col tempo capii e
ricevetti una mappa della realtà che era in risonanza con me.

Il mio vecchio maestro era stato troppo aperto, troppo ricco di indicazioni
perché io potessi discernere un sentiero chiaro e pratico. Parlava di tante
pratiche e mi lasciava scegliere. Questo mi aveva portato dov’ero adesso.
Provavo rispetto e gratitudine per lui, ma avevo bisogno di qualcosa di più.

Avevo bisogno di una guida vivente. Ora avevo trovato questo insegnamento
preciso che risuonava nella mia anima come un riflesso della realtà. Egli mi
guidò nella mia pratica e m’insegnò un metodo totalmente nuovo di
meditazione. Mi disse di smettere di insegnare, ma avevo paura perché era il
solo reddito che avevo.

Credevo di aver bisogno di soldi, avevo bisogno di essere riconosciuta e di
mantenere una posizione (più per me che per gli altri). Ma soprattutto avevo
bisogno di non informare me stessa che era tutto finito. Che avevo avuto
un’apertura
immensa ed un’esperienza d’illuminazione, durata anni, ma che ora questa
stava spegnendosi poco alla volta.

Poco alla volta compresi che la corruzione è in tutti noi e che non è
possibile essere totalmente incorrotti. Dopo tutto, quello che facciamo, lo
facciamo quasi sempre per noi stessi. Continuando i miei insegnamenti ed
incontri con i ricercatori, avrei potuto nascondermi che non tutto era
finito. Avrei continuato a sognare ancora un pò e raccontarmi che sarebbe
ricominciato come prima. O peggio avrei potuto criticare la poca motivazione
dei ricercatori se non fossi stata più richiesta.

Ma la vita è generosa se l’intenzione è onesta. Pregavo quotidianamente per
la verità e le preghiere sincere sono sempre ascoltate. Partii per
l’occidente,
ritornai al mio paese natale, ma trovai difficile riadattarmi a quella
cultura dopo 16 anni in India. Ci fu un momento in cui i soldi erano finiti.
Amici e familiari ci aiutavano a sopravvivere. Crollai. Tutto il lato ombra
della mia personalità apparve.

L’ego era diventato più forte (cresce in concomitanza alle nostre
realizzazioni; più potenti diventiuamo e più forte diventa l’ego.) Il
super-ego ritornò con la sua vendetta. L’autotortura e l’autoaccusa
assunsero le forme di un tornado. L’Ombra era presente e si manifestava
chiaramente e a voce alta. Pensavo di aver trovato la mia ombra tanti anni
prima, ma non in quella profondità. Mi resi conto che l’ombra si rivela
rispetto alla quantità di luce, più c’è luce e più forte è l’ombra.

Tutt’a un tratto fui di nuovo identificata con ogni singolo pensiero. Ero
emotiva dalla mattina alla sera tranne quando meditavo. E meditavo, eccome!
e pregavo e mi muovevo per tenere a bada la depressione finché fu
impossibile impedirla. Ero in un inferno e capii che la guarigione doveva
avvenire proprio qui nell’inferno.

Non c’erano più soldi, trovai un impiego come donna delle pulizie ed ero
pronta a trovare qualsiasi lavoro, sempre con la segreta speranza che dopo
questa prova tutto era finito, che un miracolo sarebbe avvenuto e sarei
stata di nuovo innalzata nell’empireo. La vita sarebbe stata per sempre
felice. Ma la verità non vive alla presenza della speranza.

Abbandonare le nostre speranze è uno dei prezzi da pagare per la perla senza
prezzo. L’ego gridava, urlava. Non voleva separarsi dai tempi gloriosi.
Tutta la mia vita con le sue sofferenze non digerite e negate, ritornò in
superficie per un altro giro. Pensieri di suicidio divennero i miei
compagni.

Senza l’aiuto del mio partner e di alcuni cari amici, familiari ed un buon
terapista, sarebbe stato più difficile. L’amore che ricevevo mi sosteneva e
mi curava.

Tuttavia mi sentivo persa, non sapevo bene cosa stava succedendo. Avevo
bisogno di aiuto.

Una cosa era certa. Non c’era una via d’uscita ma solo una via dentro e
attraverso, il mio solo interesse fu di rimanere presente nel dolore e in
qualunque emozione si presentasse. Mi sentivo sottoterra come non ero mai
stata. In seguito cominciò a balenarmi l’idea che il fatto di scendere così
in basso in realtà ci faceva salire in alto.

Fui grata ad Aziz di essere venuto in occidente per un altro ritiro
silenzioso! Ma alla fine della settimana annunciò che sarebbe andato a
vivere in solitudine e che non sarebbe più stato disponibile come guida ed
insegnante! Di nuovo mi ritrovavo da sola e non sapendo cosa stava
succedendo pregai per avere aiuto.

Ebbi allora la fortuna di trovare per caso un libro intitolato «Halfway up
the mountain» («A metà strada verso la montagna») di Mariana Caplan. Esso mi
procurava i pezzi mancanti alla mia comprensione. Era un libro che parlava
di me. La mia storia nei dettagli. In quel libro lessi tutto quello che
riguardava i tranelli in cui ero caduta. Mi diede una visione chiara del
processo e del contesto in cui mi trovavo.

Leggere quel libro fu come ritrovarsi in un ritiro. Mi ricordò più volte che
vi era una forza di guarigione in questa crisi. Era quello che volevo. La
mia dignità fu risanata quando cominciai a capire che essa era una risposta
meccanica della mente e non una sconfitta o impresa personale. La mia
sofferenza fu più dignitosa.
Capii che la disillusione è non solo necessaria sul cammino, ma un vero dono
della grazia divina. E’ come essere svezzati dal seno di Dio e aver il
permesso di camminare. Per forza barcolli a destra e a sinistra, come ogni
bambino ai primi passi, ma alla fine trovi il tuo equilibrio e cammini. La
caduta dal paradiso sembra parte integrante del processo d’illuminazione.
Infatti molti insegnanti affermano che devi guadagnartelo per meritarlo.

Quando realizziamo che il sentiero sul quale camminiamo non è quello che
credevamo e che la realtà è qualcosa di completamente diverso dalle fantasie
che avevamo su di essa, siamo sconvolti. Non è una transizione facile da
farsi. E’ estremamente dolorosa e sembra di essere spellati vivi. Eppure
questa sofferenza ci apre magicamente la profondità di quello che veramente
siamo.

L’illuminazione avviene quando abbracciamo la nostra oscurità allo stesso
modo. Realizziamo che la nostra realtà umana ci sarà sempre, che la
sofferenza è parte integrante della vita umana. Soffriamo sia consciamente
che inconsciamente. Realizziamo che la libertà che avevamo pensato di
trovare nella beatitudine e gioia del picco dell’Illuminazione, non è
affatto la vera libertà. E’ più profonda. Significa accettare veramente
quello che E’.

Non appena giunta alla fine del libro lasciai del tutto la presa,
l’abbandono
fu completo. Rinunciai a tutte le attività d’insegnamento, annullai il
biglietto per l’India ed ora sono pronta per un nuovo capitolo in
quest’avventura
chiamata vita. Questa volta può capitare proprio qui dove sono. E
sinceramente non so proprio dove mi porterà.

Nessuna speranza, nessun progetto.

Om shanti
Rani

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